Elisia
e
la scatola del tempo

Parte seconda:

                        Non c‘è cena o pranzo o soddisfazione
                        del mondo che valga una camminata
                        senza fine per le strade povere, dove
                        bisogna essere disgraziati e forti,
                        fratelli dei cani.
                                          (Versi del testamento) P. P. Pasolini
 

Molti giorni erano passati da quella mattina ed a lungo aveva vagato senza una meta precisa, eppure non un solo ripensamento aveva sfiorato mai quella sua scelta.

Pur senza ripensamenti però, la sua mente molte volte ritornò a quella sera ormai lontana ed a quegli strani personaggi, ed in quei ricordi, ogni volta, nuovo vigore prendeva quella sua determinazione che lo spingeva a continuare su quella strada.

In quel continuo girovagare gli capitava, nel portarsi da un luogo all‘altro, di camminare giornate intere attraversando strade interne e poco frequentate, eppure nessuna fatica gli comportava tutto ciò, anzi, specie ora che la stagione autunnale era alle porte, sempre più spesso, nel costeggiare o attraversare lunghe distese di campi gli capitava di sentirsi pervaso da un senso di pace che gli veniva dagli stupendi colori della natura e da quel sapersi solo e libero per il mondo.

Per procacciarsi quel minimo necessario per il suo sostentamento, spesso dipingeva per poi rivende re, qua e la, qualche suo quadro e quando ciò non era possibile si adattava a fare dei piccoli lavo retti, anche i più umili, commissionatigli, per la maggior parte, dagli stessi gestori delle pensioni o dei posti ove era solito fermarsi. A volte lungo il cammino ed in quel suo peregrinare si fermava per ore a contemplare un luogo, un paesaggio o semplicemente un albero dalla forma e dai colori particolari, altre volte, invece, la sua attenzione veniva attratta dagli uomini, da quei suoi simili, presi dalla continua corsa contro il tempo, intenti nel propri o lavoro o nelle proprie faccende, a volte disperati, altre ancora soddisfatti, eppure mai felici ; e se nel primo caso un senso di pace e di quiete gli veniva da quanto si presentava ai suoi occhi, nel secondo, la vista di quegli uomini che nei gesti gli ricordavano com‘era lui stesso un tempo, gli provocava un senso di repulsione che lo spingeva ad allontanarsi sempre più da loro.

Quanto diverso, anche nell‘aspetto, appariva ora rispetto a quella lontana sera.

Abbigliato in modo assai poco ricercato e con barba e capelli lunghi che, dandogli nel complesso un aspetto alquanto trasandato, facevano trasparire la reale pochezza dei suoi mezzi economici.

Ciò nonostante, una luce strana illuminava i suoi occhi.

Tanto che, anche quanti nel vederlo parevano presi da quel pietismo che non di rado cela l‘arrogante presunzione della propria superiorità, nell‘incrociare il suo sguardo, dovevano desistere da quell‘idea costretti quasi dalla forza e dalla serenità che questi trasmettevano.

Vi si leggeva in quegli occhi una beatitudine che rifletteva una serenità interiore e questa gli veniva dal sentire che già molti passi, in quel solo periodo che lo divideva da quella sera, erano stati da lui mossi verso sé stesso.

Già non gli importava più d’apparire né gli interessava quanto gli altri pensavano di quel suo vivere da nomade e, seppure costretto in molti casi a dormire in posti di fortuna ed a rimanere digiuno per giorni, mai si era pentito né aveva mai più guardato alla sua vita come ad un libro dalle pagine vuote.

Col cuore e l‘anima ed ogni senso impregnato in questa gioia, per tutto l’autunno continuò quel suo girovagare e solo quando questi ormai volgeva al termine ed imminente apparì l’approssimarsi della stagione invernale, sentì contrapporsi nella sua mente, a quei suoi sentimenti, alcuni pensieri di ordine pratico.

(Bisogna che trovi un posto dove sistemarmi per l’inverno.., certo una grande città che mi permetta di dipingere e rivendere i miei quadri) questo, di tanto in tanto, si ripeteva l‘uomo ed in questi pensieri quel suo intento si muoveva già verso una meta precisa.

Sarebbe andato a Parigi.

Si Parigi, ma come arrivarci...?

Già da tempo aveva venduto gli ultimi quadri ed ora non gli rimanevano che pochi spiccioli nelle tasche, pochi spiccioli e quella tela, smontata dal telaio ed avvolta in un panno, portatasi dietro da casa e che per nulla al mondo sentiva avrebbe ceduto.

Pur con la mente presa da questi suoi pensieri, nulla era cambiato intanto in quel suo nuovo modo di vivere ed una sera, stremato dalla fatica e dalla fame, giunto nei pressi di una stazione ferroviaria si adagiò su una panchina e si lasciò andare in un sonno stanco e profondo.

Nonostante il continuo viavai di persone ed i rumori, anche fastidiosi, tipici di una stazione, per tutta la notte continuò a dormire ed in quello stato di abbandono, fisico e mentale, in sogno gli apparvero nuovamente quelle figure che avevano contraddistinto, da tutte le altre, quell‘ultima serata a casa sua.

Augusta, Paul, la donna, Elisia; tutti vi erano in quel sogno ed una luce fioca e rilassante, dandogli un ‘espressione di pace assoluta, illuminava i loro volti mentre questi gli sussurravano con voce suadente: (Solo ciò che è oggetto del nostro desiderio ci appare lontano ed irraggiungibile. Lascia fluttuare la vita ed i suoi eventi dentro di te, vedrai tutto si risolverà).

La mattina seguente, al suo risveglio, era ancora vivo in ricordo di quel sogno e quando, completamente sveglio, si accorse di quello che stava avvenendo intorno a lui, non poté far altro che attribuirgli un valore premonitore.

Durante la notte, mentre lui dormiva, quella tela che ovunque si portava dietro, scivolando dallo zaino e srotolandosi, era caduta ai suoi piedi ed alcuni passanti, pensandola posta di proposito in quella posizione ed attratti dalla espressività di quel dipinto, nel soffermarsi ad osservare quel quadro ben avevano pensato di lasciare un ‘offerta, "un ‘elemosina".

Sorpreso ed incredulo l‘uomo si guardò intorno non senza imbarazzo, subito dopo, però, incurante di quelle persone (alcune ferme vicino a lui, altre, invece, prese da quel continuo viavai) abbassò lo sguardo e lo soffermò su quel suo quadro, portando così la sua attenzione ed i suoi pensieri lontano da quella realtà.

Dapprima ripensò a quel sogno e, come già gli era successo quella prima volta a casa sua, non fu in grado di stabilire se quelle figure erano davvero il frutto di un sogno o che altro, poi, man mano allontanò anche questi pensieri e nella sua mente non ci fu posto se non per il ricordo di quell‘uomo ritratto su quella tela, sotto le spoglie di un Cristo, molto tempo prima.

Ciò che lo attraeva in quel personaggio, additato da tutti come pazzo e che nel bel mezzo della vita abbandonando casa, lavoro e famiglia s ‘era dato ad un vagabondare fatto di miseria e di stenti, era rappresentato dal fatto che, nonostante alternasse momenti di lucidità a periodi di pazzia totale che lo allontanavano ed isolavano da tutti, nel vederlo s ‘avvertiva, restandone coinvolti, un senso inspiegabile di beatitudine.

Malgrado gli abiti laceri ed il bizzarro modo di presentarsi, i suoi occhi, le sue mani, la stessa andatura dei suoi passi, leggiadra ed elegante, trasmettevano in chi lo osservava, l‘immagine di una spiritualità superiore che incuteva un profondo rispetto nei suoi riguardi.

Ripensò a lungo a quell‘uomo, fin quando alcuni rumori non lo distolsero anche da quei suoi pensieri, attirando nuovamente la sua attenzione su quanto stava avvenendo nel frattempo intorno a lui.

Soffermando, ancora una volta, lo sguardo su quel suo quadro e constatando, piacevolmente sorpreso, la sempre maggiore consistenza delle offerte sul panno ai suoi piedi, non poté non formulare alcune considerazioni sulla vita (a volte impietosa nei riguardi di chi già con le spalle al muro, altre, invece, piena di inaspettate sorprese) e su quanto strana e ricca di risvolti inimmaginabili poteva presentarsi.

Eppure, al di là di queste sue considerazioni, già chiara e definita prendeva forma nella sua mente l’idea di cosa avrebbe fatto in seguito.

(Ecco come arriverò a Parigi), penso l’uomo con fredda determinazione.

E mosso da questo convinto proposito, nei giorni che seguirono, a volte nei pressi di stazioni ferroviarie, altre ancora in piazze o luoghi di passaggio sempre affollati, continuò in quel suo elemosinare.

Passarono così una ventina di giorni e quando, in base ad un sommario ed approssimato suo calcolo, si rese conto di aver messo da parte la somma necessaria per il viaggio e per le prime settimane di permanenza a Parigi, decise che era tempo di partire.

Anche Novembre volgeva al termine ormai quando s ‘avviò alla stazione ed una morsa di gelo avvolgeva la città ove si trovava ed una volta giunto nella sala d’attesa, dopo essere passato dalla biglietteria, preso da una spossata rilassatezza, si lasciò andare su una sedia in un angolo e vi rimase per lungo tempo, come un bambino dietro i vetri mentre nevica, attratto ed affascinato dal continuo viavai di persone che, strette nei loro paltò, evidenzia vano ancor più la contrapposizione, sublime sensazione per chi sta al riparo, tra il freddo dell‘esterno ed il tepore confortevole della sala.

Era stremato, eppure cercò di non assopirsi mentre i suoi pensieri, in preda ad un incontrollabile stordimento, continuavano ad accavallarsi l‘un l‘altro, privi di logica e di consequenzialità.

Pur elemosinando, nei giorni precedenti mai aveva avvertito l‘umiliazione che pur dev‘essere di chi è costretto a mendicare, forse perché più che a lui quelle offerte sembravano rivolte all‘immagine raffigurata sulla tela; e questo, non meno della piacevole sensazione che gli veniva dal sentirsi al riparo ed al caldo, contribuiva a fari o sentire in pace con sé stesso e con il mondo intero. Meno severo nel giudizio guardava ora anche a quelle figure che frettolose gli attraversavano gli occhi; anzi, nel sofferma re la propria attenzione su una di queste, un uomo che aveva tutta l‘aria di un impiegato modello che bene ha svolto il proprio lavoro e che non vede l‘ora di essere a casa, avvertì, non senza invidia nei riguardi di quell‘uomo, per un attimo una tristezza profonda avversa re la pace di quei suoi pensieri precedenti.

Anche lui un tempo, come quell‘uomo, aveva un lavoro, una casa; volendo avrebbe, altresì, potuto avere una famiglia, dei figli, eppure si rendeva conto di non avere ciò che di più importante quell’uomo possedeva: gli mancava quella luce negli occhi, quel desiderio di tornare, di essere finalmente a casa.

Come in una visione in quell’attimo vide riemerge re il senso compiuto del suo destino e quando, nel tentativo di allontanare quella tristezza, si girò verso la strada e si accorse che pioveva, sentì, non diversa da quelle gocce sul vetro, la solitudine posarsi come rugiada e scivolargli lentamente dentro l’anima. Completamente preso da questa nuova sensazione, rovistò affannosamente nello zaino e ne tirò fu ori un Notes, sul quale occasionalmente appuntava dei pensieri, iniziandovi, quasi meccanicamente, a trascrivere, rammentandola solo ora, una sua poesia scritta anni prima:

 

Piove.

Inutile sul muro

l’orologio segna

l’immobile tempo.

 

E fuori

strani giochi di ombre

la luce dei lampioni

disegna sulla pietra

delle case.

 

Quanta solitudine

tra queste pietre

e quanto freddo

sento dentro.

 

Rosse mele sul tavolo.

Ed è di nuovo

il vento dentro

come sasso scagliato

nell’acqua a creare

cerchi infiniti.

 

Illusione assurda

credersi eroi quando la vita

rabbiosamente batte l’ala

contro il vetro.

 

Vana speranza

aggrapparsi al suo ricordo

quando il baratro è in noi.

 

Suono metallico/istintivo battito del cuore/

rabbrividisce l’anima quando infrange l’infinito.

 

Finito che ebbe rilesse quanto aveva scritto ed un brivido attraversò il suo corpo, poi, convinto che ben poco si potesse contro il destino, ripose nuovamente il Notes nello zaino e, seguendo la chiamata dell‘altoparlante che Io avvertiva dell‘arrivo in stazione del suo treno, si avviò verso il binario.

Una volta sul treno, si cercò un posto vicino al finestrino e prima ancora che questi arrivasse fuori dalla stazione, stremato com‘era, cadde in uno stato di torpore che ben presto si tramutò in un sonno stanco e profondo.

Solo dopo alcune ore, scosso dalla voce del bigliettaio, si destò e, svanita che era anche quella sensazione di solitudine avvertita la sera precedente, socchiuse appena gli occhi e portò il suo sguardo ed i suoi pensieri al di là del finestrino.

Fuori albeggiava già e nel pallido chiarore di quella luce tenue la natura si ergeva ai suoi occhi magnifica e stupenda come non mai.

Isolati casolari dalle tinte opache, scorci di rocce pazientemente lavorate dal tempo, dirupi e schiere irregolari di alberi dai colori tardo autunnali che, simili a macchie sfumate di rosso carminio e giallo e mille altre tinte, ravvivavano, qua e là, il marrone bruciato della terra.

Tutto questo, prima lontano e poi man mano sempre più vicino, s ‘avvicendava nel riquadro del finestrino ed in quel perfetto e continuo movimento sentì la sua anima ed i suoi pensieri affievolirsi ed annullarsi poco a poco fino a diventare parte infinitesimale della magnifica armonia di quello spettacolo.

Veloce procedeva il treno in quell‘armonia ed, intravedendone quasi il volto nell‘aria mattutina, a tratti gli parve di risenti re, confusa nel vento e nel rumore sordo del treno sulle rotaie, la voce di Elisia che calda e suadente gli ripeteva:

(Tu sei parte di quest’armonia. Lasciati andare, lascia fluttuare dentro dite la vita, come quell‘immagine nei tuoi occhi).

