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CAPITOLO III

Eremita a San Saba. L'asperrima vita ivi condotta.

Quanto sia forte l'amore di Dio lo si può capire da tutti i segni della pietà cristiana. fedeli di Cristo, accesi dall'amore divino, non poterono essere scossi, abbattuti e allontanati dalla fede di Cristo Signore né dalle minacce, né dai terrori, né dai supplizi, né dalla furia del nemico sempiterno, né da tutte le altre cose, anche le più terribili. Disprezzavano le spade, si gettavano nel fuoco, desideravano le torture, volevano finire nei tormenti e rinunziare alla vita. Infiammati da questo medesimo ardore di amore celeste di Dio, dopo che, per beneficio divino, finì ogni turbamento di persecuzioni(1), alcuni uomini, lontani da ogni contatto umano, non ebbero timore di passare la vita in immensi deserti, ma vi andarono volontariamente. Così Paolo(2), Antonio(3), Macario(4), Isidoro(5), un altro Macario, Eraclide(6) e Pambo(7), discepoli di Antonio nell'Egitto, e, soprattutto nelle parti della Nitria(8), Ilarione(9), nella Siria, Pacomio(10) e, man mano, altri. E in questi luoghi, seguendo una vita lontana da tutti i piaceri di questo mondo, abbracciarono tanto la croce, in un modo di vivere più severo di ogni altro, che la loro mente, tutta fissa nell'imitazione di Cristo Signore, meditava solo le cose del cielo.
Ardente di questo stesso amore verso Dio, il nostro Beato Giovanni da Caramola, rifuggendo dalle attrattive di questo mondo, scelse subito, sull'esempio dei sunnominati Santi, di vivere nella solitudine e, senza perdere tempo, si affrettò ad andare all'eremo più vicino, detto di San Saba(11). Questo eremo si trova nel territorio di Chiaromonte, su un'altissima rupe, sito inaccessibile per natura e impervio, con possibilità di accesso da un solo lato; e anche questo, sia per l'altezza a cui arriva, sia per la difficoltà del cammino, unico praticabile perché gli altri non hanno uscita, è pericolosissimo anche oggi dopo che è stata praticata un'apertura nella roccia e dopo che, ai nostri giorni, è stato aperto un adito; e ci si arrampica con le scale(12). Ne è stato autore un eremita venerabile e di grande considerazione, chiamato fratello Pietro Cafaro, di Episcopia, ricchissimo di dottrina e di buoni costumi. Dotato di molti beni di fortuna, costui, dopo essere vissuto nel mondo fino agli ultimi anni della sua vita, rinunciò a tutti i piaceri mondani e ai figli e vestì l'abito monastico ai piedi di questo Eremo. E affranto dalle preghiere, dai digiuni, dalle discipline, dalle fatiche e da altre asprezze, morì vecchissimo e santamente, lasciando ai suoi confratelli il desiderio di sé.
L'Eremo di San Saba è come una penisola o, per meglio dire, come un grande scoglio, perché da Settentrione e da Occidente, nel periodo invernale, un torrente, scendendo dalla destra di Chiaromonte, bagna le radici dell'Eremo e confluisce nel fiume Signo(13). Questo fiume scende dall'Occidente verso Oriente; fiume molto celebre(14), navigabile nelle zone orientali, che si scarica nel Mare Adriatico(15), ove divide la zona della Lucania dalla Provincia della Calabria. Questo fiume ha avuto diversi nomi, Gabriele Barrio Franciano lo chiamò Siris nella sua opera sull'antichità e il sito della Calabria(16), che dedicò all'Illustrissimo ed Eccellentissimo Principe Bernardino Sanseverino, nato dal Principe Pietro Antonio e da sua moglie Erina, figlia del duca di San Pietro in Galatina(17) della stirpe dell'invittissimo Signore il Signor Scanderbeg, il