Roberto Zito

 

Elisia
e
la scatola del tempo


Nota introduttiva:

Le pagine che seguono, lasciate ad una superficiale lettura, potrebbero apparire contraddittorie e colme d’incertezze, visto che quanto è dato per verità assoluta in una pagina, puntualmente, in quella successiva, viene smontato e poi rimontato così da assumere significato diverso o addirittura contrastante con quello precedente.

Ma non è forse strutturata in tal modo la nostra vita?

Ciò che oggi ci appare verità assoluta non è forse destinato, in un futuro più o meno prossimo, a trasformarsi, a mutarsi, come ogni altra caduca forma di questo nostro continuo divenire?

Per lungo tempo ho guardato all‘infinito come ad una dimensione nella quale la razionalità relega tutto ciò che d’incomprensibile ed imperscrutabile resta alla conoscenza ed oggi, epoca nella quale più che mai il solo apparire sembra far parte del comprensibile, non pago delle continue corse, dell‘accanito protendere verso l‘accumulo sempre maggiore di beni materiali, riscopro in questa dimensione il luogo ideale, l ‘unica possibile meta nella quale tutto appare facilmente chiaro e privo d’ombre.

Oggi senza rumore o paure, sento l ‘anima essere quell’infinito ove principio e divenire d’ogni cosa prende forma.

La coscienza, la razionalità, l ‘aspirazione e questa nostra stessa necessità di comunicare non sono che forme del nostro divenire basate e forgiate dal nostro Io sulle cognizioni acquisite il cui principio però, quand’anche le si debba ingabbiare in un complesso ingranaggio chiamato tempo e quindi tra un inizio ed una fine che sono propri dell‘apparenza di ciò che diviene, resta nell‘anima.

La strada che conduce un uomo a sé stesso è infinita eppure, in questa sì fatta (illusoria e complicata in ogni suo ingranaggio ma proprio per questo tanto più veritiera e reale per noi che ne facciamo parte) scatola chiamata tempo, la ricerca di ognuno verso sé stesso non potrà che approdare a quella che sarà una verità soggettiva, poiché per ogni meta raggiunta dalla nostra conoscenza altre ce ne saranno; destinate sì a restare inesplorate ma non per questo tutte potenzialmente ed ugualmente “vere

Per quanto nulla si possa apprendere da questo scritto come da ogni esperienza altrui e quand’anche questa possa apparire una mia ennesima assurdità, una sola inconfutabile verità riaffiora dal marasma contraddittorio e colmo di dubbi che compone queste mie pagine ed è la seguente:

Il tempo è illusione, la realtà è illusione, solo i ‘anima è principio infinito e quindi forma assoluta ed imperitura dell‘essere, eppure la vita è già forma del divenire, caduca forma del divenire destinata ad essere vissuta nella scatola del tempo.

(L’atarassia può dare la serenità ma solo “vivendo” si può arrivare a sé stessi).

 

Parte prima:

                        La realtà della materia
                        risiede nell'essere percepita.
                                                          G.    BERKELEY
 

L’uomo con gesto automatico girò la chiave nella serratura, poi, con la stessa sicurezza si richiuse la porta alle spalle portando la mano istintivamente sull‘interruttore posto di poco sulla sua destra.

Erano ormai quattro anni che abitava in quell’appartamento; da quando, assunto come grafico nell’agenzia pubblicitaria dove tuttora lavorava, aveva dovuto lasciare il paese natio, un piccolo centro di provincia, per trasferirsi in città. Da quattro anni usciva di casa di buon ora per recarsi al lavoro restando fuori tutto il giorno e quando finalmente rientrava, girare la chiave nella serratura e chiudersi la porta alle spalle diventava, seppur fatto con schematica consuetudine, movimento talmente irrazionale da sembrare quasi avvenuto prima ancora di essere stato pensato.

Così anche quella sera, poggiata la borsa sulla scrivania e sfollatosi la giacca di dosso, osservo per un lungo attimo fuori dalla finestra, affascinato da quello spettacolo irreale fatto di luci e insegne al neon che pian piano si perdevano in fondo alla periferia, poi, con fare assai lento, riprese a camminare su e giù per la stanza quasi senza accorgersi della donna seduta sulla poltrona posta al di là della scrivania.

Quando finalmente la vide rimase a lungo a scrutava, poi convinto in fondo che quell’apparizione non fosse che il frutto della sua immaginazione, chiese con voce rauca ed impaurita: «Chi è lei... come mai... che ci fa in casa mia?»

LA DONNA “Interrompendolo” «Io sono la tua coscienza»

L’UOMO “Ancora incredulo” «Come la mia coscienza»

LA DONNA “Sempre più pacata e sicura” «Rassicurati non sono qui per farti del male. Per meglio spiegarti diremo, paragonando il tutto ad un apparecchio televisivo, che io sarò il telecomando pronto a cambiare canale ogni qual volta tu lo vorrai e che questa sera tu sarai allo stesso tempo vittima e carnefice, attore principale e comparsa, silenzio e rumore assordante.

Perciò non avere timore della mia carne più di quanto tu non ne abbia per la tua, perché io sono in te e seguo i tuoi passi ovunque vadano. Siamo complici, complici che seguono un medesimo destino»

L‘UOMO “Sconcertato da tali affermazioni” «Com‘è possibile tutto questo seppure fosse vero quello che vedo...

Com‘è possibile scindere dal bianco il nero, sapere con certezza dove finisce i ‘uno e dove i ‘altro.»

LA DONNA «Ho detto d’essere la tua coscienza non quella comune e tu conosci bene dove il tuo bianco cede al nero.

— Poi indicando la porta disse ancora —Dimmi la vedi quella donna ?»

L’UOMO “Portandosi la testa fra le mani” «La vedo seppure senta di impazzire»

LA DONNA «La chiameremo Augusta per semplificare le cose. Nota i suoi lineamenti provocanti e gli ori che cingono il suo corpo sensuale... quella donna rappresenta il successo e tu diventando pietra dura tante volte l ‘hai desiderata, godendo al pensiero di poterla afferrare. Tu lo sai bene che in lei si cela il potere quello che fa grandi gli uomini sugli uomini, quello che da poltrone e case comode, ma la vita non è solo questo, tu lo sai vero che non è solo questo seppure oggi fingi d’ignorarlo. »

L’UOMO «Sei tu che dici questo, sei tu che punti il dito contro... tu che affermi di essere mia complice.

Se così fosse dovresti saperlo cos ‘è stata la mia vita, ricorderesti le notti nelle quali ho ceduto il letto alla disperazione, ricorderesti il pianto e l ‘impotenza chiusa nei miei pugni. Ma tu non sai, non hai occhi che guardano indietro, forse sei un sogno o solo la fine della strada dove il vetro si sgretola e la mente cede alla pazzia. »

LA DONNA «Credi sia pazzia conoscere il rimorso?

La vera pazzia è possedere ancora il bianco e credersi alla fine della strada.

Accusi me di non sapere, ma la mia memoria è antica invece ed ha grandi occhi che guadano lontano seppure diventino cristalli quando mio malgrado mi fai tua complice offrendomi catene e sbarre luccicanti d’oro.»

AUGUSTA “Interrompendo con autorità e rivolgendosi alla donna”

«Sei tu che accusi adesso e parli di pazzia ? Ma cos‘è la pazzia...? operare senza più raziocinio, abbattere gli schemi della morale comune o che altro ancora...

— Poi con disprezzo —Sei sola utopia e tale resti, mentre io seleziono è vero ma alla fine offro beni tangibili; offro denaro e potere ed è quello che compra e ripaga il silenzio. »

L’UOMO “Avvicinandosi ad Augusta tanto da poterla toccare «Ma allora tutto questo non è un sogno, non è dovuto alla mia fantasia, voi siete qui nella mia stanza a processare il mio operato; non più voce o desiderio bensì materia che posso toccare. Tutto questo accentua e fa più grande il male perché non posso io rivivere ciò che un istante fa era solo ricordo, accarezzare il successo, parlare alla coscienza. »

AUGUSTA «Tu l’hai già fatto tante volte senza mai crederti pazzo perché dovresti ora, solo perché mi vedi o perché parli a lei che crede d’essere verità assoluta.

Ma le verità sono tante ed ognuno sceglie la propria e la vive fino in fondo.»

LA DONNA “Rivolgendosi all‘uomo come a continuare il discorso dell‘altra”

«Già le verità sono tante ed ognuno sceglie la propria e la vive fino in fondo.»

L’UOMO «Ed è questo che tu condanni ?»

LA DONNA «No, non è questo. Io mi ribello al silenzio.

— Poi guardando Augusta —A quello che lei compra e ripaga col potere, quei potere innato e primordiale che assume forme e colori diversi ma che resta sempre tale; maledettamente uguale a sé stesso.

