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GLI OLI MEDICINALI
NELL’ANTICA PRATICA MEDICA

Crescete, o piante generose, orgoglio di mia patria e speranza
Intus mulsus, foris oleo

 

ANTONIO MOLFESE
 

 

Premessa

Il potenziale valore medicamentoso delle piante deve sicuramente aver suscitato la curiosità dell'uomo primitivo, il quale, basandosi sull'osservazione del comportamento degli animali, o lasciandosi guidare dall'istinto o, molto più semplicemente, affidandosi al caso, ha fatto tesoro di una serie di esperienze "farmacologiche" tentando poi di trasmetterle oralmente ai propri simili. L'uomo ha saputo trarre profitto dagli insegnamenti della natura, con la quale viveva in stretta simbiosi, e che gli ha offerto gli strumenti per aiutarlo a difendersi dai pericoli più insidiosi che mettevano a repentaglio la sua vita, non ultime le malattie. Egli probabilmente ha tentato di contrastarle, a costo di mettere a repentaglio anche la propria pelle, sperimentando i rimedi ricavati dalle piante, che spesso anche il buon olio, prodotto dalle olive, veicolava. La raccolta degli oli medicinali presentata vuol essere un omaggio all’olio, che ha rappresentato nel passato risorsa alimentare, cosmetico coadiuvante nei massaggi, usato anche dalla religione cristiana come olio benedetto, per illuminare le chiese e come farmaco per la cura dei mali. Attualmente, l’olio prodotto nelle varie regioni, con caratteristiche organolettiche proprie, legate alle diverse varietà di cultivar, rappresenta un prodotto di qualità, che deve essere continuamente migliorato e protetto. Anche in Basilicata si produce olio di ottima qualità molto apprezzato dagli intenditori. È un fiore all’occhiello del quale possiamo andare fieri. Non facciamolo appassire!




Un Po’ Di Storia

Gli antichi ebbero la chiara intuizione dell’importanza dell’ulivo fin dai tempi più remoti; è certo che fin da allora, insieme al grano ed al vino, fu fonte di un attivo commercio, anche per il fatto che, pur divenendo ovunque l’olio, ben presto, di uso comune, non si diffuse con altrettanta facilità la coltivazione dell’ulivo a causa delle particolari condizioni di clima e di suolo che esso richiedeva. Nell’ ”Iliade” e nell’ ”Odissea”, ma anche nell’ “Eneide”, si scopre che gli atleti, prima di una gara, usavano l’olio per massaggi e che, spesso, al vincitore, fra gli altri premi, veniva assegnata anche una corona d’ulivo. L’uomo, da sempre ha dato enorme importanza alla pianta dell’ulivo, trattandola con il rispetto che si conviene alle cose sacre ed il rapporto fra loro è così antico e profondo che viene da immaginare una leggenda mai trascritta fino ad ora. Le origini di questa pianta sono remote ed immerse nel mito: gli storici fanno risalire l’origine dell’ulivo olea sylvestris sulle aride colline asiatiche che si trovano fra il Pamir ed il Turkmenistan, ove era certamente coltivato 6.000 anni fa. L’Olea sativa ha avuto, quindi, il centro di origine nella regione compresa tra l’Armenia ed il Turkestan, da dove si sarebbe diffusa verso le aree mediterranee fino alle isole dell’Egeo e alle assolate colline dell’Anatolia. Fu introdotta nel Mediterraneo proprio dai Fenici: certo è che l’attecchimento è stato eccellente, sia sul terreno che sulla cultura dei popoli, conquistando un posto centrale nell’agricoltura, nell’alimentazione e nel rituale religioso, radicandosi poi nella civiltà ellenica e romana. Questo attecchimento, che potremmo definire culturale, oltre che colturale, ha finito per identificare l’area mediterranea come “luogo di nascita” della pianta dell’ulivo. Il suo trapianto in Grecia trovò un’inaspettata fortuna e applicazione, che la resero, poi, indispensabile ai popoli antichi del Mediterraneo ed in quel vasto territorio assolato e fertile che fu la Magna Grecia, le terre costiere della Puglia, della Basilicata, della Calabria, della Sicilia e della Campania1. L’olio spremuto dalle olive non era soltanto, nell’antichità, una risorsa alimentare, ma era usato anche come cosmetico e come coadiuvante nei massaggi e, gli atleti, in particolare coloro che si dedicavano alla lotta, usavano cospargere i muscoli di purissimo olio. La coltivazione dell’ulivo raggiunse Roma dalla Grecia, attraverso l’Italia meridionale, dopo il 580 a. C., quando anche la vite arrivò sui colli dell’alto Lazio e dell’Etruria; nel periodo classico era conosciuta in tutte le regioni della costa mediterranea, quando appunto nacquero le colonie greche ioniche di Sibari (720 a. C.), Crotone, Metaponto e da qui l’ulivo avrebbe iniziato la sua diffusione anche negli altri paesi costieri del Mediterraneo. I principali centri di cultura dell’ulivo in Italia furono quelli della Magna Grecia (nell’Italia centrale in primo luogo il territorio di Venafro, Cassino, la Sabina, il Piceno e nell’Italia del nord le coste della Liguria e sulle rive orientali dell’Adriatico e nell’Istria). Le prime piantagioni di ulivi nella Gallia apparvero nei pressi di Marsiglia; nella Spagna, lungo tutta la regione mediterranea, e nell’Africa furono i Fenici che ne diffusero la coltivazione lungo il litorale, di guisa che all’epoca dell’Impero l’ “olea europaea” aveva occupato tutte le regioni adatte alla sua coltivazione. La religione cristiana, riferendosi all’ulivo e al suo olio, come è citato nei Vangeli, estese il dono dell’olio benedetto a tutta la comunità dei credenti e così questo è presente, come simbolo, in tutte le cerimonie religiose, dal battesimo alla consacrazione dei neosacerdoti, oleum catechumenorum, per la cresima, sacro crisma, ed in fine per offrire l’estrema unzione ai morenti, oleum infirmorum. Nei monumenti e nelle monete dell’antichità romana si trovano scolpite o incise le foglie di ulivo, a volte associate al lauro, a volte alla quercia, a volte all’acanto, come pure nelle antiche pitture murali il fogliame di ulivo costituisce l’elemento principale dei vari motivi di decorazione. Per i Romani, l’olio di oliva era un prodotto pregiato per l’alimentazione, per la cosmesi, la medicina e per l’illuminazione. Si è stimato che il consumo medio di olio a Roma nell’età imperiale superava i 22 Kg. pro capite per anno; se paragoniamo tale stima con la media di circa 30 Kg. pro capite/anno, attualmente rilevata in Italia per il consumo totale di grassi, sia animali che vegetali, possiamo avere ulteriore conferma dell’importanza dell’olivicoltura mediterranea al tempo dei Romani.

1 Nonostante il grande uso che si fece dell’olio d’oliva nell’antichità classica, c’è ancora chi sostiene che la prima regione italiana, dove attecchirono le coltivazioni d’ulivo, fu la Liguria.

 


L’olio nell’antichità

L’agricoltura repubblicana a Roma consentiva in primo luogo la cura del vigneto e degli appezzamenti a frumento, in secondo luogo quella dell’uliveto. Ci sono pervenute notizie di uliveti di 60 ettari, che prevedevano la presenza di uno schiavo- fattore con la sua famiglia e con una dozzina di “operai”. Il lavoro era particolarmente intenso quando ci si disponeva alla bacchiatura delle olive, la cui raccolta veniva eseguita esclusivamente a mano; in gran fretta, poi, si portava il raccolto al frantoio, che generalmente era attrezzato nei dintorni della casa colonica o al centro dell’uliveto. La fattoria classica di epoca repubblicana, infatti, prevedeva una casa per colui che conduceva il fondo (nei casi del fattore di un uliveto, Plauto usa l’espressione olearius), magazzini, stalle e un frantoio. Per quanto riguarda la produzione dell’olio, il proprietario doveva approntare il «trapetum instructum funibus» e le «regulae», cioè i singoli strumenti per la pressione e la raccolta del prodotto, l’«aenum», ossia il recipiente per il lavaggio delle olive, ed infine i «vasa olearia» per la conservazione del prodotto. Presso i Romani l’olio di oliva era conservato in colossali anfore di terracotta, rese impermeabili da una speciale verniciatura al piombo. Per l’estrazione dell’olio, si faceva quindi uso di grossi mortai di pietra nei quali le olive erano schiacciate grossolanamente, in modo da spremere soltanto il primo olio, che rappresentava il più puro e più stimato e come tale era l’unico prescelto per tutte le cerimonie del culto. La seconda estrazione veniva fatta sottoponendo al frantoio le olive, già in parte spremute, ed ottenendo in tal modo una qualità di olio meno puro, meno dolce e meno stimato, del quale si faceva normalmente uso, sia per l’alimentazione, sia per altri bisogni comuni. Alcuni frantoi erano generalmente formati da due pietre, di cui una concava per ricevere le olive, l’altra che vi girava sopra per schiacciarle e spremerne l’olio. La fecondità dell’ulivo nel portare i suoi frutti e nell’essere circondato da numerosi rampolli, che germogliano vigorosi attorno al tronco principale, non mancò di suscitare felici immagini; ed è così che i figli numerosi, attorno alla tavola del padre di famiglia, sono poeticamente paragonati ai germogli dell’ulivo che vegetano folti e rigogliosi attorno al tronco principale, i cui rami, perennemente ricoperti di verdi foglie, simboleggiano la continuità della vita e rendono l’idea del vigore sano e fecondo, associato ad un concetto di serenità e di pace. La parola “olio” nelle lingue occidentali può essere fatta risalire, attraverso la parola latina oleum e quella greca elaion, fino alla più antica parola semitica ulu. Esistevano ben dieci varietà diverse di piante di ulivi e l’olio prodotto veniva classificato in cinque categorie. -oleum ex albis ulivis, il più pregiato ottenuto da olive verde chiaro, -viride, ottenuto da olive che stanno annerendosi, -maturum, frutto della spremitura di olive mature, - caducum, ottenuto da olive raccolte da terra -cibarium prodotto con olive bacate e destinate agli schiavi. Per ottenere olio di prima qualità (quello che noi oggi chiamiamo “extra – vergine”) in Palestina, nei tempi antichi, si evitava la pressatura: le olive erano semplicemente depositate in una cesta da cui l’olio cadeva goccia a goccia in un recipiente, oppure la quantità raccolta era sistemata in un vano roccioso a forma di cupola, da cui l’olio colava attraverso un foro praticato in basso (in questi due casi era lo stesso peso delle olive che le “spremeva”). Un altro sistema ancora era quello che prevedeva vari annaffiamenti con acqua calda su cui l’olio andava raccogliendosi in superficie.
Con la parola “oleum”, gli antichi Sabini indicarono inizialmente soltanto l’olio d’oliva, cioè l’olio per eccellenza, anche perché fu la prima sostanza oleosa da essi conosciuta ed usata. Indipendentemente dalle località più rinomate per la finezza dei loro oli, l’Italia produceva delle qualità molto diverse, a seconda dei diversi sistemi adottati per l’estrazione e lo stato di maturità delle olive portate al frantoio e cioè:

1. L’ “oleum acerbum”, conosciuto anche sotto il nome di “oleum aestivum”, “oleum spanum” “oleum crudum”, corrispondente all’ “omphacion” o “omotribes” dei Greci, e che si estraeva dalle olive acerbe, spremute senza riscaldarle.

