IPPOCRATE: LA MEDICINA DIVENTA
SCIENZA
 |
L'ILLUSTRAZIONE
Ippocrate, il grande medico greco
vissuto nel V secolo a.C., viene rappresentato mentre palpa un
giovane paziente. L'amabilità e la sollecitudine che ispirano il suo
aforisma, «dove c'è amore per il genere umano, c'è amore per l'arte
del curare», sono riflesse nel viso di Ippocrate. Questo illustre
medico, scienziato ed educatore merita sicuramente l'appellativo di
'Padre della medicina', che da più di 2000 anni viene associato al
suo nome.
|
PREMESSA
Nessun
medico vive tanto a lungo da poter scrivere sulla prognosi un libro che
meriti fiducia.
La civiltà
moderna ha un debito di gratitudine verso la Grecia antica, dal momento
che tutto ciò che contribuisce a rendere la vita interessante ha le sue
origini in Grecia: filosofia e storia, matematica e astronomia, poesia e
teatro, scultura e architettura, scienza e medicina, tutte hanno le loro
radici nell'Ellade, dove alcune raggiunsero un livello mai più
uguagliato.
La medicina, in particolare, si distaccò dalla magia, fu informata a
quello spirito di indagine scientifica che ha caratterizzato tutta
l'opera di Ippocrate. L'esame delle fonti mostra come, tra la civiltà
greca più antica, nella quale affondano le origini della pratica medica
greca, e l'età d'oro' ippocratica, la medicina, liberata dai ceppi della
magia e dell'empirismo, divenne infine materia di indagine scientifica.
In una ricerca del genere, si è ostacolati dalla difficoltà di
distinguere i fatti dalla fantasia, la storia dalle leggende, gli dèi
dagli uomini; attraverso tale 'labirinto', si può seguire il filo del
pensiero che ha portato alla fondazione della medicina come scienza. La
pratica della medicina, anche se dominata dall'empirismo e dalla
superstizione, aveva già raggiunto all'epoca di Ippocrate un livello
notevole, come conferma lo stesso Erodoto.
Soltanto in tempi relativamente recenti, grazie agli studi di sir Arthur
Evans e di altri, è stata chiarita l'importanza della civiltà minoica,
fiorita a Creta, nello sviluppo della civiltà ellenica(1).
A Delo(2),
isola dell'Egeo nel gruppo delle Cicladi, troviamo tracce delle origini
dell'arte medica greca; Delo era considerata il luogo di nascita di
Apollo, dio della salute, dal quale ebbe origine quel filone di pensiero
medico che, passando attraverso l'oracolo delfico e il culto di
Esculapio, gli eroi di Omero e i filosofi medici della Grecia, doveva
raggiungere un'altra isola, Cos, la patria di Ippocrate.
È ormai certo che, fra i molti quesiti sottoposti all'oracolo di Delfi,
alcuni riguardassero salute e malattia; a quei tempi la prognosi era
tanto importante quanto la terapia (principio affermato da Ippocrate e
tutt'oggi condiviso), dato che il paziente desiderava e desidera essere
rassicurato ancora prima che curato. In questo senso possiamo affermare
che a Delfi si dessero anche consigli di carattere terapeutico. Sembra,
dunque, più che probabile che il tempio di Apollo a Delfi sia stato un
centro medico, anche se la sua importanza è stata trascurata dagli
storici della medicina.
Inoltre, come abbiamo visto, era fiorente in Grecia il rito dell'
'Incubazione', celebrato negli Asclepièia(3).
Le nostre conoscenze sull'incubazione derivano in gran parte dalle
iscrizioni trovate su stele e lapidi a Epidauro, ove sono descritti
molti casi. Nella lettura di questi casi ci colpiscono due elementi:
tutti i malati guarivano e la guarigione appariva spesso miracolosa,
dato che molti dei pazienti erano considerati incurabili; non si
registravano gli insuccessi, né i casi letali, a differenza di quanto
avrebbe fatto Ippocrate, il quale, invece, teneva conto accuratamente di
tutte le sue osservazioni, indipendentemente dal risultato. La pratica
dell'incubazione(4),
in uso fin dall'VIII secolo a.C., è continuata a lungo dopo l'avvento
dell'era cristiana e ancora oggi ne possiamo trovare le tracce in
Grecia, nelle isole Egee, nell'Asia Minore, in Siria e in Italia; nelle
chiese di Palermo, di Napoli e della Sardegna la consuetudine è ancora
viva.