primo di maggio dell'anno del Signore 1551, Bernardino poi si sposò con Isabella della Rovere figlia del Serenissimo Duca di Urbino(18), Giovanni Domenico Sorrento, in una sua opera manoscritta sulla Calabria(19), e Carlo Sigonio, nella sua opera sull'antico diritto d'Italia lo chiamarono con lo stesso nome di Syris. Gli antichi abitanti della zona lo chiamarono comunemente Signo; ora, con nome corrotto, tutti lo dicono Sinni(21). A noi è piaciuto chiamarlo con l'antico nome di Signo; tanto più che così è detto nei privilegi del Monastero del Sagittario, più antichi di Giovanni da Caramola, dei quali uno è di Giacomo di Chiaromonte, già da noi riportato nella vita del Beato Gioacchino Abate Florense(22), e un altro, anch'esso da noi già riportato, di Bartolomeo, Arcivescovo di Palermo in favore del Monastero Florense(23). Ma anche nello stesso Ufficio dell'Uomo di Dio(24), e in un altro privilegio di Venceslao di Sanseverino Duca di Venosa, Conte di Tricarico e di Chiaromonte, per la costruzione e l'assegnazione del patrimonio del Venerabile Monastero di San Nicola in Valle dell'Illustrissimo e Santissimo Ordine Certosino(25), dell'anno 1395, giorno 16 di gennaio, terza indizione(26), rogato a Napoli per mano del notaio Antonio de Urso napoletano(27), essendo giudice ai contratti Francesco Callense(28) della stessa città per mano dello stesso Eccellentissimo duca di Venosa, sottoscritto dai testi Francesco della Ratta, Conte di Caserta e di Alessano e gran Camerario(29) del Regno di Sicilia, Giacomo Cicaro(30) milite e dottore di leggi, Tommaso Brancaccio, detto Imbriaco di Napoli, Maresciallo(31) del Regno di Sicilia, Maffeo Brancaccio, detto Imbriaco, di Napoli, Milite Pietro Ruffolo di Napoli, Lisulo di Arausana(32), di Napoli, Milite, Lisulo Minatolo, di Napoli, Milite, Notaio Nicola Antonio Aioto(33), Notaio Clemente di Sinadaro(34), di Napoli, Dom Antonio di Santa Agneta, presbitero Francesco de Costanza di Napoli e presbitero Bartolomeo Palazio di Cittanova; confermato in seguito da Luigi II re di Sicilia(35), dato a Napoli(36) per Ruggiero(37) Sanseverino, Conte di Potenza, logoteta e protonotario dello stesso regno, Collaterale Consigliere, il primo di giugno dell'anno del Signore 1397 della quinta indizione, anno tredicesimo dei suoi regni(38).
Come è facile notare(39), questo celebre cenobio del Sacro Ordine Certosino loda come suoi fondatori il suddetto Duca di Venosa e conte di Tricarico e Chiaromonte, Venceslao Sanseverino, il Venerabile e Religioso Padre Don Matteo da Tito, priore del celeberrimo monastero di San Martino presso Napoli(40) dello stesso Sacro Ordine; il quale con autorità e facoltà a lui delegata dal Reverendissimo Padre Don Camillo, Priore della Grande Certosa(41), rifiutò il territorio di San Filippo, in agro di Senise, che era sotto la giurisdizione dello stesso Illustrissimo ed Eccellentissimo Duca; questo territorio era stato ottenuto, grazie ad una permuta, da parte dell'Archimandrita di Carbone, dell'Ordine di San Basilio(42), per interessamento dello stesso Duca, per edificarvi, in territorio di Senise, un monastero dell'Ordine Certosino sotto la denominazione di San Nicola in Valle; e fu dato, il 19 di aprile del 1392, al Venerando uomo, il Religioso Padre Don Giovanni di Olivario, priore della Certosa di San Giacomo di Capri(43) e Vicario Generale dell'Ordine Certosino in tutta l'Italia(44). Ma perché si temeva che l'aria non fosse salubre, quando ancora non s'era nemmeno iniziata la costruzione del Cenobio, egli