CAPITOLO XII
Predice futura prole alla contessa Margherita
di Chiaromonte che era sterile.
Margherita di Chiaromonte(l), che discendeva dall'antichissima stirpe di Carlo Magno re dei Galli(2), figlia di Giacomo Conte
di Chiaromonte, fu sposa di Giacomo di Sanseverino, Conte di
Tricarico e di Chiaromonte. Questi discendeva da Targisio, che
proveniva dai Principi dei Normanni(4) e fu il primo che ebbe di
suo diritto la contea di Sanseverino(5), da cui trasmise la denominazione di Sanseverino ai suoi discendenti. Questo Giacomo fu
il primo dei Sanseverino che, per diritto di matrimonio, sposando Margherita di Chiaromonte, dopo la morte del fratello Ugo
di Chiaromonte(6), ebbe potere sui Chiaromontesi.
Margherita, dunque, essendo rimasta senza figli per molti e
molti anni e temendo fortemente che non ne avrebbe più avuti,
venne molto spesso al Sagittario e si raccomandava alle preghiere del nostro Beato Giovanni, perché le facesse ottenere una
discendenza. Un giorno Giovanni si accorse che Margherita
emetteva, per questo, lamenti molto tristi, e le parlò in questi
termini: Sii di forte animo, disse; non ti consumare più nel dolore, perché avrai certamente numerosa e bella discendenza. E,
cosa mirabile a dirsi, non molti giorni dopo si dischiuse il grembo sterile della Contessa che generò ricchissima prole d'ambo i
sessi, molto gradita a Dio, alla madre che la generò e agli uomini. Non conosciamo i nomi delle femmine. I maschi furono tre,
e di essi è arrivata notizia fino a noi: Ruggiero, come primogenito, successe al padre Giacomo Sanseverino nella Contea di
Tricarico e di Chiaromonte. Ugo fu Conte di Potenza e Grande
Protonotario del Regno(7). Tommaso ebbe la Contea di
Montescaglioso; ebbe l'ufficio di Viceré nel Regno di Napoli a
nome di Luigi D'Angiò(8); liberò il Romano
Pontefice Urbano VI(9) dall'assedio di Nocera(10) e diede al Sagittario i tenimenti di
Rotonda del Mare e della Trisaia(11). Nel nostro Archivio non
abbiamo i documenti di questa concessione e della conferma
regia, né gli originali, né le copie; ma che all'origine essi siano
stati presentati nell'anno 1406, il 18 di novembre, 15° indizione,
al Magnifico Francesco Boccaplanula, regio Commissario deputato ai demani di Basilicata, e che in forza di essi fu dato possesso dei predetti tenimenti a Frate Antonio dei Decreti, Abate
del Sagittario, lo sappiamo dallo strumento originale della stessa possessione, che contiene le formalità, V3
...
Nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo. Amen.
Nell'anno 1406 della sua natività; regnando il Serenissimo
Signore, il Signore nostro Ladislao(12), per grazia di Dio re d'Ungheria,
di Gerusalemme e di Sicilia, di Dalmazia, di Croazia, di Rama, di
Serbia, di Galizia, di Lodomeria, di Comania, di Bulgaria, della
Provenza, di Forcalquier e Conte di Piemonte(13), nell'anno ventesimo
dei suoi regni. Felicemente, Amen. Nel mese di novembre il giorno 18
dello stesso anno, quindicesima indizione presso Senise. Noi Antonio
di Melle di Laurino, giudice annuale della stessa Terra di Senise,
Nicola di Notaio Riccardo, pubblico Notaio, per autorità regia, ovunque nelle Province del Principato Citra(14), delle Terre di Otranto, della
Basilicata, della Valle del Crati, della Terra Giordana, e i testimoni
letterati(15) sottoscritti, chiamati e invitati per questo atto, con il
presente
pubblico strumento(16) diciamo, facciamo noto e attestiamo che, nel giorno sopra indicato, essendo noi stati chiamati a istanza e richiesta del
Signore Frate Antonio dei Decreti Dottore e Abate di Santa Maria del
Sagittario alla presenza del Magnifico Francesco Boccaplanula di
Napoli, Regio Commissario deputato ai Demani nella Provincia di
Basilicata, come a noi pienamente risulta dalla sua commissione,
dinanzi alla casa dell'Archimandrita di Carbone(17) ove lo stesso
Francesco allora dimorava, il detto Signore Abate presentò dinanzi a
noi alcuni privilegi del defunto Signore Tommaso di Sanseverino e la
conferma, da parte dell'attuale Regia Maestà, dei sopraddetti privilegi,
in vigore dei quali il detto Signore Abate chiese con istanza al predetto Francesco che, a nome del detto suo Monastero, lo reintroducesse,
per l'autorità della Maestà Regia, e lo rimettesse nella reale
possessione di cui al presente godeva, dei tenimenti di Rotonda del Mare e della
Trisagia come chiaramente si descrive nella donazione del defunto
Signore Tommaso e nella conferma della detta Regia Maestà, delimitati da una parte dal fiume Signo e dall'altra con la bambacalia(18) di
Rodiano, andando per la detta via(19) ed uscendo al bel monte(20), uscendo
alla limpidina(21) sopra il bel monte, continuando verso il cippone della
zapparia, arrivando alla palombaia di Favale e per la Serra della Difesa
che appartenne a Pietro Presmatio, venendo serra serra di Massa degli
orbi(22), scendendo verso il vallone di Bollite, e infine, da un'altra
parte,
con il mare e altri confini, secondo quanto fu in possesso del defunto
Signore Tommaso di Sanseverino, donatore dei sopraddetti tenimenti.