AUGUSTA “Avvicinandosi alla donna”

«Tu mi confondi troppo spesso, io non sono il potere, sono solo voglia di emergere, desiderio di benessere, rivincita forse, ma solo questo. »

LA DONNA «Non sei solo questo. Averti significa ignorare, accettare compromessi, crearsi il vuoto dentro, diventare sordi e ciechi perché tu vuoi il silenzio intorno, l ‘hai già detto. »

L’UOMO «E’dunque questa la tua accusa, condanni il mio silenzio ?»

LA DONNA «Io non condanno, resto solo una sterile voce che non accetta di diventare vuoto e che non può ignorare il male perché fingersi ciechi coinvolge e fa colpevoli quanto e forse più di chi commette il crimine. »

L’UOMO «Non riesco a seguirti.»

LA DONNA «Immagina di camminare per le strade del centro, è notte al tuo fianco un ricco uomo d’affari conosciuto da poco continua a masticare parole dietro il sigaro stretto tra i denti, poi, d’improvviso una donna che esce da un night e l‘uomo che sputato il sigaro di bocca le si avventa contro stringendogli come impazzito le mani intorno al collo. Poco più in là senza muovere un dito assisti alla scena e quando l ‘uomo si rialza lasciandosi alle spalle quel corpo senza vita e ti viene vicino urlando “maledizione cosa ho fatto... cosa ho fatto, è mia moglie quella... non volevo, mi tradiva ma non volevo ucciderla” ed ancora guardandosi intorno “non mi ha visto nessuno, vieni andiamo via.., non mi denuncerai spero, ti farò ricco per questo, potrai realizzare tutti i tuoi progetti se solo non mi tradirai “. Basterà allora non aver visto, basterà il tuo silenzio a farti diventare peggiore di un assassino. »

L’UOMO « Vuoi forse dire che per lei ho tradito le tue aspettative ? Ma io non sono un Dio, sono solo un uomo. Perché dannarsi tanto sono solo un uomo. »

LA DONNA «Pensi veramente non sia importante lottare per essere se stessi ?Allora hai ragione non sei tu un Dio, sei solo un corpo che si crede un uomo.

AUGUSTA “Sempre più vicina alla donna” «Se così fosse allora tu chi saresti? Un punto concentrico a sé stesso o un Cristo che giudica dall‘alto di una croce e perdona e sopporta il dolore dei chiodi che trafiggono la carne. Rimani voce è vero ma sei voluta, perché anche senza del solo nero tu non avresti ragione d’esistere. »

LA DONNA «Già non avrei ragione d’esistere. Sarei come bianco amalgamato al bianco. Ma io non sono solo questo; non sono solo questo, ricorda.»

L’UOMO «Il tuo tono assume risonanze che sembrano scaturire dal nulla, ma in fondo ha ragione lei, sei voce voluta, cresciuta con me, diventata grande grazie a ciò che ho subito. Ed ora sono stanco di lottare i mulini a vento, perché sono i pazzi a farlo credendosi eroi che vivono e muoiono da soli senza essere mai compresi. »

AUGUSTA «L’importante non è vivere ma sopravvivere perché la fame è solo fame così come la miseria o la povertà e forse lui prima ancora di lottare vorrebbe dimenticare il suo passato. Lottare poi per che cosa, come se tutto non facesse parte del grande ingranaggio. Non era forse giusto Gesù Cristo eppure il potere ha rafforzato le sue cattedrali sul suo sacrificio. Il mondo ruota sulla propria imperfezione ed ha bisogno di vittime per selezionare i suoi vincitori.»

LA DONNA «Ma di cosa stai parlando, vincitori, vittime, sopravvivere anziché vivere. Tutto questo è assurdo. Si può certo sopravvivere alla miseria ma non annullando sé stessi.

— E avvicinandosi alla porta aggiunse —Comparirà ora un nuovo personaggio. Per noi sarà Paul, ma in effetti non è che la tua aspirazione artistica. — Poi, riavvicinatosi all‘uomo —In lui dovresti riconoscenti, volevi essere un pittore senza sapere che per l ‘arte si muore, proprio come gli eroi, magari col rischio di non essere mai compresi. — Così dicendo sulla porta apparve un uomo dai lineamenti mancati, con gli occhi fissi come a scrutare tutto ciò che gli stava di fronte. Una volta dentro si portò in un angolo della stanza quasi a voler resta re fuori dai loro discorsi e con aria provocatoria aspettò che qualcuno parlasse.»

L’UOMO “Spezzando il silenzio che si era creato e guardando la donna”

«Ora capisco le tue affermazioni iniziali “...vittima e carnefice allo stesso tempo...” quindi questa sera mi è dato di parlare e di vedere ai miei propositi come a dei personaggi del tutto indipendenti l‘uno dall‘altro. — Poi, dopo una breve pausa e rivolgendosi a Paul — Tu non eri solamente un proposito finalizzato bensì un bisogno da soddisfare ad ogni costo, proprio così un bisogno che assumeva l‘importanza del linguaggio, la forma che diventava parola, fino a farmi stare male, poiché ogni volta finivo con lo scontrarmi contro una realtà troppo diversa da quella che mi stava intorno.»

PAUL «Credi forse sia possibile dividere le nostre strade ormai o pensi basti chiudere gli occhi per cancellare la mia presenza. Parli di me come di un ricordo lontano ma il nostro viaggio è appena iniziato sventurato compagno, perché io sono una maledizione che si abbatte giù in fondo all’anima sventrandola con violenza fino a provocare dolorosi movimenti. »

L’UOMO «Anche tu sei niente, lo capisci questo, resti niente alla fine. Dipingere, pretendere di vedere con i suoi occhi. — E guardando la donna — Allora le forme non sarebbero più tali, bisognerebbe scomporle, smontarle per poi rimetterle insieme come pezzi di un mosaico per rappresentare non più un volto ma ciò che dietro esso si cela, non più una scena ma l’habitus culturale e sociale nel quale questa viene a crearsi in quel modo e non in un altro. Dipingere, si racchiude il tutto ed il niente in questo termine, ma per poterlo fare in modo totale affinché l‘immagine partorisca, sgretolandosi, sensazioni ed emozioni che vadano al di là della rappresentazione stessa è necessario superare quel confine di cui si è già detto ed accettare la pazzia totale, abolendo ogni tipo di legame col contesto nel quale la nostra azione viene a crearsi. »

LA DONNA «Ho notato che parli spesso di pazzia e credo tu lo faccia come forma di autodifesa.»

PAUL “Interrompendola” «Non credo sia questo, credo più che la sua sia una convinzione profonda. L’ho già detto, l’arte è una maledizione che costringe ad addossa ivi colpe e mali che neanche ci appartengono. »

AUGUSTA «Perché parlare sempre del dolore come fosse l‘essenzialità estrema legata al genere umano. Eppure mi sembra sia stato asserito che da ogni forma primaria, per fattore consequenziale, si approdi prima o poi al suo culmine opposto. Quindi se ad ogni sensazione ne consegue una opposta, dobbiamo convenire che esse, proprio perché l‘una completamento dell‘altra, assumono medesimo valore. »

LA DONNA «Il dolore resta solo dolore e non mi sembra sia giusto intenderlo come fattore dal quale, per consequenzialità, poi scaturisce l‘attimo migliore. Non è di momenti circoscritti ad un ‘entità temporale che stiamo trattando ma di costanti esistenziali che fanno del dolore una sensazione opprimente e continuativa, tanto ramificata ed a sé stante da diventare imperturbabile ad ogni altro suo culmine opposto. »

L’UOMO «In questo ha ragione lei, stiamo esaminando una costante esistenziale che definiamo come dolore e che molto spesso porta ad uno sdoppiamento di personalità. »

PAUL «Proprio così, una costante esistenziale che porta ad uno sdoppiamento di personalità. In effetti è come se una parte di noi lottasse accanitamente contro l‘altra nonostante la consapevolezza della propria condizione di non essere. »

AUGUSTA «Cosa intendi per consapevolezza di non essere. »

LA DONNA «Non essere molte volte è sinonimo dell‘apparire. »

L’UOMO «Più che dell’apparire in sé il non essere è sinonimo dell‘adattarsi, modificare cioè la nostra coscienza adattandola a quanto di più utile e conveniente per la nostra pacifica sopravvivenza.»