cambiò questo territorio con un altro d'aria amena e salubre, trovato, per volontà dello stesso Signor Duca e per l'interessamento suo stesso e di altri uomini probi ed esperti, nel territorio di Chiaromonte, nella zona che si chiama di Sant'Elania, distante quattro miglia dal Monastero del Sagittario del Sacro Ordine Cistercense e circa tre e mezzo dall'Eremo di San Saba. Con il consenso e la benedizione di Ruggiero, Vescovo della Chiesa di Anglona(45), presenti Chierici addetti ai riti divini, pose la pietra benedetta(46), incisa con il segno della S. Croce per la fondazione e l'edificazione della Sacrosanta futura casa e della sua Chiesa, il 4 di dicembre dell'anno 1394 della nascita del Signore, nell'anno sesto del pontificato del Papa Bonifacio e a 241 dalla fondazione del nostro Odierno cenobio del Sagittario; questo, infatti, fu fondato, per i Cistercensi nell'anno 1152, come abbiamo scritto altrove(48).
Ma ritorni la nostra narrazione al punto da cui si era allontanata. Stando, dunque, il Beato Giovanni nel detto Eremo di San Saba, difficilmente si potrebbe dire e più difficilmente credere con quanto rigore e austerità si affliggesse, con quanta scarsità di cibo smungesse le membra del suo misero corpo e quante asprezze sopportasse per amore del Redentore. Infatti lì ridusse il cibo di tutta la sua quaresima a sette pani, che a stento sarebbero bastati a sette piccole refezioni. Perciò,non avendo, lassù, nessuna preoccupazione di cibo, si era abituato a mangiare solo ciò che gli portavano i contadini che si recavano da lui per devozione; né beveva altro che un po' d'acqua. Sapeva, infatti, che la gola è sempre all'attacco: sia che mangiamo, sia che beviamo, la gola è sempre in guerra con noi, e se non combattiamo bene, certamente ci vince; e, infatti, la gola è in guerra con molti, ma da pochi è vinta. Perciò con tanto più ardore Giovanni la combatteva quanto più chiaramente sapeva che bisognava vincerla. Trattava il suo corpo, secondo il costume dei Santi Eremiti, con durezza(49). Evitava in ogni modo l'ozio, che è il vivaio di tutti i vizi. Gli uomini dediti all'ozio sono subito ingannati dalla lussuria, che brucia con più ardore quelli che trova oziosi, come avvenne al re Salomone(50) che, a causa dell'ozio, si impelagò in molte dissolutezze e per brama dei piaceri adorò gli idoli. E, in verità, secondo il salutare e antico costume degli Eremiti, soprattutto di quelli che vissero nelle solitudini dell'Egitto, egli passava gran parte del giorno e della notte nella contemplazione e nell'adorazione e il resto nel lavoro delle mani. E mentre pregava Dio ottimo massimo(51) con la bocca e con la mente, non voleva che nemmeno le mani fossero mai oziose. E faceva ogni cosa non per la preoccupazione del cibo, ma per la salvezza dell'anima, affinché la mente, languendo nell'ozio, non vagasse dietro pensieri pericolosi e, come la Gerusalemme infedele, non si offrisse ad ogni passante(52). Confezionava piccoli recipienti e faceva delle piccole ceste con i virgulti che si trovavano presso il fiume Signo. Si applicava con diligenza anche in altri esercizi corporali su quel piccolo pianoro della rupe molto elevata, che appena arriva a circa venti passi di lunghezza e undici di larghezza. Qui fino ad oggi si conserva un ulivo piantato dall'uomo di Dio Giovanni; e tutti quelli che soffrono di quartana(53) ci vanno con devozione, e prendendo con fiducia le sue foglie, per intercessione del Beato guariscono dalla malattia e glorificano Dio nel suo servo.

