RAZI E LA MEDICINA ARABA
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L'ILLUSTRAZIONE
Ràzì (865-925 d.C. circa), medico
persiano che scriveva in arabo, è qui raffigurato al capezzale di un
giovane paziente malato di morbillo. Primo a descrivere il morbillo
e il vaiolo con precisione clinica, Ràzì fu anche il primo a
osservare e a registrare la reazione della pupilla alla luce.
Scrisse inoltre il primo libro che conosciamo sulle cure
pediatriche. Ciò che Ràzì fece e scrisse più di mille anni fa
suscita ancora oggi ammirazione, in quanto rappresenta il meglio
della medicina araba. |
PREMESSA
Se a un
medico capita un infortunio, non aprir bocca per condannarlo, perché
ciascuno ha la sua ora.
I
compilatori bizantini furono gli ultimi ad arricchire l'immenso
patrimonio di conoscenze della medicina greco-romana al tramonto della
gloria greca e della grandezza romana seguirono infatti 1000 anni e più
anni bui, durante i quali il sapere fu deriso, le nuove esperienze
avversate e ogni innovazione ritenuta pericolosa. La medicina divenne
succube delle sole tradizioni e questa situazione si prolungò fino a
quando non si affermarono gli audaci spiriti innovatori del
Rinascimento: gli insegnamenti di Galeno, imposti per necessità, e di
conseguenza le asserzioni dogmatiche, sono stati ritenuti fattori
determinanti che hanno sostanzialmente ritardato il progresso della
medicina in età medievale.
Vi è da tenere presente, inoltre, che nel Medioevo la medicina era
coltivata in due ambienti spiritualmente assai diversi fra di loro: la
Chiesa cristiana e il mondo musulmano (soprattutto da parte di studiosi
arabi). Per comprendere l'enorme apporto fornito dagli Arabi alla
scienza medica durante l'alto Medioevo, è necessario contrapporvi
l'influenza che il Cristianesimo esercitò sulla medicina nello stesso
periodo. Non si può negare che la Chiesa cristiana nei primi tempi abbia
frenato il progresso della scienza medica: infatti, la cura e la
guarigione dei malati erano considerate eventi miracolosi che potevano
essere operati solo dal Grande Medico (o da persone da Lui designate),
con l'aiuto della preghiera e del digiuno. Secondo la concezione
cristiana, la malattia era inviata da Dio in punizione dei peccati
commessi e richiedeva per la sua guarigione solo preghiere e pentimento(1).
Si negava, cioè, che la malattia avesse un'origine naturale, si
rinnegavano i principi di Ippocrate e ritornavano in auge idee analoghe
a quelle cui si informava il culto di Esculapio.
Le miracolistiche guarigioni che avvenivano (e avvengono tuttora) nei
luoghi sacri, escludevano e rifiutavano qualsiasi atto e intervento
risanatore; il concetto di guarigione dei cristiani escludeva
l'intervento dello iatròs. Inoltre — come del resto per i
musulmani — per i cristiani il corpo umano era sacro e quindi la sua
dissezione era proibita: anatomia e fisiologia divennero quindi scienze
morte e si potevano studiare solo sui libri di Galeno. Tutte queste
restrizioni dissuasero molti studiosi dall'intraprendere la professione
medica.
Se per tutti questi motivi il cristianesimo dei primi secoli influenzò
negativamente il progresso della medicina, tuttavia la pietà e la
dedizione nell'assistenza dei malati e l'opera dei monaci amanuensi,
impegnati a tradurre e trascrivere le opere antiche, fino a quando
l'invenzione della stampa mise la scienza a portata di tutti,
controbilanciarono senza dubbio questo fattore negativo.
Per quanto riguarda gli Arabi(2),
durante l'alto Medioevo la loro influenza sulla medicina fu meno
negativa di quella della Chiesa cristiana, dato che essi assorbirono le
idee dei loro predecessori e vi aggiunsero numerosi apporti originali.
Le radici della medicina araba erano state impiantate prima della
nascita di Maometto(3),
da un cristiano non ortodosso, Nestorio(4),
patriarca di Costantinopoli; egli con i suoi seguaci si applicò a
tradurre in arabo i testi della medicina greca (talvolta con un primo
passaggio attraverso la lingua siriana).