Nell‘ascoltare quella voce l‘uomo annuiva, mentre sempre più sorridente e raggiante gli appariva il volto di Elisia nella luce azzurrognola del mattino quasi fatto e, come spesso succedeva ormai in quell‘ultimo periodo, sentì una nuova e rinvigorita coscienza riemergere dalle macerie di quei suoi pensieri che avevano caratterizzato la sera precedente.

Non a lungo durò quel viaggio e quando, di li a poco, fu nella stazione a destinazione, quella forza, quella rinvigorita determinazione che lo spingeva ad andare avanti, la si leggeva nei suoi occhi ed in ogni suo movimento.

Mai prima d’ora era stato a Parigi, eppure una volta fuori dalla stazione si rese conto che ogni angolo, le strade, le stesse persone che le popolavano, rispecchiavano in modo stupefacente quelle che erano le sue attese e questa scoperta, ancor più, lo rendeva ebbro e sicuro di sé e delle sue scelte, tanto che, dimenticatosi dell‘impellente necessità di trovarsi una sistemazione, vagò a lungo senza una meta precisa, completamente preso e stordito dal fascino di quella città.

Dimentico che da quasi due giorni non toccava cibo ed incuriosito da ogni cosa, anche le più insignificanti, continuò per tutta la mattinata a spingersi da un luogo all‘altro, infine, però, nel primo pomeriggio, realizzò che era ormai tempo di cercarsi un posto dove alloggiare.

Ma prima ancora d’avventurarsi in questa ricerca, spinto dai morsi della fame che man mano s ‘erano fatti sempre più insistenti, decise di fermarsi e di entrare in un Caffè.

Una volta dentro, attraversato un angusto corridoio stretto tra alcuni mobili a scaffale da una parte ed il banco del bar dall‘altra, si ritrovò in una sala accogliente e ben arredata, con tavoli bassi e poltroncine di vimini e quadri di ottima fattura, alternati a locandine teatrali, allineati lungo le pareti.

Su un lato, una grande vetrata affacciava sulla strada e lasciava filtrare, ben distribuendola e sovrapponendola in modo quasi naturale a quella prodotta dalle lampade a soffitto, la luce dell‘esterno.

il locale era vuoto; solo in fondo, in un angolo, un signore, per niente incuriosito dalla presenza dell‘ultimo arrivato, continuava interessato una lettura.

Per un momento una strana atmosfera avvolse ogni cosa.

Quando però arrivò il momento di ordinare e palese si manifestò, data la scarsa conoscenza della lingua, la difficoltà dell‘uomo nel farlo, il signore in fondo distolse l‘attenzione dalla lettura che finora lo aveva visto impegnato e, mostrando una non comune gentilezza, si portò verso i due, traducendo nel breve tratto che lo divideva dagli altri quanto inutilmente richiesto dall’ uomo. Tutto avvenne rapidamente, tanto che, quando l’uomo incuriosito alzò lo sguardo, l’altro era già dinanzi a lui con la mano protesa, pronto a presentarsi.

«Chiedo scusa per l‘intromissione — disse in un italiano pressoché perfetto — Permette, Andrzej Musorgskij».

«Scusarla... e di che ? — rispose, impacciato l‘uomo nel mentre tendeva a sua volta la mano e si alzava in segno di cortesia — Semmai sono io a doverla ringraziare. Prego si accomodi signor.. »«Andrzej — disse l‘altro, interrompendolo — solo Andrzej, la prego»

«Bene Andrzej, accomodati e ordina da bere. Parli molto bene la mia lingua »

Da parte dell’altro non ci fu risposta ma solo un lieve cenno all‘indirizzo della ragazza dietro il banco che, conoscendo probabilmente molto bene le sue abitudini, senza null‘altro chiedere si premurò d’aggiungere all‘ordinazione un bicchiere, tra l’altro dalla forma molto particolare, colmo di un liquore apparentemente vischioso e dolciastro.

Una volta seduti, l’uno di fronte all’altro, rimasero entrambi in silenzio.

Così l‘uomo, soddisfando quanto dettato dalla sua innata curiosità, guardò con più attenzione quello che fino ad in attimo prima avrebbe considerato un perfetto sconosciuto e, contrariamente a quanto gli era parso di intravedere in precedenza, si trovò di fronte una figura particolarmente elegante, un signore di beh ‘aspetto, raffinato nei modi e nell‘abbigliamento.

Intenzionato a non apparire troppo invadente lasciò ruotare, fingendosi interessato, lo sguardo su quanto gli stava intorno, eppure, nonostante quel suo proposito, non riuscì a trattenersi, stranamente attratto, dal tornare più volte ad occuparsi dell’altro.

L’abito scuro, ben rifinito in ogni particolare, ricadeva leggermente abbondante sulla sua figura e la carnagione, di colorito olivastro, del viso e delle mani, creava un piacevole contrasto a vedersi, là dove spiccava dai polsini e dal colletto rigido della camicia di colore bianco.

La barba ed i capelli tirati all‘indietro, corti e ben curati, erano di un nero lucido e gli occhiali, circolari e di metallo, fungevano quasi da cornice, in uno con le sopracciglia folte, agli occhi color grigioverde.

Pur se con brevi occhiate e con quel suo fare distratto, l’uomo non poté non notare quanto

volutamente ricercata fosse quell‘aria che richiamava un non so che di trasandato ; malgrado ciò, (avendo lui da tempo rinunciato alla cura del suo aspetto esteriore), sentiva non meno percettibile un coinvolgimento mentale che lo attraeva e l‘accomunava a quello strano personaggio.

Tanto sentito e coinvolgente era quel sentimento che, quando la ragazza si avvicinò e posò il vassoio sul tavolo, l‘uomo parve all‘altro davvero distratto ed assorto in pensieri lontani; tant‘è che, dando quasi l‘impressione di volersi scusare per non avergli risposto in precedenza, questi interruppe quell‘ormai imbarazzante silenzio e disse:

«Conosco molto bene l‘Italia, per circa due anni ho abitato a Venezia. Certo, tu non è da molto che sei a Parigi ?».

«No, sono qui da stamattina — rispose l‘uomo con uno strano sorriso sulle labbra —Anzi devo sbrigarmi se voglio trovare una sistemazione prima di sera».

« Vuoi forse dire che non hai ancora trovato dove alloggiarti ?. . . bene, finisci con calma, ti indicherò io un posto tranquillo».

Quest’ultima frase, Andrzej la pronunciò in modo talmente perentorio da escludere la benché minima forma di rifiuto da parte dell‘altro, il quale accettando di buon grado quella proposta,

null‘altro aggiunse se non una breve occhiata di assenso.

Di nuovo ci fu silenzio tra i due che, consapevoli e compiaciuti del fatto che qualcosa era sopraggiunto a modificare quel loro rapporto di semplice e superficiale conoscenza e lasciandosi andare (mostrando tra l‘altro di apprezzare non poco la sottile complicità che ne scaturiva) in quello strano gioco di silenzi e brevi frasi, senza quasi rendersene conto, rimasero, ancora a lungo in quel Caffè ; tant’è che quando, pagata e salutata la ragazza dietro il banco, decisero d’incamminarsi, fuori, trovarono la città già velata dalle prime ombre della sera.

L’uomo pareva stordito e tempestato da mille sensazioni diverse, nel mentre seguiva Andrzej che, con fare sicuro, lo precedeva un passo più in là e quando, di li a poco, furono arrivati sul posto, questi gli indicò un portoncino e lo pregò di attenderlo un attimo.

Poco dopo era già di ritorno in compagnia di un ‘anziana signora che sfilatosi un mazzo di chiavi dalla tasca aprì e fece cenno ai due di seguirla, su per una ripida scala.

Quanto avvenne in seguito, seppure cosciente di aver discusso del fitto e delle modalità di pagamento, l‘uomo sembrò non viverlo direttamente, anzi, quando la signora salutò e se ne andò, talmente evidente era quella sensazione di assenza e di piacevole stordimento, che Andrzej, mostrando una particolare sensibilità, decise di imitare la padrona di casa e di accomiatarsi. Solo in quell‘attimo l‘uomo sembrò riprendersi ma Andrzej, che era già sulla porta, parve non curarsi di questo e precedendo lo nel parlare disse: «Bene, certo sarà stata una giornata faticosa la tua, ti lascio riposare. Se ti va potremmo rivederci più tardi... mi trovi al Caffè ». «Sicuro che mi va — disse l‘uomo — Ci vediamo più tardi... e grazie di tutto».

«E di che... ? Ho trascorso un piacevolissimo pomeriggio», ribadì Andrzej nel mentre si incamminava giù per la ripida scala.

Ma quando fu in fondo, l‘uomo lo chiamò ancora e quasi urlando gli disse: «Porti lo stesso cognome di un compositore russo... lo sapevi ?» Andrzej si girò appena e guardandolo dal basso verso l‘alto abbozzò un sorriso e gli rispose: « Un musicista... ? mi fa piacere. A proposito tu come ti chiami ?»

Per un momento l‘uomo restò in silenzio, poi, senza esitare rispose a sua volta: «Paul, puoi chiamarmi Paul»

«Bel nome ti sei scelto», disse l‘altro mostrando ancora una volta una spiccata sensibilità, «Bene, arrivederci Paul» e così dicendo si avviò ed in breve scomparve al di là dell‘uscio.

L’uomo sorrise, fermo sulla porta in cima alle scale e, prima ancora di rientrare, per un attimo pensò: Andrzej, fratello, apparteniamo alla stessa tribù.

Subito dopo era già dentro e sistemate le sue poche cose in breve si portò verso il letto e vi si lasciò andare.

Avrebbe voluto riflettere, volentieri avrebbe ripensato a quel pomeriggio, all‘incontro con Andrzej; invero sentì i suoi pensieri galleggiare e svanire nella fitta e obliosa nebbia che precede il sonno e ben presto si addormentò.

Dormì per alcune ore di un sonno stanco e profondo ed al suo risveglio, quasi sospeso nella tenue luce rossastra delle insegne che dall‘imposta socchiusa della finestra si propagava nella stanza, rimase ancora a lungo, affascinato e preso dal piacevole vocio che saliva dalla strada, disteso e con gli occhi al soffitto.

Completamente sveglio, però, ricordò l’appuntamento dato ad Andrzej ed immediatamente, dissoltasi quella dolce apatia, quasi di soprassalto scattò in piedi e di li a poco era già sull‘uscio pronto ad uscire nuovamente.

Eppure, prima ancora d’avviarsi, per un attimo si fermò sulla porta ed uno strano pensiero, come un lampo, sembrò attraversargli la mente: (cosa diavolo mi succede... di nuovo in gara contro il tempo?)

Questo pensiero, l’uomo Io percepì quasi come un invito a trattenersi, a rientrare, a mandare tutto al diavolo; malgrado ciò, rispondendo ad uno strano richiamo e mosso da un istinto inspiegabile, si ritrovò in fondo alle scale, per strada, confuso tra la gente.

Non gli ci volle molto a rintracciare il Caffè, ma arrivato di fronte alla grande vetrata, nuovamente avvertì quella voce che Io invitava a trattenersi, a non procedere, a scappare più lontano possibile.

Ancora una volta però si vide costretto a rispondere ad uno strano richiamo e come già gli era successo in precedenza, senza quasi rendersene conto, in breve era già all‘interno.

Nuovamente, come nel pomeriggio, attraversato lo stretto corridoio, si ritrovò nell‘ampia ed accogliente sala e, tra le persone che la affollavano, ritrovò la ragazza del banco che sembrò riconoscerlo immediatamente e che, ricambiando il suo sorriso con un vistoso cenno della mano in segno di saluto, lo invitò a seguirlo e gli indicò un posto dove accomodarsi.

Una volta seduto, l‘uomo si guardò curioso intorno e tra gli altri, di spalle, gli sembrò di riconoscere, nella elegante sagoma di un signore vestito stranamente, la figura di Andrzej.

Dubbioso aguzzò la vista e nel fari o notò, ancora incredulo, che quei signore, chiaramente vestito in abiti da scena, era proprio Andrzej, il quale, avendolo notato a sua volta ed aprendosi un varco tra le persone che gli rimanevano intorno, gli veniva incontro urlando, quasi a voler richiamare l’attenzione di tutta la sala.

«Paul. . . Paul, amico mio... benvenuto»

Nella sala seguì un lungo silenzio e quando Andrzej fu di fronte all’uomo, prima ancora che questi potesse replicargli, accennando un inchino, riprese con tono profondo:

«Signori, siate i benvenuti a Elsimore. Suvvia, le vostre mani. Le belle maniere e le cerimonie sono appannaggio della buona accoglienza: e concedete ch‘io le osservi con questo stile, affinché il mio modo di ricever gli attori — che deve, bisogna che ve lo dica, farsi notare — non sembri il frutto d’una maggiore premura di quella che posso dedicare a voi.

Siete i benvenuti; ma il mio zio-padre e la mia zia-madre s ‘ingannano».

A queste parole fece eco una voce dal fondo della sala:

«In che cosa mio caro signore»

a cui Andrzej rispose senza girarsi: «Io sono matto solo a nord-nord/ovest. Quando il vento spira a sud, so riconoscere benissimo un falco da un airone»

Finito che ebbe si rigirò riproponendosi in un elegante inchino ed aspettò l‘applauso che puntuale arrivò dalla sala; subito dopo si accomodò e con un sorriso compiaciuto sulle labbra disse:

«Amleto, atto e scena seconda. Benvenuto nel mio regno».

«Dunque sei un attore ?»

« Proprio così, amico mio, e questo è davvero il mio regno.., hai riposato bene ?»

«Bene grazie. Ma dimmi chi è questa gente ?»

«Amici, anche loro amici. Ma non parliamone adesso, avrai certo modo di conoscerli».

