CAPITOLO
III°
EMIGRAZIONE DALL'UNITA' AI PRIMI DEL '900
1. GENERALITÀ
L'emigrazione è stato un fenomeno che si è manifestato nei paesi che,
avevano una densità di popolazione superiore alle risorse locali; pur
essendovi una quota di individui che emigravano col miraggio della
ricerca di una fortuna o dell'avventura, non è meno vero che la grande
maggioranza degli emigranti era costituita da persone che vi erano
costrette dalla indigenza e che espatriavano col solo obiettivo di
guadagnare il puro necessario per vivere. L'Italia, paese a forte
densità demografica (tanto più forte se si consideri che gran parte del
suo territorio è montano e poco redditizio), con scarse risorse in
materie prime, con un rendimento agricolo che non bastava per nutrire i
propri abitanti, è stato uno dei paesi che ha dato il maggior contributo
all'emigrazione differenziata in emigrazione continentale, che si
effettuava nei paesi europei e in quelli del bacino mediterraneo, ed in
emigrazione transoceanica perché gravava soprattutto verso le Americhe
con mete principali gli U.S.A. ed il Canadà per l'America del Nord,
l'Argentina ed il Brasile per l'America del Sud.
La raccolta dei dati statistici sulla emigrazione italiana è cominciata
col 1876 e può essere divisa in quattro successivi periodi:
Primo periodo - Si estese dal 1876 al 1900, anno che precedette le
nostre leggi fondamentali sull'emigrazione che si svolgeva in maniera
disorganizzata, con lo sfruttamento umano da un lato e con gravi
conseguenze sanitarie (le epidemie coleriche del 1884 e del 1893). Circa
l'entità della emigrazione in questo periodo, si può dire che da circa
100.000 emigranti nel 1876, essa salì fino ad oltre 350.000 nel 1900 con
una media annua (1876-1900) di circa 210.000; sul principio prevalse la
emigrazione continentale mentre dal 1887 prese sviluppo quella
transoceanica.
Secondo periodo - iniziò nel 1901 con l'attuazione della nostra
buona legislazione e si estese fino all'anno precedente al grande
conflitto mondiale (1914-18); esso fu contrassegnato da un grande
sviluppo del fenomeno emigratorio, che raggiunse la cifra massima di
873.000 nel 1913, con una media annua dell'intero periodo (1901-1913) di
ben 626.000 emigranti. La emigrazione transoceanica era nettamente
superiore alla emigrazione continentale; le condizioni sanitarie
divennero buone e ne fu indice il fatto che durante l'epidemia colerica
del 1910-11 l'emigrazione si svolse normalmente senza incidenti venne
represso lo sfruttamento e la tratta degli emigranti e venne assicurata
la loro tutela e la loro assistenza in patria, durante il viaggio ed
all'estero.
Terzo periodo - Fu quello della guerra 1914-18 e fu caratterizzato
da una fortissima diminuzione, che toccò il suo massimo nel 1918 con
appena 28.000 emigranti circa, di cui solo circa 4.000 transoceanici.
Quarto periodo - Si estese fra le due guerre mondiali; il movimento
emigratorio ebbe una immediata ripresa nell'immediato dopo-guerra con
una massima elevazione nel 1920, con 614.000 emigranti, e con grande
prevalenza per la emigrazione transoceanica. Subito dopo, specialmente
in seguito alle leggi limitative degli U.S.A. (legge della percentuale
del 19 maggio 1921), si ebbe una forte contrazione ed in prosieguo la
emigrazione transoceanica rimase quasi sempre al disotto della
emigrazione continentale. Quello che ha caratterizzato soprattutto
questo quarto periodo fu che divenne progressivamente decrescente,
nonostante alcune riprese come quella del 1930, le cui cause furono da
ricercarsi nelle speciali relazioni internazionali e nella speciale
politica interna del regime fascista.
Ma, da quasi inosservata nei primi anni del nuovo regno, essa aumenta
progressivamente nei decenni successivi, fino a raggiungere cifre
esorbitanti. Poiché il flusso emigratorio aumenta sempre più, "una
corrente avversa" non tarda a manifestarsi soprattutto fra i proprietari
terrieri i quali vedono sorgere serie difficoltà circa la coltura dei
campi, nonché l'aumento, indesiderato, dei salari. Le circolari che il
Governo manda ai prefetti, per porre freno all'emigrazione crescente si
rilevano inutili, perchè in un paese libero "non si può impedire ad un
cittadino l'andar dove vuole"; inoltre in questo modo si favorisce
l'emigrazione clandestina, in special modo nelle regioni del Mezzogiorno
d'Italia, dove più prorompente si manifesta il bisogno di dover
espatriare. Le cose vanno diversamente quando gli emigranti mandano o
portano in patria il danaro, frutto dei loro sacrifici; allora, la
"corrente avversa" diventa favorevole e considera l'emigrazione come un
gran beneficio. Nessuno si chiede più se questa emigrazione presenta,
insieme ai vantaggi anche i suoi danni; il problema comincia a porsi
solo quando il flusso della emorragia emigratoria supera ogni
aspettativa.
E, nemmeno deve destare meraviglia il fatto che molti paesi nelle
provincie del Mezzogiorno si svuotano, quasi, di tutta la popolazione e,
l'emigrazione da individuale, assume in questi luoghi, il carattere
dell'emigrazione collettiva o di massa; e, poiché espatriamo le migliori
forze produttive, lasciandovi gli inabili solamente, quali i vecchi, le
donne, i bambini, "qualcuno" -come Pasquale Villari riferisce- si sente
autorizzato a dire: "a che giova fare le leggi dei Calabresi e dei
Basilischi che se ne vanno in America?". Per qualche altro invece
l'unico conforto è constatare che "sono fenomeni che s'avverano solo nel
Mezzogiorno, sono conseguenze della questione meridionale" mentre nel
settentrione essa non assume queste proporzioni, è benefica e normale, è
"una manifestazione naturale alle forze esuberanti del paese".