Gli Arabi costruirono il loro sistema medico in modo logico e ben
articolato, tenendo in grande considerazione l'aggiornamento continuo.
Traducevano testi dal greco aggiungendo ai manoscritti osservazioni
originali, molte delle quali riguardavano le febbri epidemiche e le
malattie degli occhi, così frequenti in Oriente. Nel campo della
chirurgia, rifuggivano quanto più possibile dagli interventi cruenti,
portando, per conseguenza, a uno sviluppo notevole la tecnica della
cauterizzazione. Non ne furono gli inventori, perché già Ippocrate la
conosceva e la raccomandava, tuttavia la svilupparono in misura mai
raggiunta prima. È interessante, perciò, conoscere di quali strumenti
questi chirurghi orientali si servissero quando, sia pure a malincuore,
dovevano intervenire chirurgicamente.
Il maggiore contributo del mondo arabo alla medicina riguardò quel ramo
della scienza che nel IX secolo doveva svilupparsi con il nome di
farmacologia. Basti pensare che la parola 'droga' è di origine araba
come 'alcool', 'alcali', 'sciroppo', 'zucchero', così come i farmaci
indigeni (benzoino, canfora, zafferano, mirra, muschio, laudano, nafta,
senna). Intimamente legata alla farmacologia era la chimica o
'alchimia': furono inventati dagli Arabi alcuni procedimenti come la
distillazione, la sublimazione, la cristallizzazione e perfezionati
altri tuttora familiari ai chimici.
Nel periodo di più intenso sviluppo della medicina araba, durante il quale
vi furono alcuni medici che si distinsero per gli alti onorari che
percepivano(5),
entrò in scena uno dei più grandi, se non il massimo dei medici
musulmani, Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya al Ràzì, nato a Rai in Persia
(vicino all'attuale Teheran) e comunemente noto come Ràzì. Filosofo e
musicista, si diede agli studi di medicina quando aveva già
quarant'anni, ma dalle sue opere risulta evidente che fece ottimo uso
del resto della sua lunga vita(6);
Ràzì esercitò la professione nella sua città natale e successivamente a
Baghdad. Si racconta che, incaricato di scegliere l'area adatta per
l'ospedale, di cui poi divenne primario, appese dei pezzi di carne in
varie parti della città e destinò alla costruzione il luogo nel quale la
putrefazione si era manifestata più tardi.
All'inizio della carriera ebbe un grosso litigio con il sovrano di
Bukhara, il quale diede ordine che gli fosse sbattuto sulla testa il suo
stesso libro, fin tanto che uno dei due si fosse rotto. Naturalmente
ebbe la peggio la testa di Ràzì, e i colpi ricevuti gli causarono, più
tardi, la cecità. Ciò nonostante, egli non permise alle infermità
fisiche(11)
di ostacolare la propria missione e scrisse centinaia di opere, alcune
delle quali perdute. Il suo libro più famoso, che costituisce anche il
suo più notevole contributo alla medicina, tratta della distinzione fra
vaiolo e morbillo (sembra che allora queste fossero le due sole
infezioni endemiche note agli Arabi). Ràzì ne fa una chiara descrizione
in un brano che va considerato un classico della medicina; basterà
citarne una sola frase: «Eccitazione, nausea e irrequietezza sono più
notevoli nel morbillo che nel vaiolo, mentre il dolore alla schiena è
più forte nel vaiolo che nel morbillo»(7).
L'opera più importante di Ràzì fu però l'enciclopedia di medicina,
conosciuta come Al Hawi, la cui versione in latino, Liber
Continens, pubblicata nel 1486 a Brescia, è estremamente rara
(esiste un solo manoscritto completo dell'originale). Nella stesura
dell'opera l'autore seguì il caratteristico metodo arabo di premettere
alle proprie le opinioni di altri scrittori(8).
Infatti, Al Hawi contiene resoconti assai circostanziati di molti
casi, perché Ràzì, fedele seguace del metodo ippocratico, disapprovava
l'asserzione, così ricorrente, che si potesse diagnosticare una malattia
col semplice esame delle urine ed era fermamente contrario a ogni cura
magica o ciarlatanesca. La sua enciclopedia non tratta soltanto di
medicina, ma anche di filosofia, astronomia e matematica, perché, come
molti altri scienziati, egli era uomo di vasti interessi(9).