Detto questo, Andrzej scattò in piedi e richiamando, nuovamente, l‘attenzione della sala urlò verso il fondo: «Les amis, mes amis, Paul a envié de dander. Bougez les tables... et vous accordez vos instruments».

Come per incanto il centro della sala immediatamente sembrò svuotarsi e dal fondo, accompagnata da un battito ritmato di mani, si levò pian piano una musica dolce e soave; subito dopo, senza quasi rendersene conto, l‘uomo si ritrovò stretto ad una splendida donna, anch‘essa vestita con abiti di scena, che con fare gentile lo guidava con maestria in una danza, così poco confacente ai suoi pur goffi movimenti eppure particolare ed armoniosa da commuoverlo fin quasi a farlo piangere.

Tanto particolare era quell‘atmosfera che, quando la donna parlò per presentarsi, l‘uomo sentì un magone salirgli in gola e bloccargli quasi il respiro, cosicché la stessa, non ricevendo risposta e convinta di non essere stata sentita, disse nuovamente a voce alta: «Balli bene sai... mifa piacere conoscerti, io sono Edith»

«Sul ballo non sarei tanto convinto — ribatté l‘uomo imbarazzato — Anche a me fa piacere conoscerti Edith... io sono Paul».

Null‘altro fu aggiunto dai due, quand‘anche, una volta finito quello strano ballo, pur se in continua compagnia di Andrzej e di altre persone, l’uomo non riuscì a staccare, per tutto il tempo che rimase in quella sala, il suo sguardo da quella splendida creatura.

Era molto tardi quando Andrzej propose di andare ed una volta pronti l‘uomo, che sarebbe rimasto ancora volentieri, salutò quasi controvoglia i presenti e s‘incamminò, in compagnia dell‘altro, verso l‘uscio; prima ancora di uscire, però sentì chiamarsi e nel voltarsi incontrò con lo sguardo Edith che gli veniva incontro sorridendo.

« Come... vai via senza salutarmi ?»

«Scusami ma non riuscivo più a vederti — borbottò impacciato questi — Arrivederci Edith, buonanotte»

«Buonanotte Paul — disse l‘altra stingendogli con calore la mano — Spero di rivederti presto»

«Lo spero anch‘io, Edith».

Una volta fuori, tante erano le domande che avrebbe voluto fare ad Andrzej su quella donna e sull‘intera serata, ma preferì restare in silenzio e quando questi lo salutò e lo abbracciò come si fa con un amico di vecchia data, percepì che infondo era giusto così ; in fondo era meglio non chiedere e non sapere niente, meglio era avviarsi, pensieroso e solo, verso casa.

Molti giorni seguirono, nei quali l‘uomo si sforzò di non pensare a quella strana serata imponendosi, più volte, di non tornare in quel Caffè, eppure nonostante quel suo proposito, si indispettiva al solo pensiero che né Andrzej né altri si preoccupassero di sapere che fine avesse fatto. Era un gioco, anche questo un gioco, una sfida, un mettersi alla prova, ma quanto crudele gli appariva oggi tutto ciò; inutile e crudele.

Se ben intenzionato a non cedere, a non modificare quel suo modo di vivere, questi pensieri gli facevano capire che nuovamente il suo destino io chiamava su una strada diversa, lo aveva capito fin da quel pomeriggio che incontrò Andrzej in quel Caffè, e, nonostante volesse desistere da quell’idea, in fondo al cuore era certo che ben presto la sua vita sarebbe ancora una volta mutata; era già iniziato quel cambiamento che lo avrebbe condotto su un sentiero diverso.

Dipinse molto, per molti giorni e con una foga che cieca pareva abbattersi, nel tentativo di annulla rii, su quei suoi pensieri; malgrado ciò una sera, stremato ormai, non poté non rispondere, così come quella prima volta, ad uno strano richiamo e quando, prima ancora di uscire, si accostò allo specchio e scorse la sua immagine già notevolmente cambiata, ben curata ed abbellita, capì che tutto era già avvenuto, tutto era stato già scritto.

Nell‘aguzzare la vista gli parve di intravedere nello specchio i suoi lineamenti modificarsi e sovrapporsi fino a trasformarsi nel volto di Elisia che ancora una volta, come quei mattino lontano sul treno, lo invitava a lasciarsi andare, a far scivolare la vita, in ogni suo aspetto, dentro di sé;

così, rinfrancato e con quell‘immagine nel cuore, di li a poco si ritrovò in strada alla ricerca di quegli amici che conosceva appena ma che già sentiva così simili a sé stesso.

Con passo spedito proseguì verso il Caffè ed una volta arrivato, senza neanche sbirciare all‘interno, sicuro aprì la porta e si portò nella sala. Con sorpresa, però, si rese conto che questa era vuota e nel guardarsi smarrito intorno ritrovò la ragazza del banco che, nella speranza di venirgli in aiuto, di nuovo Io salutò cordialmente mentre, ripetendo il nome di Andrzej, gli indicava con la mano un ampio portone al di là della vetrata. L’uomo intuì con immediatezza il messaggio e salutatala a sua volta con un sorriso, si avviò dall‘altra parte della strada, fin nei pressi del portone indicatogli poc‘anzi, qui alzò lo sguardo e sbalordito lesse, non ben visibile e scolpito sulla pietra del portale, “Sarah Bernhrdt-Theatre” poi guardò all‘interno e nell‘atrio illuminato scorse alcune persone, ferme ed intende a parlare fra loro, e sui muri delle locandine che, tra l‘altro, riportavano in bell’evidenza il titolo dell‘opera “Hamlet - Prince of Denmarke “. Immediatamente collegò quell‘immagine a quella prima sera nel Caffè e molte delle cose allora considerate strane ritornarono finalmente chiare e comprensibili; subito dopo si portò nell‘atrio, dove uno dei signori visti poco prima, riconosciutolo forse, gli si accostò e lo invitò ad entrare.

Quando fu dentro si cercò un posto in uno dei loggioni laterali e, timoroso quasi di essere scorto, restò per tutto il tempo nascosto nella penombra, affascinato, pur non comprendendone i dialoghi, da quello spettacolo che gli appariva sublime e coinvolgente in ogni scena.

Uno ad uno vide sfilare gli autori di quella strana festa improvvisata al Caffè; Andrzej nei panni di Amleto, Edith in quelli di Ofelia, un attore con la barba in quelli di Orazio ed altri ancora trasformati nei personaggi di quella tragedia, a lui non perfettamente comprensibile se non attraverso i ricordi e le immagini; e quando quello spettacolo terminò sentì di averlo vissuto con tale emozione e con una partecipazione emotiva che andava ben oltre il suo stato di spettatore e che lo spaventava ed inquietava non poco.

Immobile, incapace di muoversi e respirare quasi, aspettò che il teatro si svuotasse e quando anche l‘ultima persona fu uscita, affacciandosi al loggione sulla sala vuota e silenziosa, cercò di capire come guadagnarne l‘uscita e nel mentre si affannava in questa ricerca intravide un‘ombra, dapprima in fondo al palcoscenico poi sempre più vicina, che riconobbe essere Andrzej.

«Salve Andrzej, sono Paul...stupendo spettacolo»

«Buonasera Paul, ti cercavo, mi era stato riferito che eri tra il pubblico»

«Ah..., quel signore gentile all‘entrata, forse»

«Si proprio lui. Bene, vieni ci vediamo nell‘atrio». Raccolto l‘invito, l‘uomo, se pur con qualche difficoltà, guadagnò l‘uscita e nell‘atrio trovò ad attenderlo già Andrzej che lo abbracciò e salutò nuovamente e subito dopo lo invitò ad incamminarsi.

Appena fuori, questi respirò profondamente, poi con buona iena riprese a parlare: «Bene, vedo che hai tagliato la barba e i capelli»

«Già» disse l‘altro «Anche se non ricordo perfettamente dove e quando»

«Già, succede»

«Cosa, succede» disse l‘uomo accennando uno strano sorriso

«Succede di far delle cose e di non ricordarsene. Succede di lasciarsi in un modo e ritrovarsi in un altro, di addormentarsi in un modo e di risvegliarsi in un altro. Ma dimmi come ti va, stai bene ?» «Si, bene. Anche se da quando sono a Parigi avverto una strana sensazione, spiacevole a volte, altre meno, ma che comunque mi spaventa e mi fa sentire cambiato, diverso»

«Anche questo succede»

«Già, anche questo succede» riprese l‘uomo.

«Ma ora dimmi dite, del Teatro, dei tuoi amici»

A questa domanda Andrzej rispose dando quasi l‘impressione di parlare di qualcun altro che non fosse lui stesso e l‘uomo, affascinato da quel narrare e narrarsi, restò in silenzio ad ascoltare quello strano racconto che gli parlava dell‘altro, della sua vita, di quegli amici e di quella Compagnia che aveva recitato in Italia ed in Europa, di quei Teatro che prendeva il nome di Sarah Bernhardt, attrice francese e prima donna ad aver interpretato il ruolo di Amleto.

Passeggiarono a lungo, entrambi presi, l‘uno a narrare e l‘altro ad ascoltare, passando in vicoli e viuzze poco frequentate, fino a trovarsi, ancora una volta, nei pressi del Caffè e da lì, dietro invito dell‘uomo, presso la propria dimora, dove una volta giunti, la maestria nel narrare e quel discorrere piacevole e fluido di Andrzej, dovettero cedere, per forza di cose, il passo ad un silenzio ammirato per quello spettacolo che, quando furono dentro, si presentò dinanzi ai suoi occhi.

Tele, dappertutto tele stupendamente dipinte e disegni sulla scrivania, sul pavimento, sparsi ovunque, figure e soggetti che sembravano contorcersi e scavare nella materia di quei colori, che parevano esplodere in voli infiniti per poi tornare ogni volta diversi sotto la luce artificiale di quella lampada che, con il più naturale dei gesti, l‘uomo poco prima aveva acceso su quello scenario fantastico.

Ed è con la stessa naturalezza e quasi imbarazzato che questi si rivolse all‘amico e disse: «Scusami per il disordine, ma sai non sono più abituato alle dimore stabili»

«Fantastico, tutto questo è assolutamente fantastico... — dichiarò Andrzej mostrando di non aver ascoltato per niente l‘altro — ... e merita di essere visto. Non so cosa ne pensi ma io credo che tutto ciò vada fatto conoscere, mostrato e, se per te non ci sono problemi, credo di saperne anche il modo.

Il nostro spettacolo resterà in cartellone per ancora tre settimane circa e, se non hai nulla in contrario, potremmo in questo periodo organizzare una tua mostra nell‘atrio del Teatro»

«Certo sarebbe fantastico, eppure non so, avrei bisogno di rifletterci; queste tele le ho dipinte per me, non certo per essere mostrate o lasciate al giudizio di altri»

«Bene, pensaci e se decidi mi farai sapere, magari nei prossimi giorni»

«Sicuro che ci penserò, anche perché avrei bisogno di vendere qualcosa. Grazie comunque. A proposito, non vorrei crearti dei problemi per causa mia, ma non ho avvertito per niente la padrona di casa del mio ritardo riguardo al fitto, anzi, chissà che avrà pensato vedendomi sparito»

«Lascia stare e non preoccuparti. Quella prima sera che venimmo insieme ho omesso di dirti, timoroso d’apparirti interessato, che questi locali sono miei e che quella signora ne custodisce solo le chiavi e ne cura la pulizia quando restano vuoti. Sappi quindi che non ci sono problemi, non è per soldi che ti ho portato qui»

«Hai la capacità di stupirmi; stupirmi ogni volta di più — disse commosso l‘uomo — Non mi resta che ringraziarti dunque, seppure non riesca a spiegarmi perché tu faccia tutto questo per me» «Non è nulla, nulla di eccezionale. Ricordi, “...quando il vento spira a sud, so riconoscere benissimo un falco da un airone... “, ebbene, amico mio, anch‘io come Amleto so riconoscere benissimo un falco da un airone»

Detto questo, Andrzej si congedò dall‘amico, non prima però di averlo salutato e di averlo invitato nuovamente a riflettere sull‘idea della mostra, pregandolo di fargli sapere.

Subito dopo sparì in fondo alle scale mentre l’altro, ancora turbato, restò immobile e più che mai pensieroso in mezzo alla stanza, tra quelle tele e quei disegni che già guardava con occhi diversi. Insonne ed inquieto, l‘uomo, rimase per tutta la notte sveglio in balia di quei suoi pensieri che a momenti parevano macigni pronti a farlo inghiottire nel più profondo degli abissi ed un attimo dopo sentiva acquietarsi, fino a fargli apparire ogni cosa normale, naturale, pronta ad essere vissuta.

Più volte tornò con la mente a quella prima sera a casa sua, più volte ripensò alla sua solitudine ed al vagabondare beato di quell‘ultimo periodo ed ogni volta, dopo, tutto ciò gli appariva lontano, distante da quello che oggi era e sentiva di essere, sempre più lontano e distante da quella nuova strada che prepotente lo chiamava e portava verso gli altri, verso i suoi simili, miseri e meschini a volte, è vero, ma anche assolutamente eccezionali nel trasmettere e trasmettersi emozioni e sensazioni e sentimenti che volevano e dovevano essere vissuti.

Anche quelle sue tele, contrariamente a quanto detto ad Andrzej, erano state dipinte per trasmettere ad altri e ricordare a sé stesso sensazioni, emozioni e sentimenti altrimenti non comunicabili ed in fondo non era poi così assurdo pensare di espone al giudizio altrui, mostra ne e farle vivere di vita propria ormai.

Ancora assorto in questi pensieri l‘uomo fu sorpreso dalle prime luci dell‘alba, eppure, per niente stanco e consapevole di aver già accettato in cuor suo la proposta dell‘altro, restò ancora sveglio, anzi, per tutto il giorno, deciso a ricambia me la cortesia, realizzò una serie di disegni su cui riportò, tirandole fuori come da un cilindro da quel quaderno consunto e pieno di appunti, alcune poesie che poi alla fine, solo a sera, racchiuse in un ‘unica cartella da offrire, come il più prezioso dei doni, a quell‘amico speciale.

