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SCHEGGE DI MEMORIA

ANTONIO MOLFESE
 

U mmite - Il banchetto nuziale

Descrivo quanto avveniva negli anni 50 durante la cerimonia delle nozze in un paese agricolo della Basilicata, S. Arcangelo, paese dove sono nato. Generalmente l’amore tra i nubendi sbocciava in chiesa, dal momento che il giovane adocchiava e poteva ammirare con tranquillità la probabile compagna durante le feste religiose. Una volta fidanzati, le famiglie discutevano sulla dote che la ragazza avrebbe portato in panni ed eventualmente in terreni e case.
Erano panni da letto che potevano andare da due ad un numero infinito fino a 12 ed oltre; era un corredo che prevedeva lenzuola, coperte, asciugamani, camicie di notte e tant’altro necessario per mettere su una casa.
Il banchetto si preparava in tempo e sulla base del menù si ci approvvigionava di capretti o agnelli, che sarebbero serviti per preparare il pranzo di nozze. Bisognava prenotare tempestivamente la casa dove si doveva svolgere il banchetto e per molto tempo si usava un mulino dismesso, riconvertito a sala per inviti, che si trovava a S. Antonio
Abate e poi casa Laurenzano, situata vicino alla chiesa madre. Il corteo partiva dalla casa della sposa, percorreva le strade del paese e dal numero di coppie, in dialetto” copie”, si intuiva il numero di invitati presenti al matrimonio; era solito chiudere il corteo un parente stretto degli sposi. Terminata la cerimonia religiosa il corteo si avviava lentamente verso la sala dove si doveva tenere il banchetto. A parte il riso, che si lanciava appena fuori dalla chiesa agli sposi con confetti e cannellini, durante il passaggio del corteo gli amici del rione erano soliti per buon augurio lanciare altro riso e confetti; ciò scatenava torme di ragazzini che immancabilmente precedevano il corteo nuziale e si azzuffavano per accaparrarsi i cannellini o i confetti. Arrivati gli sposi sulla porta d’entrata dove si teneva il banchetto, trovavano la madre dello sposo che per benvenuto dava prima alla sposa e poi al figlio interiora di pollo in fricassè. Gli invitati prendevano posto su scanni disposti lungo le pareti delle stanze in attesa che iniziasse la distribuzione dei dolci, sciù, sospiri, pizzetti ed alla fine paste secche. Il tutto era accompagnato da liquori, dal rosolio all’alkermes, dal vermouth al marsala, e quando si distribuivano i biscotti fatti in casa anche dal vino prodotto generalmente dalle famiglie degli sposi. I dolci erano dati solo agli adulti, i bambini erano esclusi ad eccezione di qualche caso e su precisa deroga del papà dello sposo che seguiva la dispensa “du cumplemente”.
Gli invitati non mangiavano i dolci ma generalmente li riponevano in una busta, che poi avrebbero portato a casa. Gli uomini bevevano qualche bicchierino e quindi mangiavano qualche pasta secca.
Accadeva che durante il riempimento dei bicchierini un po’ di liquore cadeva nel vassoio, per cui dopo un po’ di tempo il liquore sversato veniva direttamente dal vassoio ingurgitato da qualche sprovveduto.
Costui essendo a digiuno rapidamente mostrava i segni dell’ebrezza prima, e poi dell’ubriachezza, e diventava lo zimbello dei bambini che lo ricorrevano per le varie sale. Il banchetto era allietato da suonatori prima di organetto con tamburo e poi di fisarmonica e batteria. Questi artisti, quando si sentivano trascurati specie per le bevande, intonavano un motivetto che cosi suonava “purtate u vine a li sunature”, portate il vino ai suonatori.
La festa continuava per tutto il pomeriggio, durante il quale si serviva il pranzo appositamente preparato per gli invitati. Vi era allora un cuoco e persone di famiglia degli sposi che lo aiutavano nella preparazione sia della tavola che del pranzo. Alcune volte quando non bastavano le sedie per far sedere gli invitati si chiedevano in prestito alle famiglie vicine di strada. Il pranzo consisteva in un primo piatto di maccheroni, di ziti conditi con ragù di castrato (agnello o capretto ed alcune volte anche maiale), come secondo piatto veniva servito del bollito; seguiva un altro piatto costituito da carne in ragù, il tutto accompagnato da insalata verde. Il vino rosso o bianco era quello della famiglia degli sposi o comprato sul luogo. Formaggi, dolce con la torta nuziale e confetti chiudevano il fausto evento.
Dopo un riposo di qualche ora anche degli sposi, iniziava la serata danzante, che si protraeva fin verso le ore piccole. Tarantelle, mazurke, onestep, valzer e tango erano i balli in voga sostituiti in seguito anche da balli più moderni. Ricordo che un matrimonio, mentre era in piedi la festa, si trasformò in una quasi tragedia, in quanto il papà della sposa, parlando con il consuocero, non voleva mantenere la promessa di concedere un pezzo di terreno irriguo che in dialetto era detto “o ssute”, le uscite. Per far sì che le promesse matrimoniali fossero mantenute, si era soliti andare dal notaio, il quale raccoglieva le volontà e stilava i capitoli matrimoniali. La festa fu interrotta per il fatto che i familiari degli sposi vennero alle mani ed i festeggiati dovettero interrompere il festino e ritirarsi nella nuova loro casa con un grande dispiacere per l’increscioso accaduto.

 

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