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I

Anonimo del XIV

Comincia il prologo della vita e dei miracoli del Beato Giovanni dell'Ordine Cistercense, Converso (1) religioso di S. Maria del Sagittario.
A descrivere la vita pura e gli stupendi miracoli di questo uomo celeste, anzi di Angelo terrestre, di cui tentiamo di narrare la storia, ci vorrebbe la facondia propria di un'altra lingua e la chiarezza di un altro intelletto. Io, infatti, anche se mi aiutò la preghiera a Dio di colui che già gli parla non per enigmi ma faccia a faccia (2), mi sento, a questa impresa, di lingua impedita e di debole ingegno; e pure se spinto o, meglio, costretto da una grande devozione con cui, per un dono di Dio, a lui mi sento legato, e mi sentivo legato anche quando la sua santissima anima era ancora nel suo corpo, ricordandomi del detto Non cercare cose troppo alte, mai avrei osato, come sfrontata meretrice, di salire a cose tanto elevate, tuttavia, per ciò che è stato detto, affinché il passare del tempo non cancelli dalla mente degli uomini le gesta gloriose di questo eroe che Dio si è degnato di porre dinanzi ai nostri occhi in questi giorni in cui (cosa che senza amarezza di cuore bisogna dire) vediamo fredda la carità di tutti, per non dirla già morta, come un bambino balbuziente ho parlato e non volando, ma razzolando, come gli animali che raspano sul terreno (3).
Comincia la narrazione della vita e dei miracoli del Beato Giovanni.
Giovanni, dunque, nacque nella città di Tolosa (4). Non so, poi, per qual motivo venne nella Provincia di Basilicata (5), ove visse sempre nell'ambito o nei dintorni della contea che si dice di Chiaromonte; e qui vivendo per un certo tempo tra i secolari, ma non da secolare (6), condusse una vita onestissima. E affinché oggi si sappia di quanta purezza d'animo egli fosse quando ancora viveva tra gli ostacoli del mondo, penso che non si debba tacere ciò che comunemente si narra tra il popolo. Si dice, dunque, che volendo con il sudore della fronte nutrirsi di solo pane (7), assunto a mercede e posto come custode di una vigna, senza aver chiesto prima e ottenuto esplicita licenza dal padrone (8), si asteneva, come da grande colpa, dal prendere anche un solo grappolo di uva. O mente ricolma di santo timore! Perché trepidi tanto quando non c'è da avere timore alcuno? O forse temi di commettere un furto pur sapendo che il padrone non ne tien conto? Ma è proprio della mente dei Santi vedere la colpa là dove non c'è colpa alcuna.
Quando poi lo Spirito che già aveva cominciato a riscaldarlo lo spinse con più forza, egli, gettandosi alle spalle, come fosse spazzatura, ogni cosa per amore di Cristo, con corsa veloce si affrettò verso l'Eremo che era lì vicino; ed ivi con quanto duro rigore si mortificasse, con quanta povertà di alimenti sacrificasse le membra del suo corpo già misero, quante durezze sopportasse per amore del Redentore, difficilmente potrebbe dirsi e più difficilmente credersi: lì, infatti, a quanto dicono, restrinse il cibo dell'intera quaresima ad una piccola refezione ogni sette giorni (9). A volte era così lontano dal pensiero del cibo che s'era abituato a nutrirsi solo di quello che gli portavano i contadini che venivano a trovarlo per devozione. Una volta alcuni uomini di Belial (10), spinti dalla propria cupidigia, sperando di ottenerne denaro, tormentarono crudelmente quell'autentico seguace della povertà che nient'altro possedeva sotto il cielo se non Cristo solo. E, tuttavia, da nessun discorso poté essere convinto, da nessuna preghiera persuaso a consegnarli alla giustizia. Essendo, dunque, per tanti benefici unito all'Altissimo, anzi formando già, come dice la Scrittura, un solo spirito con Lui, cominciò a godere, come fermamente si crede, dello spirito di profezia. Riferisce, infatti, la Signora Margherita, contessa di Chiaromonte, amica della verità, che per anni e anni era stata sterile e che già temeva moltissimo di non potere più avere figli, che essendosi spesso raccomandata alle sue preghiere per avere una discendenza, egli, finalmente, un giorno le parlò in questi termini (11): Sii di animo forte; non consumarti nell'afflizione; dona dei beni alla Chiesa, perchè certamente avrai molta e bella discendenza; fra non molto sarà fruttuoso il tuo ventre e ricchissimo di prole di ambo i sessi, molto gradita a Dio, alla sua madre e agli uomini.
Predisse anche la morte di Angelo, signore di Rubio. Disse, infatti, al suo abate: Va', riferisci a quel signore, Angelo, che si liberi subito dai debiti che ha verso il nostro monastero, perché è breve il suo destino, infatti fra poco dovrà morire. Cosa che, in realtà, avvenne, perché morì dopo poco tempo.
Ma dopo essere stato molto tempo in questo Eremo (12), menando una vita più angelica che umana, in una posizione, come si vede, secondaria, ma non secondaria di merito (13), lasciata la vita anacoretica, che è posta all'apice della perfezione, passò alla vita cenobitica (14) nel monastero del Sagittario dell'Ordine Cistercense; e lui che avrebbe meritato di essere maestro, curvò umilmente il capo sotto l'aspetto di discepolo, sottoponendosi alla disciplina della regola. E mai sarebbe disceso dalle altezze della vita anacoretica a quella meno perfetta della vita cenobitica, se non fosse stato colpito da una grave malattia del corpo che con insistenza lo spinse a chiedere l'aiuto umano, soprattutto un gonfiore senza dolore delle ginocchia e della testa (15). Ma non potendo nemmeno lì dimenticare gli strumenti dell'antica perfezione, mantenne con tutte le forze la vecchia austerità: si manteneva con solo pane, e non bianco (16) ma con la crusca, e per calmare l'ardore estenuante della sete non prendeva nient'altro che, raramente, un sorso di acqua. Aveva, inoltre, un lettuccio, se così si può chiamare, piccolissimo, quadrato e concavo, che appena arrivava alla misura di quattro piedi (17), ove poteva stare solo rattratto, avendone più fatica che riposo, tanto che tutto il cenobio può attestare che mai un monaco l'abbia visto dormire. Osservava tanto il silenzio che più che dirsi di poche parole si poteva dire che fosse sempre in silenzio. Ed era tanto assiduo nella contemplazione che sembrava, con Maria, che sedesse sempre ai piedi di Gesù (18); e sebbene fosse ancora nel suo corpo mortale, si elevava totalmente al di là del peso del corpo.
