CAPITOLO
II°
EMIGRAZIONE IN ARGENTINA
CAUSE ED EFFETTI
1. CAUSE PREVALENTI CHE HANNO SOSTENUTO IL FENOMENO
La storia dell'emigrazione italiana in Argentina dal 1810 al 1870 può
essere distinta in quattro periodi:
· il primo è stato quello propriamente detto del Rivadavia e si
svolse nel decennio -dal 1820 al 1830- attraverso l'immigrazione
individuale di alcuni esuli intellettuali che cercarono rifugio in terra
straniera per sottrarsi alla persecuzione della polizia dei vari stati
del costruendo stato italiano; questa specie d'emigrazione non fu in
grado, pur lasciando notevole traccia di sé, di influire sulla vita
culturale argentina;
· il secondo periodo è stato quello detto del Rosas, o del ventennio della
sua dittatura, dal 1830 al 1852 e nel quale, prevalendo il timore
dell'invadenza inglese e la xenofobia, l'immigrazione europea fu
ufficialmente vietata mentre quella ligure era clandestinamente
favorita. Era una specie di privilegio singolare, strano e singolare,
poiché abbandonava agli armatori genovesi tutta la marina mercantile del
Plata sventolante bandiera argentina e poiché poneva i marinai liguri
nella giuridica inverosimile situazione d'essere disertori rispetto al
legittimo sovrano;
· il terzo periodo compreso tra il 1852, anno della caduta del Rosas, ed
il 1861, anno dell'unificazione della Repubblica Argentina, fu pervaso
dall'ideale di libertà che consentiva agli uomini di tutto il mondo
d'imbarcarsi in Europa e di scendere in Argentina invitati dalle
autorità, acclamati dai giornali e talvolta dalla popolazione argentina.
L'emigrazione italiana di questo periodo era costituita, in primo luogo,
da esuli politici del 1848 e del 1849; è stato questo un momento
fondamentale, poiché segnava gli inizi di un mutamento che sarà citato
negli annali della storia economica d'Italia. Questo paese si mutò,
cioè, da paese debitore in paese creditore, da paese esportatore
unicamente di uomini a paese esportatore anche di capitali, ed il
decennio in questione fu d'assestamento nella politica internazionale
argentina e nella storia dell'emigrazione italiana al Plata.
La comunità italiana, per far fronte all'arrivo sempre più numeroso di
emigrati e poter offrire loro un asilo al loro arrivo, raccolse i propri
elementi in una società di Mutuo Soccorso che si propose la costruzione
d'un edificio dedicato al ricovero dei connazionali, a qualunque regione
d'Italia appartenessero, qualunque ideale politico essi coltivassero. Il
buon esito di questa iniziativa fu affidato al cuore di tutti gli
immigrati: essa mirava ad elevare una specie di tempio votivo a
commemorazione della sofferenza della patria divisa, aperto a conforto
dei suoi figli più umili e randagi. Quando il nostro nucleo sociale
evocò a sé la pretesa di fondare un ospedale italiano in Buenos Aires,
si confrontò, anticipando la nostra indipendenza, con quello di Francia
e d'Inghilterra che da vari decenni avevano già il loro, si elevò al
loro rango e si presentò al pubblico argentino, quando l'unità della
penisola era ancora in progetto, come colonia e non come collettività
italiana.
• il quarto periodo che va dal 1861 al 1870, dalla battaglia di Pavón in
Argentina, alla presa di Roma in Italia, è stato quello vero e proprio
dell'immigrazione arruolata che superò, come fenomeno numerico, il
movimento dell'emigrazione volontaria e spontanea, anch'essa numerosa
che si dedicava particolarmente all'agricoltura, al commercio,
all'industria.
Queste sono state le diverse fasi che si possono distinguere
nell'emigrazione italiana in Argentina dal principio del secolo al 1870.
Qual'era la situazione della emigrazione italiana e quali novità si
profilavano intorno a quest'anno veramente storico? Il censimento del
1869 registrava in tutta la Repubblica Argentina 158.133 stranieri così
suddivisi: 71.442 Italiani; 24.080 Spagnoli; 32.383 Francesi; 10.709
inglesi; 5.860 Svizzeri; 4.997 Tedeschi; 1.966 Portoghesi; 836 Austriaci
e 5.860 appartenenti a diverse nazionalità.
2.