Le specie non velenose di serpenti, presenti in Grecia, venivano
utilizzate nel trattamento di alcune malattie, ad esempio per lambire
gli occhi o le piaghe dell'ammalato. In realtà, non si è mai trovata una
spiegazione soddisfacente del significato del legame del serpe alla
medicina. Si è anche detto che in origine al serpe fosse affidato il
compito di liberare gli edifici dai ratti e che il suo ruolo in Grecia
equivalesse a quello del gatto in Egitto. Si è avanzata l'ipotesi che
nella Thòlos, piccola costruzione in pietra costituita di due muri
concentrici intorno a una fossa o un pozzo lastricato, che si trovava
vicino a ogni tempio, si tenessero i serpenti (mentre secondo un'altra
ipotesi la Thòlos era un altare per i sacrifici).
L'epoca in cui visse e operò Ippocrate (460-355 a. C) è uno dei periodi
più splendidi della civiltà umana, quello della grecità classica. È
l'età di Pericle (morto nel 429 a.C.), che, dopo le decisive vittorie
dei Greci sui Persiani, segnò l'ascesa dello spirito umano a uno dei più
alti livelli mai raggiunti. A Eschilo, padre della tragedia greca,
fecero seguito Sofocle ed Euripide e, più tardi, Aristofane, il più
grande dei commediografi greci. Fidia rese splendido il Partenone,
Socrate segnò una svolta nella filosofia e a lui fecero seguito Platone
e Aristotele. Erodoto scrisse le sue storie, mentre geografia,
astronomia e matematica andavano avvalendosi del generale progresso. Era
dunque il clima adatto per la nascita della medicina scientifica e per
l'apparizione alla ribalta della storia del più gran medico di tutti i
tempi.
Si riteneva, un tempo, che Ippocrate fosse un discendente di Esculapio e
membro della Corporazione degli Asclepiadi e che fosse in qualche modo
collegato con l'Asclepièion, le cui rovine, parzialmente ricostruite, si
trovano su una collina, a circa tre miglia, verso l'interno, dalla città
di Cos. Queste opinioni sono smentite dal fatto che è accertato che le
cure mediche nel tempio di Esculapio furono introdotte a Cos soltanto
dopo la morte di Ippocrate, e che gli insegnamenti della scuola
ippocratica risultano del tutto diversi da quelli dei sacerdoti di
Esculapio. La sola reliquia di Ippocrate che rimanga a Cos è un albero
gigantesco, un platano d'Oriente, al centro della città, all'ombra dei
cui rami si tramanda che egli desse lezione ai suoi allievi. Nessuno dei
busti e delle statue di Ippocrate può essere considerato un autentico
ritratto, tutti però mostrano un volto gradevole, pensoso e pieno di
dignità: possiamo dunque ben figurarcelo come un maestro e un medico
ideale.
Se ben poco sappiamo di Ippocrate uomo, abbiamo nel Corpus
Hippocraticum
una completa descrizione dei suoi metodi. Certamente egli non fu il solo
autore dei numerosi volumi che costituiscono l'intera opera a lui
attribuita, ma ciò non toglie nulla al loro valore, poiché tutti
risentono della sua ispirazione. In ognuno degli scritti che compongono
il Corpus, non si può far a meno di notare l'alto livello della
sua condotta morale, l'importanza che egli dava alla prognosi,
l'accuratezza delle osservazioni, la chiarezza delle annotazioni. Le
opere di Ippocrate sono state tradotte in molte lingue(5)
e sono state oggetto di innumerevoli commenti e alcune di esse, e
particolarmente gli Aforismi, sono state usate come libro di
testo fino agli inizi del XIX secolo, e c'è forse da rammaricarsi che
non si sia continuato a farlo fino ai nostri giorni. Infatti, accanto a
nozioni inevitabilmente superate, troviamo un complesso di insegnamenti
e princìpi di sorprendente modernità.
In particolare Ippocrate, che fu il primo a distinguere la medicina dalla
filosofia, propose un alto esempio a tutti i seguaci di quella che egli
chiamò 'l'Arte': il cosiddetto 'Giuramento di Ippocrate' è stato preso a
modello dai medici di tutti i tempi e termina con questa affermazione:
«Se manterrò fedelmente il mio giuramento, senza venir meno in nessuno
dei suoi articoli, che mi sia concessa lunga vita, che io possa riuscire
nella mia professione ed essere celebrato dagli uomini in tutti i tempi.