Emozionato a quell‘idea ma anche spossato come spesso avviene dopo una forte tensione emotiva, nell‘attesa di uscire si portò verso il letto e vi si accasciò sopra e, se pur intenzionato a non addormentarsi, suo malgrado sentì gli occhi e la mente stanchi e come avvolti da un oblioso velo che ben presto lo risucchiò in un sonno profondo.

Sfinito e privo di ogni volontà rimase a lungo in quello stato, fin quando, solo molto tempo dopo, non fu destato dallo stridente suono di un campanello, che non immediatamente capì essere quello della porta.

A stento e totalmente incapace di realizzare se fosse mattina, pomeriggio o sera, si portò infondo alle scale ed una volta aperto vi trovò Andnzej che, convinto non ci fosse nessuno, era già sul punto di riandarsene.

«Buonasera Paul — disse questi piacevolmente sorpreso; ma poi osservatolo con maggiore attenzione — ... mi devi scusare, non immaginavo stessi già dormendo, ma sai non vedendoti... ho pensato... scusami, scusami davvero»

«Non hai nulla di che scusarti, anzi hai fatto benissimo a passare..., sai mi ero riproposto di venire in teatro... e che proprio non ho retto..., non sono riuscito a dormire per niente ieri notte. Dai vieni mi do una rinfrescata e usciamo»

Subito dopo i due si avviarono su per le scale ed una volta sopra l‘uomo, nei mentre si affannava a tirare fuori qualcosa con cui cambiarsi, rivolgendosi all’altro disse: «Guarda su quella scrivania ci dovrebbe essere una cartella con dei disegni, prendila è per te»

«Per me...

«Si per te. Non è che poca cosa rispetto alla cortesia dimostratami, eppure ti prego di accettarla come dono prezioso, poiché è tutto ciò che posseggo e posso offrirti»

Detto questo uscì dalla stanza mentre l’altro, ritrovata quella cartella sulla scrivania ne iniziò a sfogliare il contenuto, soffermandosi su ogni foglio, su ogni disegno, leggendo ogni poesia e quando l‘uomo tornò, già pronto ad avviarsi, trovò l‘altro in piedi, immobile e visibilmente turbato, che lo guardò ammirato e con voce soffocata dall‘emozione affermò:

«Hai fatto tutto questo per me... ? E’ il più bel regalo che potessi aspettarmi. Grazie, grazie di

cuore. Bellissimo, è tutto stupendo, i disegni...e le poesie, poi, meravigliose, assolutamente meravigliose»

«Davvero ti piacciono. Non sai che piacere mi fa tutto questo, non immagini che gioia mi dai, che gioia inaspettata mi da tutto questo, amico mio» ripeté l’uomo mentre Andrzej, ancora immobile e turbato, continuava a portare Io sguardo su quei fogli che custodiva tra le mani, ogni volta assentendo con un cenno del capo e con un espressione che riusciva a trasmettere più di quanto mille parole non avrebbero potuto.

Durò un bei po’ quella scena che vedeva i due l‘uno di fronte all‘altro, entrambi commossi ed incapaci di parlare; poi, sforzandosi non poco, Andrzej s ‘accostò all‘altro e toccando gli il braccio, quasi come a volerlo smuovere, affermò con tono di voce assai più deciso e sicuro di prima:

«Bene, bisognerà pur festeggiare tutto questo. Vieni t’invito a cena. Così avremo modo di parlare di questi tuoi disegni e delle tue poesie»

« Una cena, non sai quanto ne ho bisogno» ribadì l‘uomo, dando quasi l‘impressione stesse scherzando ed invitando, subito dopo, l‘altro ad avviarsi.

In breve si trovarono in un locale, già a tavola, ed una volta finita la cena continuarono ancora

per molto, sorseggiando una bottiglia di ottimo vino, a discutere con una loquacità non comune per loro e che certo gli veniva da una predisposizione emotiva ma anche e per lo più dall’ebbrezza e da un dolce stordimento provocato gli da quel nettare, piacevole al palato e non solo.

Parlarono a lungo dei quadri e delle poesie dell’uno, a lungo si soffermarono sul teatro e sulla vita dell‘altro, confrontando le loro esistenze e quelle loro esperienze per certi aspetti così simili e, solo quando quella magnifica serata sembrava volgere al termine, tornarono sulla proposta di Andrzej della sera precedente.

«Hai riflettuto dunque sull‘idea della mostra ?» domandò Andrzej all‘altro.

«Ho riflettuto, si, e sono davvero tentato, eppure non so... ho così pochi quadri e poi davvero non saprei da dove iniziare nell‘organizzare una cosa del genere»

«Sul numero dei quadri non mi preoccuperei, anzi penso siano addirittura troppi per una mostra. Per quanto riguarda l‘organizzazione, invece, se a te fa piacere potrei aiutarti io, di certo non è cosa difficile da farsi»

«Bene, stando così le cose, penso valga la pena tentare» Concluse con un lampo di felicità negli occhi l‘uomo, mostrando in fondo di aver già deciso e subito dopo, essendosi nel frattempo avviati e già giunti nei pressi di casa: «E’stata una magnifica serata. Non so davvero come n’ingraziarti; di tutto. Buonanotte Andrzej»

«Buonanotte — disse l‘altro abbracciandolo e, prima ancora che si richiudesse il portone alle spalle, stringendogli la mano — Buonanotte Paul e bentornato tra noi..., bentornato tra gli uomini, amico mio»

Lenta ed agitata, per entrambi, trascorse quella notte.

Ed il giorno successivo di buon‘ora, pronto a mantenere fede alla promessa della sera precedente, Andrzej era già a casa dell‘altro. Qui, andò e tornò più volte nel corso della mattinata, anche in compagnia di amici che lo aiutarono nel trasporto di quei materiale, scelse con cura le tele, tirò fuori , raccattandoli sulla scrivania e sul pavimento, alcuni disegni; ed a tutto questo l‘uomo sembrò quasi non prendervi parte, se non con qualche domanda ed alcune considerazioni su quei suoi quadri, dando l‘impressione, ogni volta, di volervi rimettere mano, intenzionato a ritoccarli, modificarli o migliorarne il tratto ed i colori in alcune parti.

Così non fu ed Andrzej, che sembrò non curarsi dei dubbi e delle perplessità dell‘amico, finito che ebbe si congedò dicendo: «Dunque tutto a posto, mi pare. Salvo problemi, penso che la tua mostra potrà essere inaugurata domani l’altro, sempre ché tu non decida diversamente».

«Mi pare ci sia ben poco da decidere ormai, anzi, visto il tuo lavoro, penso proprio non ci saranno problemi per domani l‘altro. Che dirti, quindi, se non n’ingraziarti nuovamente»

«Sono io a dover ringraziare te per la fiducia accordatami. Non mi resta che andare, dunque, con l‘impegno, nel caso non dovessimo vederci prima, di contattarti appena tutto pronto».

Uscito Andrzej, l‘uomo si ritrovò da solo, confuso da mille diversi pensieri, in quella stanza che, privata di quelle tele e disegni, gli apparì ancora più vuota; tuttavia, nonostante quel disagio avvertito, decise comunque di restare in casa, in attesa di notizie da parte dell‘altro.

Lunghissimo gli sembrò quel pomeriggio ed ancor di più la notte, nel corso della quale, insonne, si alzò più volte, più volte si portò alla finestra, camminò su e giù per la stanza, irrequieto e con un ‘ansia che spesso si manifestava in un sudore freddo ed in brividi che gli attraversavano il corpo e finalmente, finita quell‘interminabile attesa, fu di nuovo giorno.

Stranamente, però, come il buio, anche quell‘ansia e quell‘irrequietezza sembrò, di colpo, svanire e scemare nelle luci dell‘alba, fino a trasformarsi in una strana calma che lo poneva in una posizione di assoluto distacco nei riguardi di quei suoi pensieri che, fino ad un attimo prima, l‘avevano turbato non poco.

Svanita quella tensione emotiva, assurda per certi aspetti, ripensò, con ironia questa volta, a quella sua agitazione ed ancor più a quell‘ultima notte, nel corso della quale si rendeva conto d’aver dato un significato eccessivo a fatti ed eventi altrimenti insignificanti ed in quella visione sentì riaffiorare quel desiderio di libertà che fin li aveva spinto i suoi passi.

Anche le situazioni, i luoghi e le persone conosciute in quell‘ultimo periodo, assunsero una nuova luce ed in quella ritrovata lucidità, mentre già riavviata sentiva quella ricerca iniziata tempo prima e che sperava l‘avrebbe condotto a sé stesso, raggiante di gioia iniziò quel nuovo giorno.

Avulso nei sentimenti da legami ed impegni, da li e fin nei giorni che seguirono, l‘uomo sembrò riappropriarsi di una riconquistata libertà che lo portò a dipingere, a passeggiare e gironzolare senza mete precise, ad osservare e vivere quel mondo che lo circondava, quasi come sospeso in una posizione ottimale, senza per questo, però, non tornare più volte, con tenerezza e simpatia, a ripensare ad Andrzej ed a quei suoi amici considerati, pur in quella nuova visione, tra gli altri i più simili a sé stesso.

Così, seppure con spirito diverso ma mosso da quel sentimento e dalla convinzione di non potersi esimere da quella nuova esperienza, passati alcuni giorni e non avute nel frattempo notizie da parte dell‘altro, una sera si portò nei pressi dei Teatro e qui giunto, sorpreso ed emozionato, ritrovò, affissi ai lati del portale, alcuni manifesti che preannunciavano la mostra dei suoi quadri allestita all‘interno.

Incredulo, s ‘avvicinò sempre più a quei manifesti ed una volta avutili di fronte e ben visibili, poté pienamente apprezza me la fattura che, semplice ed essenziale, ne caratterizzava il tratto rendendo un fascino particolare a quell‘unica figura, ripresa da un suo quadro e racchiusa da quelle due scritte, l‘una nella parte alta, più grande ed in neretto, che riportava un sintetico ed efficace “MOSTRA DI PIITURA” e l‘altra nella parte inferiore, ripetuta in italiano e francese, che riprendeva alcuni versi di una sua poesia:

 

"... RUMORE SORDO IN LON7ANANZA/CATENE SPEZZATE/LIBRA IL SUO VOLO L’ANIMA ALL’INFINITO"

 

Più volte rilesse quei versi e tornò con lo sguardo a quella figura che pareva involarsi da quel manifesto, sul quale stranamente non v‘erano nomi né date né altro; poi, seppure con timore, incuriosito s ‘addentrò nell‘atrio, dove, prima ancora di potersi sofferma re su quei suoi quadri allineati alle pareti, un signore, così come avvenuto quella prima volta, riconosciutolo gli si avvicinò e lo pregò di seguirlo all’interno dei teatro: e qui giunto, indicato gli un posto, lo invitò ad accomodarsi.

Una volta dentro, ben memore di quanto pensato nei giorni precedenti, con un certo distacco si guardò intorno ed al centro esatto della scena, illuminato da una luce soffusa e dietro un leggìo, intravide il suo amico, Andrzej, la cui voce si spandeva, chiara e corposa, nel silenzio della sala.

Pur non comprendendone appieno il significato, intuì immediatamente il senso di quel discorso che parlava di lui e delle sue opere e ben presto, quando Andrzej, finito di parlare, si portò più avanti e si accinse a leggere un qualcosa, ne ebbe l‘assoluta certezza.

Sotto lo sguardo attento dell‘uomo, Andrzej per ben due volte, una prima in italiano e la seconda in francese, con voce ancor più sinuosa ed avvolgente recitò una sua poesia:

 

Parole.

Anche qui.

Vuote parole...

lanci goffi di sassi nel buio.

 

Nulla possono esprimere...

nulla possono contro il tuo sguardo

che disegna voli infiniti in questa

notte di stelle.

 

Ma io vivo così

estraneo al mondo

in pace e solo...

perso a volte

nell’immagine di un vecchio

ritto sulla spiaggia

che ascolta il mare

e con le mani imita nei gesti

il volo di un airone.

 

e quando ebbe finito un applauso, scrosciante e fragoroso, arrivò dalla sala.

Frastornato, tra le persone che, in piedi, gli rimanevano intorno, l‘uomo, ancora preso da quella poesia che, così recitata sentiva essere bellissima, diversa e non poco dalla sua, istintivamente cercò d’alzarsi e di guadagnare, al più presto, l’uscita, ma Andrzej, al quale s’era avvicinato nel frattempo il signore incontrato nell‘atrio, riprese la parola ed indicando con la mano verso il suo posto, annunciò alla sala: «Signori ho il piacere d‘annunciarvi che Paul, il mio amico Paul, l‘autore delle splendide opere esposte nell‘atrio è qui tra noi. Vi chiedo, quindi, un grande applauso per questo magnifico artista»

Sorpreso, con gli occhi di tutto il pubblico addosso, l‘uomo non seppe rispondere a quegli applausi, che nuovamente s‘alzarono fragorosi, se non con qualche timido inchino e quando, rivolto lo sguardo verso Andrzej, ne comprese i gesti che l‘invitavano a portarsi nell‘atrio, sollevato e con fare quasi furtivo, si alzò e s ‘allontanò dalla sala fino a guadagnarne l‘uscita.

Giunto nell‘atrio, soffermandosi più volte su quelle tele che, incorniciate ed allineate alle pareti, sembravano assai diverse da come le ricordava, restò un bel po’, intento a salutare, stringere mani, accennare sorrisi a quelle persone che, imitatolo e portatesi fuori dalla sala, sembravano davvero colpite da quei suoi lavori; finché, finalmente, l‘altro arrivò e, con immenso sollievo dell‘uomo, interruppe quella situazione, sempre più imbarazzante.

«Paul, Paul... vecchio lupo... che fine hai fatto?» urlò Andrzej, nel mentre, ignorandole quasi, si faceva largo tra le persone che gli rimanevano intorno.

Ed una volta avutolo di fronte, dopo un lungo e caloroso abbraccio: «Ti ho cercato, non sai quante volte t’ho cercato... ma dov ‘eri finito?»