2. L'IMPORTANTE E' PARTIRE
Come scrive D. Porzio nel volume partono i bastimenti "tra il 1880 e il
1914 milioni di italiani abbandonarono i campi e le famiglie per
inserirsi nel vertiginoso flusso migratorio intercontinentale; fu una
fuga dalla miseria spesso caotica: interi paesi, rammentano le cronache,
"ogni altro giorno partono con la ferrata, vendendo prima case, terreno
e mobili". Impossibilitati a vivere in patria dalla crisi, dalle
trasformazioni fondiarie e dal ribaltamento dei mercati, "cafoni" del
Sud e contadini del Nord, trasformati in una amorfa manovalanza,
reclutata dai "sensali di carne umana", si imbarcarono "fissi come
sardelle" sui tremendi bastimenti delle rotte oceaniche. Essi speravano
innanzitutto nel riscatto dalla fame. In gran parte analfabeti, non
possedevano che la cultura della povertà, unica difesa contro la
"straneità" dei paesi in cui venivano inseriti. Quella dolorante,
paziente e tenace fiumana ebbe una parte di rilievo nella colonizzazione
delle terre americane e nella ristrutturazione delle loro economie;
molti emigrati soccombettero, molti, delusi, rientrarono in patria;
altri, racimolato quanto era sufficiente per comprare al paese un campo,
disertarono quella dura vita di frontiera; i più tennero duro e
lentamente rimescolati in quel "crogiuolo di razze" divennero
protagonisti di una nuova storia economica e civile.
Certo è che i soldi ferocemente risparmiati ed inviati a casa costituirono
per decenni la sorprendente linfa valutativa che rinsanguò la quasi
inesistente ed agonizzante economia italiana del tempo. Il patetico o il
pittoresco suggerito dalle testimonianze -lettere "parlate" e fotografie
che hanno una indimenticabile eloquenza di miseria, di nostalgia e di
vita conquistata a tutti i costi- non costituiscono soltanto una memoria
di quella colossale trasmigrazione: il documentato esodo diviene anche
una fonte di grande rilievo per quell'altra storia alternativa che va
man mano rovesciando l'ottica della storiografia tradizionale. Questo
flusso migratorio "a rubinetto aperto" partì soprattutto dai porti di
Genova e di Napoli; e lo iniziarono i braccianti (i cafoni) del Sud cui
si affiancarono, progressivamente, i mezzadri del Centro, i marmorini
delle Apuane, i boscaioli e i muratori della Lunigiana, i contadini
tosco-emiliani, friuliani, carnici e cadorici. Quasi non si mossero i
romani, i padani e i sardi. I più numerosi furono i lucani e i
siciliani. Nei porti di imbarco di Napoli Genova vi erano pensioni e
alberghetti in zona capitaneria, dove sostavano gli emigranti in attesa
dell'imbarco e dove ricevevano dal cappellano del porto incoraggiamenti
e le ultime raccomandazioni prima della partenza della nave. Le banchine
dei porti all'inizio del secolo erano molto affollate, e le attese
snervanti erano afflitte dalla solitudine perchè l'ignoranza e i
dialetti alzavano barriere quasi insuperabili tra gli emigranti di
diverse regioni.
Il dopoguerra inaugurò una politica volta alla ricerca di nuovi sbocchi
migratori, siglata dagli accordi stipulati con i paesi di arrivo e dalla
valorizzazione del ruolo del Commissariato Generale dell'Emigrazione che
era l'organismo che tutelava sotto ogni forma i nostri emigrati
all'estero. Due fatti concomitanti, l'uno di politica internazionale,
l'altro di politica interna, decretarono il successivo cambiamento di
indirizzo che si verificò già a partire dal 1917. Fu infatti in
quell'anno che, con l'approvazione del Literacy Test, gli
Stati Uniti inaugurarono una politica di restrizione dell'immigrazione
condotta a compimento tra il 1921 e il 1924, quando con l'introduzione
del Quota Act fu bloccata virtualmente l'immigrazione dai paesi
dell'Europa orientale e meridionale, fra cui l'Italia. Quasi
contemporaneamente, a partire dal 1926, il governo fascista, accentuando
l'intervento statale in materia di emigrazione e subordinando
quest'ultima all'inseguimento di un sogno di potenza e di espansione
economica, intervenne con nuovi provvedimenti restrittivi sulla
mobilità. La seconda guerra mondiale comportò infine un cambiamento
nelle correnti migratorie europee legato ai molti mutamenti nei rapporti
internazionali e soprattutto alla fine del colonialismo; nell'Europa
occidentale il dopoguerra fu caratterizzato da una crescita economica e
da una richiesta di manodopera interna che fece ridurre le partenze
transoceaniche.
Una valutazione complessiva del flusso migratorio italiano negli ultimi
quarant'anni non può prescindere dalla profonda modificazione del peso
esercitato dalla corrente continentale rispetto a quella transoceanica.
L'emigrazione verso il resto dell'Europa assunse una tale importanza da
costituire fra i 1961 e il 1965, l'85% del totale degli espatri;
l'istituzione del Mercato Comune, in realtà, influì solo marginalmente
sui movimenti di manodopera, che furono soprattutto determinati dalle
fasi alterne di crescita economica e dalle conseguente domanda di lavoro
proveniente dalle modificate economie dei vari paesi. Si possono così
identificare una prima fase, nel triennio 1957-60, di lieve aumento
dell'esodo più direttamente collegato alle possibilità di accesso ai
mercati transalpini; una seconda fase, seguita al boom economico
italiano, che contraddistinta nel 1963 dal più basso numero di
emigrazioni; una terza fase nella quale gli espatri continuarono a
ridursi fino a raggiungere un minimo nel biennio 1967-68. L'ultima fase
si concluse fra il 1973 e il 1975, in concomitanza con la crisi
petrolifera che bloccò le possibilità di attrazione della manodopera
emigrante e diede così luogo a un'irreversibile inversione di segno.
