O Bandiste - I Bandisti
Erano cittadini intraprendenti, che, oltre al mestiere che avevano
appreso da adolescenti, avevano anche imparato a suonare uno strumento
musicale per poter far parte della banda cittadina o di qualche paese
limitrofo.
Erano generalmente i mestieri, quale sarto, barbiere, calzolaio,
barista, che fornivano all’occorrenza bandisti per rimpiazzare gli
anziani o accrescere l’importanza del complesso bandistico, di continuo
alla ricerca di nuovi strumenti musicali sempre più sofisticati.
La scuola di musica generalmente iniziava sotto la guida di un esperto
bandista, che oltre al solfeggio insegnava a leggere la musica,
condizione indispensabile se si voleva fare, anche se part time, questo
mestiere.
Mentre si approfondivano le lezioni teoriche, iniziava anche l’utilizzo
pratico degli strumenti a fiato o a percussioni. In genere si impiegava
un anno per poter entrare a far parte della banda a pieno titolo, ma
specie nel periodo estivo in occasione delle feste religiose molti
apprendisti erano autorizzati a far parte del complesso solo per far
numero (portavano lo strumento, facevano finta di suonare, ma dallo
stesso non usciva una nota ed erano chiamati papere mute). Tutto ciò era
necessario in quanto il complesso doveva raggiungere un certo numero di
unità suonanti.
Durante l’inverno, quando le feste religiose erano rare, il complesso
bandistico si esercitava anche due volte la settimana sotto la guida del
capo banda o del maestro di musica.
La banda musicale di S. Arcangelo era molto nota già ai primi del
novecento sul territorio, in quanto al ponte di Acinello accolse il
presidente Zanardelli durante il suo viaggio in Basilicata che compì nel
1903.
Il complesso bandistico di S. Arcangelo, cui faccio riferimento, è stato
diretto dal maestro Lufrano per molti anni prima che lo stesso fosse
chiamato a dirigere più importanti complessi in Puglia e non ultimo
quello di Squinzano. Lufrano Antonio fu sostituito da Lupia, che diresse
la banda fino agli anni 60. Da allora la banda musicale si sciolse e per
molti anni i nostri bandisti suonavano in bande musicali di paesi vicini
che potevano raggiungere con facilità.
Fare il bandista negli anni 50 era un’avventura in quanto bisognava
raggiungere a piedi il paese dove si era chiamati a suonare, si dormiva
in alloggi chiusi ma su sacchi di paglia, in quanto a quei tempi non vi
erano alberghi e qualora vi fossero non erano così capienti da poter
alloggiare tutti. Anche la spesa era da prendere in considerazione, in
quanto il compenso per il lavoro svolto era modesto.
Per quanto riguarda il pranzo generalmente il Comitato Feste che
sovrintendeva assegnava, previo accordo con le famiglie benestanti, di
accogliere in famiglia due e tre bandisti per la festa.
I bandisti erano in genere buon mangiatori e spesso capitava che
qualcuno di loro esagerava nel bere, per cui le note dopo il pranzo
uscivano stonate, ma in quel gran frastuono solo pochi si accorgevano
dell’evento. Terminata la festa, se il paese era vicino, dopo i fuochi
artificiali a piedi riprendevano la via di casa in modo da essere il
giorno successivo al lavoro nella bottega. Il grosso problema era quando
bisognava guadare un fiume, ma essendo i nostri fiumi a regime
torrentizio, in guadi conosciuti si potevano attraversare spogliandosi e
rivestendosi oltrepassato il corso d’acqua. Andando in giro per la
regione erano soliti avere qualche avventura amorosa che durava qualche
ora o al massimo un giorno, ma che portavano, spesso quando erano
giovani, impressi nel loro cuore. Erano anche soliti i bandisti usare un
linguaggio particolare riferito in particolar modo al cibo ed alle
avventure galanti. A trioffe era la carne, u chiarenze era il vino, o
sottocannizze i maccheroni a ferretti. A squacchiosa era la ragazza.
Usavano tutta una terminologia loro che era difficile interpretare (un
po’ come accadde per i nostri connazionali all’estero che per non farsi
capire dagli altri adottavano un linguaggio artefatto chiamato parlesia).
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