Contemporaneo di Ràzì, vissuto però in altra regione dell'impero
musulmano, merita di essere ricordato Isacco Ebreo (845-940 a. C.),
egiziano, medico del governatore della Tunisia e autore di libri sulla
dieta, sulle febbri, sulle medicine semplici e sull'urina. La raccolta
delle sue opere fu stampata nel 1515, ed era molto richiesta ancora nel
XVII secolo. La troviamo citata anche da Robert Burton (1577-1640) nella
sua Anatomia della malinconia. Contiene un buon numero di
aforismi , tra cui: «Chiedi il tuo compenso quando la malattia è
all'acme, perché il malato, una volta guarito, dimenticherà certamente
quello che hai fatto per lui»; e ancora: «Se a un medico capita un
infortunio, non aprir bocca per condannarlo, perché ciascuno ha la sua
ora».
LA
SCHEDA
L'influenza greca sulla cultura medica del mondo occidentale si estende
per tutto il millennio che va dal 500 a.C. al 500 d.C. Il millennio
successivo, quello compreso tra il 500 d.C. e il 1500 d.C., può essere
considerato come il periodo medievale della medicina: un'epoca di grandi
conflitti, di mutamenti socio-politici, di regresso, ma anche di
progresso. Nell'arco di questo millennio, le tradizioni classiche del
defunto Impero Romano, le pratiche del paganesimo barbaro, le filosofie
del Cristianesimo in rapida espansione, e la pressante sete di
conoscenza che seguì la straordinaria ascesa dell'Islam, si
amalgamarono. La medicina medievale trasse ispirazione in varia misura
da tutte queste fonti e tramandò alle epoche successive un corpus
medicum che aveva tratto vantaggio da questa commistione di sistemi
così diversi.
Nel primo Medioevo, l'Europa occidentale subì una serie di invasioni
barbariche, che distrussero senza pietà biblioteche e centri di cultura.
Non meno devastanti per la vita e per il morale degli uomini furono le
epidemie di peste che dilagarono in tutto l'Occidente.
In questi secoli la medicina greco-romana, divenuta priva di interesse
dopo Galeno, era di fatto scomparsa; solo le opere pazientemente copiate
e conservate dai monaci nei Monasteri cristiani si salvarono, benché
nascoste dentro le mura di chiostri sparsi qua e là per l'Europa.
Sebbene fossero considerati d'importanza secondaria rispetto alla
missione sacra, gli scritti dei monaci rispecchiavano gli aspetti più
pratici della medicina monastica e furono utili per preservare
all'interno dei monasteri le infermerie e gli orti di erbe officinali.
Il periodo della medicina monastica si concluse ufficialmente quando, nel
1130, il Concilio di Clermont vietò a tutti i monaci la pratica della
medicina.
Ciò che cambiò il corso della medicina nel mondo occidentale, recuperando
l'eredità perduta dell'epoca greco-romana, fu l'incontro con la scienza
araba. Erano trascorsi meno di cento anni dalla fuga di Maometto dalla
Mecca (622 d.C.) e gli Arabi musulmani avevano già conquistato il Vicino
Oriente, il Nord Africa e la Spagna, e nel 737 d.C. erano giunti fino
alle sponde della Loira, in Francia. La loro conquista 'concettuale'
della scienza e dei classici greci non fu meno rapida.
Le conoscenze degli antichi Greci, in medicina come in altri campi,
giunsero agli Arabi attraverso i membri delle sette cristiane (come ad
esempio quella dei Nestoriani), che vennero cacciati dall'Impero
Bizantino, importante centro di cultura quando Roma decadde e il
Cristianesimo divenne la religione predominante. Tra queste persone
esiliate vi erano degli studiosi, che tradussero le opere degli autori
greci nelle lingue semitiche: inizialmente in siriano e in ebraico, poi
in arabo. In tal modo, gli Arabi conobbero e abbracciarono con
entusiasmo gli insegnamenti di Ippocrate e di Galeno e, prima del X
secolo, a Damasco, al Cairo e a Baghdad, tutte le più importanti opere
greche di medicina erano state tradotte, assieme a una quantità di
classici greci maggiore di quanti ne conoscesse il mondo occidentale
prima del Rinascimento. Gli Arabi cominciarono allora a integrare il
corpus di opere della tradizione greca con le proprie scoperte e le
proprie osservazioni.