E il suddetto Francesco, sentite le giuste richieste del detto Abate,
fece
pubblicamente leggere alla nostra presenza i privilegi, e noi li sentimmo leggere e li esaminammo attentamente, in essi c'era scritto che il
detto defunto Signore Tommaso di Sanseverino aveva donato al detto
Monastero i detti tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia; inoltre che la detta donazione era confermata al presente per la generosa
benevolenza della Regia Maestà; e con l'autorità di questi privilegi, il
detto Francesco, che era presente, avuto, come disse, su questo argomento maturo consiglio con gli uomini anziani del luogo che avevano
sentito le cose suddette, indusse nella reale possessione dei
sopraddetti
tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia il detto Signore Abate
a nome del detto suo Monastero mediante l'anello che aveva al dito(24)
secondo quanto aveva asserito e secondo i confini sopra descritti in
conformità a ciò che tenne in suo possesso il Signore Tommaso di
Sanseverino donatore dei tenimenti sopraddetti, perché li avesse, li
tenesse, li possedesse ne avesse l'usufrutto, li potesse affittare e
vendere, li potesse dare in affida per gli animali(26), per il terratico(27),
per la
quarteria(28), per il plateatico, per gli scagnagi(29) e tutti gli altri
diritti
spettanti ai detti tenimenti, e che il detto donatore percepiva; nonché
i
corsi d'acqua(30) e tutto ciò che qualsiasi altro Signore e Padrone riceve
dai suoi propri tenimenti ed è solito ricevere. E ordina, inoltre, a
tutti
i Baroni e altri Regi Funzionari presenti e futuri, per l'autorità regia
di cui è dotato in questa azione, sotto pena di cinquanta once e
dell'indignazione della Regale Maestà(31) che riconoscano il detto Abate, a
nome del suo suddetto Monastero, nella detta possessione, come detto
prima, lo difendano, non lo disturbino, né molestino, ma piuttosto,
come già detto, lo proteggano e lo difendano dai perturbatori e molestatori, punendo severamente i trasgressori ed esigendo senza remissione dai predetti trasgressori le pene stabilite. E siccome il detto
Signore Abate asserisce che di tale fatto, cioè dello stato di reale
possessione di cui sopra, sia necessario avere, nel detto suo Monastero, un
pubblico strumento, e richiese esplicitamente noi, i sopraindicati
Giudici, Notaio, e Testi sottoscritti, che della presente posizione,
cioè
della reale possessione, redigessimo un pubblico strumento, noi, considerando che il nostro servizio, che è pubblico, non possiamo negarlo a
nessuno, a richiesta del detto Signore Abate circa la posizione di reale
possesso, abbiamo redatto il presente strumento che, in testimonianza
di quanto detto e a cautela del predetto Signore Abate, per l'interesse
del detto suo monastero, dei suoi successori e di quanti possano o
potranno averne, è stato scritto di mia mano, predetto Notaio che, pregato, fui presente a quanto sopra detto, e ho segnato con il mio vero
solito segno(32) - Posto per il segno - +
Io Antonio Melle di Lauro, come sopra giudice della Terra di
Senise.
Io Silvestro di Vascione di Taranto sono testimone.
Io Palumbo di Nicola del Giudice Martino di Senise, teste fui
presente.
Io Leone di Aintarde di Venosa, milite, sono testimone.
Io Favello di Fanuele sono testimone.
Io Gualtiero de Cilento fui presente come testimone a quanto
sopra detto.
Io Maestro Giovanni di Pietro Giovanni di Senise fui presente
come testimone.