AUGUSTA «Così secondo voi ricercare il successo, la cui prerogativa imprescindibile è l‘apparire, quindi la necessità di adattarsi a quanto gli altri ci chiedono, comporta necessariamente il porsi in un condizione di non essere. »

PAUL «Sicuramente si. Di per se tale ricerca vincola l ‘individuo alla necessità di proporsi agli altri, di realizzarsi, di cercare negli altri. Ma chi sono gli altri ? Certamente non l ‘immagine reale di ciò che è in noi bensì la ricostruzione irreale di quanto sta intorno a noi, filtrato attraverso una lente che trova il suo essere nell‘esperienza individuale e collettiva (la prima vissuta e la seconda acquisita) e quindi nella conoscenza. Gli altri dunque, esteriorità irreale poiché elaborazione individuale vincolata alla conoscenza che ognuno di noi ha, non rappresentano il punto d’arrivo cui aspirare ma, come tutto ciò che sta intorno a noi, una realtà soggettiva, quindi, una non realtà elaborata sulla scorta di quanto già è in noi. Modificare il nostro essere, adattandolo di fatto a quanto ci circonda, ad una non realtà, significa disconoscere che l‘esteriorità è irreale in quanto creata soggettivamente ed in funzione delle nostre conoscenze, quindi il ricercare all‘esterno ciò che altrimenti andrebbe ricercato in noi stessi pone l’individuo, indiscutibilmente, in una posizione di non essere. »

 

Mentre gli altri ancora discutevano a tratti anche animosamente, l‘uomo si allontanò da loro portandosi verso la finestra, accostò lentamente la faccia contro il vetro e chiuse gli occhi. Un lungo brivido attraversò il suo corpo ed in quell‘attimo di assoluta estraneità da quella che finora aveva creduto fosse l’unica ed indiscutibile realtà gli sembrò di rivivere tutta la sua vita.

 

L’UOMO “Rivolgendosi a voce alta alla sua stessa immagine riflessa nel vetro”

«Chi sono dunque io? Una nullità, un numero fra tanti, un niente sopravvissuto a sé stesso. Dio mio, una vita intera sprecata alla ricerca di un qualcosa che non c ‘è. Improvvisamente sento di non essere che un niente, certo non più importante di quel vaso di fiori sulla finestra odi quegli oggetti sparsi sulla scrivania. Tragicamente, così come per fiori e quegli oggetti, devo riconoscere che anche il mio essere si concretizza e prende forma, determinando così la mia condizione di non essere, unicamente in base a quanto gli altri credono di vedere in me. »

LA DONNA «Così non è; la differenza sostanziale che intercorre tra te e questi oggetti non consiste nel solo fatto che, contrariamente a ciò che ti circonda, a te solamente è data la possibilità di modificare quanto esteriormente traspare; invero, essa è determinata dalla certezza che tu, in quanto individuo, possiedi un ‘anima. Un ‘anima lo capisci, qualcosa di immenso che ancora oggi, nonostante mille errori, come una voragine ti si apre dentro riportando domande primordiali: Chi sei, dove vai, perché esisti ?»

 

Palesando ormai un disinteresse totale per quanto gli altri dicevano, l‘uomo non una sola volta girò lo sguardo su di loro; anzi ignorando del tutto quanto detto dalla donna, rimase a lungo immobile con lo sguardo fisso al di là dei vetri, piacevolmente attratto da quei bagliori lontani che tutt’intorno il paesaggio gli offriva. Così, nel mentre l’agitazione dovuta a quanto finora gli era accaduto, scemandosi, cedeva il posto a nuove sensazioni, inebriata da quel torpore interiore causato gli dalla convinzione, seppure momentanea, dell‘essersi posto al di fuori di quella inspiegabile realtà, la sua mente avviò uno strano e convulso viaggio a ritroso nella memoria. Con rammarico

si accorse, quasi null‘altro fosse stato da lui vissuto, che tutto si fermava alla sua adolescenza, a quel suo passato così lontano che spesso prepotentemente tornava riportando immagini e voci e luoghi mai dimenticati.

 

L’UOMO “Parlando a voce molto bassa, preoccupato quasi di essere ascoltato dagli altri” «Proprio così, prepotente torna il passato e con esso immagini e voci e luoghi riprendono forma, quasi il tempo non fosse trascorso. Ricordo la casa dei nonni con davanti il terrazzo, un piccolo quadrato di mattoni rossi cinto da splendidi fiori piantati nei secchi vuoti di vernice. Qualcuno, mia madre forse, mi aveva raccontato di mio nonno, all’epoca operaio addetto a montare traversine, arrivato un tempo in paese con la ferrovia e stabilitosi in quel luogo per sempre. Ed è sempre così che in seguito io lo vidi. un pioniere arrivato con la ferrovia. Lo ricordo spesso, fiero dietro agli occhiali col suo cappello grigio, intento a leggere la Bibbia o scritti che parlavano di Marx, del capitalismo, delle lotte operaie. (Cristo anche lui come noi altri, era un compagno, un operaio sfruttato e messo in croce dai padroni). Mia nonna, invece, intenta a cucire spesso ci parlava del passato, di quando mio nonno partì per l‘Africa e vi rimase per anni, prima costretto dalla guerra e poi per assicurare pane alla famiglia: delle guerre subite, del suo lavoro di sarta per le famiglie più in vista del paese. Anche su quel piccolo quadrato di mattoni rossi è passata la storia e non solo la mia. Così, tra mille corse e grosse fette di pane bagnato e ricoperto di zucchero, si è svolta la mia infanzia ed oggi come in una foto mi rivedo bambino e rivedo i nonni e mia madre, splendida come in un film nel suo tailleur grigio e camicetta rosa, che mi sorride e con la mano lieve mi carezza i capelli. Solo dopo, i primi amici e la scoperta del mondo, fuori da quel piccolo quadrato. La pineta sotto il castello, la fiumana che ne delimitava il lato a valle, la roccia “paradiso “, le prime capanne costruite sugli alberi. I miei amici, i cui volti sono impressi nella mia memoria, scolpiti nella pietra. Con loro i miei fratelli e complici, tra mille scorri bande ho saccheggiato il mondo e scoperto me stesso. Tra i sassi di quella fiumana o arrampicato sulle rocce ogni giorno, dopo la scuola, riconquistavo la mia libertà, poi, all‘imbrunire ritornavo verso casa e nel rientrare ritrovavo mio padre che paziente m ‘ammoniva sull‘ora. Mio padre, uomo mite eppure per me così forte, anche lui costretto ad emigrare, a diventare pioniere in terre lontane. Nei suoi racconti, libera è corsa la mia fantasia ed è attraverso questi che io I ‘ho immaginato eroe prima e dopo riscoperto uomo. »

AUGUSTA “Interrompendo bruscamente l‘uomo «Questo è l’errore. Illudersi che il tempo si possa fermare, girarsi perennemente indietro senza capire che tutto è così breve. »

PAUL “Scagliandosi a voce alta verso Augusta” «Ma cos ‘è questo tempo di cui tutti parlate ? Cosa se non un maledetto orologio che scandisce minuti su un muro. La vita non è quantità ma qualità e questa non è data dai minuti o dalle ore rubate al tempo. Hai detto bene prima, tutto è così breve, la nostra vita è così breve rispetto all‘immensità che ci circonda, ma proprio per questo il nostro fine deve essere quello di apprendere quanto più è possibile e fluttuarlo nella nostra quotidianità, nei nostri gesti, in tutto ciò che implichi un nostro coinvolgimento, affinché resti un segno, anche un solco appena visibile del nostro passaggio. »

LA DONNA “Ristabilendo la calma e rivolgendosi all‘uomo in maniera molto pacata”

«Come vedi, forse senza neanche accorgersene, loro hanno toccato il punto cruciale del nostro problema. Ambedue pensano d’essere depositari di verità assolute, ma la verità non è un quadrato dai lati tutti uguali, l‘ha detto prima accusandomi, anche Augusta. Proprio così, le verità sono tante ed ognuno sceglie la propria e la vive fino in fondo; e nessuno potrà ergersi a giudice e stabilire quale di queste sia la più giusta. Nessuno poiché ognuno di noi giudicherà in maniera diversa dagli altri, in base alla propria esperienza, alla propria cultura, alla propria individualità. »

L’UOMO “Approvando visibilmente quanto detto dalla donna”

«Tutto ciò che hai detto è giusto anche se bisogna riconoscere che diventa difficile porsi delle domande senza che queste implichino la necessità da parte nostra di avere dei punti fermi, frutto pur sempre di un nostro giudizio rispetto ai fatti ed alle cose che ci circondano, da cui partire. La difficoltà, quindi non è data dalla impossibilità di stabilire una verità ma dall‘acquisizione certa che non esistono verità assolute. A tal proposito immaginiamo per un attimo, presumendo di assurgere noi stessi a giudici, di avere di fronte due uomini sostanzialmente diversi tra loro e di doverne giudicare i ‘operato, le scelte, il modo di vivere. Dei due, il primo ha dedicato la vita alla sfrenata ricerca di ricchezza. Sulla sua strada nessuno spazio lasciato ai sentimenti ma solo razionali calcoli di convenienza, accumulo di danaro, case, ville, auto lussuose. Noi lo osserviamo nella speranza di carpirne negli atteggiamenti anche un solo piccolo segno che denunci un rammarico, un possibile rimpianto per tutto quello che secondo noi non ha vissuto: ma lui ci guarda e felice ci sorride, orgoglioso di quello che ha. L’altro, invece, la sua vita l’ha dedicata a valori semplici. Sulla sua strada un lavoro sicuro, una famiglia unita, dei figli su cui indirizzare le proprie aspirazioni. Anche lui ci guarda e ci sorride. E’ felice e non ci sono rimpianti nel suo sguardo. Ebbene, se essere felici vuoi dire battere la strada che porta verso se stessi, nessuno potrà arrogarsi il diritto di decidere per quale di questi due uomini sia valsa la pena di vivere, poiché nessuno potrà condannarli per non aver vissuto cose che neanche conoscevano. Il mio dramma e penso quello dell‘umanità consiste in questo: nella impossibilità di stabilire se è la non conoscenza condizione ideale per essere felici in quanto causa di non aspirazione, oppure la conoscenza a tracciare la strada che porta verso se stessi. »

