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SCHEGGE DI MEMORIA

ANTONIO MOLFESE
 

O Bandiste - I Bandisti

Erano cittadini intraprendenti, che, oltre al mestiere che avevano appreso da adolescenti, avevano anche imparato a suonare uno strumento musicale per poter far parte della banda cittadina o di qualche paese limitrofo.
Erano generalmente i mestieri, quale sarto, barbiere, calzolaio, barista, che fornivano all’occorrenza bandisti per rimpiazzare gli anziani o accrescere l’importanza del complesso bandistico, di continuo alla ricerca di nuovi strumenti musicali sempre più sofisticati.
La scuola di musica generalmente iniziava sotto la guida di un esperto bandista, che oltre al solfeggio insegnava a leggere la musica, condizione indispensabile se si voleva fare, anche se part time, questo mestiere.
Mentre si approfondivano le lezioni teoriche, iniziava anche l’utilizzo pratico degli strumenti a fiato o a percussioni. In genere si impiegava un anno per poter entrare a far parte della banda a pieno titolo, ma specie nel periodo estivo in occasione delle feste religiose molti apprendisti erano autorizzati a far parte del complesso solo per far numero (portavano lo strumento, facevano finta di suonare, ma dallo stesso non usciva una nota ed erano chiamati papere mute). Tutto ciò era necessario in quanto il complesso doveva raggiungere un certo numero di unità suonanti.
Durante l’inverno, quando le feste religiose erano rare, il complesso bandistico si esercitava anche due volte la settimana sotto la guida del capo banda o del maestro di musica.
La banda musicale di S. Arcangelo era molto nota già ai primi del novecento sul territorio, in quanto al ponte di Acinello accolse il presidente Zanardelli durante il suo viaggio in Basilicata che compì nel 1903.
Il complesso bandistico di S. Arcangelo, cui faccio riferimento, è stato diretto dal maestro Lufrano per molti anni prima che lo stesso fosse chiamato a dirigere più importanti complessi in Puglia e non ultimo quello di Squinzano. Lufrano Antonio fu sostituito da Lupia, che diresse la banda fino agli anni 60. Da allora la banda musicale si sciolse e per molti anni i nostri bandisti suonavano in bande musicali di paesi vicini che potevano raggiungere con facilità.
Fare il bandista negli anni 50 era un’avventura in quanto bisognava raggiungere a piedi il paese dove si era chiamati a suonare, si dormiva in alloggi chiusi ma su sacchi di paglia, in quanto a quei tempi non vi erano alberghi e qualora vi fossero non erano così capienti da poter alloggiare tutti. Anche la spesa era da prendere in considerazione, in quanto il compenso per il lavoro svolto era modesto.
Per quanto riguarda il pranzo generalmente il Comitato Feste che sovrintendeva assegnava, previo accordo con le famiglie benestanti, di accogliere in famiglia due e tre bandisti per la festa.
I bandisti erano in genere buon mangiatori e spesso capitava che qualcuno di loro esagerava nel bere, per cui le note dopo il pranzo uscivano stonate, ma in quel gran frastuono solo pochi si accorgevano dell’evento. Terminata la festa, se il paese era vicino, dopo i fuochi artificiali a piedi riprendevano la via di casa in modo da essere il giorno successivo al lavoro nella bottega. Il grosso problema era quando bisognava guadare un fiume, ma essendo i nostri fiumi a regime torrentizio, in guadi conosciuti si potevano attraversare spogliandosi e rivestendosi oltrepassato il corso d’acqua. Andando in giro per la regione erano soliti avere qualche avventura amorosa che durava qualche ora o al massimo un giorno, ma che portavano, spesso quando erano giovani, impressi nel loro cuore. Erano anche soliti i bandisti usare un linguaggio particolare riferito in particolar modo al cibo ed alle avventure galanti. A trioffe era la carne, u chiarenze era il vino, o sottocannizze i maccheroni a ferretti. A squacchiosa era la ragazza. Usavano tutta una terminologia loro che era difficile interpretare (un po’ come accadde per i nostri connazionali all’estero che per non farsi capire dagli altri adottavano un linguaggio artefatto chiamato parlesia).

 

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