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IL BEATO GIOVANNI DA CARAMOLA
NELLA NARRAZIONE DI UN ANONIMO TRECENTESCO
E DELL'ABATE GREGORIO DE LAURO

traduzione e note a cura di LUIGI BRANCO


 

(Alla pia memoria dei tanti religiosi di Basilicata che nei secoli lontani con la preghiera, lo studio e il lavoro tracciarono per noi i sentieri della vita)
 


PRESENTAZIONE

Salutiamo con gioia e riconoscenza la pubblicazione delle due Narrazioni della vita del B. Giovanni da Caramola, tradotte dal latino dal carissimo don Luigi Branco, canonico della Diocesi, storico ed esperto di agiografia religiosa.
E' un lavoro prezioso e utile, sia dal punto di vista letterario e storico, perchè rende comprensibile un tesoro rimasto per secoli quasi sconosciuto o noto solo a pochi, sia perchè ci viene presentato un Campione di santità e uno stile di vita che ancora oggi parlano alle nostre coscienze, riconducendole all'essenziale e al senso vero della vita: camminare nella via della santità.
I due testi tradotti sono una miniera di notizie storiche e di vita religiosa, culturale e sociale, riproponendoci intatta la ricchezza spirituale e la bellezza della vita monastica che ha fermentato le nostre zone fin dal dodicesimo secolo, e ancor prima, giungendo fresca e genuina, fino ai nostri giorni.
Tocca a noi farne memoria per recuperare e ripresentare oggi i valori essenziali e lo spirito genuino che animò i Monasteri, i Santuari, le Parrocchie e i fedeli dei nostri Avi e delle nostre zone, preparando il terreno alla vocazione alla santità e alla vita presbiterale e religiosa, tanto fiorente e significativa ai tempi del Beato Giovanni.
Non mi soffermo sul contenuto religioso e storico di questo lavoro, perché lo troviamo ben descritto nella Introduzione del Traduttore, che si premura anche di corredarla di preziose notizie storiche sul Monastero del Sagittario, sulla Contea di Chiaromonte e sull'Abate De Lauro, uno dei due autori della vita del Beato Giovanni.
Ringrazio con fraterna riconoscenza don Luigi per il lavoro paziente e tenace, anche se non sempre agevole, di traduzione operata "con scrupolosa fedeltà al testo", come egli stesso afferma, e perciò vera, aderente al testo e chiara, non solo per un godimento intellettuale, ma soprattutto per nutrire lo spirito.
Ringrazio il Committente, Don Vincenzo Lo Frano, Parroco di Chiaromonte e appassionato devoto del Beato, per le numerose iniziative che sta proponendo per far conoscere e amare una figura di santità che altrimenti rischiava di perdersi nei meandri del passato.
Infine, mi unisco all'augurio e alla speranza di don Luigi: "si vuole sperare che soprattutto i giovani sappiano trovare nella vita e nelle opere del Beato Giovanni da Caramola un messaggio valido anche per i nostri tempi, che sembrano più gentili, ma sono, in realtà, ben più duri e selvaggi di quelli antichi."

Tursi, Visitazione della Beata Vergine Maria 2003

+ Francesco Nolè - Vescovo


 

INTRODUZIONE

(con le notizie essenziali sul monastero del Sagittario e sull'abate De Lauro e la sua opera di scrittore)