CONSISTENZA NUMERICA, LUOGHI DI EMIGRAZIONE
Il
sessanta per cento degli immigrati era quindi composto da italiani
attratti dall'analogia dei costumi, della lingua, del clima ed una metà,
quarantamila circa, risiedeva a Buenos Aires(1),
l'altra metà in provincia. Occupati, in special modo, nella navigazione
dei fiumi, nell'orticoltura, nella vendita dei legumi, nei differenti
mestieri specie quello del muratore, erano, per natura, sobrii, facevano
grandi economie che spedivano in gran parte al paese. Le somme trasmesse
in Italia a mezzo del Consolato o delle banche ascendevano (metà
dell'800)(2)
annualmente a cinque o sei milioni di franchi oro.
L'emigrazione meridionale s'accentuava intorno al 1870, dieci anni dopo
che specie quella dell'Italia del nord aveva assunto ormai forma di
fenomeno di massa temporaneo e transatlantico; è difficile stabilire con
esattezza quando questa ebbe inizio, ma lo studio di quest'esodo ha
avuto scarsa importanza nell'esame critico dell'emigrazione italiana al
Plata, massimamente nel nostro sessantennio, poiché è noto che i primi
nuclei d'emigranti del mezzogiorno hanno preferito sempre il Brasile e
gli Stati Uniti all'Argentina. Nel 1869 le cifre attestavano che quella
dell'Italia meridionale ammontava a 20.609 unità e cioè al 2,2‰;
il maggior numero d'emigranti era dato dai contadini, seguivano gli
operai, gli artigiani, i piccoli commercianti, gli industriali.
Caratteristica dell'emigrazione di massa, nella prima fase di sviluppo,
è stata la grandissima prevalenza dei maschi e degli adulti di fronte
alle donne che rappresentavano il dodici per cento del complesso
dell'emigrazione regolare.
3.
CAUSE DELLE EMIGRAZIONI
Perché i
meridionali iniziarono il loro fenomeno migratorio specie nel
quinquennio 1865-1870? Cause endemiche trattenevano il meridionale alla
propria terra: se la vita sociale, difatti, versava in una condizione
che, sotto molti aspetti, poteva chiamarsi medievale, l'agricoltura era
primitiva, sfruttata, e sottratta ad ogni attività di coltura per la
ristrettezza dei mercati locali; la malaria infieriva nelle valli e
nelle pianure costringendo i contadini a vivere accentrati e ostacolando
in più modi il lavoro dei campi; le industrie erano rudimentali e
povere. Solo la capitale poteva considerarsi come un centro industriale
e commerciale importante, dal momento che il Governo, concentrandovi
ogni sforzo, l'aveva favorita sia col protezionismo doganale che
giungeva sino al punto d'essere proibitivo per certi prodotti, sia con
altre larghezze. La nobiltà era assenteista ed oziosa, la vita della
metropoli e della Corte era il suo sogno, un ceto medio lavoratore ed
agiato sul tipo di quello che costituiva la solidità dell'organismo
settentrionale non esisteva; fra chi lavorava e chi godeva s'apriva un
abisso.
Quale fosse la condizione dei contadini è facile immaginare: sottomessi
con rispetto feudale al padrone ed ai galantuomini, vivevano in miseria,
con un tenore di vita molto basso; fatalisti per tradizione, non
allietati dalla probabilità di mutare sorte, essi accumulavano in
silenzio la loro sofferenza. Moti selvaggi di rivolta in momenti di
carestia, non mancavano, ma presto s'estinguevano e la gente tornava ad
essere più scoraggiata e più depressa di prima. Avvenuta l'unificazione
italiana le economie maggiormente protette e meno solide accusarono il
colpo improvviso e violento; fra queste, in prima linea, quelle
dell'antico Regno delle Due Sicilie. A mala pena la scarsità estrema
della viabilità, che rendeva ogni penetrazione lenta e difficile, e la
saldezza di certi costumi, poterono attutire tale scossa economicamente
rivoluzionaria nel mezzogiorno, le vecchie industrie locali, ed anche la
maggior parte delle altre che avevano forme più moderne e grandiose, non
poterono resistere alla concorrenza, insieme combinata, dei prodotti
settentrionali d'Italia e di quelli esteri.