Della concessione dei tenimenti di Rotonda del Mare e
della Trisagia da parte di Tommaso Sanseverino al Sagittario si
fa espressa menzione in un altro documento originale, scritto su
pergamena nell'anno della Natività del Signore 1411, 24° anno
dei regni di Ladislao Re di Ungheria, Gerusalemme e Sicilia, il
giorno 9 del mese di giugno, 4° Indizione, presso Senise. In esso,
alla presenza di Giovannuzzo del Cilento, annuale giudice della
Terra di Senise di quell'anno, di Nicola del Notaio Riccardo
della stessa Terra, pubblico Notaio, con autorità regia, per le
Province del Principato Citra, le Terre di Montorio(33), Basilicata,
Valle del Crati e Terra d'Otranto, dell'Attore Maestro della Curia
dei Baiuli(34), dei Giudici(35) della stessa Terra di Senise e di nove
testimoni letterati(36), depongono, dichiarano e attestano Goffredo
Calfono, Nicola Volinterio e Guglielmo di Foracio, già custodi
dei giumenti di Tommaso di Sanseverino di felice memoria(37).
Dicendo che i termini e i confini descritti nel surriferito strumento di reale possessione e posizione tramite il Magnifico
Francesco Boccaplanula di Napoli, Regio Commissario
Deputato ai Demani nella Provincia di Basilicata per quanto
riguarda i tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia in
beneficio del Venerabile Monastero di S. Maria del Sagittario
sono, più o meno, gli stessi che delimitavano e racchiudevano i
predetti tenimenti al tempo in cui erano posseduti sia dalla
Contessa di Chiaromonte sia anche dal predetto donatore
Tommaso di Sanseverino prima che li donasse al Sagittario predetto; e attestano di sapere ciò perché per molti anni, al tempo
della buona memoria di Tommaso Sanseverino avevano lì
custodito i suoi giumenti(38). Se poi anche Ruggiero e Ugo, fratelli maggiori, abbiano donato qualcosa al Sagittario ancora non mi
è noto. Invece il figlio primogenito di Ruggiero, Giovanni
Venceslao di Sanseverino, così chiamato quando era ancora
ragazzo, poi Conte di Tricarico e di Chiaromonte, e Margherita
di Sangineto, Contessa di Tricarico, di Chiaromonte, di
Altomonte e di Corigliano, moglie dello stesso Venceslao, nell'anno del Signore 1380, 38° anno dei Regni della Regina
Giovanna I(39), il giorno 24 del mese di giugno, per la grande
devozione che avevano verso la Chiesa del Santuario e in remissione dei loro peccati e di quelli dei loro predecessori, diedero e
trasmisero alla predetta Chiesa e al Venerabile Abate Fra
Guglielmo di Vignola due mulini siti nella Contea di
Chiaromonte, uno posto nel territorio della Terra presso il fiume
Signo, nel luogo detto Carroso, l'altro nel territorio di Senise
della predetta Contea di Chiaromonte, nel luogo chiamato
Embolo, nella contrada Milioto, con i diritti, gli interessi e tutte
le loro pertinenze, franchi, liberi ed esenti, con le acque, i corsi
d'acqua, le vie, le entrate e le uscite e qualsiasi tipo di diritti,
ragioni e pertinenze spettanti e pertinenti in qualsiasi modo ai
detti due mulini(40) e a ciascuno di essi, non riservandosi niente,
anzi espressamente concedendo che se, per caso, i due predetti
mulini o uno qualsiasi di essi avesse bisogno, in qualunque
tempo, di qualche riparazione per il decorso delle loro acque,
sarebbe lecito al predetto Abate Guglielmo e agli Abati del
Sagittario che a lui succederanno nel tempo e ai loro incaricati,
senza nessun permesso da parte del donatore, dei suoi eredi e
successori o incaricati, ma per propria autorità e in virtù della
sola predetta concessione, riparare o rifare le dette condutture
dei corsi d'acqua sia nei luoghi di prima che altrove, per tutto il
territorio delle dette Terre(41), ovunque, in qualsiasi luogo sem-brerà loro adatto e opportuno, come ampiamente espresso nello
strumento già redatto per mano del Notaio Guglielmo
Pellegrino di Senise in presenza dello stesso Signor Conte e della
Signora Contessa, di Silvestro Mario di Taranto, giudice ai contratti con regia autorità per le province di Basilicata, di Terra
d'Otranto, della Terra Giordana e della Valle del Crati, di
Tommasello Succorto di Senise, giudice annuale della stessa
Terra di Senise, di Tommaso Succorto, milite, Signore del castello di Episcopia, di Nicola Signore di Missanello, di
Giovannuccio, Signore di Calvera(42), di Ugo di Paolino e del
Giudice Amillario di Tricarico, testimoni chiamati e pregati, che
con la propria mano autenticarono il predetto strumento come
testi, nell'anno e nel giorno già indicati.