2. L’ “oleum strictivum”, che era l’olio destinato all’uso esterno, corrispondente all’olio verde dei Greci, che si otteneva dalle olive semiacerbe.

3. L’ “oleum cativum”, denominato anche “oleum romanicum”, ovvero “oleum comune”, estratto dalle olive nere e corrispondente all’ “oleum maturum” dei Greci.

4. L’ “oleum cibarium”, che era la qualità più scadente e si otteneva dalle olive nere, ammaccate ed anche guaste, spremute dopo qualche tempo dal raccolto. Era questo l’olio che veniva distribuito agli schiavi e naturalmente usato anche dall’infima plebe.

I mercanti di olio all’ingrosso (Plauto), per imporre alti prezzi di vendita e per impedire la reciproca concorrenza, ai tempi della Repubblica, si erano stretti in lega; organizzarono razionalmente la distribuzione ed il commercio dell’olio e costituirono fin d’allora l’«arca olearia», una sorta di borsa dell’olio di oliva, dove collegi di importatori, negotiatores olearii, trattavano prezzo e quantità. I Greci ed i Romani incominciarono assai per tempo a fare uso della “mola olearia” – molino ad olio – che, mentre in principio fu assai semplice e rudimentale, andò in seguito di mano in mano perfezionandosi mercé i progressi della meccanica, e del “trapetum” – frantoio o trappeto come è detto in alcuni paesi – che, secondo la leggenda, fu inventato da Aristeo. La buona separazione dell’olio dal liquido acquoso, anche con la pressa a trave (1500-1400 a. C.), era essenziale, in quanto quest’ultimo conteneva una sostanza amara2 che avrebbe potuto rovinare il buon sapore dell’olio; successivamente, si poteva effettuare una seconda e terza pressatura, ognuna di qualità inferiore alla precedente, dopo aver fatto inzuppare la polpa di acqua calda. Generalmente, in tal modo, si avevano tre qualità di olio: la prima, per cucinare, le altre per uso di cosmesi e preparati da toeletta. Per il trasporto dell’olio si costruirono le «marciliane», apposite navi a fondo piatto, capaci di trasportare fino a 5.000 botti di olio di oliva. L’olio era d’uso normale in medicina, nelle “unzioni” dei sovrani e dei potenti (ricordiamo che la parola christos, usata come appellativo di Gesù, non significa altro che “unto”); ogni sacrificio alimentare doveva essere accompagnato da una libagione d’olio, cioè il liquido veniva fatto colare sulla pietra del santuario. I pastori latini si nutrivano con il puls, una polentina a base di orzo, farro, verdure cotte, cipolle, aglio, il tutto frullato nell’olio di oliva. Il rancio dei soldati romani, il moretum, era una piccantissima insalata composta da erba ruta, sedano, formaggi di capra, aglio, cipolla, ed olio di oliva. I legionari romani venivano inoltre retribuiti giornalmente con il sale, i cereali, una testa d’aglio, cipolle e molte olive. Orzo, pesce, cipolle, fichi e olive erano il compenso dei lavoratori egiziani alle piramidi. Inoltre, agli inizi del 1800, un contadino pugliese riceveva come vitto, quotidianamente, un rotolo ed un terzo di pane che mangiava con acqua, sale ed olio. L’olio d’oliva, adoperato come farmaco, sia da solo, sia combinato con altri ingredienti, ebbe nell’antica medicina un consumo assai più vasto di quanto oggi si possa immaginare, non solo per la complessa farmacopea fin d’allora in uso, ma anche per la mancanza di oli e di lubrificanti minerali, di cui oggi disponiamo. L’olio d’oliva fu usato largamente dagli antichi come medicina, sia al suo stato naturale, sia associato con altre sostanze (oli medicati3), sia come parte integrale di più o meno complesse composizioni. L’olio d’oliva era inoltre ritenuto come un eccellente controveleno e, assunto con l’acqua addolcita con miele, o mediante un decotto di fichi secchi, neutralizzava ogni sorta di veleno, come pure preso assoluto e poi vomitato annientava gli effetti nocivi di varie sostanze velenose. Un’idea più completa del largo uso dell’olio nella antica farmacopea ce la fornisce il vasto e complesso laboratorio farmaceutico, istituito in Roma dal celebre medico Ila, che, per soddisfare alle molteplici richieste della sua numerosa clientela, aveva raccolto nei suoi vasti magazzini un ricchissimo assortimento di erbe e droghe medicinali d’ogni genere, capaci di soddisfare alle esigenze dei casi più disparati e disperati. Il vasto Stabilimento Farmacologico di Ila non soltanto poteva contenere tutto il complesso armamentario di medicinali occorrenti, ma anche accogliere tutti i malati e le donnicciole che ogni mattina vi affluivano per consultare l’autorevole discepolo di Esculapio e per confabulare delle notizie del giorno e della politica, nonchè per sparlare del prossimo (una vera farmacia, adibita alla vendita dei medicinali ed a luogo di convegno degli sfaccendati). L’edificio si componeva di due ambienti principali: il laboratorio ed il magazzino, il quale, per l’enorme quantità e per innumerevoli qualità di olio che vi si trovavano accumulate nelle anfore di colossali dimensioni, addossate alle pareti, si presentava come una vasta cella olearia. In un cortile, uno stagno artificiale conteneva ranocchi, tartarughe e lumache; una grande gabbia racchiudeva topi d’Africa e sorci grigi, i quali saltellavano senza tregua; entro un boccale sonnecchiava un groviglio di vipere, e due volpi, imprigionate entro una botte, chiusa sul davanti da una inferriata, seguivano instancabilmente con gli occhi i movimenti dei passi di tutte le persone che andavano e venivano. I vasi esposti nel magazzino erano allineati, con un certo ordine, su apposite assi e divisi a seconda del loro contenuto e cioè: ceneri ottenute dalla cremazione di rettili di varie specie, ceneri di teste di cani morti di idrofobia, di escrementi di cane, di teste di pesci, di lombrichi, di donnole bruciate vive ecc. Seguiva a fianco lo scompartimento degli escrementi sia disseccati, sia conservati nell’olio d’oliva: escrementi di polli, di piccioni, di vitelli, di porci, di cani, di asini ecc. e dopo di essi un ricchissimo assortimento di prodotti minerali e vegetali. Tutte le mattine, i numerosi fornitori abituali portavano dalla campagna latte di donna, di pecora e di capra, urine fresche di varie qualità e piante necessarie per le molteplici ricette della giornata, che venivano preparate nell’apposito laboratorio dal numeroso personale ivi adibito. Tutti i prodotti elaborati nello Stabilimento Farmacologico di Ila erano a base di olio, che non soltanto entrava a far parte nella composizione dei cataplasmi, delle unzioni, dei rimedi propinati per bocca, ma veniva anche adoperato in quantità rilevanti per la preparazione dei bagni. La celebre farmacopea di Ila era a base di olio, sia associato con foglie e fiori vegetali, sia con i più svariati prodotti animali, come ad esempio: ragni pestati, lombrichi, pelli di serpenti, ceneri ottenute dalla cremazione di topi, di donnole, di lumache, di teste di cani morti idrofobi, di feci di numerosi animali, sia terresti che acquatici, ovvero combinato con le feci stesse, ridotte in cenere, oppure allo stato naturale e diligentemente custodite sotto olio entro appositi vasi. Desta ripugnanza il pensare che queste sostanze venissero adoperate per la preparazione di cataplasmi, di unguenti e cose simili: ma l’incredibile è che gli antichi, sebbene di gusto tanto raffinato in fatto di gastronomia, non esitassero ad ingoiarle tranquillamente. Democrito di Abdera, il quale visse in ottima salute più che centenario, soleva ripetere che bisognava nutrirsi di miele ed ungersi di olio; Pollione Romilio, alla domanda rivoltagli da Augusto, con quale mezzo si potesse vivere a lungo in salute e raggiungere una invidiabile vecchiaia, diede una risposta analoga con le parole: “intus mulso, foris oleo” cioè facendo uso internamente di vino condito con miele (mulsum) ed esternamente di olio. Il grande naturalista Plinio fu dello stesso parere.

2 Oleuropeina
3 Oli medicati dei quali si riporta un elenco.

 

Le virtù terapeutiche dell’olio d’ulivo

L’olivo coltivato, non meno di quello selvatico, ha le sue notevoli virtù curative, perché, secondo lo stesso Plinio, le foglie sono astringenti e purgative al massimo grado; masticate ed applicate sulle ulceri, le raddolciscono: mescolate con olio, calmano i dolori di testa; il decotto di tali foglie, mescolato con miele, è eccellente per curare le parti cauterizzate, le infiammazioni delle gengive ed anche per arrestare le emorragie; mentre il succo è usato a scopo terapeutico per le ulcere, per le pustole rosse degli occhi e per la lacrimazione cronica. I fiori – sosteneva lo stesso Plinio – posseggono virtù non meno efficaci delle foglie e la cenere, ottenuta dalla combustione dei giovani rami ed aspersa di vino, si applica con molto giovamento sugli ascessi e sui tumori; mescolata con farina di polenta è un buon cataplasma per gli occhi. L’olio è efficace, come collutorio, contro il mal di denti; con la scorza abrasa dalla radice di un albero d’olivo giovane si cura l’emottisi e le espettorazioni. Plinio si dilunga molto sui benefici che sia le olive, sia l’olio da esse estratto, procurano. Afferma che le olive verdi giovano allo stomaco (con mare grosso, è opportuno mangiare olive e acciughe per vincere la nausea, questo lo sappiamo anche noi, oggi); che l’olio d’oliva, mescolato con vino, cura le affezioni della bocca, ma anche quelle delle orecchie. In un passo successivo, l’antico naturalista dice che l’olio deve essere giovane, fine, odoroso ma non aspro: l’olio molto giovane manterrebbe addirittura bianchi i denti. Se riscaldato e con una manciata di ruta aggiunta, calma le coliche e distrugge i dannosi parassiti intestinali. A prescindere dalle esagerazioni nelle quali incorsero gli antichi medici, è innegabile che il tannino abbonda in tutte le parti dell’ulivo e ciò basta per assicurargli un posto nel campo della medicina moderna rigorosamente scientifica. Le proprietà febbrifughe delle foglie di olivo avevano richiamato già da lungo tempo l’attenzione degli empirici; ed i medici spagnoli di provincia, ove le febbri intermittenti erano endemiche, le impiegavano in polvere, somministrandole quotidianamente in varie dosi, a seconda delle circostanze. Parimenti il dott. Faucher propose come febbrifugo l’estratto idro – alcolico di foglie d’ulivo; il dott. Hoste compose con foglie di ulivo selvatico un estratto idro – acido – “oleasterium” –, che egli preconizzò come succedaneo del solfato di chinina; ed in Provenza spesso si faceva uso di gargarismi astringenti, preparati essi pure con foglie di ulivo. Le foglie e la corteccia di ulivo, in estratto idroalcolico, ove si trova il glucoside oleuropina, erano usate, con azione molto dubbia, come febbrifughe. La VI Edizione della Farmacopea Italiana riporta il linimento oleocalcareo (acqua di calce e oli di oliva in parti uguali), usato per la frizione nelle parti dolenti per lenire il dolore.
 