AUGUSTA «Il tuo non essere, quindi, così come mi pare di capire dai tuoi stessi discorsi tesi a mettere in evidenza la tua diversità rispetto a quegli uomini, scaturisce dalla consapevolezza di non aver fatto quanto volevi. »

LA DONNA “Contraniata da quanto appena detto da Augusta”

«Il discorso di quest‘uomo sulla conoscenza era si finalizzato a sottolineare l’importanza che più o meno questa può assumere nel determinare la felicità individuale, però non è giusto minimizzare le sue problematiche facendole apparire come un fallimento per non aver fatto ciò che avrebbe voluto. Non si può disconoscere che la molla propulsiva dell‘esistenza è mossa dalla continua ricerca dell‘uomo a favore della collettività e non viceversa, quindi, se è vero che nei riguardi di quegli uomini nessuno potrà arrogarsi il diritto di giudica me le scelte è altrettanto veto che una visione così riduttiva dell‘esistenza non può giudicarsi che negativamente in quanto è impensabile che il raggiungimento della felicità possa essere così egoisticamente legato alla rinuncia di conoscenza. Per molti è semplice sentirsi appagati nel chiuso di un guscio sicuro, in questo caso dato dalla non conoscenza, è pur sempre la strada meno insidiosa per arrivare alla felicità. Non così è per quest’uomo, invece, che, contrariamente a quanto lui stesso crede di pensare e la nostra stessa presenza lo dimostra, lotta con tutte le sue forze e con tutti i mezzi a lui disponibili affinché si creino delle crepe, dei piccoli fori, che lascino intravedere cosa c‘è oltre. »

AUGUSTA ‘‘Rispondendo alla donna

«Mi dici a cosa serve sgretolare un guscio se già sappiamo che dopo ne ritroveremo uno nuovo e dopo un altro ed un altro ancora; magari più grande sicuramente più spazioso, ma pur sempre un guscio, una corteccia dura che segnerà il confine tra la nostra conoscenza e tutto ciò che ignoriamo ? Se davvero sei convinta che non esistono verità assolute, dovresti accettare la possibilità che lo scopo del vivere possa essere solo ed unicamente legato alla ricerca della felicità individuale. »

PAUL “Precedendo nel parlare la donna”

«Mi pare che questa possibilità lei l ‘abbia già accettata nel momento in cui ha affermato che nessuno può ergersi a giudice e stabilire quale tra le tante verità possibili sia la più giusta. Dunque il problema non è dato dall’accertare o meno la possibilità che lo scopo del vivere possa legarsi solo ed unicamente alla ricerca della felicità individuale, visto egoisticamente potrebbe davvero essere solo questo il nostro fine, ma dalla necessità di stabilire se può essere considerata davvero tale, una felicità individuale basata su una visione così nichilistica del vivere. »

LA DONNA “Sovrapponendosi al discorso dell‘altro ed indicando l‘uomo”

«Guardiamo lui per esempio. Come potrebbe essere felice nel ripensare alla sua infanzia, seppure appare chiaro quanto radicato nella sua memoria sia quel periodo, senza tenere conto che non a tutti è data la possibilità di vivere altrettanto spensieratamente. Come si può ignorare che al di là del nostro guscio, del nostro bel giardino sapientemente curato, vi è un mondo arido e per certi aspetti assurdo e paradossale. »

L’UOMO “Profondamente toccato da quanto detto da Paul e dalla donna”

«Contrariamente a quello che potrebbe apparire dai miei discorsi e dai miei stessi comportamenti, io sono pienamente d’accordo con quanto da voi sostenuto. Certo non sono alla ricerca della felicità a tutti i costi, anche perché penso di aver vissuto tutto sommato una vita complessivamente felice e non riesco ad attraversare la strada fingendomi cieco. Cerco solo di colmare questo grande vuoto che mi sento dentro, questo senso di morte interiore che da tempo ormai mi accompagna — Poi guardando Paul e la donna —Anche voi, pronti a giudicarmi, siete causa e parte integrante di questo mio vuoto, di questa morte interiore, poiché ogni strada intrapresa mi riporta a voi, ogni mia azione riporta a voi. A te Paul, perché è attraverso la pittura che avrei voluto lasciare quel solco di cui prima parlavi ed a lei, perché solo attraverso lei avrei potuto farlo. Ma la vita non è sempre un sogno, non è sempre quel che si vuole, a volte è anche un fiume che ci trascina via e ci porta lontano. Prima ripensando al mio passato inevitabilmente mi sono accorto che tutto si fermava alla mia infanzia ed allora io non vi conoscevo, ignoravo chi foste, forse per questo ero così felice ovattato dentro il mio piccolo guscio di cose semplici. E non è vero che tocca sempre ai più forti, agli eroi, lottare e vedere cosa c’è oltre; a volte è la sorte che crudele bussa alla porta e batte forte i suoi pugni e ci trascina via, su una strada che non ha ritorno. »

PAUL “Avvicinandosi all’uomo” «Tu ci accusi di colpe che non abbiamo. Noi non siamo la causa del vuoto che senti dentro, semmai la nostra presenza rappresenta l‘ultimo punto fermo prima del baratro, l‘avamposto del bianco col quale ogni tua azione necessariamente deve confrontarsi. Prima l‘ho detto ..... il nostro viaggio è appena iniziato... “ ed è così perché ad ognuno di noi è data la possibilità di scegliere il mezzo a lui più con geniale per esteriorizzare ciò che ha dentro. Per taluni questo mezzo è dato dalla parola, dalla musica, dalla realizzazione di grandi opere, per altri dal semplice lavoro manuale, dalla quotidianità delle cose, per te, invece, l‘unico mezzo è rappresentato dalla pittura, per questo forse ogni strada intrapresa riporta a noi; ed è solo attraverso questa che ti è data la possibilità di comunicare con il mondo che ti circonda. »

L’UOMO “Guardando nuovamente la donna” « E’ strano, eppure, nonostante quanto da lei sostenuto sulla verità, ogni cosa detta da voi sembra l‘enunciazione di una verità assoluta ed è ancora più strano che, per quanto perfettamente d’accordo sul fatto che non esistano verità assolute, io accetti i vostri discorsi come tali. »

LA DONNA «Non potrebbe essere altrimenti visto che non stiamo discutendo della verità in senso lato ma solo ed unicamente della tua verità. »

L’UOMO “Continuando a guardare la donna” «Sarà per questo che per quanto mi sforzi, paradossalmente, io non veda in voi il nemico da cui difendermi ma, nonostante il vostro tono accusatorio, gli unici amici miei possibili alleati nella ricerca di me stesso. Detto questo, però, bisogna sottolineare che non tutto è così semplice come appare dai vostri discorsi. Non sempre si può scinde re l‘esistenza in due parti distintamente visibili, l‘una bianca e l‘altra nera; spesso tra l‘una e l‘altra parte vi è una zona indefinita, né bianca né nera, ed è solo ed unicamente in questa zona che a volte l‘individuo, accettando il compromesso tra l‘utopia e la realtà, riesce a sopravvivere. Nel mio caso questa zona indefinita non ha mai rappresentato la patria della mia anima, anzi tuttora la vedo come uno spazio neutro dove l ‘anima, come un profugo, trova riparo per permetterci di sopravvivere. Devo dire anche che la vostra presenza, quand‘anche strana perché materializzata, non mi inquieta più di tanto, anzi, passata l ‘incredulità iniziale, mi rendo conto che questa sera non ha nulla di speciale, se non la vostra presenza fisica, rispetto a tante altre sere nel corso delle quali, rientrando, mi ritrovo solo e, cosciente dell’inutilità di tutto ciò che ho vissuto, guardo al mio passato ed alla mia stessa vita, come alla storia di un altro. In queste sere frugo nella mia vita come in un libro un lettore impaziente, il quale, ansioso di conoscere l ‘epilogo, tralascia i capitoli intermedi ed inizia la sua lettura direttamente dall‘ultima pagina. Ebbene, questo mio protendere in avanti lo sguardo, questo mio scrutare nel futuro, inevitabilmente mi riconduce alla fine, al passaggio estremo dalla vita alla morte, ad un ‘immagine del mondo che comunque, incurante della mia assenza continuerà la sua corsa. Ed ogni volta si rinnova l ‘angoscia, il terrore che di quell’illusorio libro attestante il nostro passaggio non resti che l‘inizio e la fine, date scolpite sulla pietra che la storia presto dimenticherà, a far da cornice a pagine vuote.»