«Sai è che sono davvero un vecchio lupo. Un vecchio lupo che ha bisogno, spesso, di rimanere solo per sentirsi libero»

«Capisco. Non sai quanto ti capisco.. .amico mio. Ma ora vieni, questa sera la solitudine è un lusso che né tu né io possiamo permetterci. Come vedi io sono andato avanti, nonostante la tua assenza, nell‘organizzazione di questa tua mostra e questa gente non aspetta che conoscerti»

Detto questo, Andrzej si portò, con la solita foga e sicurezza, verso gli altri, trascinandosi sottobraccio l‘uomo, al quale presentò un ‘infinità di persone, chiedendo ad alcune di queste di acquistare, ad altre, presumibilmente giornalisti o scrittori, di redigere articoli, pubblicizzare, divulgare quella manifestazione e quelle splendide opere; trasmettendo, comunque, in ognuno quel suo stesso entusiasmo.

L’uomo assecondò l’amico e ben presto, sempre meno imbarazzato, si adattò a quella nuova situazione che adesso sentiva di poter gestire con facilità, ponendosi agli altri, semplicemente, quasi si stesse parlando non di lui e delle sue opere.

Così fece ed il tempo sembrò scivolare, scorrere fluido su quella serata particolare e straordinariamente intensa, con l‘uomo che, anche lontano da Andrzej, continuò a sorridere, a discorrere con loquacità, ad affascina re quelle persone che, curiose ed attratte, gli rimanevano intorno.

Anche quei giorni, dunque, quegli ultimi giorni vissuti in perfetta solitudine e seguiti a notti insonni e piene di tormento, tornavano, in fondo, utili nell’affrontare quella nuova situazione che sempre più, senza per questo coinvolgerlo pienamente, lo inorgogliva e soddisfava.

Con il cuore pieno di orgoglio e di gioia, continuò a sorridere, a parlare ed intrattenersi, particolarmente cordiale, con quelle persone, lanciando lunghe occhiate, a volte come d’intesa all’amico, ed altre a quei suoi quadri alle pareti; ed in quei vortice, in quel continuo ruotare incrociò, inaspettato, Io sguardo di Edith che in compagnia di altri gli veniva incontro con un sorriso che sentì, triste, posarsi sul suo cuore empio,fino a farlo traboccare.

In quell‘attimo ogni altra cosa sembrò disintegrarsi e svanire negli occhi, nel viso, nel sorriso triste di quella magnifica creatura che, giunta gli vicino, lo abbracciò e gli sfiorò con le labbra una guancia e subito dopo, con voce lieve, gli sussurro:

«Come vedi non sono andate perdute le nostre speranze»

«Già — ribadì l’uomo, come intontito — Ci rincontriamo, finalmente»

«Ne dubitavi forse... ?» riprese ironica, l’altra. «Non so se dubitavo, certo è che sono felice di rivederti, specie qui, questa sera»

«Già..., vedo. E’ la tua grande serata. Peccato non poterla festeggiare insieme, ma devo proprio andare, ho degli amici con me... sarà per la prossima volta, magari da soli»

«D ‘accordo» disse l‘uomo, sorpreso e con un pizzico di delusione nella voce « Mi ha fatto piacere rivederti. Alla prossima, dunque»

Terminata questa frase null‘altro fu aggiunto dai due con l‘uomo che, riprendendo il gesto dell‘altra, gli si accostò e le sfiorò il viso con un bacio e, subito dopo, la salutò: «Arrivederci Edith . Alla prossima »

«Buonanotte Paul. Alla prossima» aggiunse Edith con un sorriso nuovamente triste sulle labbra e dileguandosi, un attimo dopo, di là delle persone che ancora affollavano l‘atrio, oltre il portone.

Andrzej, che nel frattempo aveva seguito la scena, osservò, incuriosito e non visto ancora un po’ l‘amico sul viso del quale colse, impercettibile, un velo di tristezza e quando gli si avvicinò ed ebbe la certezza, in fondo, di non essersi sbagliato, pensando di fargli cosa gradita, lo invitò ad andare, non prima, però, d’aver salutato i presenti da pan suo:

«Signori, signori vi prego, un attimo solo di attenzione. E’ stato un piacere avervi qui tra noi, ma anche i saltimbanchi e gli imbrattatele hanno bisogno, ogni tanto, di un meritato riposo.Vi lasciamo, quindi, con l‘augurio di una buona notte e con la speranza di rivedervi quanto prima. Arrivederci amici e grazie, grazie ancora per la vostra presenza».

Concluso quel saluto, tra gli applausi, i due ben presto s ‘avviarono ed una volta fuori, in strada, nell‘aria gelida della notte s ‘incamminarono, entrambi taciturni e pensierosi.

Procedettero a lungo in quello stato, quasi senza parlarsi, scambiandosi, ogni tanto, qualche occhiata di intesa e solo quando furono sotto casa dell‘altro, Andrzej tirò fuori il viso, infreddolito e per metà nascosto nel bavero dell’elegante cappotto, e rivolgendosi all‘amico disse: «Bene eccoci arrivati. Ecco la tua tana amico»

«Già... la tana del lupo» ripeté l‘uomo sorridendo «Ma in fondo noi ci somigliamo, non credi?» «Certo, qualcosa ci accomuna amico mio, lo sento. Ma non chiedermi cosa... non saprei rispondenti»

«Forse siamo matti, due matti che si riconoscono quando il vento spira a Sud — disse l‘uomo, ancona sorridente ed ironico, ma subito dopo facendosi serio e con voce rotta dall‘emozione —Non ho avuto ancora modo di n’ingraziarti. Hai organizzato in modo perfetto, ogni cosa davvero... e la poesia, poi, stupenda, l‘hai recitata davvero in maniera splendida e superba»

«Non era la prima. Forse non ti sei reso conto ma è più di una settimana che sei sparito ed in questi giorni le tue opere hanno suscitato interesse, tanto interesse. Sei lo sconosciuto più famoso di tutta Parigi, amico mio. In molti hanno scritto delle tue opere, hanno chiesto di te e dei tuoi quadri, interessandosi al loro acquisto ed io, perdonami, mi sono dovuto improvvisare mercante ottenendo anche delle ottime cifre dai molti che hanno accettato. Pensa gran parte dei quadri esposti in Teatro domani stesso, se tu volessi, potrebbero essere acquistati»

«Dunque non siamo gli unici matti» disse l‘uomo tornando a sorridere.

«Già, non siamo gli unici — aggiunse Andrzej, prima sorridente e poi facendosi serio — Fossi in te sfrutterei questo periodo, però. Ricorda si trasformano presto in pietre le rose lanciate lungo il passaggio dei vincenti»

«D ‘accordo ci penserò»

«Bene. Buonanotte allora, ci vediamo domani»

«Si, ci vediamo domani. Buonanotte Andrzej»

Ancora una volta s ‘abbracciarono e per un attimo rimasero immobili, entrambi pensierosi, subito dopo Andrzej ritirò il viso nel bavero, fece un cenno con la mano e s ‘allontanò nella gelida notte mentre l’altro già spari va di là del portone. Nei giorni e nelle settimane che vennero, l‘uomo sembrò seguire il consiglio dell‘amico, dapprima portandosi ogni sera a Teatro, poi, quando quelle rappresentazioni terminarono e quei suoi quadri esposti furono venduti, intrattenendo relazioni, organizzando mostre, accettando sempre nuove commesse. Libero da impegni teatrali, anche le visite di Andrzej si fecero più frequenti.

E se di giorno, rare diventavano le uscite, impegnato com‘era da quella mole di lavoro, le notti s ‘allungavano sempre più, in compagnia di quel fratello speciale cui l‘accomunava un sentire comune e il disprezzo per quell‘ambiente fatto di apparenza ed appartenenza e manifestato in quei bagordi, nelle ubriacature violente, in quel vagare fino all‘alba, barcollanti e soli, nelle strade deserte.

Era strano, eppure, quanto più disprezzo poneva nei riguardi di quella vita, tanto più il successo sembrava inseguirlo, braccarlo; e con questo gli agi ed i soldi, tanti soldi da non sapere che farne.

Ossessionato dipingeva, una, due, dieci volte la stessa figura ed ogni volta qualcuno pareva trovarci un certo ché di diverso da quella precedente, interpretando, analizzando quei tratti, quei segni, quei coloni; e tutto ciò gli suscitava divertite considerazioni su quegli uomini che, infantili, s‘illudevano di conoscere tutto, che parlavano di politica e di borsa, di Dio e della fede, che parlavano, parlavano e che allo stesso modo pensavano d’interpretare i sentimenti e l‘arte.

Man mano che il tempo passava, penò, anche quel giudizio e quelle considerazioni s ‘affievolivano e svanivano in quel suo nuovo modo di vivere che lasciava sfiorire, uno ad uno, i suoi sogni, allontanandolo, sempre più, da quella ricerca e da quella voglia di libertà che fin lì l‘avevano portato; eppure gli altri parevano non accorgersi di quel malessere e continuavano ad avvicinano, affascinati da quelle sue doti che in così poco tempo gli avevano dato fama e popolarità, tanto da permettergli di esporre nelle migliori Gallerie di Parigi e non solo.

Solo Andrzej pareva comprendere; solo lui che, in fondo, portava nel cuore lo stesso tormento e che gli rimaneva vicino, giorno dopo giorno, notte dopo notte condividendo quello stesso malessere e protagonista delle stesse follie che agli occhi degli altri, solo agli occhi degli altri, si tramutavano in stranezze e stramberie di artisti.

Ben presto, ogni locale, anche infimo, divenne il naturale palcoscenico di quel vivere notturno, di quelle follie e di quegli eccessi che l‘uomo con fredda lucidità, ogni volta alle prime luci dell‘alba, trasformava in nuove immagini per le sue tele, con quella strana umanità e quei volti, dalle pupille e dai sensi dilatati dai fumi dell‘alcool e dell‘hascisc, che riportati sui suoi quadri parevano galleggiare, come sospinti dal vento, nel torbido fiume della vita.

Passarono così le settimane e i mesi con l‘uomo che, pur con la convinzione di poter abbandonare ogni cosa al solo volerlo, sentiva ormai d’appartenere, di questo ne fu ben conscio di là d’ogni illusione, a quell‘umanità fluttuante e sospinta dal vento, sempre più simile, anche nell‘aspetto, a quei volti riportati con ossessione sulle sue tele. Ed in tutto quel tempo raramente tornò a quella lontana sera ed al vagabondare che ne era seguito, avvertendo solo di tanto in tanto una velata nostalgia riaffiorare insieme con quel desiderio di solitudine che da sempre ne aveva contraddistinto il carattere e che considerava una necessaria quanto particolare condizione dell‘animo.

Nulla gli mancava più di quella condizione che in un passato non remoto l‘aveva reso davvero

libero; nulla se non la presenza di Edith che non vedeva da quella volta a Teatro e che, pur nei ricordi, come allora empiva ed agitava il suo cuore trepidante.

Ciò nonostante continuò ad addentrarsi in quella vita.

Conobbe, organizzò mostre, arricchì di cose inutili la sua casa, divenne ricercato ed elegante nell‘abbigliamento con al fianco quell‘amico fraterno che non di rado sentì colmo d’orgoglio per averlo strappato alla strada e che gli restò compagno fedele in quelle avventure notturne, sempre più estreme.

E fu proprio in uno di quei Locali, meta preferita di quelle loro avventure, che una sera, nell‘attesa dell‘amico, l‘uomo ritrovò Edith che gli si presentò dinanzi e gli apparì come una visione pronta a dissipare ogni certezza ed ogni equilibrio e che, per uno strano scherzo del destino, sentì insinuansi ancona una volta, inaspettata e dirompente, tra i suoi pensieri e nella sua vita.

«Buonasera Paul. Bentrovato ... stai bene ?»

«Bene, grazie. Bentnovata e bentornata» riprese l‘uomo ancona sorpreso e con una trepidazione che gli agitò il cuore

«Mi sono informata ed ho saputo che hai niscosso un successo notevole. Mi fa piacere... ho visto i tuoi quadri e lo meriti davvero» continuò l‘altra con disinvoltura, una volta avutolo di fronte ed abbracciatolo

«Già» ribadì l’uomo con sufficienza «Ma accomodati ed ordinati da bere»

«Mi spiace, ma proprio non posso... sono con degli amici... sarà per la prossima volta» replicò Edith, salutandolo frettolosamente

«D‘accordo. Sarà per un‘altra volta» concluse l‘uomo deluso, senza per questo darlo a vedere.

Eppure quando l‘altra s ‘allontanò, una tristezza cupa sembrò abbattersi sul suo cuore e sul suo destino nel mentre si ripeteva fra sé ( E’ per lei che mi sono fermato. E’ per i suoi occhi e per il suo sorriso triste che l‘ho fatto).

Rimeditò a lungo su quella riflessione e ricordò il loro primo incontro al Caffè, analizzando quegli ultimi mesi che l‘avevano così cambiato e soffermandosi per tutto il tempo con lo sguardo su quella strana creatura che, appena ritrovata, già temeva di perdere nuovamente ed immobile lasciò scorrere il tempo su quei suoi pensieri, indispettito a tratti da quella presenza che in un attimo aveva demolito ogni sua certezza, ogni equilibrio faticosamente costruito e che lo faceva misero ed infantile, oggetto del suo stesso disprezzo; infine, però, tentato dal desiderio che lo invitava a portarsi più lontano possibile da quel luogo e da quella donna ed infastidito da quel suo pensare, non vedendo arrivare l’amico realizzò d’incamminarsi.

Ma quando s ‘alzò e fece per andarsene, l‘altra lo guardò dapprima, poi gli si avvicinò e disse:

«Vai già via... ? Anch’io mi sono annoiata.. .passeggiamo un pò»

«Certo, ne avrei piacere... ma i tuoi amici... ? li lasciamo qui i tuoi amici ?»

«Al diavolo anche loro. Sono noiosi... e poi ho voglia d ‘aria e di passeggiare» concluse l‘altra portandosi verso quelli e salutandoli; ed in breve fu nono di nuovo insieme, fuori, per strada, finalmente soli.