L’olio per l’igiene del corpo

Nelle preparazioni cosmetiche troviamo con grande frequenza l’impiego di olio di oliva. Gli oli al basilico, al garofano, irto e salvia erano usati come deodoranti. Un portentoso unguento, utilizzato per la nutrizione della pelle e principalmente come antirughe, era a base di olio, vino bianco e rossi d’uovo e l’olio emulsionato al rosmarino, in estratto acquoso, fungeva da antiforfora e contro la caduta dei capelli. Per comprendere l’enorme consumo di olio fatto dagli antichi, occorre tener conto che non solo essi lo usarono come condimento e come medicinale, che se ne servirono a profusione per le unzioni e per i massaggi nelle palestre, nei bagni, sui campi di battaglia o nei viaggi, ma che tali unzioni furono un abitudine, anzi una vera necessità quotidiana, alla quale nessuno avrebbe potuto rinunziare, e la cui privazione equivaleva presso a poco alla mancanza del pane. Le unzioni non potevano praticarsi ad arbitrio di ognuno, ma dovevano essere disciplinate da apposite regole, a seconda del sesso, dell’età e del temperamento delle varie persone. Così alle donne venivano prescritte le frizioni moderate, fatte dall’alto in basso; ed anche quelle preparatorie per le loro esercitazioni ginniche dovevano essere praticate con moderazione; in quanto poi alle donne incinte, durante il primo periodo di gravidanza, era prescritto di sostituire ai bagni le unzioni ed i leggeri massaggi. Il bambino appena nato veniva sottoposto ad un’unzione oleosa condita di sale ed il giorno successivo era unto di olio dolce, con delicate frizioni sulle diverse parti del corpo; in seguito tali frizioni erano fatte allorché si destava. Quando più tardi il fanciullo incominciava a correre e a trastullarsi, doveva, prima di ricevere il vitto, essere sottoposto al massaggio oleoso e successivamente al bagno; tale pratica durava fino al quattordicesimo anno. Unzioni ristoratrici furono designate dagli antichi medici col nome di “Apoterapia”, quale sistema di cura, non solo preventiva, che dissipava la stanchezza, ma, come allora si diceva, smaltiva gli umori superflui, che, dopo esservi riscaldati e alterati, rimanevano ancora nell’organismo. Allorché un viaggiatore, dopo lungo cammino, arrivava in un albergo, il primo dovere di ospitalità dell’albergatore era di fargli una unzione di olio per ristorarlo dalla stanchezza del viaggio. Ulisse e Diomede, secondo la narrazione omerica (Iliade X), di ritorno dal campo dei Troiani, ove erano di nascosto penetrati a scopo di spionaggio per rendersi conto delle forze dei nemici e dei loro segreti di difesa, abbattuti per l’emozione dei pericoli corsi e sfiniti per la stanchezza, prima ancora di ristorarsi col cibo, pensarono a lavarsi ed ungersi di olio e poi si posero a mensa, la qual cosa dimostra che, già fin d’allora, le unzioni ed i massaggi di olio erano ben conosciuti per fortificare e rinfrancare le stanche membra.
 


Cura del corpo con l’olio

Si è già detto che nell’antichità era buona norma, dopo un bagno ristoratore o prima di una gara atletica, farsi massaggiare con olio misto ad altre sostanze “essenziali”; questo per rinvigorire e, nello stesso tempo, per rilassare i muscoli. Anche oggi, seppure in poche località e consigliato da pochi medici, viene praticato quello che può ben chiamarsi “metodo aromaterapico” per la salute e la bellezza del corpo. Sono necessarie, tuttavia, alcune pratiche complementari: 1) il massaggio con oli essenziali (essenza delle foglie e dei frutti dell’ulivo, mescolata, di volta in volta, e secondo i pareri del medico, con estratto di bergamotto, basilico, camomilla, canfora, eucalipto, ginepro, lavanda, melissa, menta piperita, rosa, rosmarino, sandalo e altro); 2) bagni, inalazioni e vapori; 3) uso delle erbe in cucina e negli infusi o nel tè. In questo tipo di massaggio l’olio viene applicato sulla pelle e fatto penetrare nel corpo usando le tecniche neuromuscolari che si accentrano sul sistema nervoso e sugli invisibili canali di energia che i medici e i guaritori orientali chiamano “meridionali”. Quando la pelle risponde a questo tipo di massaggio, le terminazioni nervose comunicano con gli organi interni, le ghiandole, i nervi e il sistema circolatorio: questo sistema è connesso con parti vitali del cervello, con quelle destinate a controllare il battito cardiaco, la pressione del sangue, la respirazione, il comportamento riproduttivo e la reazione agli stress. Gli oli puri – perfino con l’aggiunta di sola acqua – stimolano la pelle, rilassano e forniscono energia; gli amanti dei rimedi naturali considerano, infatti, l’olio extravergine d’oliva non soltanto come un alimento. Le insalatiere di legno, ad esempio, vanno lavate in acqua tiepida senza detersivo e quindi unte leggermente di olio: perfino pedule e scarponi possono essere ammorbiditi e impermeabilizzati con un batuffolo di cotone intriso d’olio; le padelle di ferro, in cui si cuoce, andrebbero sempre unte d’olio prima di riporle. Ma si può aggiungere olio all’acqua calda per un bagno rilassante (semmai aggiungendo estratto di lavanda o camomilla): chi ha le unghie fragili può rafforzarle tenendo la punta delle dita immerse in olio tiepido. Massaggi di olio d’oliva leniscono anche i dolori artritici. Con il passar del tempo l’olio è stato usato come veicolo di sostanze medicamentose, delle quali era stata dimostrata l’efficacia. Si designavano così le “dissoluzioni” di sostanze medicamentose negli oli fissi, di solito in olio di oliva, che si preparavano per macerazione, per infusione o per decozione. Essi si distinguevano in semplici o composti, secondo che contenevano una o più sostanze. I più usati fra gli oli semplici erano l’olio canforato (1: 9), l’olio jodato (%: 100), l'olio fenicato (1: 5), l'olio fosforato (1: 30), l'olio rosato (macerazione di 30 gr. di petali di rose pallide in 120 gr. di olio di olive); e poi gli oli di cammomilla, di giusquiamo, di belladonna, di stramomio, di cicuta, di castoreo, di cantaridi. Gli oli composti si chiamavano anche balsami oleosi, come il balsamo tranquillo (infuso di diverse piante narcotiche ed aromatiche in olio di olive), il balsamo verde di Metz (dissoluzione di solfato di zinco, trementina, aloe ed oli essenziali di ginepro e di garofano, in un miscuglio di olio di lino e di lauro). L’oliva, frutto dell' Olea europaea, appartiene alla famiglia delle Oleacee, pianta dell'altezza di 6-12 metri, introdotta in Europa dalla Palestina e dall’Asia Minore, che ora è abbondantemente coltivata in tutta la regione mediterranea, non solo nei territori piani, ma anche all' altezza di 1000 metri sul livello del mare. E’ un frutto ovale, di diversa grandezza, secondo le varietà ottenute dalla coltura e nel suo mesocarpio carnoso le cellule vegetali contengono, insieme con una materia granulosa, una quantità notevole di sostanza grassa, che è precisamente quella che costituisce l'olio di oliva 4. Le olive si usano principalmente per l'estrazione del loro olio5, che si ottiene per compressione e schiacciamento della loro polpa, e che si adopera a scopo culinario e come condimento grasso di molte vivande, in specie vegetali. Esso ha colore giallo-dorato, con una tinta verdastra, che gli proviene dalla clorofilla, sapore dolce e piacevole ed aspetto perfettamente limpido.
L’oliva si mangia pure allo stato naturale, sia fresca, sia disseccata. Per toglierle il sapore amaro, la si fa macerare per qualche tempo nella liscivia o nell'acqua di calce, che la rende anche più tenera. Il disseccamento delle olive si ottiene col calore in forni appositi. Così disseccate, esse riescono abbastanza tenere ed aromatiche, ma sono sempre difficili a digerirsi, principalmente per la corteccia e per la notevole quantità di fibra legnosa. Non si può parlare di valore nutritivo, poiché non se ne mangia mai tale quantità da poterlo apprezzare. Le foglie e la corteccia dell'ulivo hanno un’ amarezza molto spiccata e si usano come toniche, febbrifughe ed astringenti. L'olio di oliva era il costituente di tutti gli oli medicinali.
 


Applicazioni terapeutiche

L'olio di oliva, oltre a servire da veicolo e da solvente a molte sostanze medicamentose, aveva anche, come tale, importanti applicazioni in terapia, sia per uso interno che per uso esterno. Per uso interno esso si adoperava utilmente:

1° come eccoprotico nella stitichezza transitoria od abituale; ed è per questa indicazione antico rimedio popolare. La sua azione in questo caso era semplicemente quella di penetrare e rammollire le feci indurite e di lubrificare la parete intestinale, rendendo cosi più facile la loro progressione nell'intestino. Perciò l’ olio di oliva poteva usarsi con profitto nella stitichezza, specialmente dei bambini e delle donne, quando però ad essa non si accompagnasse uno stato catarrale dello stomaco e dell'intestino con fermentazioni abnormi, potendo in tal caso l’olio, per la facilità con cui andava soggetto ad irrancidirsi, accrescere l'irritazione locale. Per questa indicazione se ne davano da 1 a 2 cucchiai (piccoli o grandi, secondo l'età) ai bambini, e da 50 a 100 gr. agli adulti, sempre in una volta ed a stomaco digiuno. A scopo disostruente lo si adoperava nelle occlusioni intestinali, introducendolo per la via del retto, mercé l'enteroclisma, come propose Cantani e come poi fu fatto largamente da tutti. Con questo mezzo si poteva introdurre da uno a due litri d'olio, ottenendosene spesso effetti sorprendenti. Qualora non occorresse l'azione di una così grande quantità di olio, o non fosse possibile l'introduzione di esso, si poteva usare un'emulsione di olio ed acqua in parti eguali, che pure rendesse buoni servigi. L' enteroclisi di olio di olive fu sperimentata con vantaggio nell'entero-colite muco-membranosa, per l'efficacia dell'olio nella stitichezza spasmodica, che costituiva il substrato di questa forma morbosa6.

