Pasquale Totaro-Ziella

 

 

Ettore Catalano

 

da: "L'espansione intimizzante: ....." pag. 50-52

in: "Le rose e i terremoti"

 

Anche la poesia di Pasquale Totaro-Ziella di Senise, parte da un iniziale processo di ridefinizione del paese e dell'agghiacciante scoperta di un orrendo, segnato dallo sgretolamento e dall'incomunicabilità. Tagliatesi così i ponti del recupero tardo-realistico, il poeta è spinto ad inventarsi una cifra espressiva quanto mai interessante, dominata da una lingua basata su costrutti dialettali e tempi memoriali, approdando a toni favolistico-infantili, nei quali gli stilemi della tradizione lirico-ermetica vengono rivissuti in materiali vigorosamente magici e mitici, carichi di sapienza immaginativa e narrativa. Da tale ricerca non sono certo assenti le suggestioni e le spinte del reale, ma l'urgenza contraddittoria è come respinta e soffocata in un impasto espressivo che tende alla dilatazione umanamente persuasiva più che allo sguardo analitico. L'ultima raccolta del poeta di Senise appare invece giocata sul tema dell'amore, ripreso, tuttavia, in forme originali, con grande fascino iconico. L'incomunicabilità, inizialmente scoperta al livello del microcosmo paesano, sembra ora lasciare il passo ad una introspezione rivolta tutta alle articolazioni di un discorso sentimentale nel quale rintracciare emblemi e relitti insieme di umanità, in una direzione espansiva differente rispetto a quella esaminata in Virgilio, ma ugualmente estranea alle esasperazioni di tipo lirico-privatistico. E' certo evidente il trapasso, in Totaro-Ziella, da una poesia che ancora si muove nello spazio obbligato e coartante del paese (Solamente questo paese, 1976) ad un impegno formale che tende a sottrarre al consueto repertorio geografico lucano la sua aggettivazione preferita: il poeta si immerge nella consapevolezza di un processo di mutamento che pietrifica il paese e gli conferisce una qualità immobilizzante, costituendolo, come già si diceva, nei termini di un punto di partenza bloccato, azzerandone le potenzialità più logore e attardate e impedendone un tardivo sfruttamento tematico in chiave tardo-realistica. Donde la singolare invenzione dell'impasto espressivo-memoriale-dialettale di A canne a pietre a posti fatati (1979), versi nei quali Totaro-Ziella tenta il recupero della pienezza dell'espressione infantile attraverso una serie di trappole costituite da guizzanti immagini e da agguati narrativi. Ciò che ne emerge, tuttavia, non è tanto la nostalgia del tempo perduto, quanto l'acuta malinconia nei confronti del presente, la precarietà di quell'appello mitico e l'impellente esigenza di capire quali siano le dimensioni, pur disilludenti, del proprio tempo.

Il poeta, assediato dal germogliare di emblemi di morte dal seno stesso della sua ricerca d'infanzia, si volge ora autocriticamente verso tematiche di salvezza privata, verso una responsabilizzazione corale della individualità del rapporto d'amore, verso un erotismo sottile e insinuante, che, dagli accenti un po' solenni e talvolta impacciati di Corale accorato corale (1981), conquista la cifra convincente di Clena (1984), splendida avventura nel grembo della donna, ricca di umori e di sapori. Questi versi, colmi di una scolpita passionalità, esibiscono una notevole maestria costruttiva e sembrano indicare una trincea di cultura mediterranea che forse potrebbe definirsi precristiana, nel senso di una pagana felicità dei sensi, di una disponibilità a vivere, con totale partecipazione, la scommessa della sfida alla morte, in un linguaggio plastico, a volte irruentemente plebeo, molto spesso affascinante. Come si può ora facilmente capire, proprio il percorso da Solamente questo paese a Clena rappresenta "l'essere ineffabile" della poesia di Totaro-Ziella, il suo scegliersi come spazio di una soggettività mitica e sacrale, inquietamente erotica e tenacemente ostile a uscire dalla conquistata dimensione di una coralità al singolare, in uno slancio espansivo che abbraccia la materialità del corpo e non si estenua nelle rarefatte (e spesso artefatte) brume di una intimità maldestramente purificata.

 

Ettore Catalano    

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