Avendo la generosità divina voluto arricchirlo di tanti doni, lo tolse da questa misera valle di lacrime e lo fece suo concittadino nella patria celeste (19). Ed ecco che nel momento stesso della sua morte (cosa ciò significhi non lo so, lo sa Dio) si alzò una bufera di vento così impetuosa da sembrare che tutta la sua cella, anzi il cenobio intero, tremasse. Ma, cosa mirabile a dirsi, il vento terribile che, come si è detto, sembrava volesse scardinare la cella, entrando per le fessure della stessa cella, pur potendo spegnere al primo soffio cinque grosse fiaccole, non spegneva nessuna delle piccole lucerne che vi ardevano.
Roberto detto Maccarono (20), abitante di Senise, il cui braccio, colpito da una vecchia e brutta piaga, era inabile, ormai, a qualsiasi lavoro, si recò da un barbiere (21) per implorare l'aiuto di qualche rimedio, avendogli detto il medico: l'umore maligno ti ha scavato profondamente il braccio sopra e sotto; se mediante un'incisione non arriviamo alla radice della piaga, non ti posso dare nessuna medicina che ti faccia bene. Frattanto dovunque si cominciava a parlare del transito (22) di quest'uomo che a giudizio di tutti era ritenuto santo; la qualcosa avendo udito l'ammalato disse: non prenderò nessuna medicina terrena; credo che questo uomo santissimo mi impetrerà dal cielo la salute. E, pieno di incredibile fiducia va dal predetto monaco (23) ed entra nella cella del Santo. L'Abate gli parla con queste o con simili parole: Questo è il bastone che soleva portare in mano; queste le piccole ceste che egli faceva (24). E mentre l'Abate parlava, il malato si vide guarito e cadde al suolo. Tutti i presenti furono presi da grandissimo stupore vedendo improvvisamente il membro tumefatto ed inabile guarito e ciò che era putrido ed ulceroso diventato sano in una maniera talmente mirabile che non restava segno alcuno dell'ulcerazione.
Anche Masella, figlia del maestro Giovanni Udone di Senise, aveva un braccio talmente devastato da una fistola inveterata che l'osso ne cadeva a pezzi. Il padre la portò al suddetto Monastero; trovò l' Abate e lo pregò con queste parole: Mostraci il corpo del Santo, se si degna di salvare mia figlia. - Non posso mostrarvi il corpo del Santo, rispose l' Abate, (infatti l'aveva riposto in un luogo segreto perché non gli fosse rubato un tesoro così grande) ma ti darò un pezzo delle sue vesti (25); avvolgi con questo il membro malato e se Dio vorrà potrà oggi esaltare il suo Santo nella tua figlia. Fasciato l'arto, pernottarono nel monastero. Si può credere che al contatto con il vestito del Santo si sia avuta subito la guarigione; ma siccome non scoprirono il braccio fino a quando non tornarono a casa, solo allora possono vedere che è completamente guarito.
Un altro fatto: il sacerdote Giovanni Capano della stessa terra di Senise, per due anni ebbe la voce totalmente soffocata, e nessuna arte medica, cercata in lungo e in largo, poté per niente giovargli. Era, perciò, come narra (26), arrivato a tale disperazione che aveva deciso di andare in giro per il mondo, vergognandosi, in tale stato infelice, di vivere umiliato tra i conoscenti e gli amici. Ma, privo ormai di aiuto umano, si rivolse alla clemenza di Dio: Si addormentò sulla tomba del Santo e ottenne la voce di prima.
Un nobile ragazzo di Noha (27) soffriva da tempo di tremori al braccio, tanto che se, qualche volta, per provare la gravità del suo male, tentava di prendere con la mano un vaso pieno di acqua, subito la faceva cadere tutta; orbene, per i meriti del nostro Santo fu completamente guarito.
Della stessa terra di Noha, una donna che io steso ho vista, ma di cui non so il nome, soffriva da tempo di un duro gonfiore sul piede, che, per la virtù di questo Santo, si risolse miracolosamente, più presto di quanto si sciolga la cera dinanzi al fuoco.
Né voglio tralasciare il miracolo, degno di memoria, per il quale è ricordato Giovanni Barone di Armento, che, avendo una tibia flaccida, tanto bruttamente ulcerata che non saprei dire che cosa in essa fosse fradicio e che cosa sano, subito, appena entrò nella già ricordata cella di questo sant'uomo, al contatto delle erbe che soleva stendere sul suo letticciuolo, immediatamente l'orrenda ferita di tutta la tibia scomparve, si rimarginarono le piaghe delle ferite e si ricolmò il vuoto fatto dalla corrosione.
Molti altri miracoli operò Gesù tramite quest'uomo santissimo, che non sono riferiti in questo scritto; questi sono stati riportati perché crediate (28).
Credete fermamente, voi tutti che verrete nei tempi futuri, ciò che qui è riferito, infatti io qui ho riportato solo ciò che era notorio, ciò che con più chiarezza della luce ha potuto illuminare il mio animo; infatti i miracoli sopra riferiti hanno tanti testimoni quanti sono gli abitanti di Senise e di Noha. Io li ho appresi dalla relazione degli ultimi due uomini, testimoni degni di fede, che riferivano ciò che avevano essi stessi visto; e sono uomini che l'onestà della vita e la serietà dei costumi rendono degni, tanto che in nessun modo potrei pensare che essi abbiano potuto ingannare. Le altre cose, poi, che ho sentite da singole persone o che potessero essermi rese poco chiare da qualche dubbio, non ho voluto mischiarle con quanto qui ho detto, perché non accadesse che, sotto l'aspetto di verità, potesse, forse, entrarci qualcosa di falso. Ho analizzato con la massima diligenza possibile la vita di quest'uomo, con cui, sebbene indegno, ho avuto l'onore di parlare. Ho voluto personalmente vedere quasi tutti quelli che ho detto oppressi da malattie; ho visto e ho osservato essere vera ogni singola cosa.
Morì poi, anzi, per meglio dire, nacque, quest'uomo diletto e scelto dal Signore, nella patria del cielo il 26 agosto dell'anno 1338 (29) dalla nascita del Signore nostro Gesù Cristo che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
 