2° Come colagogo. La sua influenza come attivante la secrezione della bile fu dimostrata dalle esperienze di valenti ricercatori( Rosenberg e Troitzky), i quali videro che, in seguito all'ingestione dell'olio di olive, la bile si secerneva non solo in quantità maggiore ma era anche più fluida e quindi più scorrevole. Per questa azione oltre a trovare utile applicazione in tutti i casi in cui occorresse attivare la funzionalità del fegato (iperemie, ipermegalie malariche, ecc.) l'olio di olive procurava spiccati effetti nella litiasi biliare7. In questi casi l'olio d'olive si doveva dare a dose di 200 gr. in una o due volte, puro, o, se provocava intolleranza, emulsionato. L'emulsione si preparava sbattendo 200 gr. di olio con 20 gr. di Cognac, due tuorli d'uovo e mezzo gr. di mentolo. Se anche in questa forma non era sopportata, la si poteva introdurre (a dose di 400-500 gr.) con l'enteroclisma.

3° Come antidoto di alcuni veleni e caustici, specialmente degli alcalini (potassa, soda) e dei sali di piombo e di zinco, dove agiva come “involgente”, e, per gli alcali, anche come saponificante.

4° Come rimedio della colica saturnina, in cui non solo giovava, provocando copiose scariche ventrali, a calmare il dolore, ma concorreva a fare sparire i fenomeni di saturnismo che l'accompagnavano, come mialgie, artralgie, anestesie cutanee, cefalalgie e vertigini. La sua azione, in questi casi, si spiegava da alcuni con la possibilità che l'olio formasse col piombo, eliminantesi in massima parte attraverso l'intestino, un composto insolubile, ma saponificabile, e così toglieva dall'organismo una parte del piombo circolante, e diminuisse le probabilità di ridisoluzione e riassorbimento. Per uso esterno l’olio di olive si adoperava: 1. come mezzo indirettamente diaforetico, spalmandolo caldo sulla cute e poi avvolgendo il corpo in coperte di lana; in questa forma esso rendeva preziosi servigi nelle nefriti acute; 2. come involgente e protettivo nelle scottature di primo grado, sbattuto con albume d’uovo, o meglio con acqua di calce, a cui si poteva aggiungere l’1% di timolo e nelle punture di insetto.
 

4 La composizione chimica della sua polpa è rappresentata da 30.07 °/0 di acqua, 5.24 di sostanza azotata, 51.90 di grasso, 10.49 di sostanza estrattiva inazotata e fibra legnosa, 2.34 di ceneri.
5 Risulta dalla miscela del 22% di trigliceridi solidi (palmitina, stearina ed una piccola quantità di arachina) e 78 % di trigliceridi liquidi (oleina, con circa il 6% di linoleina)

6 Fleiner trovò assai utile introdurre 300 o 400 gr. di olio d'olive puro, reso tiepido a bagno-maria nelle ore della sera, a letto, facendolo ritenere tutta la notte ed agevolandone l'espulsione il mattino seguente mercè 30-40 gr.. di olio di ricino.
7 Sebbene il meccanismo con cui la sua azione in questa forma morbosa si esplicava non fosse ancora bene spiegato, si chiamavano in causa da alcuni la glicerina, da altri l'acido oleico; il fatto clinico confermava l' antica rinomanza popolare, di cui per tale indicazione l'olio di olive godeva specialmente in Italia.


Preparazione degli oli medicinali nelle spezierie dei conventi

Allo scopo di far conoscere come avveniva la preparazione degli oli medicinali nella spezieria dei conventi riportiamo la descrizione (Luigi Branco IL MONASTERO di SANTA MARIA DI ORSOLEO) di come era vissuta la vita nel convento.


Vita Del Convento

“Il convento di Orsoleo era uno dei più grandi, se non il più grande, nella Regione. Nel sec. XVI i conventi di Basilicata avevano, in media, una popolazione di quattordici frati. Orsoleo, quando fu fondato, nel 1474, era già capace di ventitré frati"; ma poi, si sa, fu ingrandito di molto. Qualche anno prima che fosse chiuso, nel tempo che si può considerare della massima decadenza, il convento aveva ancora, tra sacerdoti e laici, ventiquattro frati. Nel periodo del massimo splendore, quando, soprattutto nel secolo XVII, Orsoleo brillava per cultura e per ardore religioso, in tutta la Provincia monastica, essendo sede dello studio generale di teologia, il convento, tra padri, fratelli laici e giovani studenti, doveva avere una popolazione veramente considerevole. Tutti questi frati vivevano, come si sa, in una zona totalmente isolata, priva di strade, sopra un colle chiuso, in gran parte, da un fittissimo bosco dalla parte rivolta a nord-ovest, e da profondi calanchi verso sud-ovest. Il convento si prestava, perciò, in modo particolare alla vita contemplativa e allo studio, ma dava meno occasione per un'attività pratica di apostolato, anche perché i paesi che lo circondavano erano, più che veri centri abitati, dei villaggi di campagna, ad eccezione di Sant'Arcangelo e di Senise, che, soprattutto in alcuni periodi, furono più popolosi e più importanti; perciò solo pochi padri potevano dedicarsi alle due attività più tipiche dell'apostolato francescano: la predicazione al popolo e l'ascolto delle confessioni. L’ora canonica era annunciata dal suono della campana. Verso la fine della giornata si recitava il Vespro e, a conclusione, il canto suggestivo del "Salve Regina” o, secondo la diversità del tempo liturgico e delle stagioni dell'anno, di un'altra delle tante antifone mariane. E il canto che chiudeva, con il dolce saluto alla Madonna, il lavoro della giornata e la preghiera della sera, era sempre accompagnato dal suono lento e solenne del famoso campanone del Convento; e quel suono si diffondeva mesto e misterioso, ma, insieme, atteso e familiare, nel silenzio che avvolgeva ogni cosa alle prime ombre della sera, nella valle, sui colli, nei paesi vicini: lo udivano i pastori nelle masserie, i contadini che tornavano dai campi, le donne e i bambini; e tutti si segnavano devoti, come, fino a qualche anno fa, si era soliti, in questi paesi, quando si udiva il suono della campana alla fine della giornata. Oltre che per la recita comune delle ore canoniche, i frati si trovavano insieme, nella sala capitolare, per discutere i vari problemi della comunità, e all'ora dei pasti. Al refettorio non si parlava, si mangiava in silenzio ascoltando la lettura di qualche libro devoto o istruttivo, che uno dei frati, a turno, faceva ad alta voce da un pulpito, che, per questo, era messo nella sala in posizione adatta, perché tutti potessero sentire. Al refettorio si usava, fra l'altro, una pratica che sembra strana alla gente aliena dalla vita delle comunità religiose, ma che, in genere, era rispettata in tutti i conventi: si chiamava ”la colpa" . Prima della cena, nel refettorio pieno di frati, il superiore invitava uno dei presenti a esporre pubblicamente un proprio difetto, sul quale, poi, il superiore stesso faceva qualche riflessione per il bene di tutti. Per il resto, ognuno svolgeva una propria attività durante la giornata, chi si dedicava allo studio e all’insegnamento, chi alla cura delle anime, chi a qualche mestiere, chi al lavoro dei campi, chi alla questua per i paesi e per le campagne. Orsoleo era diventato, ormai, un centro importante, in cui i tanti frati che lo abitavano potevano esplicare le proprie attitudini e le proprie capacità sia intellettuali che pratiche. E, sebbene isolato e lontano dalle città e dalle grandi vie di comunicazione, il Convento era diventato, già a partire dal sec. XVI, uno dei più importanti della Regione, com'é provato anche dal fatto che vari ministri provinciali dell'Ordine furono eletti all'importante carica proprio nel convento di Orsoleo Con una scuola di tanta importanza, è facile immaginare la vivacità intellettuale del Convento: gli studi, le discussioni, le dispute, le richieste di aggiornamento, cose tutte ovvie in un ambiente frequentato da giovani naturalmente inclini alla curiosità e attenti alle novità intellettuali, che allora si diffondevano in ogni parte d'Europa. Ed è facile anche pensare alla ricchezza di libri che, ovviamente, dovevano trovarsi in un così importante centro di studi; e più dolorosa, perciò, risulta la perdita completa della biblioteca di Orsoleo, di cui (sembra impossibile) non è rimasta nemmeno una carta. Ma, naturalmente, la vita di un monastero non era solo vita di studio e di preghiera; un grande convento era un centro di vita, per quanto possibile, autonomo: vi erano frati muratori, scalpellini, vasai, falegnami, incisori, tessitori, sarti, oltre, ovviamente, al sagrestano, al cuoco, all'infermiere.
Vi era una spezieria della quale non vi è rimasta traccia, ma doveva essere molto efficiente per il fatto che nel convento era molto seguita la coltivazione delle pianti medicinali. Ma il lavoro più comunemente esercitato dai frati di Orsoleo era quello dei campi, a cui, certamente, dovevano partecipare anche contadini dei dintorni. Orsoleo, infatti, era una grande azienda agricola, con un territorio di circa duecento ettari, senza contare orti e vigneti sparsi qua e là nella fertile vallata dell'Agri. Il Convento aveva un ricco oliveto, un grande orto murato di circa sei ettari con un pozzo e una grande vasca per l'allevamento dei pesci, un vigneto e vasti terreni da pascolo e seminativi. Vi si allevavano buoi, pecore, capre, maiali. Nell'interno vi erano un frantoio per le olive, una cantina ben attrezzata per la pigiatura dell'uva e la preparazione del vino, e una profonda grotta per la conservazione: di qui una scala interna portava direttamente al refettorio dei frati. Nei due chiostri vi erano due cisterne per l'acqua e, fuori dei fabbricati, una grande neviera; a poca distanza, una fontana celebre, fino a qualche decennio fa, per la purezza e la freschezza delle acque, e chiamata, in onore della Madonna, «la Gloriosa». Il Convento era, dunque, molto ricco. Nel 1848, l'arcidiacono Nicola De Salvo, della Cattedrale di Tursi, poteva ancora scrivere: «Oltre le 40 parrocchie ... si numerano in essa diocesi (di Tursi) nove conventi di Minori Osservanti. Di questi uno è posto in Tursi e presenta un ottimo fabbricato con una migliore chiesa, e quantunque possedesse un esteso giardino impiantato di olivi, con altri cespiti di introiti vi si vive da pochi frati meschinamente. Il migliore fra essi è quello di S. Maria di Orsoleo.” Da quando il monastero di Orsoleo ha perso importanza, i documenti esistenti nell’archivio,i pochi salvati da un pauroso incendio, sono stati trasferiti(a quanto si racconta) nella badia di Cava dei Tirreni. Non è quindi possibile descrivere la spezieria che provvedeva alla preparazione degli oli e dei vini medicinali. Questa carenza l’abbiamo superata riportando la descrizione di una spezieria d’epoca, come essa era fatta e come venivano preparati questi medicamenti che erano i soli farmaci dell’epoca.