Si presentano qui, per la prima volta tradotte dal latino, due narrazioni della vita del Beato Giovanni da Caramola: quella più antica, molto breve, che viene attribuita ad un anonimo monaco, contemporaneo del Beato, e quella scritta nel 1600, da Gregorio De Lauro, abate dello stesso monastero del Sagittario, dove morì il Beato Giovanni.
Il primo testo è riportato per intero dall'Ughelli nel VII volume della sua voluminosa e prestigiosa opera Italia sacra (1). Tolto il breve prologo, che sembra di stile diverso e più tardivo, l'autore della prima narrazione dovrebbe essere un testimone oculare della vita del Beato. Afferma, infatti, di avere avuto, sebbene indegno, l'onore di parlare con il Beato, e di aver conosciuto personalmente gli uomini di Senise e di Noepoli miracolati dal Beato Giovanni.
Questo scrittore anonimo si rivela narratore semplice ed efficace, e molto abile nell'uso del latino, che si presenta vivo ma di tono non volgare, come doveva essere quello usato dai monaci di un certo livello culturale.
Il secondo testo, molto più lungo, pur ricalcando nei punti essenziali il racconto dell'Anonimo, vuole essere una vera biografia, e perciò è ampio, diviso in capitoli con i relativi titoli; arricchito, forse un po' troppo, di elementi che, pur non avendo nulla a che vedere con la vita del Beato, sono, tuttavia, sempre in relazione al tempo storico in cui egli visse e, soprattutto al monastero in cui passò gli ultimi anni della sua vita, e in cui manifestò, più chiaramente, la sua santità e dove era conservato il suo corpo (attualmente deposto in una preziosa urna di legno nella Chiesa Madre di Chiaromonte), oggetto di commossa venerazione da parte dei monaci e delle popolazioni limitrofe e centro dei tanti fatti miracolosi minutamente descritti sia dal narratore antico che da Gregorio De Lauro.
Il quale, essendo stato abate del Monastero del Sagittario, ne scrisse la storia (2) e, a parte, ne fece l'elenco degli Abati (3).
Il Monastero del Sagittario, che l'Ughelli dice fondato nel 1200 (4), fu, invece, ufficialmente fondato il 12 dicembre del 1155 da Alibreda di Chiaromonte (5). Il De Lauro narrerà ampiamente, nella vita del Beato, le origini leggendarie del Monastero; il quale dovette nascere non precisamente nella zona dove si sviluppò in seguito e dove si vedono ancora oggi le sue rovine, ma a circa cinque chilometri più in alto, nel luogo che, come ci dice lo stesso De Lauro, fu poi detto Lo monasterio vecchio.
Nel 1202 il Monastero risulta dell'Ordine Cistercense, legato alla Congregazione di Casamari. Negli anni 1346 e 1367 il Monastero è liberato, a causa della povertà in cui versa, dal servizio, cioè dalla tassa da pagare alla Sede Apostolica, mentre tra il 1399 e il 1444, risulta che la paga regolarmente (6). Il 22 ottobre 1412, Re Ladislao gli concede, insieme alla vicina certosa di San Nicola in Valle, il privilegio di esenzione dal pagamento delle gabelle sul bestiame di loro proprietà in tutto il territorio del Regno (7). Il 18 marzo del 1441 cominciò la serie degli abati commendatari. Nel 1528 il Monastero fu assalito, saccheggiato, devastato e incendiato dalle truppe del generale Lautrec. L'opera di ricostruzione dovette durare a lungo, ma nel 1554 doveva essere certamente terminata, perché è di quell'anno, mentre era abate commendatario Giovannello Virgallito, la sistemazione del bel coro ligneo che si trova attualmente nella Chiesa di S. Giacomo in Lauria.
Il 1° ottobre del 1664 il papa Alessandro VII aggregò il Monastero del Sagittario alla Congregazione Cistercense della Toscana, con ovvio disappunto dei Cistercensi calabresi, cui veniva tolto. Il disappunto si trasformò addirittura in rivolta, specialmente ad opera del monaco Clemente Parise, il quale, approfittando del malcontento che circolava tra i monaci stessi, nel 1714 riuscì a farsi eleggere abate del Monastero.
Il 2 settembre 1726, la Congregazione dei Vescovi e dei Regolari emise la sentenza che aggregava di nuovo il Sagittario alla Congregazione Cistercense di Calabria. Ma le cose, nel Monastero, non dovevano andare bene, poiché nello stesso anno 1726, in seguito ad una visita apostolica, l'Abate ebbe una condanna a dieci anni di esilio. Ma, nonostante queste peripezie, il Monastero doveva essere abbastanza fiorente, se dieci anni dopo, nel 1736, conta ben trenta religiosi, come risulta dalla così detta Relazione Gaudioso, pubblicata proprio in quell'anno; ecco il testo (8): "vi è altresì (9) un altro monastero dei Padri Cistercensi sotto il titolo di Santa Maria del Saggittario edificato anche dall'illustri conti di Chiaromonte fin dall'anno 1145. Tiene la famiglia di trenta Religiosi colla buona rendita dell'industrie che fa di ogni sorte di animali".
Il Monastero fu soppresso durante il decennio francese della Monarchia napoletana, precisamente, come tanti altri, nel 1808, ed ebbe come immediata conseguenza, la dispersione dei suoi beni, compresi i libri e i documenti di archivio; tuttavia, circa duecento documenti del Sagittario si sono salvati e si trovano attualmente nell'archivio diocesano di Potenza (10).
Nell'anno 1812 il regio demanio mise in vendita alcuni materiali dell'abbazia e nel 1814 fu venduto anche il bosco nei cui pressi il Monastero sorgeva. Oggi restano solo pochi ruderi: una parte delle mura perimetrali, un pezzo del vecchio campanile, un piccolo tratto della facciata della chiesa. In questo Monastero, dunque, a metà del seicento troviamo come abate Gregorio De Lauro, autore della vita del Beato Giovanni da Caramola, che qui per la prima volta si presenta integralmente tradotta in italiano. Gregorio De Lauro o de Laude (11), era nato a Castrovillari in Calabria, ed era figlio di Giulio e nipote di Simone de Laude, che aveva fondato, in Castrovillari, il convento di S. Domenico.