«Ma dov‘eri finita ?»

«Sono partita per lavoro. Ti trovo bene sai, anche se ho saputo di certe baldorie in compagnia di quel matto di Andrzej. A proposito come sta ?» «In gran forma, come al solito. Si sta impegnando nell‘organizzazione di un nuovo spettacolo»

«Lo so, ne farò parte anch‘io probabilmente.., non te l’ha detto ?»

«No, non lo sapevo. Ma sai parliamo così poco del nostro lavoro»

«Già... preferite altro» rispose ironica Edith

«Siamo in fuga e quando si corre, si sa, si ha poco fato per le parole» replicò serio l‘uomo abbassando lo sguardo

«Già... siamo tutti in fuga amico mio... chissà per correre dove»

«Forse lontano dagli altri... o da noi stessi»

«...o per il gusto di correre»

«E’ vero — convenne l‘uomo — Forse è solo per il gusto di correre. Certo è strano discutere in questo modo con te... »

«Perché...scusa ?»

«Non so... e che immaginavo diverso questo nostro incontro»

«In che senso, diverso»

«Di certo non pensavo di parlare di questo desiderio di libertà con te che sei la causa per cui sento d’essermi fermato»

«Dici davvero...

«Penso di si. E’ dalla prima volta che t ‘ho vista che avverto questa sensazione»

« Mi sorprendi... davvero. Credevo t’interessassi molto più a te stesso che agli altri, o meglio questa è l‘impressione che m ‘hai dato»

«Non sbagli, eppure, non so perché sento che la mia ricerca passa attraverso te»

«Com’è triste tutto ciò»

«Perché triste...»

«Non rende certo felici sapersi una tappa di una

ricerca o di un percorso ben più lungo»

«Hai ragione... ma in fondo la nostra vita è così» «Già, una tappa dietro l‘altra... che tristezza»

Pronunciate quelle parole, entrambi s ‘azzittinono con Edith che s‘aggrappò e s‘avvinghiò al braccio dell‘uomo mentre questi, pensieroso, la osservò con più attenzione, affascinato da quel viso angelico e da quegli occhi tristi e così amabili. E per un bel po’ rimasero in quello stato ; fin quando non fu l’ora di lasciarsi con l’uomo che, non senza imbarazzo, riprese a parlare e domandò all‘altra.’ «Spero di rivederti.., sei libera domani ?»

«Non durante il giorno. Ho da posare per certe foto. Potremmo vederci in serata però, sempreché per te non ci siano problemi»

«Nessun problema. Se mi dai l‘indirizzo passo a prenderti»

«Bene — affermò Edith tirando fuori dalla borsa un cartoncino da visita — Ci vediamo domani»

«Passo a prenderti alle nove, se per te va bene» «D ‘accordo...ti aspetto. Buonanotte Paul»

«A domani dunque. Buonanotte Edith» concluse l’uomo mentre l’altra già spariva all’interno di un taxi.

L’indomani, dopo una mattinata ed un pomeniggio interminabili, impaziente e per tempo l‘uomo s‘avviò da casa ed una volta giunto nei pressi dell‘indirizzo, sceso dal taxi, rilesse più volte, convinto d ‘essersi sbagliato, il cartoncino avuto la sera precedente da Edith; intimorito da quella villa stupenda, antica e maestosa che certo non aveva, neanche lontanamente, immaginato così. Ai di là dell’inferriata lasciò scorrere a lungo lo sguardo sulla facciata in pietra e sul piccolo giardino che ben illuminato si frapponeva tra il cancello e l‘entrata principale, da dove, una volta bussato uscì un ‘anziana signora che informata probabilmente del suo arrivo gli si portò davanti e lo invitò ad entrare.’

«Il signor Paul... ? prego si accomodi, la contessina Edith l‘attende... »

«La contessina... ?» ripeté sorpreso l‘uomo

«Già, contessina Edith Ivanova Chodasevic. Non lo sapeva ?» riprese seria l’altra

«Certo che no» ribadì nuovamente l‘uomo, accennando uno strano sorriso. E senza null‘altro aggiungere si portò all‘interno, dove fu invitato ad accomodarsi dall‘anziana signora che subito dopo sembrò dileguarsi di là da una porta.

Nell‘attesa, curioso ed ancora incredulo, l‘uomo si guardò intorno e tra i tanti oggetti, tutti stupendi, che attirarono la sua attenzione su di uno soffermò più a lungo lo sguardo: un ritratto fotografico, una gigantografia in bianco e nero alla parete, che ritraeva Edith in un campo di papaveri rossi, solo questi riprodotti a colori, bellissima ed enigmatica più di quanto l’avesse mai vista e con lo stesso sorriso, triste e coinvolgente, che gli parve di cogliere sul viso dell‘altra quando questa, di li a poco, lo raggiunse nell‘ampio salone.

Qui, in breve si salutarono e concorda nono sul da farsi e subito dopo, sotto lo sguardo perplesso e per certi aspetti severo di quella strana donna che l‘aveva ricevuto e che nel frattempo era, come dal nulla riapparsa, s‘avviarono.

Stranamente, lungo la strada, entrambi rimasero taciturni, fin quando, giunti nel locale indicato da Edith, l‘uomo, nel tentativo di dare una svolta a quell‘inizio certo non tra i più promettenti, si rivolse all‘altra e le disse con un velato pizzico di ironia: «Dunque...contessina Edith, finalmente una serata tutta per noi»

«Si, finalmente— riprese seria Edith, sorvolando volutamente sull‘ironia dell‘altro — Vogliamo accomodarci, ho già prenotato un tavolo»

«Certo con piacere. Bellissimo locale...d’altronde avrei dovuto aspettarmelo»

«In che senso, avresti dovuto»

«Non so spiegarti, semplicemente nel pensare a te mi capita di immaginare ogni cosa bellissima e misteriosa»

«Capita la stessa cosa anche a me nei tuoi riguardi»

«E’strano, eppure avevo quasi l’impressione volessi sfuggirmi»

«In fondo è vero, ma non è te che sfuggo. Mi pare di averlo già detto... siamo tutti in fuga»

«Leggo di nuovo un velo di tristezza nei tuoi occhi»

«Hai ragione, lasciamo perdere questi discorsi. Parlami piuttosto dite. Che ci fa uno come te in questa città di matti...

« Una città vale l‘altra, o meglio è quello che pensavo fino a qualche tempo fa. Ora è diverso... penso che in ogni luogo ci sia un qualcosa che concorra a determinare il nostro destino.

Pensa non più tardi di un anno fa ero una persona completamente diversa, poi tutto è cambiato; è bastata una sera a cambiarmi ed a cambiare tutta la mia vita e da allora nulla è stato più scontato o normale.

Ho conosciuto la fame e la solitudine, quella vera.., e dopo è arrivato il successo e i soldi, ho incontrato degli amici ed Andrzej che considero un fratello... ho conosciuto te... e tutto questo non poteva accadermi che qui, in questa città ed in nessun altro luogo»

«Sei dunque felice di essere qui e di ciò che oggi sei...

«Solo gli stolti possono sentirsi felici, poiché appagati ed illusi di essere. Ma io non sono uno stolto e, fatto ancor più importante, non sento di essere. Unica mia felicità è il percepire questo movimento che mi fa simile ad una biglia scagliata alla sua meta, con i giorni e gli eventi ed ogni accadimento che non hanno valore se non quello di farci ruotare e portarci più in là»

«Ma una biglia ruota sempre su sé stessa»

«E’ vero.., oh mia cara se è vero.., eppure cosi facendo sempre si sposta un po’ ‘più in là. Così noi, in un percorso mai lineare ma irto e contorto, sempre ci portiamo più in là, sempre ci accostiamo un po’ di più a noi stessi»

«Sono piene di fascino le tue parole, eppure l‘immagine che producono è terrificante» ribadì Edith e quell‘ultima sua frase suonò così amara che l‘uomo non ebbe il coraggio di controbattergli alcun ché; semplicemente, quasi a volersi scusare, abbozzò un sorriso e si portò in avanti in uno strano gesto, affettuoso ed impacciato insieme, carezzando gli il viso ed una mano.

Ed in quel gesto, in quel movimento istintivo ed irrazionale ogni tristezza sembrò svanire, ogni cosa ed il senso stesso di quel suo pensare e parlare sembrò dileguarsi, lasciando il posto alla

realtà, a quella realtà che li vedeva insieme, l‘uno di fronte all‘altra, completamente avvinti e persi in quel sentire comune.

Da quel momento la serata proseguì piacevole, con i due che ben si guardarono dal tornare a quei discorsi precedenti che invero, una volta fuori dal ristorante, sentirono lontani e così distanti dal loro stato d’animo.

Erano felici, entrambi, lo erano davvero; e l‘uomo, nel mentre passeggiava con al fianco quella donna stupenda, ad ogni passo sentiva di doversi ricredere su quelle considerazioni fatte ad inizio serata, sempre più convinto e persuaso, anch‘egli illuso come quegli stolti derisi ed oggetto dei suo disprezzo, che in fondo la vita, le persone, nulla di ciò che gli stava intorno era, se non un ornamento a quella sua felicità.

Ma giunti dinanzi all‘abitazione dell‘altra, l‘immagine di quel giardino al di là dell’inferriata, ebbe l‘effetto di scuotendo e quando Edith lo abbracciò ed attraversò il cancello, l‘amarezza di quelle sue prime considerazioni tornò, in tutta la sua tristezza, in un unico pensiero che lo colse come un lampo mentre immobile osservò quella figura allontanarsi su per la scala:

«Questa è la vita. Tutto passa... tutto passa e se ne va... e della felicità non resta che questo...: un cancello che si chiude e che ci lascia al freddo, sulla strada»

Per un attimo rimase immobile e meditò su quel pensiero, poi, quando l‘altra fu oltre il portone, s‘avviò ancora pensieroso ed in breve sparì nel buio della notte.

L’indomani, ancona preso dall’agitazione che lo aveva accompagnato per tutta la notte, si svegliò di buon ora ed appena in piedi sentì impellente il bisogno d’uscire ed una volta fuori, intenzionato a ricambiare la cortesia usata gli da Edith con quel suo invito della sera precedente, acquistò della carta per lettere su cui appuntò alcuni pensieri ed una poesia che di li a poco, senza essere visto, si premunò di lasciare, insieme ad una rosa, dinanzi l‘abitazione dell‘altra.

E la risposta a questo suo gesto non si fece attendere, anzi arrivò inaspettata e tempestiva per mezzo di quell‘anziana signora incontrata da Edith che nel primo pomeriggio gli si presentò in casa e gli consegnò un biglietto:

 

“Grazie per la rosa e per la poesia,

entrambe stupende..

ma perché la bellezza è sempre così intrisa

di tristezza... ?

Questa sera parto.

Ho da posare per un servizio in una località

sulla Costa.

Ti vorrei con me.

                                        Edith”

 

il cui contenuto venne letto dall‘uomo che, senza neanche il bisogno di riflettere, si disse d’accordo e concordò con l‘altra, rimasta nel frattempo immobile in chiara attesa di una sua risposta, gli orari, il luogo e quant‘altro necessario per intraprendere quel viaggio.

Così la sera, come stabilito, si portò a casa di Edith e da li, insieme, in breve furono in stazione ed una volta sul treno inevitabile riaffiorò nell‘uomo il ricordo di quel suo primo viaggio, delle ansie che lo avevano accompagnato, della visione e della voce, a metà tra sogno e realtà, di Elisia, di quella strana figura che solo ora, a distanza di tempo, sentì riemengere tra i suoi pensieri e nuovamente nel rumore sondo di quelle rotaie.

Ed in quel ricordo, nella percezione di quella voce, sentì abbattersi una nuova tempesta sul suo cuore, mentre Edith, che sembrò intuire quella tristezza, seduta al suo fianco gli si avvinghiò al braccio e lo strinse forte a sé con tenerezza e calore.

E bastò quei gesto perché l‘uomo, senza bisogno di domande, iniziasse a parlare, a raccontare di quella strana storia e di ciò che ne era conseguito.

Come un fiume in piena tirò fuori ogni cosa; parlò di Elisia, di quelle figure e di quella sera ormai lontana, parlò di Dio, del tempo e della continua ricerca di sé stesso che da sempre ne aveva segnato il destino ed in quel suo raccontarsi sentì svanire ogni ansia,’ ogni tristezza ed ogni dubbio pian piano allontanarsi fino a trasformarsi in quiete, in una pace che man mano s ‘impadronì ancora del suo cuore e della sua mente e che alla fine sprofondò ogni pensiero nell’oblio di un sonno profondo. Edith aveva ascoltato in silenzio, annuendo solo di tanto in tanto.

In fondo lei già sapeva, senza conoscere quel racconto intuiva già ogni cosa, l‘aveva intuito fin da quel loro primo incontro al Caffè e quando l‘altro s ‘addormentò continuò ancora a lungo, pensierosa e tenera, a guardarlo, fin quando, quasi istintivamente, non tirò fuori dalla tasca quella lettera nella quale aveva riposto accuratamente un unico petalo della rosa che l‘aveva accompagnata e, per l‘ennesima volta, ne lesse il contenuto:

 

Così passano i giorni/

invano si rincorrono e soccombono

dietro speranze andate deluse.

 

E noi/

stanchi di lottare/

abulici lasciamo scorrere il tempo/

senza forze / adagiati come pietre

sul letto di un torbido fiume/.

 

Eppure

a volte

ogni cosa torna magnifica/

ripagante più d’ogni tormento.

 

Un incontro/uno sguardo fugace/

un volto/

il tuo

che s’illumina alla luce dei miei ricordi.

 

Appartenessimo alla stessa tribù

mia cara amica

ti paragonerei

come ho fatto a chi non ha più briglia

ed urlerei il tuo nome

disegnandolo nell‘aria

fino ad oscurare il sole e le nubi.