Se dovessi però violare il giuramento o rendermi spergiuro, che mi possa
accadere il contrario». Varianti del giuramento ed esortazioni a una
retta condotta professionale si possono trovare in altri scritti di
Ippocrate. Nel libro dei Precetti (ritenuto generalmente posteriore e
opera di un qualche proselite) si trova il seguente consiglio: «Io vi
esorto a non essere troppo avidi, ma a considerare attentamente di quali
mezzi disponga il vostro malato. Qualche volta prestate i vostri servizi
anche per niente
[...] e se
vi si presenta l'occasione di rendere un servizio a uno straniero che si
trovi in difficoltà finanziarie, dategli completa assistenza: perché
dove c'è l'amore per l'uomo c'è anche l'amore per l'arte» (Prec.
VI). L:autore scende a particolari più personali quando consiglia al
medico di evitare copricapo di lusso o profumi raffinati allo scopo di
accaparrarsi un malato. E aggiunge: «Tuttavia non vi proibisco di
tentare di piacere, perché ciò non disdice alla dignità del medico».
Ippocrate conosceva poco l'anatomia e la fisiologia e non disponeva né di
termometro né di stetoscopio (che non erano stati ancora scoperti);
eseguiva però l'auscultazione applicando l'orecchio al petto del malato
e descriveva, ad esempio, il rumore dello sfregamento delle pleuri, che
giustamente paragonava allo sfregamento del cuoio. Privo di apparecchi
scientifici, seguiva tuttavia il metodo scientifico: che non ammettesse
la malattia come castigo degli dei, risulta dall'esordio del suo libro
su li morbo sacro (l'epilessia). Inoltre, i suoi scritti sono pieni di
acute osservazioni e di logici ragionamenti. Uno dei suoi libri più
interessanti tratta Delle arie, delle acque e dei luoghi. Egli consiglia
il medico, che inizia la sua pratica in un paese sconosciuto, «di
osservarne bene l'esposizione, i venti principali, il rifornimento
dell'acqua, la natura del suolo, le consuetudini della gente, perché da
tale indagine potrà dedurre quali saranno le malattie più frequenti e
potrà così ottenere i massimi trionfi nell'esercizio della sua arte».
Ippocrate, poi, si preoccupa molto dell'influenza del clima sulla mente
e sul corpo: «Nei paesi tormentati da bufere invernali e bruciati dal
sole, gli uomini sono forti, tenaci e indipendenti, possiedono una
intelligenza superiore alla media nelle arti e un coraggio superiore al
normale in guerra».
La scuola di lppocrate non era senza rivali, in quanto, non lontano
dall'isola di Cos, c'era la scuola di Cnido, dove si classificavano
tutti i sintomi e si prescrivevano i rispettivi rimedi; considerando
importanti soltanto la diagnosi e la cura, non ci si preoccupava né
delle cause né della prognosi. Al contrario, una delle opere più
importanti di Ippocrate è intitolata proprio Delle Prognosi. Mediante lo
studio del decorso naturale della malattia, egli prevede come si
svilupperanno i sintomi e l'esito finale della malattia, in quanto
sostiene che: «Nessun medico vive tanto a lungo da poter scrivere sulla
prognosi un libro che meriti fiducia». Inoltre, richiama l'attenzione
del medico sulla posizione che il malato prende nel letto, sul suo modo
di respirare, sul tipo dell'espettorato e su molti altri elementi, in
base ai quali pronunciare la prognosi.