Non vi è dubbio che nel Medioevo la civiltà araba fosse più progredita di
quella dell'Occidente. Uno dei fattori determinanti fu probabilmente la
grande tolleranza saggiamente manifestata dagli Arabi nel primo
Medioevo. Molti dei famosi medici 'arabi' erano in realtà siriani,
persiani, spagnoli, ebrei o cristiani che scrivevano in arabo; questo
era vero non soltanto nei grandi centri del mondo arabo orientale, ma
anche nei regni arabi in Spagna. I continui scambi tra i Califfati
orientali e occidentali tenevano entrambe le aree geografiche ben
informate sulle traduzioni delle vecchie teorie e sui nuovi sviluppi. Fu
solo attraverso questo lungo giro per il Vicino Oriente, il Nord Africa
e la Spagna, che la tradizione medica degli antichi Greci fu restituita
alla cultura occidentale, arricchita dei contributi apportati dagli
uomini di scienza arabi.
Gli enormi vantaggi che l'Occidente trasse in tutti i campi dai suoi
contatti con la civiltà araba sono testimoniati dal fatto che usiamo
ancora oggi il sistema numerale che gli Arabi adattarono dall'India;
inoltre, molte delle parole attualmente in uso come 'algebra', 'alcool'
e tante altre, sono di origine araba. Nel XII secolo, grazie soprattutto
alle scuole che si trovavano in Sicilia e in Spagna, le traduzioni in
latino dei grandi libri di medicina arabi basati su Galeno e su
Ippocrate furono fruibili in Occidente e, fino al XVI secolo, nelle
nuove Università occidentali, come Montpellier e Bologna, gli Arabi
furono considerati le maggiori autorità in medicina.
Tutti, Arabi, Ebrei e cristiani, reputavano Avicenna e Ràzì i più grandi
autori arabi di libri di medicina. Oggi si pensa generalmente che le
opere di Ràzì siano più importanti di quelle di Avicenna, per la
maggiore attenzione che in esse viene attribuita all'osservazione e per
la grande capacità inventiva dimostrata dall'autore; tale giudizio è
però l'opposto di quello che veniva dato su questi due scrittori nel
Medioevo.
Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya al Ràzì, conosciuto in Occidente come Ràzì,
era nato nella città persiana di Rai nell'865 d.C. circa. Sembra che
fino a trent'anni i suoi interessi principali fossero la musica, la
fisica e l'alchimia. Si dice che durante una visita all'ospedale di
Baghdad egli fu preso da una tale passione per la medicina che decise di
dedicare il resto della sua vita a questa professione. Studiò con il
medico ebreo Ali ibn Sah al-Tabari, esperto di medicina greca, persiana
e indù e, dopo essere stato direttore dell'ospedale della propria città,
intorno al 907 d.C. Ràzì divenne direttore di un grande ospedale a
Baghdad, nonché medico di corte. Sembra che viaggiasse molto e che si
sia recato a Cordova, a Gerusalemme e in diverse città africane. Divenne
celebre come medico, professore, erudito e benefattore dei poveri.
Si ritiene che Ràzì abbia scritto 237 libri, dei quali solo 36 sono
sopravvissuti fino a oggi, e, anche se in essi egli trattò tutte le
scienze, quella per cui nutriva più interesse era la medicina. Nelle sue
teorie Ràzì era un galenista, ma nella pratica sembra che si ispirasse
maggiormente ai principi di Ippocrate. Dimostrò una grande indipendenza
e originalità e i suoi scritti sono ravvivati da descrizioni e
osservazioni personali.
Tra le opere di Ràzì la più famosa è la raccolta conosciuta in latino con
il titolo di Liber Continens, una specie di enciclopedia medica postuma,
ricavata dai suoi appunti. Più breve è invece il libro, sempre a
carattere enciclopedico, dedicato al principe persiano Almansor.
