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SCHEGGE DI MEMORIA

ANTONIO MOLFESE
 

A Fera - La fiera

Il periodo che andava dalla fine della semina all’inizio della sarchiatura dei seminati (che generalmente iniziava ai primi di Marzo) era dedicato alla riparazione o alla costruzione ex-novo di attrezzi per la lavorazione dei campi o utensili per il menage familiare; si preparavano bastoni, alcuni dei quali sarebbero stati dati in regalo al padrone o al mezzadro quando si recava alle fiere. Chi si recava alle fiere (un tempo numerose in Basilicata) era solito portare un bastone che serviva anche a dare una mano al pastore, il salariato addetto al trasferimento degli animali, per tenere riuniti agli stessi durante le ore di sosta nel recinto della fiera, in attesa che venisse qualche compratore a proporre il loro acquisto. Il tragitto dalla masseria alla zona della fiera era fatto a piedi, per cui il mezzadro, per interrompere il viaggio, individuava durante il percorso eventuali soste, generalmente masserie di persone conosciute, che permettevano, a chi accompagnava le bestie, di poter sostare durante la notte e usufruire dei servizi indispensabili (sorgenti d’acqua o pozzi con cui dissetare le bestie nel lento trasferimento e un ricetto per gli uomini dove ripararsi dall’umido della notte). Generalmente il pastore, giunto alla masseria dove doveva sostare, abbeverava le bestie, le chiudeva in qualche recinto sotto l’occhio vigile dei cani, che mal sopportavano questi intrusi e che erano richiamati all’ordine dall’ospitante, e poi era invitato a cena dal padrone della masseria.
Questi elargiva una buona accoglienza, dal momento che in un prossimo futuro a sua volta poteva ricevere in cambio il servizio che in quel momento prestava. Il mezzadro solo l’indomani mattina all’alba avrebbe raggiunto la comitiva e in groppa alla giumenta avrebbe aiutato nel restante tragitto la conduzione degli animali da vendere alla fiera.
Era questo uno dei momenti in cui esibiva il bastone, che il pastore aveva preparato per sé e per gli altri al bosco; identificati alcuni prugnoli novelli dritti e senza rami, nel periodo in cui gli alberi sono in quiete tra Novembre e Marzo, si recidevano alla base emergente dalle radici e si poneva la parte, che doveva poi rappresentare il manico, in acqua per qualche giorno; poi dolcemente si modellava in modo da formare un arco e in questa operazione ci si aiutava con il fuoco (in modo che riscaldando la parte si facilitava il modellamento delle fibre di legno che si dovevano piegare senza spezzarsi). Una volta raggiunta la forma desiderata, per conservarlo, si poneva una corda o un filo di ginestra doppio; il bastone, dopo una settimana- dieci giorni, era pronto per essere scorticato e preparato per il dono. Qualche volta, quando il proprietario andava alla fiera a vendere gli animali, il pastore nell’atto del ben arrivato, andava verso la giumenta che aveva rappresentato il mezzo di trasporto dei generi di prima necessità, prendeva un bel bastone di colore chiaro – con ancora i segni recenti del fuoco che si era visto applicare quel tenero virgulto – e lo porgeva in regalo. Si sosteneva in genere che non si poteva partecipare alla contrattazione degli animali in fiera senza avere per le mani un bastone, per cui veniva quasi a rappresentare un simbolo dei ferianti; di rimando si ricambiava il dono immediatamente con l’offrire le sigarette o durante il pranzo a sacco una bottiglia di vino da bere in compagnia. All’ora di pranzo, a meno che le trattative per la vendita non si fossero protratte oltre, si sceglieva una quercia, un riparo, un po’ di ombra e ognuno mangiava ciò che aveva portato da casa. Al massaro per l’occasione la moglie aveva preparato una cozza (recipiente di alluminio) abbondante e ricca di cibi a base di carne e contorni vari, pane fresco, strazzate, una pizza fatta con tanti ortaggi e condita di ottimo pecorino e nu perette pieno di vino (era un recipiente di vetro di circa 2,5 l. impagliato con vimini con chiusura ermetica e manici e facile ad essere trasportato anche a dorso di quadrupede in quanto abbastanza protetto contro le eventuali rotture). Oltre a questo il formaggio e la frutta non mancavano mai insieme alle “nocelle”, arachidi e nocciole, che erano state comprate alla fiera; anche il padrone contribuiva al pranzo, seduto su uno sgabello di fortuna rappresentato dal basto, con quello che avevano preparato a casa (generalmente era una frittata di maccheroni o di patate, un pollo arrosto e peperoni ripieni). Il tutto era accompagnato da frutta, una bottiglia di vino e un termos di caffè (le fiere si tenevano su ampie pianure prive di qualsiasi servizio e anche di bar). In tempi antichi per partecipare alle fiere era necessario essere munito di una fede, che un notabile del paese rilasciava quale lasciapassare, che attestava la legittimità del possesso degli animali condotti alla fiera, la quale, per mancanza di tipografie, veniva stampata su lastre di rame incise recanti lo stemma del comune o del barone o della città, con spazi vuoti per aggiungervi i nomi delle persone e le particolarità del bestiame (qualcosa come gli attuali certificati dell’anagrafe bestiame).

Noi eletti della Università di Sant’Arcangelo attestiamo che Massaro Pietro Palermo havvi ducento pecure et centovinti crape che porta alla Fera di S. Maria di Orliceto nel numero di venti pecure e quattordece crape.
Si invitano le autorità di dare assistenza in caso di bisogno.
Dato a Sant’Arcangelo il 5 aprile 1572
L’Auditore  Pietro Antonio Melfesio


Sigillo di autenticità del documento che rappresenta lo stemma di famiglia Molfese con le iniziali. (Archivio Molfese
)

 

 

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