 

Note

1. Le persecuzioni contro il cristianesimo delle origini finirono, ufficialmente, con l'editto di Milano, nel 313, con cui l'Imperatore Costantino legalizzava la nuova Religione. C'è da notare, in questa apertura di capitolo, una quasi esaltazione della sofferenza come tale, cosa comune in molti scrittori antichi, i quali vedevano nei Santi una specie di gioia nella sofferenza.

2. Paolo, di Tebe in Egitto, è considerato il primo degli Eremiti. S. Girolamo ne scrisse la vita, Vita Pauli, che è un piccolo gioiello letterario. Secondo questo racconto, in gran parte leggendario, Paolo, durante la persecuzione di Decio, sarebbe vissuto per quasi cento anni in una spelonca. Qui, all'età di 113 anni, ricevette la visita di S. Antonio, che allora aveva 90 anni. Poco dopo, verso il 341, quando Paolo morì, Antonio venne a seppellirlo avvolgendolo nel mantello che gli aveva donato S. Atanasio, mentre lui stesso si prese in ricordo la vecchia tunica di Paolo, che indossava nei giorni solenni di Pasqua e di Pentecoste.

3. E' il popolarissimo santo di cui si celebra la festa il 17 di gennaio. S. Atanasio, che ne ha scritto in modo stupendo la vita, lo dice il fondatore dell'ascetismo. Nacque a Coma, nel Medio Egitto, verso il 250; a 18 anni, dopo la morte dei genitori, si ritirò nel deserto dove visse fino a 106 anni; ma spesso, per aiutare chi era nel bisogno, era capace di ritornare nella confusione del mondo.

4. Sono molti gli antichi eremiti che hanno portato questo nome. Di alcuni di essi si parla nella Storia Lausiaca di Palladio, di cui c'é una bella edizione italiana (Fondazione L. Valla, Mondadori) del 1974. I due Macari di cui qui si parla sono, forse, Macario di Alessandria, detto il Politico o il Giovane, e Macario il Vecchio, detto, anche, l'Egiziano o il Grande.

5. E' certamente Isidoro di Alessandria, discepolo di Antonio e compagno di Macario. Venne a Roma con S. Atanasio. Visse dal 319 al 404. Era ammirato soprattutto per la dolcezza del carattere.

6. Deve trattarsi di un altro discepolo di S. Antonio, ma non è conosciuto altrimenti.

7. Anche lui discepolo di S. Antonio, fu compagno di Isidoro e famoso per il distacco dal denaro e per l'umiltà. Di lui si parla nel cap. 10 della Storia Lausiaca.

8. La Valle di Nitria si trova a sud-est di Alessandria. E' lunga una trentina di Km e larga circa dieci. E' chiusa tra due sistemi di monti, uno dei quali è il monte Nitria. Vi si trovavano molte celle di eremiti, anche perché, nonostante la vicinanza di un lago salato, vi erano molte sorgenti di acqua.

9. Era nato presso Gaza, in Palestina, nel 291; morì a Cipro nel 371. Dopo essere stato due anni con S. Antonio, fondò un monastero in Palestina (329) ma poi ritornò in Egitto. Monaco itinerante, come saranno, poi, molti monaci greci, fu in Sicilia, in Dalmazia e, finalmente, a Cipro ove morì.

10. E', insieme con S. Antonio, il più grande dei monaci egiziani, considerato il vero fondatore della vita cenobitica. Nato da genitori pagani verso il 290, fu prima soldato: convertitosi, ricevette il battesimo e si mise alla scuola del monaco Palamone. Separatosi dal maestro, costruì sulla riva destra del Nilo, un primo monastero, cui seguirono molti altri, retti da una regola da lui dettata. Enorme fu la sua importanza nell'organizzazione della vita religiosa in comune. Morì di peste il 9 di maggio del 346.