Ippocrate era soprattutto un osservatore, che sapeva come registrare un
caso in modo chiaro e conciso e non andava alla ricerca delle guarigioni
strepitose, ma registrava imparzialmente successi e insuccessi. Nei
libri Delle Epidemie (42 casi registrati), il tasso di mortalità è alto,
pari al 60%, ma va tenuto presente che per la maggior parte si trattava
di malattie gravi e acute. Ad esempio, la malaria era allora assai
comune e aveva molto spesso esito mortale, come la dissenteria e i
traumi cranici. La seguente descrizione può riguardare un caso di
malaria perniciosa: «Fillisco abita presso le mura. Primo giorno: si
mette a letto con febbre alta e sudorazione; notte agitata. Terzo
giorno: verso il mezzodì, sembra che la febbre sia caduta, ma verso sera
febbre alta, sudorazione, sete, lingua secca, orina scura. Insonnia,
delirio. Quinto giorno: notte agitata, frasi senza senso, orina scura,
sudore freddo. Verso mezzogiorno del sesto giorno, la morte. Per tutto
il tempo, la respirazione fu intermittente e profonda, come se si
ricordasse di dover respirare». Quest'ultima frase descrive ciò che ora
chiamiamo 'respiro di Cheyne-Stokes'. Ecco invece la descrizione di un
caso di trauma cranico seguito da otite e meningite: «La figlia di
Nerio, una bella ragazza di vent'anni, gioca con una sua amica che la
colpisce con la mano aperta sulla sommità del capo. La ragazza vede
calare le tenebre davanti agli occhi e perde il respiro; tornata a casa,
è assalita da febbre acuta col mal di capo, diventa rossa in viso. Al
settimo giorno le esce dall'orecchio destro più di una coppa di pus
fetido e rossastro e la ragazza sembra riaversi un poco. Ma la febbre
riprende e la ragazza cade in stato comatoso; perduta la parola, il lato
destro della faccia è tirato; seguono spasmi, tremiti e dispnea, la
lingua e gli occhi rimangono paralizzati, muore al nono giorno».
Ippocrate nelle sue terapie (i suoi metodi possono essere studiati in
Regime nelle malattie acute) faceva scarso uso di farmaci, sorvegliava
il decorso della malattia e non interferiva con la natura, sapendo che
nella maggior parte delle malattie vi è una tendenza alla guarigione
spontanea,secondo il principio della 'vis medicatrix naturae':
«L'organismo» affermava «è il medico delle nostre malattie», cioè
dobbiamo astenerci da interventi inopportuni; e ancora: «il malato, chi
lo assiste e le circostanze esterne devono cooperare». Tuttavia, egli
dava assennati consigli, faceva fare bagni e fomenti quando occorrevano
e prescriveva semplici diete a base di polenta d'orzo e miele. La
bevanda consigliata in caso di sofferenze era l'ossimiele (aceto e
miele), mentre in caso di sete molto forte suggeriva di dare da bere
idromele (acqua e miele): oggi al posto del miele somministriamo
glucosio.
Oltre a praticare la medicina, Ippocrate era anche un buon chirurgo:
estraeva pus, accomodava fratture, riduceva lussazioni (usando una panca
o tavola speciale) e praticava anche la trapanazione del cranio, come ci
descrive chiaramente nell'opera Delle ferite al capo (XXI). Ecco un
brano che potrebbe essere stato scritto oggi: «Le unghie [del chirurgo]
non devono né sporgere dai polpastrelli né essere cosi corte da
rientrare rispetto a essi. Buona conformazione delle dita, pollice ben
opposto all'indice. Eseguite ogni operazione con ciascuna mano e con le
due mani insieme». Il suo impiego del catrame sulle ferite è una
sorprendente anticipazione dell'antisepsi. Egli dà inoltre anche
particolari sull'uso dell'acqua bollita, la posizione della luce, gli
strumenti, gli assistenti, e insiste molto sulla necessità di «abilità,
rapidità, abolizione del dolore, eleganza e prontezza». Notevoli anche i
consigli che dà nel breve libro di note intitolato Dell'officina del
medico.
Insomma, si deve considerare Ippocrate come il padre della medicina
fondata sull'osservazione, anche se i sintomi che egli registrava e
ricercava erano spesso, per mancanza di conoscenze anatomiche, soltanto
esterni: aspetti del viso e della lingua, colore e tegumenti, ritmo del
polso, tonicità dei muscoli.
Le opere di Ippocrate non presentano un interesse puramente storico: il
principio di concentrare ogni attenzione sul malato, piuttosto che
teorizzare sulle malattie o su complicati esami di laboratorio, è stato
rimesso in vigore da Sydenham e da Boerhaave. Non ricorderemo mai
abbastanza e con sufficiente convinzione il principio che «l'organismo è
il medico delle nostre malattie», che il medico e lo specialista,
qualunque sia il loro campo, debbono studiare il malato globalmente e
nel suo ambiente ed esaminare la malattia con l'occhio del naturalista:
questo è esattamente il messaggio di Ippocrate, valido oggi come 2400
anni fa.