3. CHI
ERA L'EMIGRANTE?
È bene
definire fin da ora quello che la legge considera come emigrante. Fino a
tutto l'anno 1919 ed ai sensi dell'art. 6 della legge 31 gennaio 1901,
n. 31, sull'emigrazione, erano qualificati emigranti quei cittadini che,
viaggiando in terza classe o in classe equiparata alla terza, si
recavano in paesi posti al di là dello Stretto di Gibilterra, escluse le
coste di Europa, e al di là del Canale di Suez, purché, in questo caso,
il loro numero non fosse inferiore a 50. A partire dal 1920, in seguito
all'approvazione del testo unico della legge sull'emigrazione, ai sensi
del R.D. 13 novembre 1919, n. 2205, il concetto giuridico
dell'emigrazione venne allargato in confronto delle precedenti
disposizioni e così definito: "Salvo disposizioni speciali, è
considerato emigrante.., ogni cittadino che espatria a scopo di lavoro
manuale o per esercitare il piccolo traffico o vada a raggiungere il
coniuge, ascendenti, discendenti, fratelli, zii, nipoti e gli affini
negli stessi gradi, già emigrati a scopo di lavoro, o ritorni in paese
estero, ove già precedentemente sia emigrato nelle condizioni del
presente articolo". Con ciò, mentre prima del 1920 erano considerati
emigranti solo i cittadini italiani che in numero non minore di 50 si
recavano in paesi transoceanici, dopo quell'anno vennero considerati
tali anche coloro che a scopo di lavoro, trovandosi nelle condizioni
dell'art. 10, si recano in paesi d'Europa e del bacino del Mediterraneo.
Nella Conferenza internazionale sull'emigrazione e l'immigrazione
tenutasi a Roma (1924) fu confermato questo concetto definendosi
emigrante colui che lascia il suo paese allo scopo di cercare lavoro.
Così definito l'emigrante doveva essere considerato come tale dal
momento che egli iniziava i preparativi della partenza, fino al momento
in cui penetrava nel paese di destinazione, ove si trovava allora
sottomesso alle leggi e ai regolamenti del paese stesso.
4.
DISPOSIZIONI LEGISLATIVE RIGUARDANTI L'EMIGRAZIONE
È
oltremodo complessa, e numerose furono le leggi che governarono questo
importante fenomeno demografico; tuttavia le disposizioni veramente
fondamentali erano le seguenti: dopo la proclamazione di Roma capitale,
fino al 1888 furono emesse, a mezzo di circolari ministeriali,
disposizioni atte a regolarizzare gli arruolamenti ed il trasporto degli
emigranti, ma che non ne avevano di mira la tutela sociale ed
igienico-sanitaria. Così si possono citare le circolari ministeriali in
data 18 giugno 1873, 28 aprile 1876, 6 giugno 1883, 14 febbraio 1887, 2
giugno e 5 novembre 1888, le quali richiamavano quasi tutte articoli
della legge di pubblica sicurezza. Finalmente con R.D. 10 gennaio 1889,
n. 5892, venne alla luce il primo regolamento sull'emigrazione che fu
sostituito con R.D. 21 gennaio 1892. Ciò non era sufficiente; infatti a
breve distanza di tempo si verificarono i tristi casi delle epidemie
coleriche su non poche navi nazionali, di cui sono note le dolorose
vicende (Bruzzo M; Carlo R.; Doria A.; Florio V; tutti nel 1894).
L:attenzione e le cure delle autorità governative, dei sociologi e degli
igienisti insieme riunite si accordarono allora per provvedere
energicamente alla tutela degli emigranti ed il 31 gennaio 1901 con R.D.
pari data, n. 23, fu pubblicata la legge per la tutela dell'emigrazione,
nella quale era compreso l'Istituto del Commissariato Generale: alla
legge seguì rapidamente il relativo regolamento approvato con R.D. 10
luglio 1901, n. 375. In seguito fu emanato il Testo Unico della Legge
sulla Emigrazione approvato con R.D.L. 13 novembre 1919, n. 2205, che
provvide a coordinare ed unificare in un corpo organico quanto ancora
alla predetta data restava in vigore delle norme legislative emanate in
materia di emigrazione dal 1901 in poi.
Fu poi, soppresso il Commissariato Generale dell'Emigrazione (maggio 1927)
e le sue attribuzioni furono trasferite alla Direzione Generale degli
Italiani all'Estero del Ministero degli Affari Esteri. L'organizzazione
dell'assistenza agli emigranti era costituito da un'organo centrale che
era il Commissariato Generale cui era preposto un Commissario Generale e
tre Commissari, assistiti da un Consiglio Superiore dell'Emigrazione.
Alla periferia esistevano i Regi Ispettori dell'emigrazione, nei porti
di Genova, Napoli, Palermo, estesi poi a Messina (1904) e
successivamente al porto di Trieste ed a quello di Fiume e a Livorno
(agosto 1926); le Regie Case emigranti di Napoli, di Genova, di
Bardonecchia (a Trieste funzionava da casa emigranti l'asilo Cosulich);
Uffici di zona e di confine di Torino, Milano, Ventimiglia, Udine;
Uffici della emigrazione all'estero a Parigi, Berna, Berlino, Ottawa,
New York, Washington, S. Paolo di Brasile, Buenos Aires, ecc.; infine i
delegati provinciali, istituiti con R.D. 19 luglio 1923, ed i comitati
mandamentali e comunali.