Tuttavia, l'opera che oggi viene tenuta in maggior considerazione è il
piccolo libro che Ràzì scrisse sul vaiolo e sul morbillo (uno dei pochi
a essere stato tradotto in inglese), il cui grande pregio sta
nell'offrire la prima descrizione medica di queste due importanti
malattie infettive. Sebbene le teorie umorali ivi menzionate sembrino
strane a un lettore moderno, e sebbene Ràzì non differenzi pienamente le
due malattie, le descrizioni cliniche sono chiare e concise e il volume
si occupa principalmente della componente terapeutica.
Gli scritti di Ràzìi contengono osservazioni sagaci e penetranti su
svariati argomenti, come il singhiozzo, i purganti, le lesioni alla
spina dorsale e l'embriotomia. Altri contributi pratici da lui dati alla
scienza medica furono l'introduzione dei composti di mercurio come
purganti (dopo averli testati sulle scimmie), l'introduzione degli
unguenti al piombo e di fili per le suture ricavati dalle budella degli
animali. Egli fu forse il primo a osservare e a registrare la reazione
della pupilla alla luce. Ràzì, poi, consigliava l'uso di acqua fredda
nei casi di febbre infiammatoria e insisteva sul fatto che la cura della
febbre si dovesse basare sulle cause. Il suo libro sulle 'abitudini che
diventano naturali' può essere considerato un primo e imperfetto abbozzo
della teoria del riflesso condizionato.
Le malefatte dei ciarlatani erano soggette a severi attacchi e Ràzì
scrisse molto su di loro; ma criticò anche le pratiche negligenti di
alcuni medici, che spingevano i pazienti a rivolgersi ai ciarlatani.
Ràzì scrisse anche il primo libro a noi noto sulle malattie infantili e un
volume sulla 'cura in un'ora', che doveva sicuramente essere stato molto
popolare. Descrisse uno strumento per rimuovere i corpi estranei
dall'esofago e inventò un catetere in piombo, che a suo parere era da
preferire per la sua flessibilità.
Il suo trattato Una dissertazione sulla causa della coriza che si
manifesta in primavera quando le rose emanano la loro essenza è la prima
descrizione del raffreddore da fieno (la coriza è la rinite).
Dotato di grande sensibilità, Ràzìi non poteva tollerare la povertà e la
sofferenza e, sebbene i suoi onorari fossero molto alti, la sua
generosità era tale che morì in povertà. Negli ultimi anni della sua
vita divenne cieco, probabilmente come conseguenza di colpi in testa
datigli dal principe Almansor durante un accesso di rabbia. Sembra che
di conseguenza in vecchiaia soffrisse di cataratta e che avesse
rifiutato l'operazione, sostenendo di aver visto talmente tanto «dei
dolori e delle miserie» del mondo da esserne ormai stanco. Sebbene la
documentazione a tal proposito sia piuttosto vaga, si ritiene che sia
morto intorno al 925 d.C.
Anche dopo più di mille anni di progresso in campo medico, ancora oggi le
opere e le realizzazioni di Razi suscitano ammirazione fra gli studiosi
di medicina del giorno d'oggi.
Dopo Ràzì la fiaccola della medicina araba venne portata ancora più in
alto da Avicenna (Ibn Sina, 980- 1037), un altro Persiano che scriveva
in arabo. Egli fu medico, farmacista, poeta, filosofo e uomo politico
dalla carriera tempestosa. Il suo grandioso Canone, ritenuto il più
famoso testo di medicina che sia mai stato scritto, non fu che uno degli
oltre cento trattati medici a lui attribuiti.
Nel Califfato occidentale, i nomi di Averroè (Ibn Ruschd, 1126-98) e del
medico e filosofo ebreo Maimonide (Musa Ibn Maimun, 1135-1208)
brillavano nel firmamento della medicina medievale.
Nel 1148 la conquista di Cordova da parte dei primitivi e bigotti Almoadi,
musulmani rigidamente ortodossi, segnò la morte della scienza e della
medicina araba in Occidente; mentre, nel 1258, l'Impero d'Oriente cadde
a sua volta nelle mani degli spietati Mongoli, guidati da Hulagu Khan.