A istanza del sunnominato Abate Guglielmo di Vignola,
per la speciale devozione di cui era ricolmo verso il Monastero
del Sagittario, ad onore e venerazione della Vergine Madre di
Dio e del nostro Beato Giovanni da Caramola, Venceslao concesse anche, esclusivamente al Sagittario, la facoltà di riparare i
vecchi mulini e di costruirne di nuovi nel territorio della Terra
di Chiaromonte, come dal privilegio emesso nell'anno del
Signore 1383, che pensiamo sia necessario riportare per mostrare in quanta considerazione avesse il nostro Beatissimo Uomo.
Ed ecco il testo del privilegio(43):
Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Amen
Nell'anno 1383 dalla Natività dello stesso, sotto il Regno del
Serenissimo Signore nostro il Signore Carlo III(44), Re di Gerusalemme,
di Sicilia, della Provenza, di Forcalquier e Conte del Piemonte, nel
terzo anno dei suoi Regni, felicemente. Amen.
Il giorno 10 del mese di giugno della sesta indizione, presso
Senise. Noi Tommasello Succurto giudice annuale della stessa Terra
di Senise, Guglielmo Pellegrino, pubblico Notaio, per autorità regia,
ovunque per la Provincia di Basilicata e del Principato Ultra(46) e per le
terre di Montorio, e i testi sottoscritti, proprio per questo invitati e
pregati, con il presente pubblico strumento facciamo noto e attestiamo che
nel giorno predetto il Magnifico Venceslao di Sanseverino, Conte di
Tricarico e di Chiaromonte, costituito alla nostra presenza, asserì di
essere stato umilmente pregato da parte di Fra Guglielmo di Vignola,
Abate del Monastero di Santa Maria del Sagittario, dell'Ordine
Cistercense, della Diocesi di Anglona, per l'onore della Vergine gloriosa e del santo Giovanni da Caramola(47), di concedere benignamente che
nel territorio della Terra di Chiaromonte nessuno possa edificare un
mulino nuovo o ripararne qualcuno se nel tempo si fosse deteriorato, se
ciò dovesse comportare un danno grave per il Monastero suddetto, non
avendo il detto Monastero nessun reddito migliore(48). Ed egli, a motivo
della singolare devozione che sempre ebbe verso il sopraddetto
Monastero, ad onore e venerazione della Vergine Maria e del Beato
Giovanni da Caramola, considerando anche che per la predetta devozione già i suoi predecessori molte e diverse altre cose avevano offerto
nel modo già detto, non per violenza, inganno o timore, ma con libera,
gratuita e spontanea volontà, concesse che nessuno, nel territorio della
detta Terra di Chiaromonte, possa in alcun modo costruire un nuovo
mulino o riparare i vecchi senza mandato o speciale licenza dello stesso Abate. Perciò siccome lo stesso Abate Guglielmo asserisce che questa grazia e concessione è utile e necessaria al predetto Monastero, ha
attentamente pregato noi, i sopraindicati Giudice, Notaio e Testimoni,
che di detta concessione e grazia redigessimo un pubblico strumento.
Noi, dunque, vedendo che il detto Abate chiedeva cose giuste e a chi
chiede cose giuste non si deve negare l'assenso, a futura memoria e a
cautela, certezza e piena fiducia del detto Abate del Monastero e della
Comunità dello stesso e dei suoi successori e di tutti gli altri che ne
hanno interesse o potranno averne in futuro, è stato redatto questo
pubblico presente strumento, circa la predetta concessione, per mano
mia, il sopra detto Notaio, segnato al modo solito e ratificato con le
sottoscrizioni e attestazioni di noi sunnominati Giudice, Notaio e
Testimoni. Scritto da me, predetto Guglielmo, come sopra detto, Notaio
che, premessa ogni cosa, richiesto sono stato presente; e io stesso mi
sono segnato al modo solito.
Luogo del segno(49)
+ Segno di croce della mano propria di Tomasello Succorto, giudice annuale, testimone che non sa scrivere(50).
Io Tommaso sono stato presente a quanto sopra detto e attesto che
è vero.
+ Segno di croce della mano propria di Nicola di Martina che
sono stato presente a quanto sopra e non so scrivere.
+ Segno di croce della propria mano del Maestro Guglielmo di
Cava, testimone alle cose di sopra, illetterato che non sa scrivere(51).