Quanto alla agricoltura, essendo essa divenuta sempre più bisognosa di
vendere una parte dei propri prodotti fuori della zona per comperare
manufatti, si trovò vivamente esposta alle vicende del mercato interno
ed esterno e quindi colpita da frequenti crisi e messa nella necessità
di trasformare le proprie colture con ingenti perdite e spese per una
agricoltura nella quale avevano così alta e naturale importanza le
colture arboree. A scambiare le merci che venivano da fuori ed a pagare
nuovi e svariati tributi, i prodotti agrari si resero presto
insufficienti. Ma come e dove si distribuivano, frattanto, i capitali
che lo Stato assorbiva ed in particolare quelli di provenienza
meridionale? Un primo fatto che tornò tutto a vantaggio del settentrione
fu la sua vittoriosa concorrenza alle industrie meridionali. Il
mezzogiorno, per l'allargamento del mercato, divenne quasi subito la
grande colonia di sfruttamento del nord; le ditte assuntrici di
pubbliche imprese erano in grande maggioranza settentrionali data la
differenza di capitali e di spirito d'intrapresa della borghesia
meridionale. Erano settentrionali, inoltre, le società liquidatrici dei
beni ecclesiastici le società che ottennero la regia dei tabacchi,
quelle che esercitavano il credito in condizioni di privilegio, e le
fabbriche sovvenzionate. I noli si riducono mentre le compagnie di
navigazione intensificano le arti degli allettamenti e della propaganda;
questo fatto deve essere collegato con la viabilità di terra che lo
Stato sviluppa anche nel mezzogiorno. Se si coordinano questi fenomeni,
si comprende come, intorno al 1870, la vita italiana, collegata con
quella internazionale in genere, e con quella argentina in ispecie,
abbia così bene preparato la sostituzione dell'emigrazione delle masse a
quella dell'emigrazione sporadica che era stata caratteristica del
sessantennio che precedeva l'altra. La novità che si profilava intorno
al 1870 era dunque l'emigrazione di massa.
L'idea di andare in America non era nuova; essa ormai si affermava come
più facile e pratica e, dato l'ambiente, non incuteva tanto spavento
come nel mezzogiorno. Le compagnie di navigazione, specialmente quelle
estere, sguinzagliavano già i loro agenti; Genova aveva reso regolari ed
accresciute le sue linee di navigazione transatlantiche. Il beneficio
della libertà e dell'unificazione non era tale da potere essere
apprezzato per sé stesso dalla grande maggioranza di quegli abitanti ed
in particolare dai contadini più rozzi per i quali questo bene ideale
appariva improvviso e poco comprensibile; e la reazione fu una rivolta:
il brigantaggio che era nelle tradizioni meridionali ed annoverava eroi
leggendari che ispiravano nelle folle più che orrore ammirazione. Ma se
fu praticamente possibile e se poté allargarsi e resistere, ciò si deve
particolarmente all'esistenza di monti e di vallate prive di
comunicazioni stradali e deserte di abitanti, che, per la difesa contro
i propri simili e la malaria, s'erano da secoli, raccolti in grossi
centri urbani ed in borgate. Quando la Commissione d'Inchiesta del 1863
si recò sui luoghi ad osservare ed interrogare, vide subito il nesso fra
la mancanza di strade ed il brigantaggio, e le fu facile suggerire di
togliere radicalmente al nemico quella che era la sua base
indispensabile. Se il Governo non lesinò somme per aprire strade nel
mezzogiorno, ciò non si deve dunque solo alla fretta di riparare ad un
secolare isolamento che ostacolava il passaggio e la diffusione
dell'idea nazionale di ogni forma di civiltà, ma anche al bisogno, più
vivamente con-creto ed urgente, di sopprimere una delle più dolorose
vergogne dell'era nuova e che tanto screditava all'estero la rivoluzione
ed il nome italiano.
Se molte circostanze che alimentavano il brigantaggio erano quelle che
impedivano il sorgere dell'emigrazione, la più o meno rapida scomparsa
di esse doveva naturalmente preparare l'ambiente e le altre condizioni
necessarie all'affermarsi del fenomeno. E così di fatto avvenne: la
viabilità si venne estendendo, anche nelle ferrovie si abbondò
quantunque si prevedessero improduttive. Il servizio militare, per
quanto fosse accolto con riluttanza e seguito da numerose renitenze,
funzionava come una ampia scuola di idee e di sistemi nuovi per tante
anime ignare o timide. La prontezza dell'ingegno meridionale ne trasse
subito grande profitto: ogni soldato, tornato fra i suoi, divenne un
propagandista di quello che il mondo da lui visto gli aveva insegnato.
Non rimaneva dunque che l'emigrazione che iniziò di nuovo intorno al
1870.