AUGUSTA «Vi rendete conto delle assurdità che dite... — E guardando la donna — Non capisco questo vostro accanimento nel precludere la possibilità che anche l ‘appagamento individuale per molti possa rappresentare l’unico riempitivo per quelle pagine vuote. Del resto è assurdo pensare che tutti si possa lasciare un solco, un segno del nostro passaggio ed ignorare i ‘eccezionalità di questa possibilità che è tale proprio perché non comune. »

LA DONNA “Irritata dalle affermazioni di Augusta”

«E’ tutta la sera che, traslando i nostri discorsi, volutamente cerchi di attribuire un significato diverso alle nostre parole. Nessuno ha precluso la possibilità che i ‘appagamento individuale per molti possa rappresentare il solo ed unico fine legato all‘esistenza — Poi indicando l‘uomo —ma non è dei molti che stiamo parlando; è di lui. Come prima dicevamo anche l ‘egoistica ricerca della felicità individuale potrebbe rappresentare il fine da perseguire, ma lo ribadisco, noi non stiamo discutendo della verità in senso lato. Lui stesso parlando della sua infanzia prima e poi della vita come di un fiume che prende e porta lontano, sottolineava il disagio di chi per sopravvivere è costretto a restare dietro a una maschera, quindi, e la nostra presenza ne è la dimostrazione, quel suo senso di morte interiore non scaturisce dalla consapevolezza di non aver fatto, ma dalla consapevolezza di non essere quanto voluto. »

 

Alle parole della donna seguì un lungo silenzio e stranamente, tranquillizzato dalle affermazioni di Paul e della stessa donna che pian piano nel corso della serata avevano perso quel tono accusatorio mostrato all‘inizio, l‘uomo, seppure apparentemente partecipe a quei discorsi decise, come gli altri, di restare in silenzio e ben presto un ‘intensa e piacevole sensazione di assenza, rispetto a quanto avveniva in quella stanza, nuovamente i ‘avvolse e lo portò lontano. Così incurante di quelle figure che nel frattempo avevano ripreso ad accanirsi verbalmente l ‘una contro i ‘altra, si ritrovò di nuovo solo. Altre volte aveva avvertito quella sensazione di vuoto intorno, mai però la sua mente si era così allontanata dal suo corpo come adesso, rintanata in un angolo buio ed incapace di comunicare finanche con la parte più nascosta ed intima del proprio Io. Libera da veti e da ammonimenti che spesso, prima ancora di condizionare le azioni la coscienza detta al pensiero, la sua mente si ritrovò a vagare in un labirinto fatto sì di immagini che appartenevano al suo passato ma tanto ignaro alla sua conoscenza da incutergli, quand‘anche piacevolmente attratto

da quella situazione, uno strano senso di paura. Sinuoso ma non meno affascinante, questo nuovo sentimento, che da una parte lo tentava a lasciarsi andare e dall‘altra rifuggire quella strana situazione, lentamente si appropriò dei suoi pensieri e, come un bambino trovatosi casualmente e per la prima volta in una grande casa con tante stanze piene di giocattoli, l‘uomo, ansioso ed affascinato, continuò ad inoltrarsi nel suo interno, felice ed allo stesso tempo angosciato dal timore di non riuscire a ritrovarne mai più l’uscita. E come spesso accade a chi nel porsi ad Osservare varia continuamente la propria posizione, mosso dalla ricerca di nuove e sempre più ampie visuali, improvvisamente intuì che molteplici e svariate potevano essere le chiavi di lettura di uno stesso fatto, sia questi un evento, un singolo episodio o i ‘intera vicenda umana e che nulla in fondo era poi così sostanzialmente diverso dal resto se non il punto cui, individualmente, ognuno di noi si pone ad osservare. In questa nuova sfera, ove libero da vincoli si muoveva il pensiero, tutto assunse una luce diversa e nuove vie, mai percorse, spaventosamente gli si aprirono davanti. Tornarono cos4 inquietanti, le affermazioni precedenti di Paul, “... l‘esteriorità non è che la ricostruzione irreale, elaborata sulla scorta di quanto è già in noi, di tutto ciò che ci