Nel periodo post-ippocratico sorsero nuove scuole mediche che, abbandonate
le idee ippocratiche circa la fede nella natura e le osservazioni al
capezzale del malato, costruirono varie teorie sulle malattie e fecero
grandi sforzi per far rientrare ogni fenomeno patologico in schemi
prestabiliti. Sorsero così i dogmatisti, gli empirici, i metodisti, i
pneumatisti, gli eclettici. I dogmatisti o, come Galeno preferiva
chiamarli, i razionalisti, erano 'i più autentici figli di Ippocrate';
essi credevano che la medicina dovesse poggiare sulla fisiologia e il
loro solo errore fu quello di aver costruito un edificio completo su
basi insufficienti. Gli empirici non si preoccupavano delle cause,
quanto unicamente dell'esperienza, registrando ogni malattia col
relativo rimedio e riducendo la pratica medica all'applicazione di
regole approssimative; i pneumatici sostenevano invece che tutte le
malattie dipendevano da disturbi dello spirito aereo o pneuma.
Teofrasto di Efeso (370-285 a. C.), nella sua storia delle piante, cita
numerose droghe come la camomilla, il dittamo, la senna, il cardamone,
la liquirizia e il nardo, la cicuta, l'aconito, la mandragora, la felce
maschio.
A partire dal II secolo a. C., il centro intellettuale del mondo
mediterraneo si sposta da Atene ad Alessandria e poi a Roma. Prima di
quell'epoca non vi erano medici a Roma, secondo quando afferma Plinio il
Vecchio; si tramanda che Catone fosse uno dei più accaniti avversari dei
primi medici greci e che pretendesse di essere in grado di curarsi da sé
e di trattare anche i membri della sua famiglia. Parecchi capitoli del
suo trattato De agri cultura fornivano ricette di lassativi e diuretici
efficaci nella cura della gotta, della dispepsia e dell'anemia.
LA
SCHEDA
Nel
millennio compreso tra il 500 a.C. e il 500 d.C., l'arte della medicina
del mondo antico raggiunse l'apice del suo sviluppo in Grecia. Giuste o
sbagliate che fossero le loro teorie, i medici dell'antica Grecia
dimostrarono un grande acume clinico. Fu nella prima metà di tale
millennio che i medici greci fecero il passo decisivo (nonostante il
culto di Asclepio) da un contesto soprannaturale all'accettazione di
spiegazioni e di metodi di cura esclusivamente naturalistici e
scientifici. I princìpi medici elaborati in questo periodo dominarono la
medicina per i successivi mille anni, e la loro influenza sulla medicina
di oggi si evince dalla predominanza della terminologia greca.
Nei secoli che precedettero questo millennio illuminato, la medicina greca
seguì il solito modello delle pratiche magico-religiose; in seguito, i
medici-filosofi trasformarono la medicina in una professione in qualche
modo scientifica e naturalistica, ma altamente speculativa e teorica (e
spesso poco accurata). Tuttavia, a differenza dei loro contemporanei di
altri paesi, per la maggior parte i medici greci non erano sacerdoti ma
professionisti, cosicché la conoscenza empirica si combinava con le
teorie speculative dei filosofi.
Il più conosciuto dei princìpi pseudo-scientifici della medicina greca è
la teoria umorale. Si riteneva che il corpo umano fosse costituito
principalmente da quattro umori: sangue, bile gialla, bile nera e
flemma. In condizioni di salute, questi quattro umori erano bilanciati;
ma uno squilibrio nella loro correlazione dava luogo alla malattia e la
Natura si sforzava di restaurare l'equilibrio perduto espellendo
materia. Compito del medico era di aiutare la natura in questo sforzo.
Tracce di questa antica teoria umorale, che risale a più di 2600 anni
fa, sopravvivono in alcune parole ancora oggi in uso, come 'sanguigno',
'malinconico', 'flemmatico',
Per quanto grande sia stata l'influenza dei filosofi sulla medicina greca,
all'inizio del V secolo a.C. si verificò un altro importante passaggio
dalla speculazione al razionalismo, con una sempre maggior enfasi posta
sull'osservazione clinica. L'importanza di questo periodo creativo della
medicina greca è rappresentata da Ippocrate, contemporaneo di altri
immortali personaggi storici come Pericle, Sofocle e Socrate. Nelle sue
mani la medicina divenne un'arte, una scienza e una professione, e il
suo nome è da duemila anni sinonimo di 'Padre della medicina', essendo
divenuto il simbolo della bellezza, del valore e della dignità della
medicina di tutti i tempi.