Visse lungo il secolo XVII. Fu dottore in Sacra Teologia e abate di S. Maria del Sagittario. Fu uomo di grande cultura e di vasta notorietà, tanto da essere in corrispondenza con l'abate Ferdinando Ughelli, cui diede notizie per la compilazione della sua Italia Sacra (12). La sua fama è legata soprattutto alla vita di Gioacchino da Fiore che, anche se, dice P. Russo, desta non pochi sospetti, ha avuto larga risonanza.
La vita del beato Giovanni, che qui si traduce (Vita B. Ioannis a Caramola Tolosani...), è la terza parte (con impaginazione separata), di una vasta opera latina dal lunghissimo titolo (13), stampata a Napoli dal tipografo arcivescovile Novello De Bonis, nel 1660. E' una stampa in folio di 59 facciate; ogni facciata è divisa in cinque reparti di dieci righe ciascuno, indicati dalle prime cinque lettere dell'alfabeto in caratteri maiuscoli da A ad E.
Il testo usato per la traduzione che qui si presenta è una stampa da un microfilm effettuata nella Biblioteca Nazionale di Napoli, non sempre chiara, e, a volte, di difficile lettura.
Si è cercato, tuttavia di leggerlo, con la massima attenzione e di rendere il pensiero dell'autore con scrupolosa fedeltà e con la massima chiarezza, anche se, per questo, è stato necessario, in certi casi, semplificare alcuni periodi estremamente lunghi e, a volte, un po' confusi e oscuri, perché carichi di molti pensieri affastellati e appesantiti da incisi e da subordinate, che, spesso, è stato necessario esplicitare e snellire. C'è da notare, inoltre, che nel testo ci sono vari errori: alcuni, certamente, solo di stampa; qualche rara volta anche di lingua, e questo non perché l'Autore non conoscesse bene il latino, ma proprio perché, conoscendolo perfettamente, poteva usarlo con una certa disinvoltura, non solo inventando qualche parola (cosa non solo lecita, ma anche bella e ammirevole, quando è congrua e razionale) ma anche dimenticando, soprattutto quando è preso dalla commozione oratoria, qualche cosiddetta regola di grammatica; cosa che, del resto, hanno fatto sempre gli scrittori di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Questa abilità di scrittore si rivela anche nel ricco uso dei sinonimi e, in genere, nella facilità del discorso.
Per comodità dei lettori si è pensato di tradurre anche la parte diplomatica del testo, cosa che, in genere, non si fa, perché è giusto che i documenti, proprio perché tali, conservino la loro struttura e la loro forma originale; che, tuttavia, resta abbastanza comprensibile anche a chi ha una scarsa conoscenza del latino, oltre che, almeno all'inizio, una lettura abbastanza piacevole, in quanto il latino degli atti notarili non è un vero latino, ma un latino-italiano locale, che diventa, in certi casi, vero dialetto; e anche per questo è, a volte, difficilissimo renderlo in italiano moderno, anche perché si tratta, spesso, di termini che indicano cose che non esistono o non si usano più o che hanno cambiato il significato originale, e spesso, per questo, sono del tutto incomprensibili.
La narrazione del De Lauro è, in sostanza, l'esposizione della vita del Beato, la quale, ovviamente, non è conosciuta, se non nei fatti esteriori, che erano noti a tutti, e in ciò che i confratelli del Beato avevano potuto notare in lui. Ma lo scrittore, imbevuto com'era di studi classici e di conoscenza della Bibbia e della letteratura cristiana, fa una vera opera storica, sentendola, naturalmente, secondo i criteri, il metodo e il gusto del suo tempo, diverso dal nostro. Si ha, così, un esposizione apertamente encomiastica, elogiativa ed esortativa, con uno stile che era, e non poteva essere diversamente, piuttosto ampolloso e ricco di immagini e di ricercatezze, proprio di quel secolo declamatorio, pomposo e retorico che fu il Seicento.
Ma, nonostante questo, il racconto presenta anche, per il personaggio che ne è protagonista, degli aspetti di semplicità, di verità, di ingenuità che riportano, spesso, alla dolcezza dei fioretti di S. Francesco. E questo spirito, che potrebbe dirsi francescano, anche se nel racconto si parla di un cistercense e chi scrive è un cistercense, si sente anche nell'amore sincero e nell'ammirazione stupita con cui si tratta della natura e dei suoi spettacoli e delle sue ricchezze e varietà di aspetti: l'elenco di ben quaranta piante medicinali del celebre inizio del capitolo quinto, la solitudine brulicante di vita dei grandi boschi misteriosi in un ambiente ancora incontaminato e intatto, la grande nevicata che non permette ai monaci di uscire dal chiostro per procurarsi il cibo, la violenza terribile del vento che sembra debba scuotere le case e non spegne le umili fiammelle che ardono presso il letto ove giace il cadavere del Beato. E ci sono, inoltre, dei veri racconti, delle piccole novelle dall'ingenuo sapore di fiaba, che rendono il testo, oltre tutto, di piacevole lettura.
E c'è, soprattutto, la figura di un uomo eccezionale nella pratica delle virtù cristiane: umilissimo e forte nello stesso tempo; assorto nella preghiera e prontissimo ai bisogni degli altri; astratto nella contemplazione e nella meditazione e, insieme, dedito al lavoro manuale e pronto ai servizi più umili, capace delle più dure penitenze e sensibile alle bellezze della natura e alle suggestioni dell'arte, che lo spingeva a dire le lodi della Madonna servendosi di un piccolo libro d'ore con pagine pergamenacee ornate di miniature e di immagini.
Anche se, naturalmente, data la nostra mentalità e la nostra sensibilità, non tutto ci sembrerà accettabile e, forse, nemmeno, a volte, comprensibile, sarà, tuttavia, interessante conoscere come si viveva, come si pensava sette secoli or sono in queste contrade del mezzogiorno d'Italia; e sarà bello conoscere un uomo che, venuto da lontano, si fa santo in un ambiente aspro e duro, ma incantevole e affascinante.
Si vuole sperare che soprattutto i giovani sappiano trovare nella vita e nelle opere del Beato Giovanni da Caramola un messaggio valido anche per i nostri tempi, che sembrano più gentili, ma sono, in realtà, ben più duri e selvaggi di quelli antichi; sembrano più civili, e sono, per tanti aspetti, ben più duri e feroci.