 

Contro il cielo urlerei il tuo nome:

“Cavallo che fugge nel vento... ”/

“Cavallo che fugge nel vento...”/

“Cavallo che fugge.../

...nel vento”

 

Ma non sono un guerriero.

Non appartengo al popolo dei Pawnee

non sono un Papago, uno Yaqui, un Navaho,

un Homaha - Sioux o un Nootka - Matak.

 

Non appartengo al popolo degli uomini

non ho terra né patria e lungo il mio

peregrinare non riconosco i volti di chi

mi resta intorno.

Semplicemente corro

e come te forse

mi abbandono alla deriva

sperando d’approdare alla mia isola

con la vita che muove dietro altri cancelli

e che mi appare come un fiore stupendo

nato/suo malgrado/sull’orlo di un baratro.

 

(non lasciare fuori dal tuo cancello

la mia solitudine)

                                               Paul

 

Poi quando ebbe finito, rabbrividendo all‘idea di quel baratro, si rannicchiò e s‘avvinghiò ancor più al braccio dell’altro addormentandosi a sua volta, accompagnata dal vocìo di alcune persone che dal fondo del vagone parevano, con quel loro parlottare, cadenzare la giusta partitura di un contrattémpo sulla dolce melodia di quella loro solitudine.

Come spesso gli accadeva ormai, giunti a destinazione, però, quella malinconia e quella solitudine avvertita la sera precedente sembrò scemarsi, tanto da apparirgli un ricordo lontano; ed i due, presi dalla bellezza del posto o perché coinvolti dalla convinzione di conoscersi meglio dopo quel loro parlare, sentirono, più di ogni altro bisogno, la necessità di passeggiare un po’, completamente soli e per le strade a quell‘ora deserte, prima di raggiungere l‘albergo, dove nel frattempo s erano premurati di mandare i loro bagagli.

Avviatisi dalla stazione procedettero, dunque, a piedi lungo un percorso abbastanza ampio, interessati da ciò che gli restava intorno eppure, nel contempo, così assenti, mille anni luce lontani da quel luogo, con la mente offuscata ed inebriata da quella attrazione reciproca che li sospingeva, come foglie nel turbinìo di una folata di vento, verso il loro destino.

Ed una volta in albergo, fu naturale ritrovarsi nella stessa stanza, l‘uno nelle braccia dell‘altra, con il corpo dell‘uno dissolto in quello dell‘altra, con l‘anima travolta dalla stessa passione, col cuore, i sensi e la mente che rispondevano allo stesso respiro e che parevano dischiudersi ed involarsi in un volo lieve, sempre più alto e lontano.

Com‘era dolce quella tempesta, com‘era meraviglioso quei giuoco di gesti e carezze, com'era facile morire e librarsi in quell‘alito, con le braccia ed i corpi che appena persi si ritrovano già, involando a nuove vette i sensi e l‘anima.

Non poco durò quella dolce tempesta, interminabili sembrarono quei momenti in cui due corpi, due cuori, due anime si ricongiunsero in tutt’uno che non era corpo, non era cuore, non era anima, ma volo infinito e quando fu di nuovo la quiete ogni cosa, come polvere lanciata nel vento, sembrò leggera planare, ritornare al suo approdo iniziale, all‘interno di quei loro cuori, nella parte più nascosta della loro mente, come farfalla che ritrae le ali e si posa, come in un velo, tra i petali di un fiore.

Ed in quella quiete, con i pensieri ancora avvolti in quel soffice velo e con il tempo immobile e scandito appena dai loro respiri, in quella sublime ed irripetibile atmosfera, inevitabili riaffiorarono, specie nell’uomo, immagini lontane, passioni rimaste segrete, volti e gesti di ragazze che alla luce di quei suoi ricordi tornarono splendidi e travolgenti, quand’anche mai simili, neanche lontanamente, al viso di Edith ed a quei suoi occhi, neri come la notte ma traboccanti di luce, che sentiva d’amare più d’ogni altra cosa al mondo. In quel risveglio si consumò quel loro primo giorno, breve e furtivo come un lampo ancorché chiaro e rilevatore, e quando fu la sera, una volta fuori e confusi tra i propri simili, entrambi sentirono più che mai veritiere quelle rivelazioni, accomunati a quell‘umanità fatta di luci ed ombre, di sentimenti e desideri, di giochi infantili e forse inutili eppure, mai come ora, reali, necessari da comprendere e decifrare, indispensabili da vivere.

Non una sola sillaba fu necessaria ai due per spiegarsi quanto era successo, nessun accenno a quella passione travolgente; semplicemente, passeggiando prima e dopo a tavola o nel rientrare in albergo, percepirono quel mondo che gli stava intorno in modo diverso, assai mutato rispetto a come lo ricordavano ed in quella nuova visione vuote e superflue suonavano anche le loro parole, incapaci come non mai di trasmettere e comunicare, neanche in minima parte, quanto il silenzio di uno sguardo o di un semplice gesto avrebbe potuto.

Breve trascorse quel giorno e così quelli che seguirono, con Edith che appena libera correva dall‘altro per portarsi insieme, con l‘irruenza e la foga che è propria dei giovani amanti, da un capo all‘altro di quella città, affrontare lunghe passeggiate solitarie sul lungomare deserto, visitare musei e Chiese; insieme a teatro o a cena in locali caratteristici, insieme la notte, l‘uno nell‘abbraccio dell‘altra perso, ed in quella foga, in quell‘irruenza veloci passarono quei giorni e quelle notti e ben presto fu l’ora del ritorno.

Nuovamente a Parigi, però quel desiderio che li spingeva l‘uno alla continua ricerca dell‘altra, sembrò svanire, di colpo costretto e celato dai due nei meandri più profondi della memoria, ben custodito e nascosto alla curiosità degli altri, di quegli amici che, ritrovati, neanche immaginavano di quel loro sentimento ad eccezione di Andrzej che fin dall‘inizio, da quella lontana sera della mostra a Teatro, aveva intuito e percepito ogni cosa e che più di ogni altro riusciva a leggere nei loro occhi e nel loro cuore.

Così sin dai primi giorni che seguirono quel loro rientro, in quella ritrovata, quand’anche particolare, normalità e nonostante quello strano e variopinto gruppo fosse impegnato nella lavo razione di quella preannunciata commedia, ripresero frequenti le uscite notturne di quei due amici così simili, ai quali non di rado si unì Edith; pure più dell‘uomo intenzionata e capace di reprimere quel suo sentimento che, tuttavia, di tanto in tanto riemergeva in qualche gesto o atteggiamento affettuoso nei riguardi dell’altro e che certo non passò inosservato neppure ad Andrzej. Pur persuaso di quelle sue convinzioni, questi, però, mai accennò a quelle impressioni, glielo imponeva la sua natura così riservata e rispettosa delle scelte altrui, eppure, nonostante quel suo proposito, vi fu una volta, durante una pausa prove in teatro, che Edith iniziò a parlargli di quello strano rapporto, imponendo gli, suo malgrado, quell‘argomento.

Erano l‘uno affianco all‘altra seduti in platea, intenti entrambi nella lettura del copione, ed Edith dando quasi l’impressione di leggere su quei fogli, iniziò, triste e con gli occhi bassi, quel suo sfogo che sentiva, greve come un macigno, opprimergli il cuore: «Dimmi Andrzej, ti prego aiutami a comprendere... quale disegno ci riserva il destino, dove mai porta questa nostra strada che ci costringe ogni volta alla fuga ?»

«Mi poni domande alle quali è impossibile dare risposte. Semplicemente penso che quanti, come noi, sono costretti a cercare aspirino in fondo a ritrovare sé stessi.

Questo me lo auguro continuamente ed in certo qual modo lo sento. Ma i tuoi sono gli stessi miei dubbi, amica mia, poiché lungo questo cammino, in questa continua ricerca mi capita spesso di prevedere con lucidità quello che tu chiami il nostro destino e mi sento solo e vedo gli altri soli, come alberi allineati sul bordo di una strada, l‘uno all‘altro vicino, eppure così distanti, con i rami che si sfiorano ed a volte si toccano.., mai, però, abbandonati in un abbraccio che per loro risulterebbe mortale. »

«Oh, mio caro... come sono vere e tristi queste tue considerazioni. Non sai quanto mi è vicina l‘immagine di quegli alberi.

Come loro sento e vedo gli altri distanti, come loro sfioro ed a volte tocco questa vita senza mai sentirla mia... / ... l‘uno all’altro vicino, eppure così distanti... quanta malinconia produce nel mio cuore quest’immagine»

«Ho la vaga impressione che questo nostro parlare molto abbia a che fare con il nostro amico comune... »

«Paul... ? è dunque tutto così evidente ?»

«Evidente non so. Di certo so che tu lo ami e lui ama te ma... »

«Ma non si può ingabbiare ciò che si ama, sarebbe come illudersi di raccogliere e stringere il vento nel palmo di una mano. Lui è qui ma è già come non ci fosse, è lontano da me e da te, da questa città,’ lo è fin da quella prima sera al Caffè.

Ricordo che ballavamo e, neanche trovato, già sentivo di perderlo nuovamente e forse in fondo è per questo che da allora ho sentito d’amarlo più d’ogni altra cosa al mondo ma anche di dovergli sfuggire, poiché, su quei contrapposti sentimenti che me lo facevano così caro, già sapevo si sarebbe infranto il mio cuore»

«Lo ami così tanto da volerlo libero...

«Lo amo più della mia stessa vita. Ma si può amare un uccello e saperlo chiuso in una gabbia...

«Pensa, l‘immagine che io ho di Paul è proprio questa : un uccello che si libra in volo e che percorre traiettorie non ben visibili agli altri, che a volte arranca e, senza orientamento, ripercorre come impazzito le stesse strade ed altre invece, con il vento a favore, dispiega le sue ali e si porta lontano... »

«Lui è già lontano...questo lo hai capito anche tu, vero»

«Si, lui è già lontano, anche se un tempo m ero illuso, stupidamente fiero, d’averlo fermato e riportato ai suoi simili.

Ma oggi mi chiedo chi siano i suoi simili se non quei passeri che bambino, ancora nella nostra terra, amavo osservare, liberi e solitari, sui cornicioni delle case, quand‘anche costretti a volte, specie d’inverno quando la morsa del gelo si fa più stretta, a piana re e scendere fin sul lastricato di una strada o di una piazza, spinti dal bisogno di cibo ed incuranti degli uomini»

«Già, lui è già lontano.., senza saperlo si è già involato, libero e solitario, come quei passeri sui cornicioni delle case; ma in fondo è per questo che forse l’amiamo... »

Quell’ultima frase suonò ad Andrzej incompiuta, spezzata da alcune voci che s ‘alzarono dal fondo del teatro, eppure, nonostante interrotto, quel loro discorso si fermò lì, con Edith che, contrariamente all‘altro, sembrò sollevata dall‘interruzione determinata da quelle presenze inattese; tanto sollevata che mai più, durante quella serata o nei giorni successivi, tornò su quell‘argomento.

Quel breve ed incompiuto discorso, penò, lasciò una strana sensazione in Andrzej che iniziò da quel momento a guardare con più attenzione ed in modo diverso a quell‘amico, negli occhi del quale scorse una tristezza ed una irrequietezza fino ad allora non avvertita, o forse egoisticamente rimossa, che lo invitò, pian piano e mentalmente, a congedarsi dall‘altro.

Ciò malgrado mai parlò di quelle sue sensazioni, mai accennò all‘altro di quei discorsi; semplicemente si predispose a quell‘addio che sentì inevitabile e prossimo pur in quei loro incontri che continuarono frequenti ed ai quali man mano sempre più rara divenne anche la presenza di Edith. L’uomo, dal suo canto, non meno dell’amico avvertì quel cambiamento insinuarsi nelle sue giornate: sempre meno interessato a quella vita frenetica, stanco di quegli agi e di quelle comodità, insofferente a quei ritmi che gli imponevano di rimanere immobile su quella posizione acquisita e gli impedivano di pensare, di cercare, di volare nuovamente ; e tormentato da quella sensazione, molte volte fu sul punto di andarsene, molte volte fu tentato di lasciare ogni cosa e di portarsi più lontano possibile, eppure, ogni volta che ciò avveniva, una strana voce sembrava salire dal suo cuore, quasi ad indicargli che il suo compito in quella città non s ‘era esaurito.

Ed in quei pensieri, in quel sentire, chiara e leggibile prendeva ogni volta forma la figura di Edith che come una premonizione malvagia gli si frapponeva sulla strada e lo costringeva a fermarsi.

Sotto il peso di quel presagio che come un tanto gli martellava il cervello e gli impediva di pensare, in apparenza simili a quelle precedenti, lunghe e tormentate si trascinarono le settimane che seguirono nel cui lento fluire l‘uomo sembrò, poco a poco, lasciarsi alle spalle quella città, quel gruppo d’amici, quelle abitudini acquisite,’ eppure tutto questo non gli impedì di perseguire alcuni obiettivi, come la vendita di certi suoi quadri o alcune operazioni finanziari e concluse con successo, che sentì, solo con meno irruenza, necessari come quella prima volta a casa sua ed importantissimi per il suo futuro e per aprirsi la strada a quella nuova e sempre più vicina fuga.

Quei propositi e quei movimenti però, quand’anche celati con maestria nel profondo del suo cuore, mai passarono inosservati ad Andrzej che sempre più sicuro di quelle sensazioni iniziò ad assumere atteggiamenti che gli serbassero un buon ricordo di quei pur tristi momenti e che appena libero da impegni, completamente avvinto in quel tormento, lo porta nono alla ricerca dell’altro che ritrovò e sorprese sempre più spesso in luoghi o ambienti frequentati da artisti di strada o loro simili.

Ben capiva Andrzej il significato di tutto ciò, ben decifrava quelle frequentazioni che da una parte delineavano ancor più quel bisogno e quella propensione per una vita libera e vagabonda e dall‘altra una ammirazione per quei musicisti, pittori, poeti della vita, in alcuni casi così geniali ed innovativi, eppure così restii a trasmettere la grandezza di quel loro estro attraverso strade convenzionali.

