Ciò che in questa solitudine soffri il Beato Giovanni Avendo già raggiunto il servo di Dio Giovanni nel suddetto Eremo un così alto grado di austerità, di preghiera e di contemplazione, ecco che alcuni perversi figli di Belial, sfrontati(1) e
dal cuore duro, spinti dalla violenza della loro cupidigia, nella
speranza di Poter sottrarre denaro(2), legarono con funi quest'autentico seguace della povertà, che sotto il cielo nient'altro
possedeva se non la croce di Cristo, lo coprirono di ingiurie e
spietatamente lo tormentarono. Ed egli, imitando il Signore
Gesù Cristo mite e paziente e il suo glorioso discepolo Stefano(3),
non solo provò compassione per quella combriccola di ladroni
che causava tanto male, ma pregò Dio perché non imputasse
loro un simile peccato, poiché non sapevano quello che facevano. E, interrogato dal Giudice che intendeva punire severamente questi scatenati figli di Satana, egli non solo al giudice ma a
nessuno, sia che vivessero dentro che al di fuori delle mura della
città, volle parlare del misfatto; la bontà del suo cuore giunse al
punto che si impose presso il giudice a favore degli imputati,
tanto che fu riconosciuto e dichiarato da tutti come il liberatore
di quei malvagi. Un altro giorno(4), avendo alcuni cacciatori catturato, presso l'eremo del Beato Giovanni, alcuni caprioli vivi, li
diedero in custodia al Servo di Dio, affinchè, portandoseli dietro, non fossero loro di impedimento nella caccia. Quando i cacciatori si furono allontanati per cercare selvaggina in altri luoghi, si avvicinò la capriola madre che, chiamando i piccoli con il
solito richiamo, li incoraggiava a raggiungerla. Essi, gemendo,
per la loro prigionia,dalla cella del Beato Giovanni quasi piangendo rispondevano alla madre. La capriola, dopo aver insistito
per un po' di tempo chiamando i suoi figli, non vedendoli ritornare da lei, con atteggiamento molto addolorato si rivolse al
Servo di Dio con dei gemiti attraverso cui le era possibile manifestare il dolore del suo cuore, quasi fosse dotata di razionalità,
chiedendogli i suoi piccoli. E Giovanni, come un altro Macario(5),
appena capì che la bestia supplicava per la libertà dei figli,
mosso da compassione, aprì l'uscio della piccola cella, liberò i
caprioli e li restituì alla madre che, saltando di gioia, andò via
con loro. Quando poi ritornarono i cacciatori che avevano affidato i piccoli caprioli all'eremita Giovanni, glieli chiesero ed egli
disse loro la verità pregandoli insistentemente di volerlo perdonare. Ma quelli, fuor di sé più di quanto si possa credere, ricolmi di ira e spinti dalla voglia di vendicarsi, afferrarono quell'uomo di Dio tanto mite e paziente e lo precipitarono dalla cima
della rupe su cui sorgeva l'eremo(6). Siccome, però, la mano di Dio
era con lui, egli, pur andando a finire nella parte più profonda
del burrone, non solo si rese conto che il suo corpo non aveva
subito nessuna lesione, ma le acque del fiume Signo, che allora,
per la piena non potevano essere attraversate, si fermarono, ed
egli, come un altro Elia o Eliseo(7), attraversò la via del torrente,
per usare le parole proprie dell'Ufficio divino(8). Inoltre, siccome
era andato a sbattere, mentre cadeva, su due sporgenze della
rupe che era molto alta, lì dove era andato a sbattere spuntarono miracolosamente due piante di mandorlo, che, quasi fossero
genitrici di altre, fecero nascere altri virgulti ai loro piedi e che
ancora oggi si vedono, mentre non solo non se ne trovano in
alcun altro punto della rupe, ma nemmeno nella zona tutta
intorno. I cacciatori, da parte loro, vedendo, dall'alto
dell'Eremo, il servo di Dio al di là del fiume Signo, molto ingrossato per la piena, stupiti della sua incolumità, si pentirono della
crudeltà commessa e, sostenuti da una devozione che, giorno
dopo giorno, cresceva sempre di più, a onore e gloria
dell'Onnipotente e a memorabile lode del suo umilissimo servo,
con sincerità, ogni qualvolta si presentava l'occasione, ne parlavano dicendo: Veramente colui che precipitammo giù dall'alto
dell'Eremo, era un servo di Dio. E Giovanni, sapendo che non
bisogna rendere male per male, subito si inginocchiò sulla riva
del fiume Signo e pregò il Signore per loro; e, rendendo grazie a
Dio che lo aveva salvato, si diresse verso il Monastero del
Sagittario. Né questa decisione deve essere considerata poco
dignitosa per un uomo di tale portata; egli, infatti, ritenne che
dovesse mettere in pratica ciò che il Vangelo afferma; Quando vi
perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra(9). E forse temeva
anche che se fosse ritornato nella stessa solitudine sarebbe stato
ucciso dai persecutori, senza tener conto del fatto che lavorando
con fedeltà e prudenza nel campo del Signore, avrebbe stanato
le belve dalle caverne di pietra e dai monti e tratto pesci da un
lago di feccia e da fondi di miseria(10). Cosa che lo stesso Cristo
insegnò con l'esempio, come attesta S. Atanasio(11) quando dice:
Perciò lo stesso Verbo per noi uomini non considerò cosa indegna,
quando era ricercato, nascondersi, fuggire ed evitare le insidie, quando
subiva persecuzioni, così come facciamo tutti noi. E più giù conclude:
Gli uomini santi hanno imparato dal Salvatore anche questo modo
di comportarsi : per meglio combattere fuggivano e, ricercati dal nemico, si nascondevano. Allo stesso modo si comportò anche Paolo,
come egli stesso dichiara ai Corinti(12): A Damasco, il governatore del
re Areta sorvegliava la città di Damasco per catturarmi, ma da una
finestra fui calato per il muro in una sporta e così sfuggii dalle sue
mani.