Non solo i tesori intellettuali accumulati vennero distrutti, ma gli
intellettuali e gli eruditi furono quasi tutti uccisi senza pietà. In
Occidente, tuttavia, gli Almoadi furono sottomessi dai Cristiani, i
quali fortunatamente non distrussero la cultura islamica, ma la
assorbirono in gran parte, a vantaggio delle successive generazioni di
medici.
«La medicina e la scienza islamica» scrive Meyerhof(10),
«riflettevano la luce del sole ellenico, dopo che ormai i suoi giorni
erano volti al termine; esse splendevano come la luna, illuminando la
notte più buia del Medioevo europeo. Alcune stelle luminose offrirono la
loro luce, quella luna e quelle stelle impallidirono all'alba di un
nuovo giorno: il Rinascimento».
NOTE
1 -
San Basilio di Cesarea, che nel 372 d.C. fondò uno dei primi ospedali,
sosteneva proprio questo principio. L'ostilità alla scienza secolare
raggiunse il suo massimo nel 391, quando una turba di fanatici cristiani
diede fuoco al Serapèion, distruggendo anche l'annessa biblioteca, con i
suoi inestimabili tesori del sapere.
2 -
Va detto che le parole
'arabo' e 'arabico' si usano qui esclusivamente in relazione alla lingua
in cui si espressero gli scienziati di cui parliamo, che ben di rado
erano nati in quella terra o erano di razza arabica; alcuni erano
siriani, altri persiani, altri ancora, quando l'Impero musulmano si
estese, spagnoli, e neppure erano tutti maomettani: molti erano
cristiani, alcuni ebrei.
3 -
Il profeta Maometto
nacque nel 570 d. C. e l'Impero musulmano da lui fondato, che finì per
estendersi dalla Spagna fino a Samarcanda, durò dal VII fino al XIII
secolo, cioè dai giorni del profeta fino al sacco di Baghdad da parte
dei Tartari.
4 -
Bandito per eresia nel
431, Nestorio si trasferì con un gruppo di seguaci a Edessa (ora Urfa)
in Asia Minore, dove fondò una scuola di medicina, e di là, ancora a
causa di persecuzioni, fuggì in Persia.
5 -
Medico capo del grande
ospedale di Giundisabur era Jurjir (Giorgio) Bukht Yishù, il primo di
una dinastia di eminenti dottori; membro ancora più famoso di questa
famiglia di siriani cristiani fu Gabriele, nipote di Giorgio e medico
della corte di Hartin al-Rashid, il famoso califfo delle Mille e una
notte. Altro medico cristiano di Giundisabur fu Hunàin ibn Ishaq, noto
nel Medioevo con il nome di Joannitus, vissuto al principio del IX
secolo. Famose le sue opere
Questioni di medicina e Dieci trattazioni sull'occhio, probabilmente il
più antico testo di oftalmologia. A quei tempi il papiro e la pergamena
erano stati sostituiti dalla carta, inventata in Cina, e una fabbrica di
carta era sorta a Baghdad nel 794 d.C.
6 -
L'edizione in folio in
latino, datata 1486, del suo hiber Continens, pesa circa dieci chili.
7 -
Nel 1848 è apparsa una
traduzione inglese del volume Del vaiolo e del morbillo, eseguita da
Greenhill per la Sydenham Society.
8 - «Il
tale e il tal'altro dicono, ma io dico [...]». A proposito dell'asma,
asserisce: «Ben Mesue diceva: "alle persone che soffrono di asma, date
due dramme di polmone di volpe seccato e ridotto in polvere, sciolte in
una bevanda" Galeno diceva che molti curano l'asma con sangue di
civetta, sciolto nel vino. Io dico che non si deve dare sangue di
civetta, perché ne ho visto somministrare inutilmente».
9 -
Mansuri o Liber Almansoris, è un altro breve testo di medicina dedicato
al governatore Mansur ibn Ishàq, in cui si parla di argomenti disparati,
come ad esempio di fisiognomica, e si danno consigli per l'acquisto di
schiavi, istruzioni mediche per i viaggiatori e istruzioni sui morsi di
animali velenosi.
10 -
M. Meyerhof, Science and
Medicine: the Legacy of lslarn, London 1931.
"Il Codice di Hammurabi" SEGUE >>
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