Le spezierie
Il ruolo svolto dalle farmacie monastiche nella preparazione e somministrazione dei medicamenti, fu fondamentale per le popolazioni del medio Evo e del Rinascimento. Il lavoro dei monaci nel campo sanitario è stato valorizzato soprattutto in questi ultimi tempi anche per quanto riguarda l’aspetto professionale. Le numerose ricerche ci dicono che l’assistenza ai malati, da parte loro, sarebbe rimasta solo una sacrosanta missione umanitaria, se gli stessi non avessero avuto il supporto di conoscenze terapeutiche e la disponibilità di medicamenti atti allo scopo. La trasformazione da medico a speziale non fu che lo sbocco naturale della stessa scelta monastica che non poteva esimersi dalle applicazioni pratiche e caritatevoli che essa comportava. Specie le abbazie extraurbane, per esempio, non potevano ignorare le richieste dei pellegrini o di semplici viandanti o di campagnoli del circondario, che bussavano alla porta del monastero in cerca di cibo, riparo e assistenza. Nel periodo medievale i monasteri, dislocati lungo le varie direttrici, svolsero funzione di appoggio e divennero per forza di cose centri di accoglienza in grado di ospitare da qualche decina a qualche centinaio di persone, quando non si trasformarono, anche se temporaneamente, in centri fortificati di difesa in occasione di scorrerie o invasioni. Non meno importante fu il ruolo svolto in campo sanitario dai monasteri urbani e suburbani. Una grande differenza rispetto a quelle extraurbane era che queste disponevano di un ospizio all’interno della stessa struttura, gli ospedali urbani erano esterni al monastero giustamente in mezzo alla gente, laddove una comunità o una corporazione ne ravvisava la necessità. Un sistema sanitario, largamente diffuso e praticamente in mano agli ordini religiosi, non poteva prescindere da un’efficiente produzione di farmaci, per cui a latere dell’assistenza ospedaliera o a integrazione di essa, furono i monaci stessi a creare le farmacie, almeno nella fase iniziale, idonei laboratori di produzione dei farmaci o, come si diceva allora, spezierie.

Riportiamo la descrizione di una spezieria dove si preparavano fra l’altro i vini e gli oli medicinali. Ogni monastero doveva avere tutto ciò che era necessario alla vita comune, dal pozzo alla piscina per l’allevamento dei pesci, dall'orto al mulino, dal forno alle officine dei vari mestieri. All'interno delle mura dei monasteri più importanti erano previsti locali per l'accoglienza degli ospiti o per la cura dei malati. Era certamente presente anche una sorta di 'farmacia' per la cura sia dei monaci anziani o infermi, sia degli ospiti di passaggio( tra i libri copiati negli scriptoria monastici, non mancavano i trattati di farmacopea dell'antica tradizione greco-romana). Ogni convento importante, come era quello di S. Maria di Orsoleo, era provvisto di una bottega laboratorio dove si preparavano medicamenti a base naturale. Veniva gestita dallo speziale, profondo conoscitore di erbe medicinali, con cui preparava elettuarî, unguenti e sciroppi. . Una serie di strumenti, quali i vasi, i boccali, le scatole, le bilance, le spatole, i mortai, i torchi, gli alambicchi e oggetti vari necessari alla preparazione dei farmaci. erano in dotazione di questi laboratori, dove si preparavano i medicamenti che dovevano sedare il dolore, venivano usati contro i mali mortiferi, ma anche purghe, succo di rose e sciroppi di liquirizia e di radicchio; altri medicamenti esterni preparati erano gli oli di mandorle, di ginepro, di noce, oli e vini medicinali. Si producevano liquori medicinali, lattovari (composti medicamentosi con miele e zucchero) e qualche altro specifico a base di “semplici”, ossia erbe medicinali coltivate nell’orto del Monastero, che venivano seccate, triturate, miscelate e confezionate in bustine. Vi erano acque di lavaggio, attrezzi di distillazione ( torri, fuochi , alambicchi, le fornacelle, cappe di aspirazione, armadi per tenere “oli e acque minute”, camini, ampolle da sciroppi, storte, mortai di bronzo, di pietra, vasi di terra e da unguenti). Le finestre erano chiuse da tela manganata per fare l’impannata (la protezione sostitutiva del vetro).

Anche se ancora non sono stati ritrovati documenti comprovanti le notizie che riportiamo, alcuni vigneti ed oliveti di San Brancato alto e Torre (attuale Torre Molfese) confinavano con le proprietà del monastero. Forse erano già loro pertinenze, fornivano le materie prime, uva ed olive, per preparare i medicamenti dell’epoca.


Forme farmaceutiche,vie di somministrazione e loro usi.

Unguento: medicamento per uso locale che veniva posto sulle zone ”malate” con lo scopo di curare le ferite, i dolori oppure per provocare l’emissione degli umori eccedenti. Sparadrappo: striscia di tessuto di filo di cotone, di lino, di seta, usato per somministrare, medicamenti per uso esterno distesi sopra, come empiastri, pomate, unguenti, elettuari. Pessario: cilindro vuoto in tela o taffettà, che una volta riempito di polveri o di sostanze medicinali veniva introdotto in vagina. Empiastro: medicamento per uso esterno costituito da sostanze terapeuticamente attive. Si rammolliva con il calore delle mani e veniva così applicato sulla superficie del corpo da curare. Cioccolatino Medicinale: forma farmaceutica a base di cacao, zucchero e sostanze medicamentose (principi attivi), che veniva somministrato ai bambini. Biscotto Medicinale: biscotto ordinario, nella cui pasta, prima della cottura, venivano introdotte determinate dosi di sostanze medicamentose. Alcolato: distillato che si otteneva da droghe lasciate a macerare in alcool. Cataplasma: forma farmaceutica per uso esterno, con la consistenza di una pasta molle, costituita da farina (in genere di semi di lino), cui era aggiunto un liquido, veniva posta su una parte del corpo a scopo curativo. Elettuario o Lattovario: forma farmaceutica di consistenza molle, costituita da polveri medicamentose finemente suddivise, cui veniva aggiunto uno sciroppo o del miele. Lambettivi: forma farmaceutica che si scioglieva in bocca leccando la sostanza. Oli e vini medicinali: veicolavano i principi attivi, “i medicinali dell’epoca”. I vari tipi di farmaci in uso nel tempo, usati per la cura di svariate patologie, chiamati in dialetto dal popolo generalmente ”cerobbiche”, prendevano un nome a seconda dell’effetto terapeutico che svolgevano. Seguono i nomi dei farmaci con l’uso preminente per cui erano usati.

Antiphlogistica (curavano le infiammazioni locali); Antifebrilia (curavano le febbri acute); Diaphoretica (per far urinare di più e per favorire la sudorazione); Antidelitescentia (facevano scomparire rapidamente le malattie, specie quelle esantematiche); Deprimenti (riportavano il ritmo del cuore alla norma ed abbattevano l’energia del sistema sanguigno); Emenagoga (procuravano la mestruazione); Incitantia (per affezioni iposteniche, svenimenti, spasmi del cuore, palpitazioni ed idropericardite); Narcotica (sedavano e procuravano sonno); Vulnerari (guarivano le ferite); Purgantia et Adstringentia (per produrre le feci e contro lo scioglimento); Corrosivi, Detersivi, Aperienti (aprivano i pori); Suppurativi (favorivano la suppurazione); Antiemorragici (stagnavano il sangue); Detersivi della cute, Ammollienti (scioglievano la durezza di un tumore, o di una parte malata della cute, per far carne e riempire le piaghe, per levigare le scabrezze); Attrattivi ed Espulsivi (richiamavano e traevano fuori gli umori nocivi); Discussivi (per dissipare le materie raccolte nel corpo per far cascare le croste );Escariotici (applicati sulla pelle o sulle carni bavose le corrodevano producendo l’escara), Caustici (bruciavano le carni); Consumativi (consumavano le carni); Incitantia (aumentavano la reazione vitale diminuita); Antispasmodica (venivano adoperati nelle malattie nervose con spasmi o convulsioni o sussulti di tendini); Sedativa (non aumentavano la reazione vitale ma ne aumentavano la forza resistente); Nauseantia Emetica Antiemetica (procuravano o facevano cessare il vomito); Expectorantia et Pectoralia (favorivano la espettorazione e curavano le peripneumonie con irritazione polmonare e con scarsezza o soppressione degli sputi); Risolventi, Revulsivi (risolvevano le malattie polmonari); Tonica (aumentavano la reazione vitale).


Di seguito vengono riportati l’elenco degli oli medicati e la loro descrizione circa le dosi , la composizione terapeutica ed altre notizie così come sono state desunte dal volume dell’epoca.

OLI MEDICATI II PARTE

Elenco degli oli medicati da G. B. Capello Lessico Farmaceutico Chimico introduzione di Ugo Stefanutti, Venezia 1763.

L’elenco degli oli medicati

1. Oglio d’Antimonio Zuccherato

2. Oglio d’Abacucho

3. Oglio d’Affenzo semplice

4. Oglio di Caftoreo

5. Oglio di Cagnoletti

6. Oglio di Canfora

7. Oglio di Cappari

8. Oglio per le contusioni interne, ed esterne

9. Oglio di Filosofi o Laterino

10. Oglio Laurino

11. Oglio Lombrici

12. Oglio di Legno Santo

13. Oglio di Nitro fisso

14. Oglio masticino

15. Oglio stillato d’ogni semplice

16. Olio di sette fiori dello Amynfichte

17. Oglio di Saturno

18. Olio Splenetico Magistrale

19. Oglio di Santa Giustina

20. Oglio o Butiro di Marte

21. Oglio di Scorpion semplice

22. Oglio di Scorpioni del Matthiolo

23. Oglio della Spagnola, ovvero di Apparice

24. Oglio e spirito di Terbentina

25. Oglio di Tartaro per deliquio

26. Oglio di tuorli d’ova

27. Oglio di vipera di Mesye

28. Oglio volpino di Mesue

29. Oglio di zucca

30. Oglio da rotture Rossi

31. Oglio di vetriolo filosofico

32. Oglio di Cajaput

 

Olii Medicati Secondo Il Lessico Farmaceutico Chimico Del 1728

OLIO D’ANTIMONIO ZUCHERATO

Zucchero candito Antimonio polv. an. p. e.

Se ne riempia due terzi di una storta lutata, ed in forno di riverbero si distilli per due ore con fuoco di secondo grado crescendolo al terzo, e continuandolo finché non esca dalla storta alcun liquore.

N. I. il recipiente sia grande e ben chiuso con la storta. Guarisce l’ulcere più difficili, e l’erpete ancora. Riuscendo tropo acre, può modificarsi con mele.

 

OLIO D’ABACUCHO

Oglio antico xii. s. Fiel di Toro, ii. s. C. C. preparato i. ƺ Radici di Dittamo bianco. Genziana. Valeriana an. ƺ. iii. Fior di centaurea minor. m. v. Seme Santo ƺ. i. s. Coloquintide ƺ. vi. Si faccia infusione al sole per giorni quaranta: poscia bollito alla consumazione dell’umidità nel bagno, e tolto il vase dal fuoco si aggiunga, olio di spica odorata pece liquida an. ƺ. ix. Raffeddato l’oglio si coli con espressione. Ammazza i vermini de’Fanciulli ungendone le narici, e l’ombelico, e move alcuna volta il ventre.