Fino al varo della prima legge sull'emigrazione, che avvenne nel 1888, a
prevalere fu un atteggiamento di diffidenza, puntualmente rispecchiato
dall'ordinamento legislativo e dai provvedimenti amministrativi. Varie
circolari, emanate nel corso degli anni Settanta, testimoniavano appieno
un'ostilità basata su considerazione economiche ed etico-morali, vale a
dire, oltre all'elevazione dei salari, anche la dissoluzione della
famiglia e dei valori cristiani. L'emigrante era considerato come un
soggetto "pericoloso e il controllo dei suoi movimenti rientrava in una
normativa poliziesca di controllo dell'ordine pubblico.
L'iniziale opposizione all'emigrazione è ben testimonianza dalla forte
polemica sugli agenti di emigrazione, quegli ingaggiatori privati di
manodopera emigrante che setacciavano le campagne italiane.
Al di là dei toni fortemente drammatici con i quali si dipingevano le
condizioni di sfruttamento degli emigranti, la polemica sugli agenti
nascondeva un'opposizione netta all'esodo. La legge del 1888 riconobbe
per la prima volta la libertà di emigrare, riconoscendo agli agenti a ai
subagenti il diritto di reclutare gli emigranti. E chiaro che in quegli
anni, e ancor più in seguito, l'emigrazione si sarebbe trasformata in un
affare per varie categorie economiche: non solo gli agenti avrebbero
svolto la funzione di usurai, aggravando le condizioni dei cittadini, ma
anche le grandi compagnie di navigazione italiane avrebbero basato sul
trasporto degli emigranti gran parte delle loro speculazioni.
A partire dal 1888 in ogni caso, la grande emigrazione trovò un
riconoscimento ufficiale in una legislazione che allineò il nostro paese
alle politiche migratorie del resto dell'Europa.
La legge non prevedeva però un intervento diretto delle forze governative
per tutelare gli emigranti stessi, con provvedimenti e istituzioni di
assistenza. In conclusione, nell'evoluzione della legislazione italiana
nei confronti dell'emigrazione, sono riconoscibili cinque fasi: la
prima, compresa fra il 1861 e il 1900, nella quale prevalse un indirizzo
liberistico; la seconda, iniziata nel 1901 e conclusasi nel 1922,
segnata da una volontà di più deciso intervento dello stato e
dall'aspirazione a una politica di potenza; la terza, conclusasi nel
1943, contraddistinta dal controllo operato dal regime fascista sulla
mobilità della popolazione; una quarta, dopo la guerra, in cui si
coniugò il tentativo di dirigere i flussi in uscita con quello di
operare accordi bilaterali con i paesi di arrivo. Un'ultima fase,
infine, quella che può essere definita della partecipazione disattesa,
si è inaugurata nel 1975, anno della Prima conferenza internazionale
dell'emigrazione, e si è conclusa nel 1993, con la bocciatura da parte
del parlamento italiano della legge sul voto degli italiani all'estero.
Recenti disposizioni legislative hanno ammesso il voto degli italiani
all'estero.
5.
L'ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI CHE SOVRINTENDEVANO ALL'EMIGRAZIONE
Venne
tracciata dalla legge 1901 ed era schematicamente costituita da
organi centrali, da organi periferici nazionali e da
organi all'estero.
L'organizzazione centrale, secondo la predetta legge comprendeva un organo
attivo il Commissariato Generale dell'Emigrazione, con alle dipendenze
un organo consultivo, il Consiglio Superiore dell'Emigrazione, ed
un organo di controllo, la Commissione Parlamentare di Vigilanza
sulla Emigrazione.
La organizzazione periferica nazionale era costituita: da uffici nelle
zone emigratorie di origine che erano i Comitati Comunali, o
Mandamentali, e le Delegazioni provinciali dell'emigrazione;
da Uffici per l'Emigrazione Continentale, istituiti in alcune
città, come Torino Milano Udine, od in alcuni posti di confine, come
Bardonecchia, Ventimiglia Tarvisio e da Ispettorati dell'Emigrazione,
organi attivi nei porti per l'emigrazione transoceanica, quali Napoli,
Genova Trieste, Fiume, Palermo, Messina.
A.
Organizzazione periferica
Gli organi periferici di tutela e di assistenza degli emigranti dovevano
anzitutto impedire la partenza dei malati e di soggetti, troppo deboli
per motivi di età o tare fisiche, onde evitare che essi venissero
respinti dai paesi di immigrazione e rinviati ai luoghi di origine, con
grave pregiudizio economico e morale. I viaggi transoceanici nelle
classi per gli emigranti erano sconsigliabili anche per i bambini di
tenera età e per le donne incinte che accompagnavano i lavoratori. Gli
stessi organi avevano inoltre il compito di fornire agli emigranti ogni
possibile istruzione ed indicazione sul viaggio che stavano per
intraprendere sui paesi di immigrazione e sul genere di lavoro; a tale
scopo era stato redatto un opuscolo che viene riportato per esteso.
B.
Comitati Comunali e Mandamentali, Delegazioni Provinciali
La prima selezione sotto il punto di vista sanitario veniva effettuata nei
luoghi di origine degli emigranti, e perciò che vennero istituiti i
Comitati Comunali e Mandamentali. Ma poiché il funzionamento di questi
uffici si dimostrò spesso insufficiente vennero istituite le Delegazioni
Provinciali fornite di più ampi mezzi e meglio organizzate che dopo aver
sottoposto a visita medica gli emigranti quelli ritenuti idonei venivano
avviati o agli Ispettorati presso i porti di imbarco per l'emigrazione
transoceanica, oppure agli Uffici di emigrazione continentale.
C
Uffici per l'emigrazione continentale
L'attività di questi uffici si esplicava nei riguardi dell'emigrazione
continentale, in analogia alle funzioni che aveva gli Ispettorati nei
porti. Infatti presso gli Uffici di frontiera (Bardonecchia,
Ventimiglia, Postumia, Tarvisio) veniva esercitato un controllo
sanitario degli emigranti ed esistevano Stazioni Sanitarie con mezzi per
la bonifica, che avevano lo scopo di funzionare da filtri onde impedire
la diffusione delle malattie infettive. La funzione di queste stazioni
era particolarmente utile durante le epidemie, tanto per gli emigranti
di andata che di ritorno.