Della vita di Ippocrate sappiamo ben poco. Nacque nella piccola isola di
Cos, nel mare Egeo, all'incirca nel 460 a.C., e sembra che il suo fosse
un nome piuttosto comune nella Grecia antica. Infatti, anche il nonno
del grande medico portava lo stesso nome. Ippocrate era il secondo dei
sette figli di un medico di nome Eracleide, il quale affermava di far
parte di un gruppo di medici che consideravano Asclepio il loro
protettore. Secondo la tradizione, Ippocrate iniziò lo studio della
medicina prima presso l' Asclepièion di Cos, poi agli Asclepièia di
Cnido, di Thassos e della Tessaglia e, secondo alcuni biografi, anche in
Egitto, in Lidia, e in Scizia. Si dice che egli sia poi ritornato a
esercitare la professione presso la propria comunità nell'isola di Cos,
ma è certo che viaggiò molto. Visitò parecchie città greche e straniere,
praticando la medicina e arricchendo il proprio bagaglio di esperienze.
La sua fama di medico si diffuse e ben presto iniziò a essere
considerato il più insigne rappresentante della Scuola di Cos, che si
occupava principalmente della prognosi e della cura del paziente nella
sua globalità. Ippocrate disapprovava invece la Scuola di Cnido, la
quale si basava sulla diagnosi, sulla spiegazione circoscritta delle
malattie e sulla cura efficace dei singoli organi (da ciò si evince
quanto sia antica la contesa tra medico generico e specialista). Secondo
quanto scrivono Aristotele e Platone, Ippocrate raggiunse in vita una
grande notorietà. Egli fu sicuramente un medico di grande esperienza e
di buon senso. Sembra che sia morto a Larissa, una città nei pressi
della Tessaglia, attorno al 361 a.C., all'età di 99 anni.
È certo che Ippocrate ebbe due figli, Tessalo e Draco, entrambi medici di
rilievo, e un genero, Polibo, anch'egli medico. Essi fondarono la Scuola
del Dogmatismo, basata sugli aforismi di Ippocrate, mantenendo fede ai
suoi principi e dando ai loro scritti il nome del loro illustre padre.
Mentre l'autenticità di Ippocrate come persona non può essere messa in
discussione, l'autenticità della raccolta di opere conosciuta come
Corpus Hippocraticum o Raccolta Ippocratica è oggetto di notevoli dubbi.
Quali delle circa sessanta opere letterarie che ci sono state tramandate
furono scritte da Ippocrate, e quali invece dai suoi ammiratori che,
seguendo la moda del tempo, attribuirono i loro scritti al più famoso
predecessore, resta un problema irrisolto. Tali opere, infatti, non
sembrano scritte da un unico autore, e forse neanche da un unico gruppo
di autori. Questa circostanza, tuttavia, non pregiudica il fatto che
esse rappresentano la prima vetta della medicina greca.
Nonostante le discrepanze, tutti i manoscritti ippocratici pongono
l'accento su di un approccio naturalistico e attribuiscono grande
importanza all'osservazione della malattia, piuttosto che allo studio
della sua causa, relegando le teorie speculative a un ruolo minore. In
essi si trova inoltre la prima 'Dichiarazione d'Indipendenza' della
medicina, contenuta nelle prime frasi dell'opera Del male sacro
(l'epilessia): «Per quanto riguarda il male chiamato 'sacro', non mi
sembra essere né più divino, né più sacro di altre malattie; ma, come le
altre affezioni, ha una causa naturale dalla quale trae origine. Gli
uomini reputano la sua natura e la sua causa divine a cagione della loro
ignoranza e stupefazione, perché essa non somiglia nessun'altra
malattia».
Secondo Gelso, Ippocrate fu il primo a liberare la medicina dai ceppi
della superstizione e dalle illusioni della filosofia. Negli Aforismi di
Ippocrate si trovano affermazioni importanti come «le persone grasse
sono più esposte a morte improvvisa delle persone magre»; «lo spasmo che
sopraggiunge dopo una ferita è fatale» (tetano); «la deformità spinale
coesiste spesso con tosse e tubercolo dei polmoni» (morbo di Pott);
«nella tubercolosi polmonare la diarrea è un sintomo mortale».