OGLIO D’ASSENZO SEMPLICE

Oglio comune iii. Cime, e foglie d’Assenzo fresche m. vl. Si spongano al sole in vase verniciato durante la state. Nell’autunno l’oglio si scaldi leggiermente e si coli. N. Nel modo medesimo si preparano li ogli semplici, chiamati per infusione, di rose, di ruta, menta, iperico, ec. Giova allo stommaco debole, ed a flussi intestinali fattane onzione alla bocca superiore del ventricolo.


OGLIO DI CASTOREO

Castoreo pingue ƺ. i. Oglio antico i. Vin bianco generoso ƺ. iii.
Bollito in bagno alla consumazione del vino, si coli. Adoprasi nella Paratifia, Spasimo, e debolezza delli arti inferiori, ongendone la spina, secondo la sua lunghezza.
 

OGLIO DI CAGNOLETTI

Oglio, comune iv. Cagnoletti nati da tre giorni n. iv. Lombrici terrestri i. Cime d’Aneto m. iii. Acqua dolce vi.
Si facciano cuocere alla consumazione dell’umidità: e fatta spressione per torchio, si aggiunga allo spresso, Terebentina ƺ. vi. M. Amolisce le durezze dei nervi, e li fortifica. È utile alla Parafilia, ed al tremor delle membra.


OLIO DI CANFORA

Acqua forte ƺ .vi. Canfora raspata ƺ. iii. Si unificano in fagiolo a lievissimo foco, che in breve spazio la canfora galleggierà all’acqua in forma d’oglio puro, il quale separato coll’imbuto si conservi ben chiuso. Giova alla carie dell’ossa, acquieta il dolore de’ denti tarlati, riempiuto il foro con bambagia inzuppata di quell’oglio.


OLIO DI CAPPARI

Scorze delle radici di capparo ƺ i. Iride. Semi d’ agnocasto. Foglie di scolopendria. Radice di cipero rotondo. Foglie di Ruta an. ƺ. ii.
Tamarisco iv. Oglio d’oliva ii. Vin buono Col vino si aspergano prima l’erbe, e radici ammaccate, cuocendo poscia ogni cosa nel bagno alla consumazione dell’umidità: si coli con spressione. È specifico alle ostruzioni, e durezze antiche della milza.


OGLIO PER LE CONTUSIONI INTERNE, ED ESTERNE

Oglio d’oliva maturo iii. Noci fresche, ed immature ƺ. ix.
Si faccia infusione in boccia di vetro, sponendola a solione si coli e si conservi ben chiusa. Dose da un’oncia a tre.Volendolo prendere per contusioni interne del petto, o d’altre viscere. N. l Le noci non sieno maggiori di sei dì. Ha operato mirabili effetti nelle contusioni interne preso più volte al peso di tre oncie.


OGLIO DE FILOSOFI, O LATERINO

Si facciano infuocare le tegole fatte in pezzuolini, e così roventi si estinguono nell’oglio antico, coprendo subito il vase, perché non si accenda l’oglio: raffreddate le tegole si stillino per storta come l’oglio di cera. Rissolve i tumori duri: giova alla Paralisia, ed alla soffocazion isterica, presone alcune gocciole per bocca, oppur unte le narici, e l’ombelico. Nello stesso modo scaccia i vermi de’ fanciulli, e stillatane alcuna goccia nell’orecchie, ne dissecca le flussioni.


OGLIO LAURINO

Bache fresche, e mature di lauro x. Foglie fresche di lauro m. x. Oglio d’oliva xx. Peste diligentemente la bache, e le foglie si macerano con l’oglio per un mese al sole; ed aggiunte dieci libre di vin bianco, si fanno cuocere alla consumazione dell’umore: si cola per torchio. È utilissimo a’ dolori intestinali fattane onzione a tutto l’addome.


OGLIO DI LOMBRICI

Lombrici larvati nel vino ƺ. vi. Oglio comune , ii. Vin bianco ƺ. vi. Si facciano bollire nel bagno alla consumazione del vino. Alle durezze de’ nervi, alle contusioni de’ medesimi è opportunissimo.


OGLIO DI LEGNO SANTO

Si riempia una storta ben dutata di legno santo raspato, oppure tagliato minutamente, e posta in forno di riverbero, ed applicato un ampio recipiente si scaldi per un’ora con fuoco di secondo grado, crescendolo a poco a poco fino al quarto; così continuandolo finché più non esca cosa alcuna dalla storta. Lo stillato separasi coll’imbuto: quel che esce in forma d’umore, si chiama spirito la materia nera quasi pece, è l’ oglio. N. Con lo stesso modo si stilla l’oglio di bosso, di legno corillino, e di tutti i legni, il di cui oglio non è volatile. Giova mirabilmente alle doglie antiche, galliche eziandio delle braccia., e delle gambe, fattane onzione per molti giorni.
 


OGLIO DI NITRO FISSO

Nitro purificato q. p. Carbon polverizzato q. b.
Fuso il nitro in pignata di terra non verniciata vi si sparga a porco a poco tanto carbone polverizzato, che più non si accenda: s’accresca per mezz’ora il fuoco:dopo tolte il vase dalfuoco, e raffreddato si raccolga il sale, e si sponga su lastre di vetro all’aria umida, finochè si stilla in liquore, il quale filtrato, si conserva in boccie chiuse. N. . Questo liquore chiamasi da Glaubero Alchaest. Non ha alcun uso interno, ma serve alla metallica, ed a molte preparazioni. Anzi Glaubero lo propone qual mestruo universale, capace di penetrare ogni corpo senza patir detrimento di sorte, potendosi ricuperare dopo averlo adoperato nello stesso peso, ed attività di prima. Qual proposizione però stimerei ben fatto annoverarla all’altre, originate dalla vanità, ed avarizia chimica, perché ripugnante alle più sode Leggi della Fisica.


OGLIO MASTICINO

Oglio rosato, i. Mastici puri ƺ. iii. Vin bianco ƺ. viii. Bollito nel bagno alla consumazione del vino, si cola. Giova alle debolezze del ventricolo, ed alle Diarhee de’ Fanciulli.


OGLIO STILLATO D’OGNI SEMPLICE

Li ogli stillati dell’erbe, tronchi radici ec. furono in ogni tempo oggetto di molta applicazione a’ Chimici più sperimentati, tanto per estrarli copiosi, che per ottenerli di quel grato, e specifico odore che aveasi il vegetabile, prima della distillazione. Alcuni più desiderosi della copia, che della perfezione dell’oglio, univano all’erbe chi sal comune, tartaro crudo, ovvero il calcinato: chi le ceneri clavellate, o di quercia volgare: ma queste addizioni più, e più volte invece di accrescerlo, ed agevolarne la separazione., la scemavano notabilmente, e quel ch’è peggio l’oglio stillato riusciva di odore meno grato. Basta per aver gli ogli stillati in quella copia che aver si ponno, e di quella perfezione che debbono essere, di ben conoscere la natura dell’erbe, ed impiegare tutta la diligenza nel coglierle, macerarle, e distillarle, attesochè se per di sventura si trascurino tutte quelle cautele, che sono necessarie, l’oglio scemerà in tutto, od almeno per la maggior parte. Il troppo fuoco nel distillare dissolve l’oglio, e lo tramuta in spirito: ed il poco non basta a scioglierlo dalla porzion terrestre. Conviene però che nello stillare l’una goccia non tardi a seguir l’altra, avertendo sempre di conservar fredda l’acqua nel cappello del Tamburlano, istrumento più d’ogni altro, quando sia proporzionato, a quest’opera adequatissimo. Si devono l’erbe da stillarsi unire a tant’acqua, che le sopravanzi di due dita traverse. La macerazione ancora contribuisce moltissimo alla perfezione, e copia del’oglio, con cio siachè la poca non basta a liberarlo dalle parti grosse, e viscose, che lo inceppano: la troppa lo attenua in guisa che per la maggior parte si risolve in spirito, o in tutto svanisce. Sia in esempio l’assenzo romano, il quale macerato oltre lo spazio di sei ore, non rende che la sesta parte dell’oglio che contenea. Il tempo ancora di raccoglier l’erbe fa moltissimo a questo fine: perché è cosa evidentissima, che le piante troppo mature, o troppo giovani contengono pochissimo oglio, è molto difficile da separarsi. Le secche, e vecchie sono parimenti inette a quest’opera. Pertanto fa di mestieri, che tutto ciò onde stillar se ne voglia l’oglio, si raccolga allorché è più vigoroso, e maturo:
p. e. l’erbe allorché fioriscono, i tronchi, e le radici al cader delle foglie, le frutta, e le sementi appena mature. Ricolta la cosa da stillarsi con la prescritta diligenza, è necessario riflettere attentamente se poco, o nulla debba macerarsi prima che soggiaccia alla distillazione. Ed a vero dire, come la macerazione è cosa molto necessaria, ella è altrettanto difficile a specificarsi per la moltitudine delle piante, tanto fra loro discordanti: tuttavia si darà ogni opera per raccoglierle quasi distinte in certe classi, onde apparisca almeno un’idea generale per macerarle bastevolmente, e niente più. I. Le piante, che comunemente chiamansi fredde, come l’endivia, la fumaria, boragine, la malva contengono una tenuissima porzione d’oglio, e sommamente difficile a separarsi: queste appena colte si debbono pestar minutamente, e macerarle in molt’acqua comune, finchè la viscosità loro naturale sia ben dissolta. II. Le piante temperate come la melissa, scabiosa, cardo santo, contengono un po’ più d’oglio, ma volatile molto, e che agevolmente trapassa in spirito: queste impassite alquanto all’ombra, si distillano, non tollerando alcuna macerazione. III. Le piante di maggior calore come la menta, timo, serpillo, puleggio, maggiorana, assenzo, contengono buona porzione d’oglio: queste subito colte si stendono all’ombra, ed impassite si tagliano minutamente, e macerate due ore nell’acqua fredda si stillano. IV. I legni, e radici di sustanza rara, come il legno sassafras, la radice rhodia, ed altri di tal sorta, si tagliano minutamente,e macerati per sei ore nell’acqua fresca si distillano. V. Le piante di gran forza, e copiose di succo raggioso, come la salvia, il ginepro, le bache di amendue, la Sabina ed altre simili racchiudono moltissimo oglio, e ricercano lunghissima macerazione. Queste si deono pestar minutamente, e bagnate alquanto con acqua fontana si macerano in luogo caldo per due, e tre mesi, ovvero finchè cominciano a cambiar odore.
VI. I semi caldi maggiori, come il seme d’ammi, finochio, comino, sesseli, prima ben ammaccati, e bagnati alquanto con acqua si macerano per due giorni. VII. Ogni macerazione, e ciò sia detto in generale, deve allora finire, che le cose macerate cominciano a cambiar l’odore proprio in cattivo. VIII. Le acque che con li ogli distillano le prime fiate, si adoperino di nuovo occorrendo stillare piante della spezie medesima. IX. Logli stillati si pongono in luogo caldo per qualche giorno chiusi ne’ loro vasi di vetro, poiché acquistano odore più grato. X. Li ogli stillati che per lungo tratto di tempo divennero tenaci come raggia, nuovamente si distillano con acqua comune. XI. L’oglio di noce moscata si distilla per storta con acqua comune, e tartaro calcinato: cioè noci amaccate una libra, Tartaro calcinato sei oncie, acqua dodici libre dopo un giorno di macerazione si stilla a fuoco d’Arena in recipiente capace: esce mezz’oncia d’oglio chiarissimo, e delicatissimo, restando senza alcun odore il capo morto. Fu tentata l’estrazione del oglio ancora nella maniera seguente. Noci, Tartaro crudo una libra per sorte, acqua comune quanto basta a ben bagnare la mistura: dopo tre giorni di macerazione, aggiunta s. q. d’acqua si distilla in Vescica di rame: esce circa quattro dramme d’oglio più colorito del primo, e la marca resta senza alcun odore: ancora. Noci una libra, sal comune sei oncie, acqua di mare otto libre. Dopo cinque giorni di macerazione, aggiunta s. q. d’acqua si distilla per Tamburlano: esce tre dramme, e mezza d’oglio purissimo, di color di rubino scuro con soavissimo odore: la marca resta un po’ odorosa. XII. Dalle riferite sperienze si vede, che la prima distillazione benché più semplice dell’altre, almeno riguardo alla macerazione, e distillazione ha reso oglio più abbondante, chiaro, e più grato dell’altre, quantunque nella seconda, e terza
distillazione si fosse adoperata l’acqua escita col primo oglio, laticinosa, che vuol dire mista con qualche porzione d’oglio. XIII. L’acqua laticinosa avvanzata dall’ultima distillazione, e lasciata in quiete per lungo tempo ha deposto qualche materia biancastra, e fecciosa, e nulla più. XIV. Tutte le Noci residue dalle distillazioni messe in vescica con acqua sufficiente, e distillate di nuovo non hanno dato alcuna porzione d’oglio. XV. Tutte quelle Noci asciugate a piccol fuoco, poi distillate per storta a fuoco d’arena leggiero hanno reso un po’ d’oglio nero, fetido, e denso, con poco flemma empireumatico, e spiritoso. Tutti gli ogli stillati hanno grandissima attività, e ben si può credere, che faccian essi la parte più essenziale de vegetabili: poiché tolto l’oglio, quel che rimane è inerte affatto, e di sapore nessuno. Dovrà di conseguenza l’oglio stilato esser convenevole in quelle circostanze morbose, nelle quali opportuna sarebbe la pianta, con un tal vantaggio, che l’azione dell’oglio riuscirà con più energia, e vigore di quello attender si potrebbe dalla pianta medesima, da cui fu separato.