11. Dato il nome, deve trattarsi, con ogni probabilità, di una qualche grotta con elementi in muratura, come solevano fare gli antichi monaci italo-greci. In questo caso dovrebbe trattarsi dei santi Saba e Macario, suo fratello, che con il loro padre, Cristoforo, provenienti dalla Sicilia, nei primi anni del sec. X, si erano prima fermati al Mercurion (la celebre regione monastica ai confini calabro-lucani) poi erano passati al Latinianon (nella media valle del Sinni) ove fondarono, nei pressi di Episcopia, un cenobio con una chiesa dedicata a S. Lorenzo; questo cenobio fu, in seguito, prima (sec. XIII) trasformato in un monastero cistercense, poi (sec. XIV) in un convento francescano; corrisponde, più o meno, all'attuale santuario di S. Maria del Piano. Sul monastero di S. Lorenzo cfr. B. Cappelli, II Monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Napoli 1963, pag. 264 sg. E L. Branco, Ricordi bizantini in un dialetto di Basilicata, Moliterno 1985, pg. 33 sg.

12. La descrizione, soprattutto nell'originale latino, è abbastanza efficace per indicare l'asprezza e la solitudine del luogo. La ricerca di luoghi orridi e belli era nel gusto dei monaci bizantini, com'è provato dalle tante chiese rupestri in Asia Minore e in Grecia, in Sicilia e nell'Italia Meridionale; ma fu, in genere, una nota tipica di tutti gli eremiti.

13. Spiegherà, subito, l'Autore, perché preferisca questo nome a quello, più comune, di Sinni.

14. Citato con il nome di Siris, anche dagli scrittori classici; si può, fra gli altri, ricordare Archiloco (VII sec. A.C.) il quale, nel frammento XIII, lo ricorda per la bellezza dei campi che irriga, in opposizione alla selvatichezza dell'isola di Taso, nell'Egeo, ove il poeta stesso viveva: ... questa, invece, come una schiena d'asino — si eleva, tutta piena di selve selvagge... non è bello il luogo, infatti, né piacevole — né amabile, come i campi del Siris.

15. Si tratta, naturalmente, del Mare Ionio, che confonde le sue acque con l'Adriatico.

16. E' Gabriele Barrio, di Francica in provincia di Catanzaro; nel 1571 aveva pubblicato un De antiquitate et situ Calabriae, che per secoli è stato letto e citato da tutti gli scrittori di cose calabresi, nonostante le ovvie incertezze e i tanti errori di cui è pieno.

17. Pietro Antonio Sanseverino, Principe di Bisignano e Conte di Chiaromonte (che ebbe sempre particolare inclinazione per Senise ove abitava volentieri) aveva sposato in prime nozze Giulia Orsini, nipote di Papa Giulio II; rimasto vedovo e senza figli, sposò Irene (Erina) figlia del Duca di S. Pietro in Galatina, discendente da Giorgio Castriota detto Scanderbeg (1404—1468) eroe della resistenza dell'Albania cristiana contro i Turchi musulmani invasori. Dal matrimonio di Pietro Antonio con Irene, nacque nel 1551 Nicola Bernardino. In una nota marginale l'autore dice di prendere la notizia dal cap. III della vita di Fra Bernardino da Roblano scritta da Giovanni Leonardo Tufarelli di Morano.

18. In proposito cfr. F. Bastanzio Senise nella luce della storia, Palo del Colle, 1950, pg. 29 e L. Branco, La storia del monastero di Carbone, Venosa, 1998, pg. 159-160.

19. In una nota marginale l'Autore cita anche qualche capitolo specifico di riferimento: Sulla posizione della Calabria; Il litorale e l'interno della Magna Grecia.

20. Carlo Sigonio fu uno dei più dotti e seri storici del periodo umanistico, tanto da essere considerato precursore del Muratori. Nacque a Modena nel 1520 e morì nel 1584. Oltre che storico e umanista, fu studioso di diritto; ed è certamente ad un'opera di diritto insieme e di storia, De antiquo iure (civium romanorum, Italiae, Provinciarum), e precisamente al cap.l. cap. 12, che si riferisce il De Lauro. Ma è un po' strano che su un argomento che, tutto sommato, è secondario e non veramente significativo per la biografia del Beato, l'Autore si soffermi tanto e con tante citazioni.