Luigi Branco
 


Note

1. F. Ughelli, Italia sacra, Venezia, 1721 vol. VII, 90-93

2. La Historia Monasterii Sagittariensis si trova nel Codice Barberiniano latino 3247 Biblioteca Apostolica Vaticana.

3. Il Catologus Abbatum Sagittariensis Monosterii Sacri Cisterciensis Ordinis Anglonensis Dioecesis è contenuto nel Cod. Barb. latino 3513 e riprodotto in Mirabilium veritas defensa dello stesso De Lauro.

4. F. Ughelli, Italia sacra, Venezia, 1721 vol. VII, 80

5. A. Giganti, Le pergamene del Monastero di S. Nicola in Valle di Chiaromonte, Potenza, 1978 pag. V, nota 5

6. Monasticon Italiae, Cesena, 1986, pag. 183

7. A. Giganti, o.c., pag. 131 sg.

8. T. Pedio, La Basilicata borbonica, Venosa, 1986, pag. 52

9. Sta parlando di Chiaromonte; immediatamente prima aveva parlato del Monastero di S. Nicola in Valle;

10. A. Giganti, o.c., pag. VII

11. Le notizie e la bibliografia sul De Lauro si trovano in F. Russo, Storia della Diocesi di Cassano al Ionio (4 vol.), Napoli, 1964-1969, vol. II, pag. 466

12. Le lettere del De Lauro a E Ughelli, datata 4/9/1666 e Cosenza 3/5/1667, si trovano nel Codice Barberiniano latino 3247 della Biblioteca Apostolica Vaticana

13. Magni divinique profetae B. Joannis Joachim abbatis sacri Cistercensis ordinis monasterii Floris et Florensis ordinis institutoris, hergesiarum alethia apologetica sive mirabilium veritas defensa: eiusdem vaticinorum de Apostolicis viris sive de Romanis pontificibus historica et symbolica explicatio etc., Neapoli MDCLX.


Pianta dell'Abbazia di S. Maria del Sagittario