D.
Ispettorati dell'Emigrazione
Questi ispettorati risiedevano nei principali porti di imbarco; i più
importanti erano a Genova, a Napoli ed a Trieste. Gli ispettorati
avevano un compito di assistenza ed un compito sanitario. Una volta gli
emigranti che giungevano ai porti di imbarco trovavano alloggio in
locande private ove erano sfruttati e trattati male; per ovviare a ciò
si pensò di istituire presso gli Ispettorati le Case per Emigranti
che erano grandi alberghi popolari dove gli emigranti potevano trovare
alloggio, vitto ed assistenza d'ogni genere. In mancanza di queste case
appositamente costruite, o di fabbricati analoghi, come l'asilo Cosulich
di Trieste, gli ispettorati potevano requisire ed attrezzare
convenientemente alberghi o stabili privati. Per la parte sanitaria, gli
ispettori disponevano di Stazioni Sanitarie e di Bonifica
proprie; in mancanza di esse, ciò che avveniva in alcuni porti, potevano
essere utilizzate le Stazioni Marittime Portuali. Nelle predette
stazioni gli emigranti subivano due successive visite mediche: la
prima sotto una commissione costituita da sanitari dell'Ispettorato e da
medici di porto; la seconda, al momento dell'imbarco, sotto una
commissione alla quale partecipavano anche i medici di marina,
commissari a bordo, ed i medici di bordo.
Per l'emigrazione verso alcuni paesi, come gli U.S.A., in seguito ad
accordi intervenuti, era stato stabilito che gli emigranti venivano
sottoposti ad una terza visita medica passata da un medico di
fiducia presso il locale Consolato Generale degli U.S.A. Con ciò si
comprendeva come nessun lavoratore italiano riuscisse a sbarcare
all'estero in menomate condizioni di salute, e si evitassero così le
dolorose respinsioni tanto frequenti nel passato. Nelle stazioni di
bonifica sanitaria presso gli Ispettorati, gli emigranti subivano una
bonifica consistente nel bagno, nell'eventuale disinfestazione, nella
disinfezione dei loro effetti d'uso (se essa necessitava), e nella
vaccinazione jenneriana (contro il vaiolo). In caso di minaccia di
particolari epidemie potevano essere presi anche provvedimenti
particolari. Altro compito degli Ispettorati era quello della
sorveglianza sulle navi utilizzate per il trasporto di emigranti dalle
Compagnie e dagli Armatori che avevano ottenuto la patente di vettore
per emigranti. Queste navi dovevano essere sottoposte a tre visite:
la prima era la
visita di idoneità, che veniva effettuata una volta tanto (oltre a
controlli periodici) e che autorizzava l'ammissione della nave al
servizio di emigrazione, la seconda era la visita preliminare che
si rinnovava ad ogni viaggio per accertare che vi fossero tutte le
provviste necessarie (alimenti, acqua, medicinali) e le attrezzature
sanitarie prescritte; la terza era la visita definitiva, che si
effettuava al momento della partenza, e che si ricollegava anche con la
seconda visita medica degli emigranti. L'insieme di queste misure
sanitarie evitava il ripetersi di quelle epidemie e di quei disastri che
si verificarono prima del 1901, ed
aveva permesso un normale movimento emigratorio anche durante lo
svolgersi delle epidemie coleriche.
L'organizzazione all'estero comprendeva
infine gli Uffici od organi attivi nei Paesi di
emigrazione ed Uffici di corrispondenza. Dopo 26 anni di funzionamento
il Commissariato generale dell'emigrazione, venne soppresso
con R.D.L., 28 aprile 1927, n. 620, e gli organi periferici vennero messi
alle dipendenze della
Direzione Generale degli Italiani all'Estero, istituita
con lo stesso decreto, presso il
Ministero degli esteri. L'Italia non si disinteressava
dei propri emigrati, ma seguiva la loro tutela e la loro assistenza
anche all'estero con Uffici di
Emigrazione annessi alle rappresentanze
diplomatiche od ai consolati, o con
Uffici di Corrispondenza i quali oltre a
prestare un'assistenza diretta,
esercitavano anche una funzione di sorveglianza
e di controllo sulle istituzioni private italiane di assistenza e sui
patronati.
6.
DECALOGO DELL'EMIGRANTE
Avvertenze all'emigrante:
Queste pagine, "avvertenze per l'emigrante" pubblicate e distribuite dal
Commissariato Generale dell'Emigrazione
tracciano la condotta che l'emigrato doveva tenere quando
emigrava in un paese straniero.
AVVERTENZE
per l'Emigrante Italiano
Lasciare il proprio paese per andare a
lavorare in terra straniera è sempre un fatto importante e pieno di conseguenze per chi emigra,
per la sua famiglia, per la Patria.
L'emigrante consideri questo fatto con molta ponderazione e abbia
presente i consigli che seguono.
L'emigrante farà bene ad assicurarsi che nel paese in cui intende recarsi
trovi effettivamente e subito l'impiego remunerativo. È opportuno
procurarsi preventivamente un
contratto di lavoro; solo l'emigrante diretto agli Stati Uniti
non deve avere un preventivo contratto, altrimenti si espone ad essere
respinto. Per notizie di carattere
generale è consigliabile rivolgersi, di preferenza, al
Commissariato Generale dell'emigrazione in Roma (Via Boncompagni,
30) o ad uno qualsiasi dei
Regi Uffici dell'emigrazione nel Regno (vedi elenco a pag. 15-16).