circonda... “, ed un vortice sembrò inghiottirlo e scaraventarlo in un punto lontano dove il tutto ed il niente, incontrandosi e sovrapponendosi, s ‘annullano. Verosimili, ma non per questo veritieri, i ricordi, l‘infanzia, il suo passato, l‘intera sua vita apparivano ora diversi, offuscati e privi di significato, poiché nulla, se davvero è tale i ‘esperienza individuale rispetto all‘immensità della vita, poteva essere passato attraverso la cruna di un ago. Ogni cosa, anche la più piccola ed insignificante poteva prestarsi a diverse e contrastanti interpretazioni, nessuna delle quali avrebbe mai rappresentato il reale poiché ognuna di queste poteva essere il tutto ed il suo contrario. In questo gioco atroce, in questo continuo altalena re del pensiero, inevitabilmente, i ‘uomo, una dopo l ‘altra, sgretolava tutte le sue certezze e della sua vita non rimaneva che lui, immobile al centro esatto di quel mondo, non reale ma inventato, ricreato, smontato ed ogni volta, poi, rimontato in modo diverso. Quante volte nell‘addormentarsi a tarda notte, il suo pensiero si era perso nella ricerca di un muro oltre il cielo, ma non c’erano muri oltre il cielo; c’era il sole e la luna, i pianeti e le stelle e dopo, il cielo di nuovo ed il vuoto, il vuoto assoluto ed il niente. Ed ora, come in quelle notti, disperatamente dentro se stesso cercava un muro per delimitare l‘abisso in cui sentiva sprofondarsi, un punto fermo cui aggrapparsi, ma, come allora, non c ‘erano muri né porte chiuse a segnare la fine; c ‘era i ‘Io e l ‘anima immensi come i ‘universo, c ‘era la mente e la sua conoscenza e dopo il vuoto, anche dentro il vuoto assoluto, profondo nel quale, abulico, il pensiero più volte si era perso infrangendo l ‘infinito. Dentro e fuori se stesso nulla era se non se stesso. Non era la donna né Augusta né Paul, non era la coscienza né il pensiero, l‘arte, la scienza, non era un rosso caldo tramonto, l‘amore, i ‘odio, il male, il bene; nulla, fuori e dentro, era se non i ‘immagine prodotta da se stesso. In sé era i ‘inizio di tutto ciò che diviene, in sé la scintilla che porta dal nulla, ogni cosa ad essere, in sé l’infinito d’ogni cosa che, entro i confini della nostra conoscenza diviene forma finita, percettibile, visibile. La donna, Augusta, Paul anche loro non erano che frammenti di infinito, diventati in seguito, quando il raggio vettore che li congiunge al centro dell‘orbita in cui nuotano attraversa la nostra conoscenza, coscienza, aspirazione, espressione ed ora nulla di quanto in precedenza lo aveva turbato, appariva così importante; non quelle figure che affollavano la sua stanza, non quel senso, a lungo avvertito, di non essere. Tutto appariva distante, superato, poiché l’infinito era in lui ed ogni cosa in esso contenuta andava vissuta, comunque, perché necessaria alla mente ed alla sua conoscenza per aprirsi a nuovi spazi, a nuove visuali. Aveva dovuto cercare a lungo nell‘estenionità ciò che ora scopriva essere dentro se stesso, aveva dovuto toccare il fondo per capire che l‘infinito è in ogni uomo e che la vita non è esperienza ma linea senza inizio né fine, integrante con l‘infinito. A lungo si era riparato in Dio, posto sui confine che separa la conoscenza dall’ignoto ed ora Dio era in lui, ai centro esatto dell’universo, punto focale da cui ogni raggio si dirama verso un orbita infinita. Per lunghi attimi la sua conoscenza rimase fuori da quell‘orbita infinita, nemmeno sfiorata da quei raggi ed all’uomo parve d’essere in cima ad un monte a dominare con lo sguardo una valle dove la vita scorreva in ogni forma, libera ormai dal suo giudizio. Permeata di nuova luce, privata di giudizio, ogni cosa gli apparve ora diversa, chiarificatrice, esaustiva. Veloce, come un soffio di vento tra i rami, l’umanità sembrò passargli accanto e, per la prima volta nel corso dell‘intera sua vita, nessuna distinzione tra bontà e malvagità s ‘interpose a separare gli avidi dai generosi, gli aguzzini dalle vittime, il bene dal male, l ‘amore dall‘odio, poiché tutto questo era l ‘umanità, i ‘esperienza, i ‘infinito degli uomini. Il bene, l ‘amore, i ‘odio, il male, nulla era tale se non raffrontato ai suo opposto ed al nulla sarebbe approdato ogni uomo, qualora il cammino cui era chiamato non diventava uno sforzo estremo da lui sostenuto per allontanarsi quanto più, da un polo nel tentativo di raggiungerne l‘opposto. In quegli attimi di assoluta staticità il tempo sembrò fermarsi, eppure, impaurito dall‘essersi troppo inoltrato in quella dimensione che improvvisa gli si era aperta davanti, i ‘uomo avvertì la necessità di mettersi sulla via del ritorno e, stimolando la mente a fissare nuovamente dei punti fermi per delimitare l‘infinito in cui era sprofondata, pensò che i ‘esperienza, anche la più piccola ed insignificante, altro non era che un punto fisso, un polo dal quale, necessariamente, bisognava partire per trovare la strada che porta al suo opposto. Sentì così che quelle nuove certezze, piacevolmente lo riportavano in una dimensione che, per quanto ampia, rimaneva pur sempre racchiusa in uno spazio finito e, come nel dormiveglia che segue un agitato e stanchevole sonno, avvertì un piacevole tepore, un formicolio nella mente dei tutto simile a quello avvertito in un arto, un braccio o una gamba, stimolato a muoversi dopo essere rimasto troppo a lungo fermo nella stessa posizione. Pur non conservando nella memoria nessuna immagine nitida, s ‘accorse che molte sensazioni e certezze gli rimanevano di quel viaggio che lontano l‘aveva portato: ciò nonostante fu felice di ritrovare tutto immutato rispetto a come l ‘aveva lasciato. La stanza, i bagliori in fondo alla periferia, le nuvole che diramandosi creavano astratti disegni nei cielo, i suoi quadri alle pareti; nulla di mutato vi era rispetto a prima e le stesse sensazioni provava ora nell‘osservare tutto ciò. Senza nessun nesso apparente rispetto a quanto finora gli era accaduto, si scoprì a pensare con insistenza ad un suo amico ed a lunghe discussioni con lui tenute anni prima; e più di tutte una gli tornava con maggiore frequenza ed insistenza. Erano i primi giorni d‘Aprile, l‘inverno quell‘anno era stato particolarmente duro, tanto che quei primi giorni caratterizzati da un tiepido sole e da un vento di scirocco, anomalo per certi aspetti in quanto stranamente non seguito da piogge, da tutti in paese furono vissuti come un evento, seppure lungamente atteso, inaspettato e piacevole e questo sentimento diventava palese soprattutto a sera, dopo cena, quando molte persone si riversavano nuovamente nelle strade e quel piacevole vocio che ne accompagnava i passi ricamava un‘atmosfera quasi da serate estive. Fu proprio in una di queste sere che passeggiando e discutendo con l‘amico, questi gli parlò di alcuni scritti filosofici letti nei giorni precedenti e dell’eccezionalità di quanto in essi enunciato in merito al tempo, all‘unicità, all‘immortalità dell‘uomo; eccezionalità data dal fatto che in quegli scritti i ‘autore, seguendo delle intuizioni assolutamente geniali ed anticipando conclusioni cui la scienza sarebbe approdata millenni dopo, trattava del tempo come di un ‘entità non assoluta ma relativa poiché vincolata ad una serie di fattori indispensabili per la sua stessa esistenza. Nuovamente un vortice sembrò inghiottirlo e nuovi dubbi ed interrogativi si aprirono la strada nella sua mente. Perché tutto ciò ritornava ora e che nesso c ‘era tra quei ricordi e quanto finora gli era accaduto? Ripensò così alla donna, espressione della sua coscienza che si ribellava, ed alle altre figure che affiliavano la stanza e nei farlo si sforzò, come un orefice impegnato a decifrare complicati ingranaggi, di fissare dei punti fermi, sì che ogni pensiero diventasse logica conseguenza di quello precedente. Con sorpresa si rese conto che ogni cosa avvenuta in quella serata, ogni pensiero, ogni ricordo, riportava a quella domanda primordiale di cui già parlava in precedenza la donna: “chi sei, dove vai, perché esisti ?“ Scaturiva dunque da quell‘interrogativo quel senso, molte volte avvertito, di vuoto, di inutilità ed era in quella direzione che bisognava indirizzare la propria ricerca nel tentativo di dare una spiegazione, qualora ve ne fosse una, a quanto finora gli era accaduto. Convinto di ciò ripensò a quella discussione avuta anni prima con i ‘amico e nei fari o percepì i ‘immediata sensazione che anche quei ricordi andavano e dovevano essere considerati quali tasselli da inserire in un unico complicato ingranaggio che muoveva verso i ‘istintivo e primordiale bisogno di conoscere se stessi. Finora il suo errore era stato quello di voler riportare tutto in una dimensione finita: ecco spiegato il nesso tra quei ricordi e quanto finora gli era accaduto. (Anche il tempo non era che un mezzo atto a riportare gli eventi in una dimensione finita, quasi uno spazio immaginario caratterizzato da un inizio e da una fine). Ma aveva poi senso voler riportare in una dimensione finita ciò che finito non era ? Improvvisa si ripresentò l‘immagine dell‘infinito e come già gli era successo si addentrò con la mente in quell‘immagine, questa volta però, senza remore o paure, incapace come non mai di costruire formule e teoremi astrusi, tendenti a rinchiudere l‘anima, che non è corpo, materia o spazio, nella scatola del tempo. A lungo vagò la sua mente in quell‘immagine e come già era successo in precedenza nulla di quanto finora era avvenuto parve all’uomo davvero importante se non il fatto che tutto, ogni esperienza, ogni singolo episodio, diventa importante nel ricomporre la strada che conduce a se stessi.

Ma era dunque al di là della sua stessa coscienza che conduceva quella strada ? Ancora una volta la sua mente veniva fuori da quella dimensione infinita con nuovi convincimenti e nuovi dubbi su cui basare e sviluppare la propria ricerca e l’uomo, mosso da una strana curiosità, dopo aver indirizzato per un attimo lo sguardo al di là dei vetri, timoroso di essere scorto, girò lentamente la testa, intento ad accertare quanto avvenuto nei frattempo alle sue spalle e quanto quei suoi pensieri avessero influito su quella strana realtà che lo circondava. Presto si rese conto che nulla, sostanzialmente, era mutato rispetto a prima; nulla, se non il suo modo di vedere ed interpretare quanto gli stava intorno. Non era mutata la disposizione della stanza né degli oggetti ordinatamente sistemati sui mobili o i fiori sulla finestra ed erano ancora lì, immobili come personaggi in una tela del Velazquez, quelle tre figure alle quali, unica variante, se ne era aggiunta una quarta, anche questa una splendida donna, che come gli altri, immobile e silenziosa lo osservava dall‘altra parte della stanza.

Per niente sorpreso l‘uomo nuotò su se stesso e quando fu in posizione frontale rispetto agli altri, guardò con più attenzione quella donna ed interrompendo il silenzio che era venuto a crearsi, col tono di chi già preclude, nel momento stesso in cui pone la domanda, ogni possibilità di risposta le chiese: «Dunque tu sei la mia anima...

LA DONNA “Con i ‘im pazienza di chi troppo a lungo è stata costretta al silenzio e precedendo nei parlare anche l’ultima arrivata”

«Proprio così, lei, che chiameremo Elisia, rappresenta la tua anima. »

L’UOMO “Continuando con lo stesso tono, quanto stava dicendo in precedenza”

«Ed è a te che conduce la mia strada e la mia ricerca...

ELISIA “Guardando con benevolenza l‘uomo e con tono di voce che la faceva diversa dagli altri”

«Come vedi senza dover chiedere, tu hai capito cosa io rappresento.

Io sono la tua anima, preludio di ogni cosa ed è a me che conduce la strada della tua ricerca poiché in me è i ‘inizio di ciò che sei. Proprio così, io sono il principio immateriale su cui, attraverso l’Io, ogni altra cosa prende forma — Poi guardando gli altri —Anche loro, la donna, Augusta, Paul non sono che forme immateriali forgiate dal tuo Io su quella che è la parte spirituale ed immortale che qui io rappresento. »

L’UOMO “Piacevolmente attratto da quella figura ma non per questo privo di dubbi” «Prima con la mente mi sono spinto fin dentro quella dimensione infinita di cui tu qui rappresenti, grazie anche a quei miei pensieri, la forma visibile e già molte barriere avevo abbattuto lungo la strada che conduce a me stesso, eppure, nuove visuali aprono e nuova valenza danno le tue parole ai miei pensieri. Asserisci forse, quando affermi d’essere l’inizio su cui ogni altra cosa prende forma, di essere ciò che per i molti rappresenta Dio ?»

ELISIA “Muovendosi leggermente in avanti così da risultare con la figura completamente illuminata dalla luce della lampada che come un velo le avvolgeva il corpo, esaltandone, in ogni singolo tratto, la struggente bellezza”

«Prima la tua mente si è spinta fin dove il tutto ed il niente si incontrano e sovrapponendosi s‘annullano ed io ero già in quei tuoi pensieri, ero li come in tutti i tuoi pensieri; e quando questi hanno infranto l‘infinito, quel Dio di cui dici, tu l‘hai già visto, l‘hai già sentito, era in te, al centro dell‘universo, ai centro dell‘infinito.