21. Ma a Senise, a quanto si sa, l'hanno sempre detto Sinni.

22. In una nota marginale l'Autore cita la sua opera più importante: Hergesiarum alethia apologetica, al cap. 15.pg.35. Il Beato Gioacchino di cui qui si parla, è Gioacchino da Fiore, una delle figure più straordinarie e più fascinose di tutto il medioevo cristiano. Era nato a Celico (Cosenza) intorno al 1130, morì a S. Giovanni in Fiore il 30 marzo 1202. Teologo originale e molto discusso, ebbe una grandissima influenza sulla cultura e sulla vita religiosa e sociale del suo tempo, soprattutto per la sua concezione teologica e biblica della storia, distinta in tre età corrispondenti all'instaurazione dei regni delle tre Persone divine. Egli profetizzava il prossimo avvento della terza età, quella dello Spirito Santo, dopo l'età del Padre (prima della venuta di Gesù) e l'età del Figlio (la Chiesa con tutte le sue imperfezioni umane). La terza età sarebbe stata dei Santi e, quindi, della Chiesa perfetta. Condannato dalla Chiesa nel 1215, per alcune proposizioni considerate eterodosse, continuò ad esercitare grande influsso su molti teologi e mistici. Il suo corpo, portato nell'arcicenobio di S. Giovanni in Fiore, ebbe culto spontaneo dal popolo, ma mai dalla Chiesa ufficiale. Dante che lo ammirava molto e pare ne sentisse il fascino tramite l'insegnamento del francescano Pietro di Giovanni Olivi, Io colloca in Paradiso tra i luminari del sapere fra S. Tommaso e S. Bonaventura che lo presenta: . .. e lucemi da lato il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato (Par. XII, 139-141). Gioacchino scrisse moltissimo, ma, come a tutti i grandi imgegni, gli sono state attribuite anche opere non sue. Tra le opere più certe si possono ricordare: Concordia Veteris et Novi Testamenti; Expositio in Apocalypsim; Psalterium decem cordarum; e tra i libri di attribuzione incerta, il difficile e interessantissimo Liber figurarum.

23. L'Ordine Florense era una diramazione dell'Ordine Cistercense. Fu fondato da Gioacchino da Fiore che nel 1189 lasciò il monastero di Corazzo, di cui era abate, e si ritirò, con il monaco Ranieri, prima a Pietralata poi a S. Giovanni in Fiore (donde il nome specifico Florense) sulla Sila. Il nuovo Ordine, approvato da Papa Celestino III, ebbe larga diffusione non solo nell'Italia Meridionale, ma anche nel Lazio e nella Toscana. Ebbe il suo massimo splendore nel sec. XIII, arricchito dai principi e prediletto dai Papi, soprattutto da Onorio III, Gregorio IX, Alessandro
IV. Cominciò a decadere nel sec. XIV. Nel 1570 Pio V lo riunì all'antico Ordine dei Cistercensi da cui si era staccato.

24. Nota marginale dell'Autore: Ufficio del Beato Giovanni da Caramola, antif. Al Magnificat e Responsorio IX.

25. Il grande monastero certosino di S. Nicola in Valle fu costruito nel 1395 per i donativi di Venceslao Sanseverino, Duca di Venosa, Conte di Tricarico e di Chiaromonte. Sorgeva alle pendici del Caramola sulla destra del Sinni, ed ebbe in tutta la zona grandissima importanza non solo religiosa ma anche economica e politica. Fu soppresso nel 1809. Le sue rovine si trovano a meno di un chilometro a sud-ovest di Francavilla sul Sinni, centro che ha avuto origine, nel sec. XV, proprio da un gruppo di vassalli del Monastero stesso.

