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CAPITOLO XI

Predice all'Abate Ruggiero 1a morte di Angelo signore di Rubio, debitore del Monastero.

Per i tanti beni spirituali, aderiva, ormai, all'Altissimo tanto da essere, secondo la Scrittura, un solo spirito con lui; e fra gli altri carismi che dall'alto gli furono elargiti dai tesori di Dio, rifulse, in modo particolare, lo spirito di profezia.
Vi era , in quel tempo, nella Provincia di Lucania, Diocesi di Anglona, Contea di Chiaromonte, un castello detto Rubio, che pagava alla Curia regia, annualmente, due once e quindici tareni(l), come è notato nel Cedolare della Regina Giovanna(2), sotto la quale fu quasi totalmente abbandonato dagli abitanti e distrutto(3). Il Barone di questo Castello, chiamato Signore Angelo di Rubio, s'era impadronito di molte ricchezze della Sacra Casa; né le restituiva(4). L' Abate Ruggiero, per un certo timore nei suoi confronti, non insisteva per la restituzione. Avendo, dunque, il Beatissimo servo di Dio Giovanni previsto prossima la morte di Angelo, sebbene fosse sano e incolume, subito, con passi umilissimi, si avvicinò al suo Abate e gli disse queste parole. Va' presto e riferisci a quell'Angelo che restituisca al nostro Monastero ciò che deve dare e paghi subito questo debito, perchè è breve il tempo che gli resta da vivere. E così avvenne, perché in poco tempo fu tolto da questa vita e tutta la sua famiglia fu estinta(6). Sopravvisse, veramente, un tale Riccardo di Rubio, che doveva essere, come è lecito pensare, un consanguineo dello stesso Signore Angelo, e che divenne, poi, Barone di Episcopia, ma per poco. Morto, infatti, Riccardo senza figli, il Castello di Episcopia fu devoluto a Giovanni Venceslao di Sanseverino, Conte di Chiaromonte(7), con tutti i diritti, le giurisdizioni, gli uomini, i vassalli, i mulini, le acque, i corsi d'acqua, le case, i boschi, i prati, i pascoli, le vigne, gli oliveti, i giardini, le terre coltivate e inoltre, i debiti, i redditi e tutti gli altri beni sotto il servizio e l'adoa(8) di un'oncia, quindici tareni e undici grana(9) della moneta usuale del Regno e del peso usuale. Leggo, tuttavia, che, da parte di Ugo e Tommaso Sanseverino(10), zii paterni e tutori del predetto Giovanni Venceslao, proprio in qualità di zii e tutori, questo Castello di Episcopia fu dato, trasmesso, concesso e assegnato al nobiluomo Tommaso di Succurto di Senise, loro carissimo familiare e socio, e ai suoi eredi e successori, per l'integrità della devozione, per la fedeltà e per i servizi grandi e sommamente graditi che in molte occasioni aveva prestati ai loro predecessori e che ancora prestava sia a loro che al loro nipote, nell'anno del Signre 1365, il 10 di dicembre, 3° Indizione. Si legge nel suo originale privilegio di concessione che si conserva nell' Archivio dell'illustrissimo Signor Marchese di Episcopia.

 

Note

1. L'oncia era, in origine, la dodicesima parte di una libbra. Nel medioevo indicò, in Sicilia e fuori, una moneta d'oro del valore di trenta tareni.

2. E' Giovanna II d'Angiò Durazzo (1371-1435) regina di Napoli dal 1414 alla morte del fratello Ladislao.

3. Nota marginale dell'Autore: Cedolare fatto nell'anno 1456 da Mandragolo di Lupolo di Napoli, segretario della Regina e maestro della Regia Camera della Sommaria, pg. 114, sul cui margine si legge anche questa precisa rubrica: Consta dai Commissari dei Focolari, che non è abitato. Ambedue i cedolari sono conservati nel grande Archivio della Regia Camera. E' il grande Archivio Angioino di Napoli, che fu distrutto dai Tedeschi in ritirata alla fine della guerra. Questo casale di Rubio non esisteva più già alla fine sel sec. XIV. Doveva essere un centro come tanti altri della Regione, se nel 1278 risulta che pagava un tributo per la manutenzione del castello di Rocca Imperiale, e nel 1280 fu obbligato a un tributo per l'ampliamento del castello di Melfi. Non si sa perché fosse, poi, abbandonato e distrutto: forse per lo spopolamento che si ebbe in tutta la Regione a partire dal 1348, o forse per un terremoto o per frane. Nelle vicinanze dell' antico centro sorse, nel 1395, la Certosa di San Nicola in Valle e, nella stessa zona, tra il 1425 e 1427, Francavilla sul Sinni. (Cfr. A. Giganti. o.c. XXXIV —XXXV).

4. Erano tempi in cui mentre molti signori fondavano chiese e monasteri e li dotavano di molti beni, altri, al contrario, usavano tutti i mezzi per impadronirsene e darli alle proprie famiglie. Tutte le storie degli antichi monasteri sono piene di fatti di questo tipo.

5. Nel testo originale latino c'è, qui, un gioco di parole; la traduzione letterale è questa: "sciolga subito il legame del debito, perché è breve il termine in cui dovrà sciogliere il debito della carne". Prima il Beato aveva detto: "Va' a dire a quell'Angelo"; Giocando sul termine di chi, certamente, un angelo non era: è l'ironia naturale, forse anche involontaria, dei Santi, dovuta al loro totale distacco dagli interessi terreni.

6. A questo proposito A. Giganti (o.c. XXXV) nota: "L'ultima espressione di questa notizia potrebbe anche riferirsi alla distruzione e all'abbandono del casale di Rubio, in cui avrebbero trovato la morte tutti i componenti di quella famiglia".

7. Era il 1365 . Venceslao ebbe una vita movimentata e tragica. Nel 1395 fondò la Certosa di S. Nicola in Valle. Nel 1403 fu a capo della rivolta contro il re Ladislao. Morì assassinato nel 1404. Alla sua morte la Contea di Chiaromonte fu data, dal re Ladislao, ad Attendolo Sforza.

8. In origine era una somma che i feudatari versavano al re per essere esentati dal prestare servizio durante le guerre; poi, nell'Italia Meridionale, divenne una specie di tassa permanente.

9. Il grano (plurale le grana) era , in origine, la più piccola moneta in uso nell'Italia Meridionale. Come moneta effettiva, però, il grano cominciò ad essere usato solo al tempo di Ferdinando I d'Aragona e si usò fino alla caduta del Regno delle Due Sicilie. Prima dell'unificazione nazionale, la moneta ufficiale del Reame era l'oncia d'oro, che equivaleva a 30 tarì o a 60 carlini da 10 grana ognuno. Il grano, o soldo, era, a sua volta, diviso in dodici parti chiamate denari in Sicilia e cavalli a Napoli. Ugo Sanseverino era conte di Potenza e protonotario del Regno. Tommaso fu duca di Montescaglioso.