A Fera - La fiera
Il periodo che andava dalla fine della semina all’inizio della
sarchiatura dei seminati (che generalmente iniziava ai primi di Marzo)
era dedicato alla riparazione o alla costruzione ex-novo di attrezzi per
la lavorazione dei campi o utensili per il menage familiare; si
preparavano bastoni, alcuni dei quali sarebbero stati dati in regalo al
padrone o al mezzadro quando si recava alle fiere. Chi si recava alle
fiere (un tempo numerose in Basilicata) era solito portare un bastone
che serviva anche a dare una mano al pastore, il salariato addetto al
trasferimento degli animali, per tenere riuniti agli stessi durante le
ore di sosta nel recinto della fiera, in attesa che venisse qualche
compratore a proporre il loro acquisto. Il tragitto dalla masseria alla
zona della fiera era fatto a piedi, per cui il mezzadro, per
interrompere il viaggio, individuava durante il percorso eventuali
soste, generalmente masserie di persone conosciute, che permettevano, a
chi accompagnava le bestie, di poter sostare durante la notte e
usufruire dei servizi indispensabili (sorgenti d’acqua o pozzi con cui
dissetare le bestie nel lento trasferimento e un ricetto per gli uomini
dove ripararsi dall’umido della notte). Generalmente il pastore, giunto
alla masseria dove doveva sostare, abbeverava le bestie, le chiudeva in
qualche recinto sotto l’occhio vigile dei cani, che mal sopportavano
questi intrusi e che erano richiamati all’ordine dall’ospitante, e poi
era invitato a cena dal padrone della masseria.
Questi elargiva una buona accoglienza, dal momento che in un prossimo
futuro a sua volta poteva ricevere in cambio il servizio che in quel
momento prestava. Il mezzadro solo l’indomani mattina all’alba avrebbe
raggiunto la comitiva e in groppa alla giumenta avrebbe aiutato nel
restante tragitto la conduzione degli animali da vendere alla fiera.
Era questo uno dei momenti in cui esibiva il bastone, che il pastore
aveva preparato per sé e per gli altri al bosco; identificati alcuni
prugnoli novelli dritti e senza rami, nel periodo in cui gli alberi sono
in quiete tra Novembre e Marzo, si recidevano alla base emergente dalle
radici e si poneva la parte, che doveva poi rappresentare il manico, in
acqua per qualche giorno; poi dolcemente si modellava in modo da formare
un arco e in questa operazione ci si aiutava con il fuoco (in modo che
riscaldando la parte si facilitava il modellamento delle fibre di legno
che si dovevano piegare senza spezzarsi). Una volta raggiunta la forma
desiderata, per conservarlo, si poneva una corda o un filo di ginestra
doppio; il bastone, dopo una settimana- dieci giorni, era pronto per
essere scorticato e preparato per il dono. Qualche volta, quando il
proprietario andava alla fiera a vendere gli animali, il pastore
nell’atto del ben arrivato, andava verso la giumenta che aveva
rappresentato il mezzo di trasporto dei generi di prima necessità,
prendeva un bel bastone di colore chiaro – con ancora i segni recenti
del fuoco che si era visto applicare quel tenero virgulto – e lo porgeva
in regalo. Si sosteneva in genere che non si poteva partecipare alla
contrattazione degli animali in fiera senza avere per le mani un
bastone, per cui veniva quasi a rappresentare un simbolo dei ferianti;
di rimando si ricambiava il dono immediatamente con l’offrire le
sigarette o durante il pranzo a sacco una bottiglia di vino da bere in
compagnia. All’ora di pranzo, a meno che le trattative per la vendita
non si fossero protratte oltre, si sceglieva una quercia, un riparo, un
po’ di ombra e ognuno mangiava ciò che aveva portato da casa. Al massaro
per l’occasione la moglie aveva preparato una cozza (recipiente di
alluminio) abbondante e ricca di cibi a base di carne e contorni vari,
pane fresco, strazzate, una pizza fatta con tanti ortaggi e condita di
ottimo pecorino e nu perette pieno di vino (era un recipiente di vetro
di circa 2,5 l. impagliato con vimini con chiusura ermetica e manici e
facile ad essere trasportato anche a dorso di quadrupede in quanto
abbastanza protetto contro le eventuali rotture). Oltre a questo il
formaggio e la frutta non mancavano mai insieme alle “nocelle”, arachidi
e nocciole, che erano state comprate alla fiera; anche il padrone
contribuiva al pranzo, seduto su uno sgabello di fortuna rappresentato
dal basto, con quello che avevano preparato a casa (generalmente era una
frittata di maccheroni o di patate, un pollo arrosto e peperoni
ripieni). Il tutto era accompagnato da frutta, una bottiglia di vino e
un termos di caffè (le fiere si tenevano su ampie pianure prive di
qualsiasi servizio e anche di bar). In tempi antichi per partecipare
alle fiere era necessario essere munito di una fede, che un notabile del
paese rilasciava quale lasciapassare, che attestava la legittimità del
possesso degli animali condotti alla fiera, la quale, per mancanza di
tipografie, veniva stampata su lastre di rame incise recanti lo stemma
del comune o del barone o della città, con spazi vuoti per aggiungervi i
nomi delle persone e le particolarità del bestiame (qualcosa come gli
attuali certificati dell’anagrafe bestiame).
Noi
eletti della Università di Sant’Arcangelo attestiamo che Massaro Pietro
Palermo havvi ducento pecure et centovinti crape che porta alla Fera di
S. Maria di Orliceto nel numero di venti pecure e quattordece crape.
Si invitano le autorità di dare assistenza in caso di bisogno.
Dato a Sant’Arcangelo il 5 aprile 1572
L’Auditore Pietro Antonio Melfesio
Sigillo di autenticità del documento che rappresenta lo stemma di
famiglia Molfese con le iniziali. (Archivio Molfese)
AVANTI
>>
|