Tra i suoi detti, che in seguito diventarono tra i preferiti di tutti i
medici, ricordiamo: «la vita è breve, l'arte lunga, l'occasione
fuggevole, l'esperienza ingannevole e il giudizio difficoltoso» e «non
solo occorre fare la cosa giusta, ma occorre farla al momento giusto». A
coloro che aspiravano a diventare medici, Ippocrate dava questo
consiglio: «Chiunque voglia acquisire conoscenza e competenza in
medicina dovrebbe possedere i seguenti requisiti: una predisposizione
naturale, un'istruzione, una situazione favorevole allo studio, un
insegnamento precoce, amore per la fatica, tempo libero. Prima di tutto
è necessario un talento naturale, perché, quando la Natura si oppone,
ogni altra cosa risulta vana; ma, quando la Natura conduce verso ciò che
è eccellente, ha luogo l'istruzione all'arte, che lo studente deve fare
propria attraverso la riflessione, diventando prontamente un allievo in
un luogo preposto a tale scopo. Egli deve anche possedere un certo amore
per il lavoro e una certa perseveranza, così che l'istruzione, mettendo
radici, potrà dare dei frutti appropriati e abbondanti [...] I medici
sono molti di nome, ma pochi di fatto [...]».
I medici greci venivano istruiti per mezzo di un apprendistato, e il
giuramento che li vincolava ai loro maestri rispecchia il grande valore
etico della professione. Sebbene porti il suo nome da più di duemila
anni, gli studiosi hanno seri dubbi che il 'Giuramento di Ippocrate' sia
stato scritto realmente dal grande medico in persona. Per quanto egli
sia stato e sia riverito e ammirato da tutti fino ai nostri giorni,
sembra che questo documento sia stato prodotto da ambienti medici che si
svilupparono nei secoli successivi al periodo in cui visse Ippocrate.
Tuttavia, è certo che esso incarna i principi e i precetti del grande
medico, e in quanto tale merita di essere ampiamente accettato come
giuramento che debbono pronunciare tutti coloro che si accingono a
iniziare la pratica della professione medica.
Ippocrate e i medici greci che ne seguirono l'insegnamento credevano che
la terapia dovesse prima di tutto assecondare la Natura. Per questo
motivo essa era blanda e, alla luce della mentalità moderna, molto più
razionale di quanto non lo sarebbero stati i metodi usati dagli uomini
di medicina dei periodi successivi. L:alimentazione era considerata di
primaria importanza, sia in condizioni di salute, sia in caso di
malattia. Solo quando la dieta falliva si ricorreva ai farmaci, e solo
quando i farmaci fallivano si ricorreva alla chirurgia. I libri di
chirurgia greci rivelano una grande abilità nel curare le ferite, le
fratture e le lussazioni. Venivano prescritte operazioni in caso di
fistola anale e di emorroidi, e sono anche riportate operazioni
rischiose, come la trapanazione del cranio e l'incisione di empiemi. La
materia medica di Ippocrate era limitata: egli usava pochi farmaci, ma
faceva sicuramente uso di catartici e sedativi.
Lo sviluppo della prognostica deriva con ogni probabilità dalla condizione
sociale dei medici greci che, in quanto artigiani itineranti, non
potevano permettersi di assumersi la responsabilità di curare gli
incurabili. Per quanto riguarda la prognosi, i medici greci facevano
spesso riferimento al dato climatico: si pensava infatti che la malattia
e la salute dipendessero in gran parte dal clima locale.
L'osservazione, basata sull'esame e la visita del paziente, divenne lo
strumento più utile a disposizione del medico; era inoltre utilizzata la
palpazione. Innumerevoli pazienti con la milza ingrossata a causa della
malaria fornivano abbondanti ragioni per utilizzare questa tecnica.