Per arrivare a lui la tua mente si è dovuta spingere fino a me che non sono materia o spazio, ma infinito fuori dalla gabbia del tempo nella quale, bada bene, null‘altro è se non continuo divenire. Finora hai attribuito valore di molla propulsiva al disagio degli altri o al tuo stesso disagio causato dal non essere ciò che avresti voluto, eppure, già sapevi che non era modificando lei o Paul o Augusta che saresti arrivato alla meta. Hai dovuto frantumate in mille pezzi la scatola dei tempo per capire che non vi è dottrina o scienza capace di insegnarci più di quanto potrebbe ogni nostra singola esperienza.»

L’UOMO “Visibilmente turbato” «Non hai risposto alla mia domanda. »

ELISIA “Continuando il suo discorso” «Bene, ora immagina io sia una spugna ed il bene, il male, l‘amore, l‘odio, l‘egoismo, l‘altruismo immaginali come dei grossi secchi di colore, l‘uno diverso dall‘altro.

Immagina ancora di impregnare quella spugna in quei secchi, dando, per esempio, al bene colore bianco ed al male nero e poi di riversarne il contenuto assorbito in un nuovo recipiente. Ora, capisci bene, che solo quel recipiente potrà rappresentare la tua coscienza e che il suo contenuto non potrà essere mai completamente bianco o nero o rosso o azzurro, ma solo un composto nei quale ognuno di quei colori assumerà lo stesso valore.

Ritornando a quei molti di cui prima parlavi, anche loro non rincorrono che se stessi e lo fanno rifugiandosi in un Dio che, come me, non è forma del divenire ma principio stesso delle cose. »

LA DONNA “Con la stessa impazienza poco prima mostrata”

«Quella meta della quale parlavi, quel luogo della beatitudine, vuoi forse dire si trova nel principio stesso delle cose. »

L’UOMO “Ancora turbato e guardando la donna

«Già, non potrei forse arrivarci a quella meta semplicemente trovando un compromesso, un giusto equilibrio tra quei diversi valori che compongono lei ed Augusta e Paul. »

ELISIA “Avvicinandosi all‘uomo e sfiorando gli con la mano il viso, come una madre al proprio figlio”

«Il tuo errore è stato proprio quello di cercare un continuo equilibrio tra quei valori.

Finora ogni singolo fatto della tua vita, tu l‘hai interpretato, rimosso, etichettato come positivo o negativo, hai contrapposto Augusta a Paul e viceversa, hai coltivato una parte della tua coscienza nel tentativo di annulla nell‘altra eppure tutto questo non l‘hai vissuto, ti è passato tra le mani e non l’hai vissuto.

Prima lei mi chiedeva se si trova nel principio stesso delle cose la meta cui aspirare, ebbene io non posso che rispondenti questo: vi è una dimensione che io ho definito la scatola del tempo, all‘interno della quale nulla è se non continuo divenire; ma il continuo divenire non cela in sé la caducità stessa delle cose.

Ogni cosa, ogni sentimento, ogni singola esperienza non è forse destinata, nel momento stesso in cui diviene, a modificarsi, a trasformarsi, a finire ?»

LA DONNA “Avvicinandosi anche lei ai due, lasciando così in disparte Augusta e Paul «Stai forse invitandolo a non vivere quanto è destinato a finire ?»

ELISIA “Rivolgendosi alla donna” «Sarebbe follia la mia se non riconoscessi che la vita, proprio perché forma del divenire, non può che essere vissuta all‘interno di quella scatola... »

LA DONNA “Interrompendola” «Cosa intendi, dunque, quando affermi che la meta cui aspirare si trova nel principio stesso delle cose. »

ELISIA “Muovendosi nuovamente e spostandosi verso il centro della stanza”

«La meta della quale parlo è il luogo della beatitudine, il punto esatto nel quale un uomo sente di aver raggiunto se stesso, dando un senso alla propria esistenza.

— Poi guardando l’uomo —Ora guardiamo lui.

Lui è corpo, materia, forma del divenire la cui realtà risiede solo ed unicamente in quella scatola ma è anche anima e spiritualità che prescinde da quella scatola poiché principio di tutto ciò che diviene.

La sua vita non potrà viverla che all‘interno di quella scatola ma il senso della propria esistenza potrà acquisirlo solo uscendone. »

AUGUSTA “Intervenendo dopo essere rimasta, insieme con Paul, a lungo in disparte” «Non potrebbe acquisirlo quel senso semplicemente vivendo ?»

ELISIA “Rivolgendosi ad Augusta senza per questo cambiare il propri o tono di voce e con la stessa pacatezza finora mostrata”

«Cosa intendi quando dici “semplicemente vivendo”.

Intendi forse dire che bisogna accettare quanto ci è dato di vivere senza porsi domande, vincolando l‘esistenza ad una serie di episodi determinati solo ed unicamente dal fato.»

AUGUSTA “Dando l’impressione di non aver ascoltato per niente quanto appena detto da Elisia”

«Quando dici è forse teso a farmi accettare l’idea della mia inutilità ? se è così non farlo, poiché sento di essere parte integrante in quei complesso gioco di colori di cui prima parlavi e nulla potrà convincermi del contrario. »

ELISIA “Continuando a guardare Augusta” «L’ho già detto: nulla è inutile, superfluo, privo di valore nei determinare ciò che diviene. Ma non è questo il punto.

La nostra presenza fisica, che non è frutto dell‘immaginazione ma forma diventata reale perché percepita, dimostra che ognuno di noi è importante, ai pari dell‘altro, in tutto ciò che quell‘uomo oggi sente di essere.

Dunque, non di stabilire l‘inutilità dell‘uno e dell‘altro si tratta, quanto di capire il perché di questa serata.»

LA DONNA “Con una strana luce negli occhi e lanciando, convinta d’aver finalmente compreso, uno sguardo d’intesa ad Elisia”

«Ed a questo non potrà che rispondervi lui. »

L’UOMO “Avvertendo la stessa sensazione d’assenza provocata gli poco prima da quei suoi pensieri e con una sicurezza mai mostrata nel corso di quella serata “.

«Finalmente tutto mi è chiaro.

Mi è chiaro il senso di questa serata così come chiara mi appare la strada da seguire per arrivare a me stesso e scrollarmi di dosso questa sensazione di vuoto, di inutilità che da tempo ormai mi accompagna.

— Poi dopo una breve pausa —All‘inizio di questa serata attribuivo la vostra presenza ad un mio malessere interiore causato dalla convinzione che anche il silenzio e la mia vigliaccheria contribuivano a quelle che sono le brutture del mondo, ma ora mi accorgo che non era quel mio stato di inerzia a farmi stare male, quanto la totale inutilità di tutto ciò che ho vissuto.

Ho corso tanto, voluto ed avuto di più, molto di più di quanto in realtà mi serviva, eppure tutto questo non ha contribuito a dare un senso alla mia esistenza.

Sempre ho corso e lungo il cammino, come un ladruncolo da strada, ho arraffato tutto quello che era possibile e quando per un attimo ho rallentato la corsa per guardarmi alle spalle, mai vi è stata gioia nel mio cuore, ma solo tristezza che nasceva da un dubbio, un terribile dubbio:

era quello lo scopo della mia vita ? Quello era il senso della mia esistenza ?»

 

Senza volerlo, ben presto, l‘uomo tramutò in pensieri quelle sue parole e, nuovamente, un silenzio irreale sembrò avvolgere ogni cosa nella stanza. Nessuno parlò.

Non lo fece la donna né Augusta né Paul né lo fece Elisia ed ancora una volta l‘uomo sentì il pensiero altalena re in una dimensione infinita ed allontanarsi sempre più dal suo corpo, dalle sue parole, dai suoi gesti, lontano, sempre più lontano, fuori dai cerchio infernale del tempo.

Colme di significato tornavano ora le parole di Elisia “la vita non può che essere vissuta all‘interno della scatola del tempo” ed era quello il segreto, quella la strada da percorrere: bisognava uscire da quella scatola per capire che nulla è reale, eppure accettare tutto come tale poiché la vita stessa era parte di quell‘illusione.

 

(Ah che stupido, che stupido a non capire che in ognuno di noi vi è una parte che è essere ed una che è divenire, l‘una immortale e l‘altra destinata a perire, a mutare, a trasformarsi, ad essere vissuta.

Stupido, mille volte stupido; illudersi e credere che avere uno scopo nella vita significasse, necessariamente, dare un senso all‘esistenza).