Lui stesso amava ed ammirava quegli uomini e ben comprendeva quindi l‘attrazione e gli atteggiamenti dell‘amico, ciò nonostante uno strano sentimento di rabbia e di invidia lo contrastava, poiché diversamente dall’altro sentiva una forza misteriosa costringerlo a guardare con distacco quel mondo che sapeva l‘avrebbe risucchiato, nel lasciarsi andare, irreversibilmente.

Riluttante a quell‘idea ed angosciato si addentnò nel corso di quei giorni con quella sensazione conflittuale che gli pesava sul cuore come un macigno e che tuttavia lo faceva timoroso e gli imponeva di sottacere su quegli argomenti che di certo avrebbero evidenziato tutta la sua vulnerabilità.

Così mai parlò all‘amico di quel suo tormento, mai accennò a quei sentimenti, anzi man mano che il tempo passò, sempre meno raccontò anche dei suoi impegni in teatro, verso il quale più rare s’erano fatte le stesse visite dell’altro.

In vero vi fu un ‘unica volta che egli accennò a quell‘argomento e lo fece riferendosi ad Edith ed al suo ritiro dalle prove per un non meglio, a suo dire, problema di salute; e bastò quell‘accenno, quella frase volutamente sfuggente e quasi trattenuta tra i denti, a far riemergere nell‘uomo quel sentimento che per quanto acquietato mai l‘aveva abbandonato e che fin dall‘inizio aveva avvertito frantumargli il cuore, l‘anima ed ogni certezza, trasformandosi spesso, come ora, in una piaga dolorante ed insopportabile.

E quel sentimento ben presto si tramutò in una crescente irrequietezza che sempre più forte sembrò impossessarsi dei suoi pensieri facendolo recedere pian piano anche da quei suoi propositi di fuga e che, come in un rito ripetuto inconsciamente, lo portò quotidianamente, da li e nei giorni che seguirono, nei pressi dell‘abitazione di Edith, con la palese speranza di rivederla finalmente.

Per ore sostò nelle vicinanze del giardino ai di qua del cancello, col desiderio di intravederne almeno la sagoma attraverso una finestra o la figura elegante ritta in cima alle scale nel mentre s‘apprestava ad uscire, eppure i giorni passano lasciando deluse quelle sue aspettative e coi loro passare, inversamente a quelle sue speranze, sempre maggiore divenne quell‘irrequietezza che man mano accrebbe in lui il desiderio dell‘altra e la determinazione a volerla rivedere, fosse anche servito presentarsi in casa sua.

Spinto da quel desiderio ed oramai stremato, cosi s‘impose di fare in una mattina che seguì di poco quegli ultimi giorni, ma proprio nel mentre, gia pronto a portarsi a casa dell‘altra, s‘apprestò ad uscire udì bussare alla sua porta ed in una inspiegabile e quanto mai strana percezione, come ridestato da quel suono stridente, collegò intuitivamente quella visita a quei suoi propositi, tanto che una volta aperto gli fu quasi naturale ritrovarsi di fronte l’anziana signora conosciuta da Edith.

Nel salutarla ne scrutò per un momento il viso e lo sguardo che ben diversamente severo ricordava e che certo oggi nulla di buono gli preannunciava; così che quando questa, tirandolo fuori dalla tasca, gli consegnò un biglietto e senza null‘altro aggiungere si congedò, di nuovo solo, l‘uomo avvertì uno strano timore insinuarsi nella sua mente.

Per lungo tempo rimase immobile con quel biglietto tra le mani, impaurito dal conoscerne il tenore e completamente assorto; poi, finalmente decisosi, ne sfogliò i lembi ed immediatamente vi riconobbe la scrittura di Edith che, pur diversa e non poco nella forma e nel contenuto rispetto all‘invito ricevuto tempo prima, lo pregava di raggiungerla con urgenza.

Immediatamente, quasi non aspettasse altro, s ‘avviò e lungo la strada gli fu inevitabile non pensare e con una certa preoccupazione al contenuto di quel biglietto ed al tratto così incerto di quella scrittura che assai diversa e sicura conosceva e tutto ciò non contribuì se non ad accrescere i suoi dubbi e le sue preoccupazioni.

Con ansia crescente, in breve fu presso l‘abitazione dell‘altra, ove, privo di dubbi e titubanze questa volta, attraversò il cancello ed il piccolo giardino e dove, ancor prima di bussare ed in chiara attesa, scorse dietro i vetri l‘anziana donna che a sua volta gl‘indicò d‘attenderlo ed un attimo dopo lo raggiunse e lo invitò ad entrare.

Giunti all‘interno, prima ancora d ‘accompagnarlo nella stanza posta al piano superiore, questa lo pregò di seguirlo nel salone e qui iniziò, senza attendere domande, a parlargli della sua padrona e della loro convivenza, del passato e di quel presente così adombrato ed incerto che traspariva, pur senza precisazioni particolareggiate o dettagliate, in ogni frase o atteggiamento davvero preoccupante in riferimento allo stato di salute di Edith.

L’uomo ascoltò con attenzione e trepidazione lo sfogo dell‘altra e quando questa ebbe finito si rese conto di quanto sbagliata fosse l‘immagine, severa e dura, che s ‘era fatto di quella donna che oggi vedeva, con occhi diversi e per la prima volta, tenera ed apprensiva dinanzi a quegli eventi e così vulnerabile, solo come chi ama è, riguardo al loro tragico evolversi.

Preparato e cosciente di ciò che l‘attendeva s ‘apprestò dunque a portarsi di sopra, eppure, prima ancora d’avviarsi afferrò tra le sue le mani dell‘altra e le strinse con forza e ne scrutò Io sguardo lucido e stranamente pudico ;poi, entrambi accomunati da quei sentire comune, s ‘avviarono su per le scale ed una volta in cima, giunti dinanzi ad una camera, nuovamente solo, ne sfiorò con tocco lieve l‘uscio socchiuso ed incerto s ‘inoltrò ai suo interno.

Nella stanza una luce tenue e delicatamente soffusa sembrava avvolgere ogni cosa e nel fondo il viso cereo e sofferente di Edith, distesa a letto, sembrò per un attimo illuminarsi alla sua vista nel mentre lo invitava a raggiungerla con un cenno della mano.

L’uomo così fece e quando gli fu vicino non poté nascondere l’ansia e la trepidazione che gli agitava il cuore mentre una forza incontrollabile sembrava spingerlo ad abbracciarla, a dirgli una qualsivoglia cosa o chissà a fare che altro; ma precedendo ogni suo gesto, l‘altra iniziò a parlargli e con uno strano sorriso abbozzato sulle labbra sembrò compiacersi di spiazzarne e scompaginarne ogni possibile mossa: «Paul, mio caro finalmente.., pensavo di non rivederti.., pensavo d’involarmi alla mia isola senza neanche salutarti... »

«Taci, ti prego, non parlare.., non parlare così» «Perché tacere, quelli come noi non temono la morte. Ricordi... siamo tutti in fuga... ed è stato così anche per me; ma non certo per sfuggire la monte quanto per afferrare la vita.

Non darti quindi pena mio caro, non essere triste per me, sono serena come non mai ed il mio cuore sembra essersi finalmente acquietato.

Vieni, siedi vicino a me e lascia da parte ogni tristezza dunque»

«Cara, cara amica...è ancor pieno il nostro calice e tu mi chiedi di rovesciarlo anzitempo e senza rimpianti...

«Quel calice è vuoto ormai e tu lo sai. Ne assaporammo, nettare meraviglioso, il contenuto ed il resto lo disperdemmo nell‘aria alle nostre spalle. Timorosi di assuefarci alla sua dolce fragranza»

« Troppo in fretta forse, ... tutto troppo in fretta mia dolce Edith»

«Non in fretta ma nei tempi giusti. Da quel nostro primo incontro non poco siamo cambiati, continuamente modificati, continuamente diversi eppure nei nostri ricordi tutto è rimasto immutato; ogni attimo trascorso insieme reso immune dal tempo ed eterno, trasformato in un raggio di sole che s ‘irradia furtivo in un giorno di pioggia.

Non poco siamo cambiati in realtà da allora. Ricordi    una biglia scagliata alla sua meta sempre si sposta più in là... ebbene, abbiamo mai pianto... ci siamo mai sentiti tristi per questo? Perché dovremmo esserlo oggi?

Non ci sono addii tra chi si è amato come noi, non si può dividere quanti, per breve o lungo tempo, hanno sentito e sono stati un tutt’uno» «Con te viene via una parte di me»

«E’ con te che resta una parte di me e non sai quanto questo mi riempia di gioia.

Ma parlami di te, raccontami come facesti durante quel nostro viaggio in treno.

Dove ti ha condotto il tuo volo...hai trovato ciò che cercavi?

lo per me da nessuna parte sono approdata, nulla che riesca a comunicarti sono riuscita a trovare, semplicemente sento oggi una serenità che mi pervade il cuore e fa sì che il suo battito sia all‘unisono con l‘universo»

Quell‘ultima affermazione di Edith creò nell‘uomo uno strano senso di disagio; ciò nonostante, raccogliendo quell‘invito, questi iniziò a parlare imponendo alla sua voce una calma che certo non corrispondeva al suo stato d’animo.

Molto parlò e per lungo tempo ed ogni parola corrispondeva nel suo cuore a una fitta lancinante che contrapponeva a quei suoi discorsi su ricerche interiori, su voli illusoni, su teorie e teoremi astrusi anche a lui, quella realtà così vera, così essenziale e dura da affrontare.

Spesso quel suo parlare sembrava procedere per proprio conto, indipendente dalla propria volontà e dai propri pensieri che sembravano dirgli.’ “eccola verità, amico mio, ecco gli effetti del tempo che tu ritieni un ‘illusione. E’ dunque un ‘illusione, una non realtà tutto questo ? “.

Dov ‘era oggi quel fiore che aveva visto volteggiare in una danza leggiadra?

Dov’erano finite le ali di quella farfalla che con lui s ‘era innalzata ed involata nel vortice di una passione travolgente ?

Avrebbe mandato volentieri al diavolo ogni sua parola, dato in cambio i suoi pensieri, barattato ogni sua azione e tutto ciò che era per poter cambiare quella realtà, in cambio di un abbraccio che potesse strappare quell‘amata al suo destino, ma in un labile barlume di lucidità si rendeva conto di quanto irrealizzabile fosse quel suo pensare e questo non fece altro che accrescere i propri dubbi, producendo gli quasi un senso di soffocamento che alla lunga gli impedì anche di procedere in quel convulso discorrere.

Costretto al silenzio, con un nodo alla gola, avvertì un velo dischiudersi dinanzi ai suoi occhi e nel porta ne la sua attenzione nuovamente su Edith si accorse che questa s ‘era nel frattempo assopita e che il suo volto, non più pallido e sofferente, presentava, per uno strano incanto, l‘antico tratto.

Non più cereo, non più scarno e malato ma roseo e perfetto nel suo profilo, visibilmente sereno, così leggermente chino su un lato nel soffice guanciale.

Affascinato lasciò più volte scorrere il suo sguardo su quel viso , realizzando infine che così l‘avrebbe ricordato; così avrebbe voluto conservarlo nel suo ricordo.

Era dunque giunto il tempo del congedo, giunta era l’ora dell’addio ed in un gesto istintivo l’uomo si portò in avanti e sfiorò con le ‘sue le labbra e la guancia dell‘altra mentre il suo cuore empio e traboccante di malinconia continuava a ripetersi: addio cara amica... addio, addio dolce compagna.

Nel riattraversare la stanza non una sola volta si girò, solo appena fuori restò immobile con la porta nuovamente socchiusa alle sue spalle e come per l‘infanzia quella sera a casa sua sentì i ricordi che lo legavano ad Edith riemergere ed alternarsi a parole appena sussurrate mentre il battito del suo cuore pareva produrre una dolce nènia che come per effetto di un eco gli tornava e gli ammantava i sensi, fino in fondo all‘anima.

Incamminatosi per le scale udì quella nènia sempre più forte e sulla sua bocca si dischiuse uno strano sorriso mentre il suo corpo, la sua mente, ogni parola ed ogni battito del suo cuore parevano scandire, in perfetta assonanza, quell‘armoniosa melodia:

"cavallo che fugge nel vento/cavallo che fugge nel vento/cavallo che fugge...nel vento."

Giunto fuori però quella voce, quelle sensazioni e quegli stessi sentimenti sembrarono svanire, trasformandosi improvvisi in un ricordo, vivo si ma così indefinibile e lontano e l‘uomo ben presto, completamente frastornato, si confuse, con movenze meccaniche e prive di ogni volontà, tra le persone che affollavano la strada e si dileguò verso casa.

Esaurito s‘era dunque il suo compito in quella città, non più costretto a fermarsi, non più presagi a frapporsi sulla sua strada. questo egli sentiva ed avvertiva inconsciamente, quand’anche celato da quel dolore lancinante.

Ciò malgrado rimase per lungo tempo rintanato in quella casa che pur sentiva già estranea; apatico, indescrivibilmente spossato, senza mangiare, senza dormire, privo di ogni desiderio e stimolo, estraneo al mondo ed a ogni cosa.

Solo alcuni giorni dopo, la visita dell‘anziana donna gli preannunciò l‘inevitabile accaduto e tra i due non ci fu bisogno di parole, semplicemente le loro mani, ancora una volta, si cercarono e strinsero con forza, con tanta forza e calore che solo quando questa fu già via, l‘uomo s‘accorse del laccio e della medaglietta rimasti nel proprio pugno.

Sorpreso ne lesse l‘incisione: “Volare e vivere/ Vi vere e ricordare” e per un lungo attimo un‘emozione profonda sembrò impossessarsi di lui mentre i suoi occhi si bagnavano di lacrime che gli solcavano il viso.

 

<<< parte prima

SEGUE - parte terza >>>

 


 

Home  R. Zito le poesie dall'entroterra
Elisia e la scatola del tempo in compagnia di Molì

 

 

 

 

[ Mailing List ] [ Home ] [ Scrivici ]

 

 

 

 

.