Quando abbia decisa la partenza l'emigrante non proceda a vendite
precipitose dei propri beni, mobili, effetti; attenda per farlo, di
essere sicuro di poter partire. È opportuno, perciò, che l'emigrante si
faccia anzitutto visitare dall'Ufficiale sanitario del suo paese
(gratuitamente se ne ha diritto), tenendo presente che, risultando
affitto da malattie organiche, o contagiose, o da imperfezioni fisiche,
gli potrà poi essere negato l'imbarco o impedito lo sbarco.
Il passaporto.
....Si consiglia di servirsi, per ottenere il passaporto per i paesi
transoceanici, dell'opera dei rappresentanti dei vettori: ma che si
affida ad essi non è tenuto a rimborsare se non le spese vive
effettivamente sostenute...
Per ottenere il passaporto, l'emigrante non dovrà esibire alcun documento,
perchè quelli necessari sono richiesti direttamente dalle Autorità.
L'emigrante deve solo procurarsi due fotografie recenti su cui apporrà
la propria firma che dovrà essere autenticata dal Sindaco.
A seconda del paese di destinazione possono occorrere altri speciali
documenti. Così, per esempio, per la Repubblica Argentina, è richiesta
anche una dichiarazione da cui risulti che l'emigrante non fu mai
ricoverato in manicomio, un attestato che comprovi non aver egli mai
esercitato l'accattonaggio, e un altro che dimostri di avere egli
adempiuto agli obblighi militari...
In attesa della partenza.
Ottenuto il passaporto e nell'attesa dell'imbarco o della partenza per la
frontiera, l'emigrante non smetta di lavorare che pochi giorni prima
della partenza. Nel bagaglio non metta oggetti preziosi, denari, cibarie
o materie liquide; e apponga nell'interno di esso, in maniera visibile,
un paio di cartellini col proprio nome, cognome e indirizzo. L'indirizzo
del possessore e il nome del piroscafo vanno pure indicati
sull'involucro del bagaglio.
Bisogna prendere seco soltanto gli oggetti necessari e portare nel
bagaglio e sulla persona soltanto biancheria pulitissima e, per quanto
sia possibile, abiti nuovi e biancheria in buono stato.
L'emigranti deve diffidare di tutti coloro che lo inducono ad assicurarsi
contro i rischi della reiezione; o che gli offrono indicazioni e lavori.
Si rivolga unicamente agli uffici del Regio Ispettorato
dell'emigrazione.
Giunto alla stazione di confine o a quella del porto d'imbarco l'emigrante
non ceda alle lusinghe di alcun fattorino, cameriere od altra persona
estranea; ma si affidi solo al personale autorizzato dall'Ispettorato
dell'emigrazione....
Durante il viaggio.
L'emigrante tenga un contegno serio e riguardoso verso tutti, e in ispecie
verso le donne e i bambini.
A bordo, preso in consegna il piccolo bagaglio, conservi il cartellino
corrispondente al posto di cuccetta che gli verrà assegnato.
Si pulito: abbia cura della nettezza personale, usi largamente di sapone,
si lavi, si pettini, si cambi gli indumenti; non sporchi il pavimento
con bucce, mozziconi di sigaro o sputi; non deturpi o danneggi
suppellettili, oggetti o impianti del piroscafo; non si getti nella
cuccetta con le scarpe.
Eviti discorsi sconvenienti; preferisca le letture che gli vengono fornite
dalla Biblioteca che il commissario Generale dell'emigrazione ha
istituito a bordo per lui. Si astenga dal giocare e non fiumi nei locali
ove il fumo è proibito.
Rifuggia dall'ozio; piuttosto dorma...
Nel paese straniero.
Eviti in modo assoluto l'ubriachezza, l'alcoolismo, il giuoco che inducono
al vizio e al disordine e danneggiano la salute. Lavori e risparmi.
Nelle ore di riposo, prediliga piuttosto la Associazioni culturali o i
Circoli sportivi, che migliorano il fisico e accrescono il benessere
morale. Non trascuri di educare i figlioli e di mandarli, se è
possibile, nelle scuole italiane.
Quando, in seguito, avrà messo da parte una piccola somma non si fidi di
banchieri che non conosce, o d'intermediari, ma la depositi presso
qualche Agenzia o qualche Rappresentante, raccomandato dall'Istituto di
Credito per il Lavoro italiano all'estero (Roma, Via Quintino Sella,
56); le economie è bene mandarle alla famiglia rimasta in Italia, o
metterle alla Cassa di Risparmio...
Il sentimento d'italianità.
Anche se egli assuma la nazionalità del Paese in cui si trova non rinneghi
e non oblii il sublime retaggio morale dei propri avi e trasmetta ai
nepoti la sacra fiamma dell'amor della Patria lontana: egli resterà così
non degenere figlio dell'Italia grande e forte nel mondo.
7.
AGENTE-VETTORE. NAVI E TRASPORTI.
Quando,
agli inizi del '500, si manifestò la crisi del lavoro indigeno e
l'America vedeva minacciata la produzione delle sue piantagioni e la sua
ricchezza, volse lo sguardo altrove per cercare nuova forza lavoro; e,
non potendo far affidamento sul Vecchio Mondo, in quanto non era molto
facile acclimatarvi gli europei, specialmente nelle zone non temperate,
fu costretta a rivolgere il suo interesse all'Africa. Venuto meno il
lavoro del negro, infatti, l'America Si trova nelle stesse condizioni di
prima; ha, ancora una volta, bisogno di cercare, fuori dai suoi confini,
uomini disposti a dissodare le sue terre o a scendere nelle sue viscere
per estrarre l'oro ed altri metalli preziosi, se non vuole veder
crollare la sua florida economia. E così, la "nuova schiavitù", dalle
coste del Continente Africano, si sposta nel nostro Mediterraneo. In
breve, "all'emigrazione forzata", segue "l'emigrazione dei liberi". I
contadini dell'Italia Meridionale, specialmente i lucani, sono destinati
a sostituire i negri, mentre, le funzioni del negriero sono assunte
dall'agente di emigrazione o vettore; questi avventurieri, quasi sempre
uomini senza scrupoli o menzonieri, rappresentano l'anello di
congiunzione tra l'emigrante e la Compagnia di Navigazione. Vivono
speculando sulla miseria dell'infelice, che è costretto ad abbandonare
la sua terra natale; gli "incettatori di carne umana" ricevono, inoltre,
"un premio fisso o variabile, per ogni emigrante". Quanto più alto è il
numero degli arruolati, dunque, tanto più il suo bottino aumenta. Ma,
prima di condurre gli emigranti al porto d'imbarco, egli deve girare per
regioni meridionali, a "predicare il verbo dell'emigrazione".