OGLIO DI SETTE FIORI DELLO AMYNSICHT

Oglio comune iii. Fiori di Viole. Sambuco. Rose. Camomilla. Gigli bianchi. Verbasco. Malva arborea porp. an. m. i. Si infondano i fiori nell’oglio mano a mano, che la staggione li somministra, ponendo il vase al sole fino all’autunno: si cola.
E un oglio molto sedativo di tutti i dolori del petto, del utero, e del capo: concilia il sonno nelle febbri ardenti, e nella Frenitide, ed è utilissimo alle infiammazioni del Fegato.


OGLIO DI SATURNO

Sal di Saturno, i. Spirito dei Terbentina ƺ. iii. Si mettono a digerire in fagiolo chiuso nel bagno, tanto che lo spirito si faccia di color rosso pieno; si versa per inclinazione. Si propone nella cura de’ Cancri, e del ulcere maligne.


OGLIO SPLENETICO MAGISTRALE

Foglie di apio silvestre. di Barbarea an. m. i. Radici di Ciclamino ƺ. i. Oglio comune. Malvagia buona an. ƺ. vi.
Ammaccate l’erbe, e le radici si faccino cuocere con l’oglio, e malvagia lentamente alla consumazione della umidità. Si coli con espressione. È mirabile alle opilazioni della milza. Giova al Idrope umida fattone unzione a tutto l’addome. Ed è utilissimo allo spasimo de fanciulli, ungendogli i piedi, e fasciandogli con pezze calde.
 

Vermi terresti an. ƺ. vi. Radice di Genziana ƺ. v. Dittamo bianco. Frassino. Gramegna. Imperatoria. Peonia. Zedoaria. Gengevo. Calamo aromatico. Coloquintida. Aloè Patico. Galbano. Garofani. Croco orientale. Noci moscate. Canella. Pepe nero. Incenso. Carpobalsamo an. ii. Foglia di menta, Assenzo romano. Abrotano. Centaurea minore. Pesco. Porri. Aneto. Pelosella. Origano. Piantagine. Ruta ortense. Marobio. Apio. Lauro. Timo. Salvia.  Camedrior. Moro gelso. Rosmarino. Santolina. Maggiorana. Bettonica. Cortecie di pomi granati. di Aranzio an. m. s. Semi d’Apio. Portulaca. Piantagine. Porri. Santonico. Codogno. Finochio. Caoli. Petrosello. Lupini. Segala. Fagioli rossi. Bacche di lauro an. ƺ. vi. Theriaca buona ƺ. vii. s. Corno di Cervo rasp. ƺ. iii. Fiel di Toro ƺ. vi. Oglio antico lb. xxxvii. s.


Nel mese di Maggio sia pronto l’oglio antico in una vescica di rame , capace del doppio peso con le droghe prescritte, benissimo ammaccate, e tutto ciò che aver si possa in quel tempo: si collochi la vescica in luogo esposto al mezzo giorno; che il sole percuoter la possa con tutta l’energia de’ suoi coccenti raggi fino al finir di Settembre. Si metta nel tempo istesso dentro un faggiolo di vetro una libra d’aceto fortissimo, e due oncie di coralli rossi preparati, sigillandolo diligentemente. Somma cura si adoperi in seguito a raccoglier l’erbe fiorite, le quali passite alquanto al ombra, ed ammaccate si aggiongano all’oglio mano a mano che dalla terra maturansi. Nell’ottobre, aggiunto l’aceto corallato, e sigillata cautamente la vescica, si fa bollire nel Bagno per quaranta ore continue con violentissimo fuoco. Doppo di che fatta forte spressione nel torchio, si rimette l’oglio nella vescica ben purificata con ciò che segue Oglio di Mastici, Petroleo, Laurino. Spica. an. ƺ. vi. E ben sigillata si rimette nel Bagno bollente per sei ore. Allora l’oglio è perfetto, e devesi dopo raffreddato, conservare in boccie ben chiuse. Riscalda potentemente: Giova alle coliche intestinali fattane unzione al ombelico con tre goccie, ed altrettante prese per bocca nel brodo caldo. Ammazza i vermi de’ fanciulli, ungendone le narici, e l’ombelico, conforta lo stomaco, promuove la digestione viziata da frigidezza. Giova alle membra contratte, all’apoplesia, allo spasimo ed alla vertigine odorandolo, e portandolo addosso. Alle soffocazioni isteriche è rimedio singolare usato internamente nel vin bianco al peso di quattro goccie e sarà utilissimo a molte altre infermità prodotte da freddezza d’umori quando sia fedelmente preparato, come far si suole nel Monistero celebratissimo di S. Giorgio Maggiore, non perdonandosi da que’ Illustri Monaci a diligenza alcuna, perché riesca in tutte le sue parti perfettissimo.


OGLIO O BUTIRO DI MARTE

Acqua forte da partire ƺ. i. Oglio comune ƺ. ii. Limatura fresca di Marte q. b. In vaso di vetro si uniscano l’acqua e l’oglio, e poco a poco vi si vada mettendo la limatura; finché più non segua effervescenza alcuna. Lasciato il vaso per qualche ora in riposo, si versi per inclinazione la flemma, e si conservi l’oglio nero. È singolare rimedio alle piaghe putride , e piene di carne lussurreggiante, astergendole validamente, usato con piumazzoli: ma prima si lavi la piaga con acqua di piantagine. Questo bel rimedio astersivo mi fu comunicato dal Sig. Francesco Zigiotto Celebratissimo Cerusico in Roma, ritrovato da lui, e adoperato con gran felicità in molte cure difficili, e ribelli a tutti gl’altri rimedi dall’arte.


OGLIO DI SCORPION SEMPLICE

Scorpioni vivi n. xx. Oglio di mandole amare ii. Si spongano per un mese al sole in vaso ben chiuso; si coli. Promove le urine, fattane unzione al Pube.


OGLIO DI SCORPIONI DEL MATHIOLO

Oglio antico vi. Cime, e foglie d’hiperico m, vi. Ben pesto l’hiperico si metta con l’oglio in vaso di vetro ben chiuso, sponendolo al sole per dieci dì continui, e fatto bollire nel bagno per ventiquattr’ore si preme per torchio: allo spresso si aggiunga , foglie fresche d’hiperico. Camedri. Calaminta volgare. Cardo santo an. m. ii. E sigillato il vaso si faccia cuocere per tre giorni naturali, poi si cola e s’aggiugne, Fiori d’hiperico m. vi. Facendolo nuovamente bolire per tre dì continui: si sprema poscia, e si rinuovi per tante volte l’infusione de’ fiori, che l’oglio si tinga del color di sangue: allora s’aggiugne,
Frutti freschi d’hiperico m. vi. Prima ammaccati, e bagnati di vin bianco generoso, chiudendo benissimo il vaso, e sponendolo al sole per otto dì; e fatto cuocere lo spazio di tre giorni nel bagno, si prema fortemente, rinovando le infusioni de’ frutti d’hiperico nel modo sopradetto, che l’oglio si faccia del color si sangue scuro: allora si aggiunga, Fronde fresche di scordo. Calamento montano. Cardo santo Verbena. Dittamo cretico. Centaurea minore an. m. i. Ben peste, si facciano cuocere per due giorni nel bagno al solito, e fatta forte espressione di nuovo si aggiunga, Radici di zedoaria. Dittamo bianco. Genziana. Tormentilla. Aristologia rot. an. ƺ. iii. Foglie di scordeo fresco m. i. Pestate benissimo si facciano cuocere per tre giorni continui colando, ed infondendo di nuovo, Storace calamita. Bengioino an. ƺ. vi. Bacche di ginepro. ƺ. iv. Semi di nigella ƺ. ii. Canella ƺ. ix. Sandali bianchi ƺ. Iv. Fiori di squinanto. Radici di cipero rot. an. ƺ. i, s. Ogni cosa ammaccata si fa cuo(ce)re per tre dì nel bagno consueto: si spreme, e s’aggiungono trecento scorpioni vivi colti ne’ giorni canicolari, posti in orinale di vetro a leggerissimo calore, e sudanti, chiudendo il vaso, e facendolo bollire per tre giorni naturali: colato l’oglio s’aggiugne per ultimo, Polvere di rhabarbaro. Mirra. Aloè patico an. iii. Spigo nardo ƺ. Iii. Croco ƺ. i. Theriaca eletta. Mitridato an. ƺ. s. Tramestando diligentemente ogni cosa con l’oglio si faccia bollire per tre dì nel bagno, riponendolo in boccie ben chiuse senza colare. Dose da sei goccie a sessanta. N. Se ne’ giorni che l’oglio deve sporsi al sole, questo non riscaldasse bastevolmente, si supplisca con ott’ore di cozione nel bagno per giornata. L’Autore dice ch’è il Balsamo universale, vera Medicina a tutti i mali interni ed esterni, ferite, veleni non corrosivi, morsi d’animali velenosi come Serpi, Vespe, Crabroni, Torpedini, e Scorpioni. Io credo che in parte possi frenare così violenti effetti. Ma per vero dire non affiderei la vita d’alcuno in tali angustie al solo oglio del Mattioli.