26. Si diceva indizione un periodo di 15 anni in uso, nel medioevo, nella rogazione degli atti pubblici.

27. Il lunghissimo documento di cui qui si parla è riportato per intero, e con una lunga spiegazione introduttiva, nel volume di A. Giganti - Le pergamene del Monastero di S. Nicola in Valle di Chiaromomte, Potenza 1978, alle pag. 27-56, ove il fiume Sinni è chiamato, come vuol dimostrare il nostro Autore, Signo.

28. Nel doc. citato (pag.55) è scritto Scalensis. Cioè di Scala (SA).

29. In Giganti è riportato comestabile, termine (più comune conestabile) che indicava un alto funzionario di corte.

30. Nel documento sopra riferito è riportato Accaro.

31. Giganti, o.c.,pag 55, riporta siniscalco.

32. Giganti, pg. 56, riporta Aversana.

33. Giganti, o.c. pg. 56 riporta Acconzaioco.

34. Giganti, o.c. pg. 56 riporta Acconzaioco.

35. E' Luigi II d'Angiò, nato a Tolosa nel 1377, morto ad Angers nel 1417. Fu re di Napoli e conte di Provenza; da ragazzo governò sotto la reggenza della madre Maria di Blois. Fu incoronato re ad Avignone nel 1389 da Clemente VII. Dopo aver pacificato la Provenza, pensò di impossessarsi del Regno di Napoli, che era in mano ai d'Angiò-Durazzo. Diresse, nel 1409 e 1411, due operazioni per la riconquista, che, tuttavia, malgrado qualche successo, fallirono. Dopo la morte di Ladislao (1414) si preparava a tornare in Italia, ma morì ad Angers prima che potesse riuscirvi.

36. Nota marginale dell'Autore: Strumento di ratifica di Venceslao Sanseverino del contratto di permuta del territorio di S. Filippo con il territorio di Sant'Elania mediante il suo procuratore, il Vescovo di Tricarico con frate Matteo da Tito, certosino. Nel registro della Certosa della Valle di Chiaromonte.

37. E', forse, una distrazione del De Lauro: Nel documento, che è riportato da Giganti (o.c, pg. 65 sg.) non si parla di Ruggiero, che è figlio di Venceslao Sanseverino, bensì di Ugo, che fu Conte di Potenza ed ebbe cariche importanti nel Regno e svolse delicate incombenze al tempo di Giovanna II.

38. Dunque Luigi aveva cominciato a regnare nel 1384, quando aveva solo sette anni, naturalmente, come già accennato, sotto la reggenza della madre Maria di Blois.

39. Il testo non è del tutto chiaro nei singoli termini. L'Autore continua a parlare di monastero di S. Nicola in Valle, sia perché molto importante e noto nella zona, sia perché vicinissimo al Sagittario, tanto che il contratto definitivo di S. Nicola in Valle, stipulato il 22 luglio 1403, fu sottoscritto, fra gli altri, anche dall'Abate del Sagittario.

40. E' il bellissimo monastero di S. Martino, sulla collina del Vomero, vero capolavoro dell'arte barocca. Quando Napoli non era una città molto grande e si stendeva lungo la costa e nella parte pianeggiante del retroterra, la bianca sagoma del Monastero dominava dall'alto della collina, allora quasi tutta coperta di boschi e di vigneti, il bellissimo panorama, e poteva veramente dirsi presso Napoli, perché la città non arrivava fin lassù.

41. E' la grande Chartreuse, casa madre dei Certosini, fondata da S. Brunone di Colonia, fra il Rodano e l'Isère, nel 1084. La delega di cui parla il testo fu data a Padre Matteo da Tito con una lettera spedita dalla Grande Chartreuse il 12 giugno del 1395, di cui si ha notizia in un documento del 16 giugno 1395 (cfr. A. Giganti, o.c. pg. 26, n 8). Ma nel 1393 il generale dei Certosini non era questo Don Camillo, di cui parla il testo, bensì Fra Guglielmo Rainaud.

42. Nel 1392 il superiore del Monastero di Carbone era, probabilmente, un certo Basilio, successore di Geronimo Continanza.