 

Tutto questo egli pensava e nel contempo, senza alcun coinvolgimento, ripensava alla sua vita e questa volta nulla gli appariva inutile, semplicemente tutto sembrava essere passato senza averlo sfiorato, senza essere stato vissuto veramente. Assurde suonavano ora anche quelle ultime sue parole poiché proprio quella ricerca continua, quel suo protendere verso uno scopo prefisso, avevano contribuito a far si che tutto passasse quasi inosservato.

Il tempo era illusione, la realtà era illusione, solo l’anima era principio infinito e, quindi, forma assoluta ed imperitura dell‘essere, eppure la sua vita era già forma del divenire, caduca forma del divenire destinata ad essere vissuta in quell‘illusione.

Aveva senso dunque disintegrare quell’illusione sapendo che la vita stessa ne faceva parte ?

Quante volte nel corso di quella sola serata aveva già cambiato idea, quante interpretazioni diverse aveva già dato ad uno stesso fatto ; ebbene, anche la vita si presentava così: con mille diversi aspetti, frutto dell‘immaginazione forse, costruzioni dell‘Io, eppure tutti ugualmente validi, tutti ugualmente importanti, purché vissuti.

Ecco la formula, ecco il segreto: bisognava vivere quante più esperienze possibili, ma soprattutto bisognava farlo affidandosi all‘istinto ed ignorando le indicazioni dettate dalla razionalità.

Ecco dove rinvigoriva e si rigenerava quei senso di inutilità, di vuoto, quella sensazione di morte interiore: era nella razionalità e nel costrutto del continuo compromesso che fioriva, come un fiore malsano, quello stato d’animo che da tempo si portava dentro come il più pesante dei fardelli.

Voleva essere un pittore, desiderava più d‘ogni altra cosa vivere in funzione della sua arte, eppure la razionalità l‘aveva costretto a desistere da questa sua aspirazione, innalzando in lui una barriera fatta di dubbi.

Era quella la strada da seguire?

Era giusto rinunciare agli agi, alle comodità, per soddisfare quella su aspirazione?

Era logico uscire dagli schemi ed allontanarsi sempre più dai suoi simili ?

 

(Al diavolo quei dubbi, al diavolo quegli schemi), si ripeteva fra sé l‘uomo, alternando quelle parole ai suoi pensieri, (al diavolo la razionalità).

(La vita non è che un aquilone che si vibra nel cielo e quei dubbi in chi, pazzo, si illude, nella impari lotta conto il vento, di immobilizza me il volo, di deviarne il destino, non generano che goffi e miseri tentativi destinati a fallire).

 

In quella scatola ove oggi era uomo avrebbe, altresì, potuto essere uccello, albero, terra, aria o infinite altre forme e forse non più tardi di domani la caducità insita in quel continuo divenire l‘avrebbe mutato in una di quelle mille forme o semplicemente fatto ridiventare anima, principio di ogni cosa, eppure tutto questo non lo esimeva dall‘essere uomo, poiché tale era divenuto e come tale doveva vivere ogni istante di quella forma. Contrariamente a quanto inculcato gli, ora pensava alla nascita ed alla morte, che pur determinano un inizio ed una fine, come ad un unico punto di passaggio in cui una forma è mutata e si trasforma in un altra senza per questo cessare di essere ed in quel continuo movimento sentiva affondare, una ad una, tutte le sue paure e riaffiorare sotto una luce nuova il senso compiuto del suo esistere.

Era in quelle paure, nella infondata convinzione che tutto era destinato a finire, che prendeva forma quel suo attaccamento morboso alle cose, quella concezione, comune a tanti suoi simili, della vita basata sul calcolo “avere per essere Ma quell’arraffare, quel desiderio di possedere sempre più lo avevano reso mai felice ?

Su quella mera considerazione continuava a ruotare, come in un circolo vizioso, il suo pensiero e se pur veritiera appariva i ‘immagine della felicità come fine ultimo da perseguire, altrettanto veritieri, da quella fitta nebbia fatta di dubbi, riemergevano gli sforzi enormi sostenuti nel conseguire tutto ciò che oggi possedeva.

In quegli agi, nell‘accumulo di beni materiali, in quel suo continuo adattarsi atto a farlo apparire simile agli altri adesso vedeva riemergere, con estrema chiarezza, la goffaggine e la inutilità di quei suoi tentativi che, pur meritori per averlo portato a quella serata e quand’anche velati da quella strana soddisfazione avvertita nel raggiungere una meta ambita, non l‘avevano né potevano renderlo felice.

 

(Ecco dove prendeva forma quell’immagine della mia vita come un libro dalle pagine vuote) si ripeteva l‘uomo continuando ad alternare parole e pensieri e nel mentre avvertiva quella nuova coscienza scivolargli dentro, come già più volte aveva fatto nel corso di quella serata, si portò verso la finestra e, accostando la faccia contro il vetro, lanciò lo sguardo verso quei bagliori lontani.

A lungo lasciò fluttuare il suo sguardo in quell‘immagine, creata si dai neon delle insegne, dai fari delle macchine che rincorrendosi tagliavano il buio della notte, dalle ombre e dai tetti della case, eppure irreale e fantastica nel suo complesso.

Ed in quell‘immagine percepì con chiarezza il senso compiuto di tutti i suoi pensieri, la vita doveva scivolargli addosso, in tutti i suoi mille aspetti, semplicemente, proprio come quell‘immagine nei suoi occhi, senza forzature né assurdi tentativi tendenti ad interpretare, etichettare, rimuovere l‘una o l‘altra parte che la componevano.

(Ah! Come varia e struggente gli appariva ora la vita e con quante sfumature, che la facevano meravigliosa, si presentava ai suoi occhi).

 

Avvolto da queste sensazioni e col cuore inebriato di gioia, l’uomo distolse la sua attenzione da quell‘immagine e ruotando su se stesso si portò, nuovamente, verso la stanza.

Una volta ai centro, con sorpresa, si accorse che, tranne lui, non v‘era nessuno, eppure nessuna agitazione gli provocò questa scoperta dato che fin dall‘inizio a quelle figure ed a quella stessa serata aveva attribuito il valore di un sogno.

Con molta calma, quindi, s ‘avviò verso la poltrona, lì si distese ed ancora preso da quell‘inebriante sensazione che gli occupava la mente ed il cuore chiuse gli occhi e si lasciò andare in un sonno stanco e profondo.

La mattina seguente, al suo risveglio, era ancora in lui quella sensazione magnifica che, partendo dalla mente, gli attraversava il corpo, rilassandone ogni singolo muscolo, eppure, in quello stato di dormiveglia causata gli dall’essersi appena svegliato, avvertì una strana agitazione insinuarsi tra quei suoi pensieri: cosa era successo la sera precedente e perché aveva dormito sulla poltrona e non sul letto ?

Istintivamente si guardò intorno ed in quei gesto ogni cosa gli tornò in modo quasi naturale; mentalmente rivide, senza però preoccuparsi di stabilire se tutto ciò era realmente accaduto, quei personaggi e nei farlo si rese conto che nessun altro ricordo, quand’anche quello fosse stato un suo sogno, rimaneva vivo nella sua memoria come i fatti di quella serata.

E quando s ‘alzò e fu completamente sveglio, già dimentico di quella agitazione avvertita poc‘anzi e mosso da una fredda lucidità, realizzando una decisione presa da tempo ma, per mancanza di coraggio o per razionalità, mai attuata, si avviò verso l’armadio nella camera da letto e qui, preso uno zaino, iniziò a riempirlo.

 

(Ah! da quando tempo avrei dovuto fare tutto questo, mandare al diavolo ogni schema) pensava l’uomo mentre, senza una particolare cura, continuava a riempire lo zaino.

Ed ancora (Via, devo andare via da questa casa via dal lavoro, lontano da questa vita).

 

Tutto questo egli lo pensava con la spontaneità di chi ha già chiara ogni cosa nella mente e quando, finito di riempire lo zaino e racimolati i soldi e quant‘altro potesse tornargli utile, era già sull’uscio pronto ad iniziare quella nuova vita.

Prima di uscire, però, guardò un‘ultima volta dentro la stanza e nel fami o la sua attenzione cadde su un suo quadro appeso alla parete.

Era questa una tela di medie dimensioni e senza cornice, da lui dipinta prima ancona che si trasferisse e raffigurante il volto di un uomo con il capo cinto da una corona di spine, in tutto simile ad un Cristo.

Immediatamente ricordò quell‘uomo, nei volto del quale, per quanto segnato da rughe profonde, un giorno lontano aveva riscontrato la serenità e la beatitudine di un Dio e, con la stessa fredda lucidità mostrata poco prima, tornò sui suoi passi, scese la tela dal muro, la avvolse con cura in un panno e si avviò nuovamente.

Sicuro di aver preso tutto ciò che gli interessava, quando fu sull‘uscio non una sola volta si girò, solamente, appena fuori, si fermò un attimo e respirò profondamente, poi, tiratosi la porta alle spalle, si incammino.

 

 

 

SEGUE - parte seconda >>>

 


 

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