Note

1. E', in genere, il fratello laico, cioè non sacerdote, di una comunità religiosa; ma nell'antico monachesimo indicava anche qualsiasi persona che passasse alla professione monastica in età adulta (converso indicava, perciò, il convertito dalla vita mondana ad una vita più devota).

2. E' lo stato di chi, secondo l'espressione di S. Paolo (I Cor. 13,12), ormai in paradiso, vede Dio non "come in uno specchio, in maniera confusa; ... ma faccia a faccia".

3. E' un prologo, nel testo originario latino, piuttosto confuso e oscuro. L'UgheIIi, che lo riporta, lo dice di "anonimo a lui (cioè al Beato) coetaneo; che, continua, non ci dispiacerà trascrivere dallo stesso originale che in quel cenobio si conserva, affinché almeno siano eternate le gesta di un uomo santissimo il cui sacro corpo incorrotto viene onorato dai fedeli; e ogni giorno in quella chiesa, a lode di Dio si celebra la sua memoria". (Ughelli o.c. 90-91).

4. E' l'attuale capoluogo della Haute Garonne nella Francia meridionale. Al tempo del nostro Beato era molto importante e ricca di chiese e di palazzi signorili, ma nel secolo precedente aveva sofferto molto per la Crociata contro gli Albigesi. I Conti di Tolosa, infatti, si erano schierati contro la Crociata guidata da Simone di Montfort. Nel 1271 il Contado era entrato a far parte della monarchia francese.