L'emigrazione legale (cioè di persone munite di passaporto) da sessantotto
province italiane, esclusa la sola Roma fu nell'anno 1870 di 101.815
individui, cifra corrispondente al quattro per mille della popolazione
accertata dal censimento del 1861 ed equivalente all'eccesso medio
annuale dei nati sui morti. Vi fu, inoltre, in quell'anno, una
emigrazione clandestina di 8643 individui, e quindi gli emigranti si
noverarono, in totale a 110.458. La nostra emigrazione non era quindi in
ragione diretta della ricchezza, dell'istruzione e dell'incivilimento ma
per ogni regione vi furono delle cause ben precise. Il difetto
principale, il vizio cardinale dell'emigrazione italiana fu la quasi
assoluta deficienza di capitale: erano braccia di uomini che partivano
mancanti di ogni fondo di riserva, e che, così abbandonati a se stessi
andavano a cimentarsi con tutti i pericoli, con tutte le difficoltà, con
tutte le concorrenze! Nel primo semestre del 1870 sbarcarono a Buenos
Aires 8507 emigranti italiani, un terzo di questi (2664) entrarono
subito all'Asilo dei Poveri nel quale si provvedeva per otto giorni al
loro mantenimento, in attesa di trovare una collocazione definitiva. È
stato detto da molti autori giustamente che due nazioni uscite dallo
stesso ceppo sono cresciute nel secolo scorso come sorelle: l'Italia e
l'Argentina. Esse hanno visto, difatti la loro esistenza iniziarsi e
prendere vigore quasi nello stesso tempo ed hanno vissuto e lottato
insieme in un rapporto intimo d'interscambi economici e sentimentali; la
più breve gioia come il minimo pericolo hanno trovato in entrambe una
ripercussione immediata, piena, sincera e profonda; entrambi i popoli
ebbero il loro tornaconto in questa cooperazione amichevole.
Nessuno dei due popoli pensò di dover sfruttare l'altro né di dover
fondare l'aumento della propria ricchezza sull'altrui danno; entrambi
compresero che avevano un terzo elemento su cui operare di comune
accordo e largamente, cioè la terra ferace ed infinita. L'emigrante
italiano in Argentina fu elemento prezioso per lo sviluppo economico e
sociale di quella repubblica non solo per quello che riguardava i
trasporti fluviali,ma ben più in ciò che concerneva il commercio e la
produzione agraria. Nella discussione elevata al Senato argentino sul
problema dell'emigrazione (seduta del 24 settembre 1870) Bartolomeo
Mitre così definiva, succintamente, l'opera svolta dagli Italiani al
Plata. "Chi sono coloro che hanno fecondato queste dieci leghe di
terreni coltivati e che circondano Buenos Aires? A chi siamo debitori di
queste verdi cinture che attorniano tutte le nostre città al largo del
litorale e di queste stesse oasi di grano, di granoturco, di patate e di
alberi che rompono la monotonia dell'incolta pampa? Ai coltivatori
italiani della Lombardia del Piemonte, ed anche di Napoli, e del
meridione in genere, anche lucani, che sono i più abili e laboriosi
agricoltori d'Europa".
Note
1
Il grande capitolo della nostra emigrazione non va solo letto nella
minuteria dei molteplici casi di speculazione, di miseria, di truffa.
L'immensa trasmigrazione al di là dall'Atlantico la quale coinvolse, in
prevalenza, un bracciantato disposto ad ogni sacrificio scrisse, senza
volerlo, anche una straordinaria ed ancor oggi ignorata pagina epica: su
quelle nuove, dure e spesso inospitali frontiere del nuovo mondo,
l'umile e generoso lavoro italiano diede un poderoso contributo alla
costruzione e alla nascita di nuove nazioni. Molti italiani,
specialmente nel Sudamerica, già nei primi anni del secolo si erano
affermati. Buenos Aires è, in gran parte, una città italiana, con
tradizioni italiane. Per esemplificare: già nel 1910 gli italiani
possedevano la maggior parte dei mulini; italiani erano 200 su 322
panifici di Buenos Aires. Italiani erano tutti i pastai; 84 fabbriche di
liquori su 117 erano italiane; 17 oleifici su 39; 120 su 152 fabbriche
di mobili; gli italiani possedevano grandi industrie meccaniche ed
avevano in mano tutta la produzione del riso e gran parte della pesca
fluviale e marittima.
2 Il
Banco di Napoli e di Sicilia che erano banche allora di soli depositi
infruttiferi dal momento che nessuno, specialmente nelle province, era
invogliato a depositarvi il proprio denaro accumulato con economie
mentre in ogni famiglia anche di contadini v'era il piccolo nascondiglio
"il mattone", ove quel denaro si conservava. Esso ne usciva solo in caso
di straordinarie sventure o di acquisto di terre, raramente di case.
"Capitolo 3° - Emigrazione dall'Unità ai
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