43. E' la Certosa di Capri, che sorge proprio di fronte ai Faraglioni, destinata, ormai, come è avvenuto per tanti altri monasteri e, in particolar modo per le Certose, ad usi profani.

44. Nel documento di donazione, il Vicario Generale è chiamato Giovanni de Oviliano, non di Olivario. Cfr. Giganti o.c. pg. 19. In una lunga nota marginale l'Autore accenna al documento di permuta del territorio di S. Filippo con quello di S. Elania conclusa tra il Vescovo di Tricarico, procuratore di Venceslao Sanseverino e P. Matteo da Tito, rogato dal notaio Cecio di Senise di Montesion, il 4 dicembre 1394, e a un altro documento non meglio specificato di conferma della detta permuta.

45. Stando all'UgheIIi (o.c. 95) ne11394 vescovo di Anglona era Filippo eletto da Urbano V nel 1364. E lo stesso Ughelli esplicitamente aggiunge: sotto questo presule fu fondato nella Contea di Chiaromonte il nobile Cenobio di S. Nicola dell'Ordine dei Certosini. ... Il Ruggiero di cui si parla nel testo, sempre secondo l'UgheIIi, dovrebbe essere Ruggiero dei Morescalli, che divenne vescovo di Anglona nel 1400. "Essendo lui vescovo, continua l'Ughelli (o.c. 97) il Re Ladislao nel 1406 ratificò ciò che il Conte Venceslao aveva donato al Cenobio certosino".

46. Chi benedisse la prima pietra del nuovo monastero? Stando al testo sembrerebbe trattarsi del Vicario dell'Ordine Don Giovanni di Oviliano; pare, invece, che a dare inizio ai lavori fosse il Vescovo di Tricarico Vito (che il De Lauro non cita esplicitamente nel testo) il giorno 4 dicembre del 1394, con l'assenso, ovviamente, del Vescovo di Anglona. (Giganti o.c. pg. XXV).

47. Pietro Tomacelli, papa dal 1389 al 1494.

48. Nella storia del Monastero del Sagittario. Finisce qui un brano che, oltre che inverosimilmente prolisso, è, nel testo originale, confuso e oscuro, e anche, tutto sommato, inutile ai fini della narrazione. Si è cercato, per quanto possibile, di chiarificarlo spezzettandolo in periodi più brevi, più espliciti e più comprensibili. E' che l' Autore, data la vicinanza di S. Nicola in Valle, ha voluto parlarne diffusamente, anche se, come lui stesso confessa, si allontanava, così, dal suo argomento specifico, la vita del Beato Giovanni.

49. Ritorna, qui, un motivo tipico della concezione della santità nel Medioevo, legata, soprattutto nel popolo, all'idea di una vita severa e ascetica, oltre che, come si vedrà, all'attesa del miracolo e, in genere, del soprannaturale.

50. Nota marginale dell'Autore: Terzo dei Re (ma nella forma attuale è da leggere I) cap. II; che comincia dicendo che "il re Salomone amò donne straniere, moabite, ammonite, idumee, di Sidone e hittite... ".

51. Sono due aggettivi che gli antichi Romani applicavano a Giove, soprattutto nelle iscrizioni. Gli Umanisti, con gusto piuttosto discutibile, li avevano applicati a Dio; il nostro Autore vuol continuare quest'uso.

52. Il testo latino originale è qui conciso e fortemente realistico, senza che questa crudezza fosse, dato l'argomento, veramente necessaria. Nella traduzione il testo è stato volutamente raddolcito. L' Autore si rifà, come nota al margine, al profeta Ezechiele, 16,25: Ad ogni crocicchio ti sei fatta un altare, disonorando la tua bellezza, offrendo il tuo corpo ad ogni passante, moltiplicando le tue prostituzioni.

53. E' una forma di malaria che provoca eccessi febbrili ogni settantadue ore, intervallati da due giorni senza febbre. Fino agli anni '40 del secolo XX la malaria è stata una delle piaghe più terribili delle valli della Basilicata e di tante altre regioni.