Note 1. Nota marginale dell'Autore: Ezech. 3,7. 2. Nota marginale dell'Autore: Dalla lettura 3". 3. Nota marginale dell'Aurore: Antif. 4 e 5 del primo notturno. Si intende sempre dell'Ufficio nella festa del Beato. Si ricordi che allora l' Ufficio liturgico era più lungo di quello odierno: aveva tre notturni, le lodi, la recita di tutte le ore, cioè prima, terza, sesta, nona, del Vespro e di Compieta. 4. Nota marginale dell'Autore: Dalla tradizione degli antichi. Comincia qui uno degli episodi più noti nella vita del Beato. Il racconto, che ha, in qualche particolare, il dolce sapore dei fioretti francescani, ci rivela, fra l'altro, la selvaggia bellezza e l'abbondanza della flora e fauna che avevano queste contrade della Basilicata in tempi ormai lontani. 5. Non si può dire a quale dei tanti Santi di nome Macario (solo la già citata Storia Lausiaca ne nomina quattro) l'Autore si riferisca; più probabilmente a Macario detto il Grande o l'Egiziano o il Vecchio, di cui il testo citato parla al capitolo 17. 6. Per questo celebre fatto, quando era usanza comune ovunque, non solo nell'Italia Meridionale, tra i paesi vicini, affibbiarsi vicendevolmente e scherzosamente epiteti non sempre piacevoli, i Chiaromomtesi (dice il Bastanzio, o.c. pg. 8) furono gratificati del titolo di dirupasanti. 7. Loro due (Elia ed Eliseo) si fermarono sul Giordano. Elia prese il mantello, l'avvolse e percosse con esso le acque, che si divisero di qua e di là; i due passarono sull'asciutto (2 Re, 2,7). (Eliseo) prese il mantello, che era caduto ad Elia, e con esso colpì le acque, dicendo: "Dov'è il Signore, Dio di Elia? Quando ebbe percosso le acque, queste si separarono di quà e di là; così Eliseo passò dall'altra parte. (2 Re, 2,14). 8. Viam graditus est torrentis: sono, nel testo originale latino, le parole tolte, secondo una nota marginale dell'Autore, dall'antifona 1 del primo notturno dell'Ufficio del Beato recitato al Sagittario nel giorno della sua festa; e questo ha una certa suggestione. Si noti, tuttavia, a questo proposito, che non sempre il latino liturgico della Chiesa e dei vari monasteri era secondo le regole dei così detti Classici, cosa del tutto naturale se si pensa che nella Chiesa il latino era, allora, non solo lingua ufficiale, ma lingua viva. Perciò può dirsi spiegabile e accettabile anche la forma graditus est, che non esiste nel latino classico, sia perché essendo certamente, come si vede dal significato, un perfetto di gradior, avrebbe dovuto essere gressus est, sia perché il verbo da intransitivo è stato fatto transitivo. 9. Nota marginale dell'Autore: Mt. 10,23. 10. Sono espressioni bibliche per dire che lavorando nel campo del Signore si può fare bene ovunque e si può trarre il bene anche dal male. 11. Nota marginale dell'Autore: S. Atanasio nell'apologia della fuga di Cristo. Si tratta di S. Atanasio detto il Grande, Vescovo e Dottore della Chiesa. Nacque ad Alessandria d'Egitto nel 295. Vescovo della sua città, combatté con ardore contro gli Ariani. Subì per cinque volte l'esilio. Morì nel 373. Scrisse moltissimo. 12. Nota marginale dell'Autore: 2 Cor. 11,32. 13. Nota marginale dell'Autore: S. Gregorio, 3, Moral, cap. 14, f. 23,24. 14.
Il testo latino di S. Gregorio è molto bello ed efficace, e proprio dei
grandi scrittori. |