Veniva anche impiegata l'auscultazione a nudo. Gli scritti greci di
medicina sono pieni di preziose osservazioni su malattie ben note come
la malaria, la tubercolosi polmonare, la parotite epidemica, la
polmonite, il carbonchio (antrace) e l'apoplessia. In epoca più tarda
vengono inoltre descritti il diabete, la difterite, la lebbra, la peste,
il tetano, nonché malattie mentali e dermatologiche. Alcuni fatti e
osservazioni menzionati in queste opere furono riscoperti dagli uomini
di medicina del mondo occidentale soltanto parecchi secoli dopo. Da
Ippocrate a Galeno, attraverso Rufus e Arataeus, i medici greci furono
tutti degli acuti osservatori.
La seconda grande vetta venne raggiunta dalla medicina greca nel III
secolo a.C. ad Alessandria, la città fondata da Alessandro il Grande. Le
teorie umorali delle malattie erano allora meno predominanti, rispetto
al periodo sia precedente sia successivo, e le malattie venivano
spiegate sulla base di mutamenti nelle sostanze solide del corpo, era
anche molto praticato lo studio dell'anatomia.
La terza vetta la medicina greca la raggiunge invece a Roma, nei primi
secoli dell'Era cristiana. Questo periodo è rappresentato da Galeno,
medico e farmacista, che fu al servizio di due imperatori. Grazie
all'influenza di Galeno, nel concetto di medicina la scienza prevalse
sull'arte e, mentre la politica del mondo antico diventava romana, la
medicina rimaneva greca. Per quanto i Romani fossero grandi come
conquistatori e amministratori, in medicina non raggiunsero mai livelli
paragonabili a quelli dei Greci. I medici greci furono insuperabili
nella pratica e nel progresso della medicina, a Roma come in qualunque
altro luogo, per tutto il grande millennio inaugurato da Ippocrate.
NOTE
1 - Le meravigliose statue e i bellissimi affreschi che adornano il
palazzo di Cnosso dimostrano l'alto livello artistico raggiunto da
questa civiltà. Non possediamo purtroppo alcun documento che ci informi
sulle condizioni dell'arte medica minoica nel periodo che va dal 4000 al
2000 a.C., ma il serpente, simbolo dell'arte medica, è raffigurato nelle
sculture e nelle terme e negli impianti sanitari venuti alla luce.
2 - La
mitologia greca c'insegna che Delo, isola alla deriva nel mare, fu fatta
affiorare dagli abissi e venne ancorata da Giove, per dare alla dea
Latona un luogo ove mettere al mondo i gemelli Apollo (Febo) e Artemide
(Diana). A Delo si erge il monte Cinto, presso la cui sommità la
leggenda dice che nacque Apollo. Secondo la tradizione Apollo non rimase
a Delo a lungo; anzi, il dio doveva essere estremamente giovane quando
fu portato a Delfi, dove nacque un centro del suo culto e il celebre
oracolo. Apollo insegnò l'arte sanitaria a Chirone, l'ingegnoso centauro
che viene a volte considerato come dio della chirurgia; questi a sua
volta fu maestro di Giasone, di Achille e di Esculapio, personaggio dai
contorni poco netti, che potrebbe essere vissuto intorno al 1250 a.C.
3 -
Nel sonno, il dio
Asclepio si rivelava al paziente, apparendogli con un'aureola di luce
accecante, oppure facendogli udire il suono della sua voce; pare che i
metodi usati nell'incubazione fossero simili a quelli dell'oracolo
delfico e si potrebbe dire che tanto l'una quanto l'altro
rappresentassero forme di psicoterapia.
4 -
Nell'isola sacra di Tino, vicino a Delo, due volte l'anno, durante e una
grande festa, molti malati dormono in chiesa, nella speranza di guarire:
ogni anno vengono riferite guarigioni miracolose. Su piccola scala
l'incubazione viene praticata ancora a Cipro, a Rodi e in molte chiese
rurali della Grecia e dell' Asia Minore.
5 -
La prima edizione
completa, in greco, fu stampata a Venezia, da Aldo Manuzio, nel 1526. La
prima edizione latina era stata pubblicata un anno prima a Roma dalla
stamperia di Calvus. La più ampia traduzione in francese apparve in
dieci volumi, nel 1839-61, a opera di E. Littre (Oeuvres complètes
d'Hippocrate, Paris). La più recente edizione critica è quella diretta
da I. L. Heiberg nel Corpus Medicorum Graecorum (Lipsia-Berlino 1927).
Una traduzione italiana completa è stata curata da M. G. Levi (Venezia
1838).
"Galeno: un Ascendente Protrattosi per
oltre 14 Secoli" SEGUE >>
|