Date le condizioni, generalmente molto disperate, in cui vivevano le
popolazioni del Mezzogiorno d'Italia, si può dedurre che per il vettore
non doveva essere molto difficile raccogliere la "merce uomo" per
portarla in terra d'America. Bastava recitare la farsa per convincere
qualsiasi uomo preso dall'incertezza; bastava solamente fargli
immaginare ciò che l'America, a differenza del paese natio, il quale non
gli dava che miseria e dolore, poteva offrirgli. Comincia dunque a
recitare la sua parte, facendo "descrizioni da leggenda sulle ricchezze
americane, promesse di esagerati guadagni, di sollecita fortuna e di
alimenti da signori, ecco un pugno di polvere d'oro che acceca gli occhi
di quel miserabile e lo stordisce". Dopo aver conclusa la sua opera di
persuasione, guida il gregge allo scalo marittimo e qui lo affida alle
agenzie insieme alla spesa di viaggio da cui viene "prelevata la
provvigione a seconda della somma che l'eloquenza di un arrotondatore"
riesce ad estorcere all'emigrante.
La spesa di viaggio varia da 220 a 1500 lire (fine dell'800). Bisogna
fare, però, a questo punto, un'osservazione e cioè: se i contadini del
meridione fossero in possesso di tanto denaro non emigrerebbero
certamente; ragion per cui, per racimolare la somma necessaria, egli
vende la sua casa, l'orticello o qualsiasi altra cosa che può dargli un
gruzzolo di soldi che gli permette di pagare il viaggio; ma si da anche
il caso che, in Basilicata più che in ogni altra regione del meridione,
molta gente non possiede né denaro né qualcosa da poter vendere. Questi
devono allora chiederli in prestito nel loro paese, alimentando così
l'usura oppure qualcuno in America anticipa la somma; quest'ultima è una
condizione molto attraente per colui il quale vuole emigrare. Ma è una
condizione che gli costa molto cara, perché, giunto al luogo di
destinazione, si rende conto della trappola che gli è stata tesa,
dell'inganno col quale è stato raggirato dai vettori. Non gli bastano
mesi di lavoro per scontare le spese del viaggio, il più delle volte
egli deve duramente lavorare per tutto l'anno. E, non deve nemmeno
destare meraviglia se molti di questi emigranti, invece che nelle
"fazendas" sono inviati in paesi di rivoluzione, dove sono "costretti a
prendere le armi ed a versare ingloriosamente il loro sangue". Un
esempio questo, che ci fa capire con quanto cinismo operavano questi
bugiardi reclutatori.
Con la legge del 31 gennaio 1901, n. 23, si cerca soprattutto di
sopprimere la figura dell'agente di emigrazione, questo dannoso
personaggio, il cui compito è come si è già detto, quello di procurare
torme di emigranti, per darle al miglior offerente in America. Ma,
spezzando "l'ingranaggio delle agenzie, attraverso al quale il povero
emigrante lasciava una parte di sé stesso" si corre il rischio di
vederlo indifeso davanti alle Compagnie di navigazione. Perciò si
costituisce il Commissariato dell'Emigrazione, il quale per i poteri di
cui è investito, tiene sotto la sua tutela i lavoratori e nello stesso
tempo esercita la sua vigilanza sui prezzi dei noli. Le attività del
vettore vengono allora ridimensionate, e questi può esercitare la sua
professione, solo se munito di una licenza o di una patente, le quali
vengono rilasciate del Commissariato dell'Emigrazione. Possono ottenere
il rilascio della patente solamente coloro i quali fanno parte di: -
Compagnie nazionali di navigazione; - Compagnie forestiere riconosciute
legalmente; - Armatori nazionali, sia individualmente che in consorzio;
- Armatori forestieri; - Noleggiatori nazionali e stranieri.
La patente viene poi rilasciata a seconda della qualità di: - Vettore
comune ordinario, per trasporto oceanico di passeggeri di classe (l1° e
2°); - Vettore ordinario d'emigrante per il trasporto di costoro, o
vettore d'emigranti in genere; - Vettore speciale di Emigranti per
passeggeri gratuiti, favoriti, sussidiati ed arruolati; - Vettore
specialissimo per gli emigranti che si rechino a regioni poco
frequentate con navi di armatori non forniti di patente e per i quali
occorre un permesso speciale.
Si deve aggiungere comunque che in Italia, "le qualità di vettore
ordinario o comune e vettore ordinario di emigrazione "normalmente" si
cumulano.
Con questi provvedimenti, si cercava, dunque almeno di sorvegliare
l'operato degli agenti.
8.
