Non conosciamo le sue origini, ma di una cosa siamo certi: per tanti
secoli si è chiamata Vineola (piccola vigna). Un nome latino, come latini,
anzi romani,sono i soldati che sconfiggono a Fossa Cupa i ribelli Lucani.
C’è chi avanza addirittura l’ipotesi che i Romani abbiano stanziato qui una
loro guarnigione, ma ciò non trova il conforto di una documentazione
storica.
Più plausibile invece è la presenza tra l’VILI e IX secolo di monaci
basiliani, come si evince dalla persistenza in loco di alcuni luoghi di
culto e la venerazione di santi di origine mediorientale, legati alla loro
tradizione.
Molto antico è anche il culto per 5. Michele Arcangelo, praticato in una
grotta, proprio come a Monte Sant’Angelo sul Gargano. Come si sa questa
devozione fu patrocinata e divulgata dai Longobardi, durante la loro
dominazione.
Con il 1300 Pignola è una realtà storica, ben documentata. Sappiamo per
esempio che ai tempi di Carlo II d’Angiò fa parte della contea di Potenza,
per poi passare sotto il dominio di Sanseverino. Giovanna II d’Angiò la
sceglie per qualche tempo come luogo di soggiorno, tanto da gratificarla con
privilegi e qualche esenzione da tributi. Nel 1543 viene concessa in
enfiteusi da Enrico de Guevara, conte di Potenza, per passare ancora
successivamente sotto varie casate nobiliari.
Ma la nobiltà più vera di questo piccolo centro dell’Appennino Meridionale è
quello di aver avuto per tanti anni tra i suoi abitanti uno dei più grandi
maestri della pittura lucana, Giovanni De Gregorio, detto Il Pietrafesa.
Molte tele che ora sono disperse in tate chiese della Basilicata e del
salernitano sono state dipinte proprio a Pignola, dove morì nel 1646.
La tradizione vuole che il suo corpo giaccia in un pilastra della Chiesa
Madre sul lato sinistro del presbiterio.
La sua presenza fa nascere a Pignola una vera e propria dinastia di pittori,
come Filiberto Guma, che tante opere lascia in molti paesi del Sud e nella
stessa Pignola, suo paese natio. Qui nasce anche Giuseppe De Gregorio,
figlio del Pietrafesa, che però lavora quasi esclusivamente a Roma.
Inoltre qui operano gli Olita, famosi fonditori di campane.
Tra la fine del 1600 e per tutto il 1700 Pignola si rinnova nella sua
architettura religiosa e civile, come si nota nella stessa Chiesa Madre, in
Palazzo Gaeta, nella Chiesa di Sant’Antonio Abate e il Palazzo Ciasca.
Il terremoto catastrofico del 1694 è il fattore scatenante per una
ricostruzione secondo i canoni introdotti in campo religioso dalla Riforma
Tridentina. La Chiesa Madre perde così il suo vecchio impianto romanico e
diventa a navata unica. Del vecchio edificio sopravvivono la cripta ed il
campanile, costruito in forme tardoromaniche nel 1400 da Jacopo Trifoniano
da Stigliano. Per la ricostruzione della stessa chiesa ci si avvale di
Antonio Magri, allievo del Vanvitelli.
Altro periodo fecondo di opere è il 1800. Rimangono di questo secolo
preziosi portali in cui si sviluppano motivi neoclassici e neobarocchi con
ampio recupero di u ricco bestiario medioevale, di forte impianto
espressionistico, come aveva già anticipato il Trifoniano nella decorazione
del Campanile della stessa Chiesa Madre.
I Portali, i telamoni reggimensole, i poggiatasi, le decorazioni angolari,
le 100 maschere e le balconate che ci accompagnano nel borgo antico, fanno
di Pignola un unicum del panorama architettonico della Basilicata e del Sud
Italia.
Antonio MASINI
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