OGLIO DELLA SPAGNOLA, OVVERO DI APPARICE

Vin bianco generoso. Oglio antico an. lb. iii. Foglie, e fiori d’hiperico ƺ. vi. Cardo santo. Salvia volgare. Radici fresche di valeriana an. ƺ. iv. E ben contuse le erbe con la radice di Valeriana s’infondono nel vin bianco per tre dì in vaso chiuso: il quarto si aggiugne l’oglio, e si fa cuocere nel bagno per tre giorni continui, spremendo poscia per torchio, e riposto l’oglio nel vaso s’aggiugne, incenso scelto, ƺ. v. mirra elletta ƺ. iii. Sangue di Drago lacr. ƺ. i. Terbentina veneta ƺ. vi. Facendolo nuovamente bollire nel bagno per sei ore: dopo raffreddamento si conserva senza colarlo. È singolare nelle Ferite semplici e composte, non abbisognando altro Balsamo per cominciare, e terminare la cura.


OGLIO, E SPIRITO DI TERBENTINA

Si riempia per metà una storta di vetro lutata di terbentina elletta, e vi si aggiunga un terzo d’acqua di fonte: collocata la storta in fornello, si scaldi con leggerissimo fuoco, crescendolo poscia, finochè l’acqua tutta goccia a goccia sia stillata: allora mutato il recipiente, e ben sigillato si aumenti il fuoco a grado a grado, continuandolo tanto che dalla storta sortisca oglio nero. Soppresso il fuoco si tolga il recipiente, conservando l’oglio, cha contiene. Il contenuto del primo recipiente si versi nell’imbuto, e si separi il liquore che gallegia detto spirito di terbentina; la cui dose è da quattro goccie a sedici. Lo spirito, che veramente altro non è che l’oglio più sottile, si dà internamente nella gonorrea, e coliche nefritiche, liberando i reni dalle materie viscose, ed arenose. L’oglio serve per le piaghe.


OGLIO DI TARTARO PER DELIQUIO

Il Tartaro crudo si calcini nelle fornaci de vetrai a bianchezza, e si ponga su lastre di vetro in luogo umido, che in breve tempo si risolverà in liquore chiamato oglio.
Altro modo più breve. Tartaro crudo. Nitro raffinato, an. p. e. Pestati minutamente si uniscono con diligenza, poscia messi un vaso di terra, si accendono con carbone infuocato: calcinatosi a un tratto il Tartaro si sponga in luogo umido. Quest’oglio unito ad altrettanto di mandole amare dissecca le serpigini, fa rinascer i capegli che fussero per malattie caduti, stroffinando prima il luogo con panno di lana, poi ongendolo: toglie le machie del volto unito con acqua di gigli bianchi: ha poi molti usi nella metallica, massime per inbiancar il rame.


OGLIO DI TUORLI D’OVA

Fatta cuocere a durezza l’ova nell’acqua, se ne cavano i tuorli, e ben pesti nel mortaro di pietra, si mettono in vaso di rame a fuoco mediocre, agitandoli diligentemente, finchè prendendoli fra le dita, le ungono abbondevolmente: allora messi in un canevaccio bagnato nell’acqua, si premono per torchio. Toglie le asprezze della pelle, scancella le brutte cicatrici, lenisce i dolori dell’ulcere, e delle orechie, e giova a’ nervi recisi.


OGLIO DI VIPERA DI MESUE

Vipere femmine. Oglio sesamino ƺ. xxvii. Tagliare le vipere minutamente si faranno cuocere nell’oglio tanto che la carne si separi dall’ossa. Giova alla Paralisia, e tremore delle membra, ungendone la nucha, la spina, e la parte offesa.



OGLIO VOLPINO DI MESUE

Oglio antico chiaro ƺ. lviii. Acqua marina. Fontana an. ƺ. xxx. Fior d’Aneto. Timo an. m. iii. Sal comune ƺ. iii. Tutte le suddette cose si facciano cuocere, con una volpe puagata dagl’interiori, e tagliata in pezzi alla consumazione dell’umidità: si coli. Vale a’ dolori delle podagre e di tutte le giunture: toglie la debolezza del caminare a’ fanciulli, fattane onzione a’ languenti articoli.


OGLIO DI ZUCCHA

Polpa di Zucca lunga scorzata, e pesta Oglio commune an. iv. Si facciano cuocere lentamente alla consumazione dell’umidità: colato l’oglio s’infuochino dodici pezzi d’acciaio,e tutti vi si estinguano, coprendo prestamente il vaso, acciò non si accenda. Questo è l’oglio specifico alla Pleuritide vera e falsa: ma quantunque molti pratici lo esaltino per singolarissimo, non vi si dee però in tutto fidare.


OGLIO DA ROTTURE DEL ROSSI

Radice di Cinosorchide. Scrofolaria. Scorze di Sambuco. Fiori di Hiperico an. ƺ. iii. Lucertole minori vive, n. iv. maggiori vive n. x. Millefoglio. Consolida maggiore. minore an. m. i. Oglio di Rizzo lb. I. di Oliva lb. iv. Vin generoso lb. ii. M. facciasi S. l’ A. Secondo che la stagione va maturando le radiche, e l’erbe si andaranno infondendo unitamente nelli ogli dentro una vescica di rame stagnata, e ben sigillata, sponendola al Sole: giunto l’Agosto si aggiungeranno le lucertole maggiori, e minori, e doppo 40. giorni di insolazione, unitovi il vino, si farà cuocere nel Bagno fino alla consumazione dell’umidità: l’oglio si coli con forte spressione, e si conservi in boccie di vetro ben chiuse. Questo oglio è stato conosciuto per moltissime esperienze un validissimo iridio alle rotture ombelicali, ed intestinali incipienti, ed inveterate, ungendo la parte una volta al giorno, e legandola con adeguato cinto, fabricato, dal valente proffessore il Sig. Franceso Bonajuti al ponte di San Felice era tenuto questo prezioso oglio come segreto dal Sig. Vitto Rossi diligentissimo Speziale in Noventa Vicentina, sogetto intendentissimo della materia medicinale, e mio carissimo Amico; il quale apunto in contrasegno della nostra antica amicizia ha voluto comunicarmelo, per adornarne questa mia opereta, nella sesta volta che torna alle Stampe.


OGLIO DI VETRIOLO FILOSOFICO

Intorno il Vetriolo, che meritamente viene chiamato da più illuminati Chimici una delle triplici Fisiche Colonne della Medicina, hanno travagliato da Basilio Valentino a questa parte innumerabili Filosofi, e tra questi senz’alcun dubbio i più celebri che fiorissero fino a’ nostri tempi; persuasi che da questo solo prodotto aver si potesse una Medicina, che ugualmente curasse le malattie delli uomini, che quelle de Minerali. Anche ne’tempi superiori a Basilio fu creduto il Vetriolo gravido de semi necessari per il gran magistero, e con enigmi misteriosi ne fu insegnato il modo di separarli: ma nonostante la gran Pietra sarà sempre uno di quelli Arcani, che Dio rivela cui vult, quando vult. Certamente il Vetriolo fu in ogni tempo adoperato per le malattie interne, ed esterne delli uomini: Testimonio ne sia la famosa Theriaca d’Andromaco, che riconosce gran parte delle sue facoltà dal Vetriolo: e la celebrata polvere simpatica, che ben maneggiata produce tante meraviglie, non è altro che solo semplicissimo Vetriolo. Se dunque questo minerale senza alcuna preparazione è attonato a produrre effetti mirabilissimi; cosa dovrà attendersi dall’Anima di lui qualora scevra sia dalla porzion terrestre, che ne modera l’azione, e tallora di molto l’oscura! ma poi se quest’anima così attiva, riunita fosse con modo affato Filosofico, e singolare al di lei dopo prima purificato, e glorificato dall’Arte, ogni uno sarà persuaso che un Azoto di così sublime natura dovrà riuscire di forze mirabili a distruggere quasi tutte le malattie del Corpo umano, adoperato in minutissima dose, e valerà a verificare la sincerità dell’Helmonzio, che si danno rimedj in picolissima dose, e di grandissima efficacia. Tale senza dubbio è lo spirito di Vetriol Filosofico del mio stimatissimo Amico, ed Eccellente Filosofo il Sig. Gio: Domenico Antenusio di Milano, da esso lui lavorato con incredibile pazienza ed intelligenza, dopo consultati i più celebri Filosofi, che trattassero cose di Chimica. Innumerabili sono le soluzioni, depurazioni, e distillazioni date al vetriolo: singolare l’Artifizio per separarne il Zolfo volatile, ed il fisso per riunirli poscia mediante una lunga cozione; onde ne rissulti un corpo vivo composto d’anima, e di corpo, un Azoto immarcessibile, ed eterno, ricco d’infinita virtù. Prova ne sono le tante sperienze fortunate, da lui conseguite sopra i mali più rubelli; febbri ostinate, Podagra, Hidrope, Astma di ogni sorte, Tisi polmonare, nè tralascia egli di continuare le sue osservazioni sopra altre malattie non meno difficili, dell’esito delle quali non mancherà una volta di darne al pubblico un racconto fedele. La dose di questa Medicina è da una goccia a trè in una chichara d’acqua, di brodo, overo di Thee presa a digiuno, e replicata per vinti giorni.


OGLIO DI CAJAPUT

Quest’Oglio viene celebrato per singolarissimo rimedio nelle Convulsioni, particolarmente nella Germania e nell’india: notizia, che io ebbi dal virtuosissimo Sig. Francesco Seguier soggetto cotanto valoroso nella Storia Naturale, e Botanica, come ne fanno fede molte sue fatiche pubblicate. Colle stampe. Fassi quell’Oglio del Cardamomo minore per distillazione nel modo apunto, che si fanno tutti gl’Ogli distillati de semi odorosi: sopra di che potrà vedersi il capo degl’Ogli distillati in questo libro. Il modo di valersene, e prenderne due, tre sino alle cinque gocciole in qualche licore, tanto nel Parosismo per curarsene, quanto fuori per preservarsene. Le parti, che restassero pregiudicate da’ replicati colpi di convulsione si devono ungere con quest’Ogli, diluito con un poco d’Oglio di Mandole dolci. Avevasi anche dagl’antichi il Cardamomo minore per gran rimedio alle passioni del cervello, e del cuore.

 

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