TUTELA DELL'EMIGRANTE
La
necessità di creare un apparato di sostegno a quanti partivano, al
momento dell'imbarco, fu caldeggiata da chi si poneva il problema della
tutela dell'emigrante': ricoveri, asili provvisori e punti di raccolta
furono allestiti già dagli Scalabriniani, che si occuparono
prevalentemente delle partenze verso le Americhe; tuttavia le difficoltà
e i disagi non furono superati del tutto neppure dopo il varo delle
prime leggi dell'emigrazione. Nei primi anni del secolo le banchine del
porto di Genova si affollarono, oltre che di emigranti delle regioni
italiane del Centro-Nord, di serbi, macedoni e polacchi reclutati,
spesso con l'inganno, dagli emissari dei 'padroni' d'oltre Atlantico e
dagli agenti degli armatori. I moli erano insufficienti all'attracco e
alla sosta dei piroscafi, specialmente d'inverno, quando anche le
compagnie straniere facevano scalo nel porto ligure essendo quelli
nordici bloccati dai ghiacci. Attorno alla cosmopolita fiumana di carne
umana la speculazione divenne scandalosa: navi in disarmo vennero
rapidamente e malamente attrezzate per ospitare su ponti posticci, in
stive di aereazione e di comodità igieniche, gli umili e indifesi
passeggeri. Nel primo decennio del secolo, infatti, il 54,2% degli
emigranti al di sopra dei quattordici anni era analfabeta; l'emigrazione
italiana, specie quella del sud, fu una scelta obbligata e caotica alla
mercè degli agenti che ricevevano un compenso per ogni persona imbarcata
e che truffavano, oltre che sul prezzo del viaggio, perfino sulla
destinazione. I rapidi ed eleganti piroscafi decantati ad esempio dalla
società di navigazione "La Veloce" erano spesso vecchie carcasse sulle
quali si viaggiava stipati come bestie, accampati sui ponti, quando il
mare era mosso, chiusi nel fetidume delle stive; occorreva quasi un mese
per raggiungere New York e quaranta giorni per arrivare nei porti del
Mar della Plata.
Fino al 1901, quando il governo varò una legge di tutela, i pasti a bordo
erano di una qualità tale che gli emigranti, avvertiti da chi li aveva
preceduti, si portavano forme di cacio e sfilze di salami, per
insaporirli; frequenti erano, durante la traversata, le epidemie
-soprattutto di morbillo- accettate come fatalità. Le "tonnellate umane"
che venivano imbarcate e inviate nelle americhe costituirono per decenni
l'unico commercio anche di Napoli; la partenza dei bastimenti dai moli
gremiti di familiari in lacrime divenne un luogo comune "patetico" che
ispirò canzoni struggenti consegnate alla tradizione. I barcaioli
portavano i parenti lungo le fiancate delle navi per consentire un
ultimo saluto; altri le accostavano per vendere l'ultima pizza o
l'ultimo babà; a Napoli facevano scalo numerose compagnie straniere che,
tramite gli agenti, si contendevano gli imbarchi verso gli Stati Uniti.
I malfamati agenti di emigrazione vennero aboliti dalla legge del 1901,
ma la loro brutale attività di reclutamento non cessò perchè si
trasformarono da rappresentanti degli imprenditori (i padroni) d'oltre
atlantico, in rappresentanti degli armatori.
Le piazze dei paesi, le stazioni ferroviarie, i moli dei grandi porti di
Genova e Napoli erano .gli scenari di un avvenimento che si poteva
configurare come abituale oppure eccezionale, nell'esperienza
dell'emigrante: la partenza; a lungo gli spostamenti si svolsero a
piedi, e le partenze, soprattutto nel caso dell'emigrazione stagionale,
quando avvenivano in periodi fissi, determinati o dal calendario
agricolo o dal mestiere esercitato, avevano un impatto meno traumatico.
Più che come un'esperienza individuale e solitaria si configuravano come
un evento collettivo, un fenomeno che coinvolgeva, nelle sue sequenze e
nelle sue scadenze fisse, gruppi di parenti e di compaesani che si
dirigevano all'estero in modo non causale e seguendo gli itinerari ben
tracciati dai richiami della catena migratoria; fu solo dalla seconda
metà dell'Ottocento che le stazioni ferroviarie si affermarono come i
veri scenari di ogni partenza, nella memorialistica e nell'iconografia
dell'epoca: sacchi informi, valigie pesanti, bauli, fagotti accatastati
nelle stazioni ferroviarie comparvero allora regolarmente sia nelle
descrizioni dei giornali sia nelle rappresentazione figurative
dell'epoca; un'immagine destinata a ripetersi anche in seguito, fino
alle fasi conclusive dell'esodo italiano, quando gli emigranti
meridionali raggiunsero, con i treni del sole, Milano, Torino e le
grandi città nordeuropee.
Ma furono soprattutto i porti, dove gli emigranti si imbarcavano per le
americhe, a imporsi come i protagonisti quasi esclusivi delle partenze
fin dall'ultimo ventennio del secolo; tra i faticosi spostamenti in
treno attraverso le Alpi e gli estenuanti viaggi per mare, erano le
traversate oltreoceano a presentare rischi e disagi ben più pressanti.
Gli emigranti italiani partivano spesso dai porti stranieri, soprattutto
da quello francese di Le Havre. Infatti perfino a Napoli non operavano
compagnie e navigli italiani, sebbene l'unico commercio del porto fosse
quello degli emigranti; Genova, che rappresentava per l'importanza del
porto la marina mercantile italiana, le compagnie di navigazione
nazionali convogliarono sui loro bastimenti solo la metà delle partenze
complessive. Il trasporto degli emigranti costituì tuttavia un
investimento assai redditizio per gli armatori liguri; essi riuscirono,
con tale lucroso espediente, a far fronte agli alti costi di
ammodernamento del naviglio che si resero necessari dopo il 1860 per
fronteggiare la concorrenza straniera. I noli pagati dagli emigranti
permisero infatti di finanziare il passaggio al sistema del vapore delle
flotte a vela, rilevatesi ormai obsolete.
Note
1 Prima
dell'unità del regno i passaporti di emigrazione erano necessari anche
per chi si spostava da una regione per andare a lavorare in quella
limitrofa.
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di Sanità Pubblica" SEGUE >>
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