5. Fu, forse, uno dei tanti pellegrini, che, diretti a Roma o in Palestina, non tornavano più nei loro paesi di origine spesso agitati da guerre e da inimicizie tra le famiglie più in vista, e decidevano di far vita eremitica o di entrare in una famiglia religiosa.

6. Pur vivendo, cioè, da laico nel mondo, non viveva mondanamente ma con l'esemplarità di un uomo onesto e pio.

7. Il testo latino dice sicco pane, che corrisponde, letteralmente, all'espressione popolare pane asciutto.

8. Il testo latino dice: sine. .. domini spiritalis licentia, che potrebbe intendersi: senza il permesso del padre (Signore-domini) spirituale, ma da un confronto con il passo corrispondente della narrazione del De Lauro, forse spiritalis è da leggersi speciali, perciò la traduzione proposta che, oltre tutto, è più congrua.

9. Nel testo c'è una lacuna, perciò il pensiero non è del tutto chiaro; ma quella proposta sembra l'interpretazione più consona.

10. Nei salmi l'espressione Figlio di Belial vuol dire figlio dell'iniquità. Belial, termine che nel testo ebraico della Bibbia ricorre 28 volte, indica, in genere, il male che, in modo più o meno palese, opera nel mondo; perciò il termine viene usato per indicare il genio del male, cioè Satana.

11. Si tratta di Margherita, figlia di Giacomo di Chiaromonte, sposa di Giacomo Sanseverino. Di essa parlerà a lungo il De Lauro.

12. Doveva essere, con ogni probabilità, una dipendenza del cenobio del Sagittario.

13. Cioè in una posizione di non riconosciuta importanza come quella di monaco appartenente ad una comunità regolare, tuttavia non secondaria per i meriti acquisiti dinanzi a Dio;

14. La vita anacoretica, cioè solitaria, era comunemente riconosciuta dalla gente come più santa di quella cenobitica, cioè vissuta insieme con altri in un luogo destinato a questo scopo: cenobio è parola di origine greca che, letteralmente, significa proprio vita in comune.

15. Così dice l'originale latino, senza spiegare in che cosa consistesse questa strana malattia che, pur essendo senza dolore (incomitata dolore), era tanto grave da spingere un uomo capace delle più gravi penitenze e delle più incredibili durezze a lasciare la vita dell'eremo e ad entrare nel cenobio.

16. Il pane bianco è stato, per secoli, considerato cibo proprio dei ricchi e dei nobili.

17. Il piede, unità di misura usata per secoli, è stato variamente inteso secondo i tempi e i luoghi. La misura più accettata e, quindi, verosimilmente quella intesa dal nostro Anonimo, è di metri 0,296; e, quindi, il letto quadrato di cui si parla era veramente piccolo, misurando metri 1,18 per lato. Se poi si pensa che era anche concavo, si comprende subito come dovesse essere più un luogo di tormento che un mezzo di riposo.

18. Si riferisce all'episodio evangelico di Marta e Maria (Lc 10, 38-42).

19. E' un topos proprio della letteratura agiografica del medioevo considerare la morte dono di Dio che toglie dalle sofferenze e dalle angustie della terra considerata luogo di esilio e valle di lacrime.

20. Comincia qui l'elenco dei miracoli operati dal Beato, che hanno come scenario più che Chiaromonte i paesi vicini, Senise e Noepoli.

21. De Lauro dirà chirurgo, ma è la stessa cosa, perché un tempo il barbiere praticava anche la bassa chirurgia, mentre al medico era riservata la cura mediante la farmacopea, consistente soprattutto in estratti e in infusi di erbe officinali.

22. Un altro termine comune per indicare la morte dei santi e, in genere, dei cristiani che passano, mediante la morte, dalla vita terrena alla vita celeste.

23. Veramente il testo non ha parlato di nessun monaco particolare, ma solo della diffusa fama di santità del Beato.

24. Il De Lauro dirà esplicitamente che il confezionare le sporte e oggetti simili fu l'occupazione materiale specifica del Beato, quasi la sua professione , con cui evitava l'ozio e mediante la quale si rendeva utile agli altri e si guadagnava quel poco cibo che consumava per mantenersi in vita, secondo la raccomandazione dell'Apostolo: vi esortiamo fratelli... a vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato... (1 Tes. 4, II).

25. Così nel testo: prima è usato il plurale (l'Abate parla, insieme, a Giovanni Udone e alla figlia malata) poi il singolare: l'Abate parla al solo Giovanni che deve fasciare il braccio di Masella.

26. Forse l'Autore anonimo ha sentito personalmente il racconto dal sacerdote protagonista.

27. E' Noia, chiamata, poi, Noepoli con R.D. del 26 marzo 1863.

28. Si risente l'epilogo del vangelo di Giovanni.

29. Il De Lauro dirà 1339.