+ Segno di croce della mano propria di Ruggiero Succorto, illetterato che non sa scrivere.
Ma i coniugi Giacomo Sanseverino e Margherita di
Chiaromonte, di cui abbiamo fatto menzione all'inizio di questo
capitolo, l'anno precedente la morte del Beato Giovanni(52), si
mostrarono munificentissimi benefattori del Monastero del
Sagittario, perché non solo confermarono le donazioni fatte al
Sagittario dai loro predecessori defunti e comminarono una
multa di 10 once d'oro a chi portasse turbamenti o molestie contro di esso, ma con larghissima munificenza e generosità delimitarono da ogni parte il tenimento dove era stato fondato il
monastero(53) e che era stato donato al Sagittario da un loro predecessore; di questo tenimento, infatti, nello strumento sopra
riportato(54) non si leggevano ben delimitati i confini. Ma ecco il
tenore del documento: Noi Giacomo di Sanseverino Conte di Tricarico e
di Chiaromonte dichiariamo quanto qui sottoscritto(55).
Noi Giacomo di Sanseverino Conte di Tricarico e di Chiaromonte
e la Contessa Margherita, coniugi, con il testo del presente privilegio
facciamo noto, a tutti quelli che le vedranno queste disposizioni.
Considerando che il Signore Gesù Cristo figlio di Dio ha stabilito la
Chiesa sua sposa sopra una roccia fermissima(56), e perciò se qualcuno
osasse recarle disturbo offenderebbe Dio con colpa grave e incorrerebbe
nel suo indissolubile giudizio e sarebbe, così, al suo cospetto privo di
ogni aiuto, essendo scritto: se uno peccherà contro un uomo potrà essere perdonato da Dio, ma se peccherà contro Dio nessuno pregherà per
Lui(57); mentre, al contrario, chi proteggerà la Chiesa sarà protetto dal
Signore, come Egli promise a Salomone dopo la costruzione del Tempio:
Porrò, disse, il trono del tuo Regno sopra Israele per sempre(58); noi, dunque, pensando fermamente queste cose, dietro alle preghiere di Fra
Ruggiero, abate del Venerabile Monastero di S. Maria del Sagittario,
confermiamo tutte le donazioni delle pertinenze della nostra Terra di
Chiaromonte fatte allo stesso Monastero dai nostri predecessori defunti secondo i privilegi e le protezioni ivi esposte. E in perpetuo
confermiamo e vogliamo che, per il tranquillo possesso degli stessi beni e
perché lo stesso Monastero non abbia disturbi da parte di alcuno, chiunque dei nostri vassalli ardisca d'ora in poi arrecare molestia incorra
immediatamente nella pena di dieci once d'oro da pagare alla nostra
Corte. Siccome, poi, dal nostro predecessore defunto fu dato allo stesso
Monastero un tenimento entro il quale fu fondato il Monastero stesso,
e di esso nel privilegio che ne era stato fatto non erano delimitati da
nessuna parte i confini, abbiamo deciso, secondo la richiesta dello
stesso Abate, di delimitarlo con questi confini. V3(59). Dalla parte
dell'Occidente e del Mezzogiorno la Serra che si chiama Breacolosa e
va per quella Serra fino al Piano che si chiama di Piazza Amara, fino
al così detto Vallone del Turno, e scende, per quel Vallone, fino al
fiume
Frido, e poi sale per il detto fiume fino al Vallone detto del Calcenario,
e sale per quel Vallone fino alla già detta Serra della Breacolosa; e
questo è il confine da tutti i lati. Perciò, a futura memoria e a cautela
dello
stesso Monastero, abbiamo comandato che si facesse questo privilegio,
munito dei nostri sigilli e confermato dalla sottoscrizione del predetto
nostro Conte. Fatto a Senise nell'anno 1338, il 13 del mese di settembre, settima Indizione.
Ma Margherita di Chiaromonte, Contessa di Chiaromonte,
rimasta vedova di suo marito Giacomo di Sanseverino, non solo
confermò in modo specifico nell'anno del Signore 1350, il giorno 2 di luglio 3° Indizione, ciò che in modo generico insieme con
suo marito aveva confermato nell'anno 1338, ma espressamente
concesse che gli animali del detto Monastero del Sagittario,
quelli di tutti i dipendenti, dei pastori, degli inservienti dello
stesso Monastero potessero liberamente pascolare per tutto il
demanio della Contea di Chiaromonte e per le sue Terre(61) anche
nelle difese(62), sia antiche che nuove, senza molestia o vessazione
alcuna; anche se, per quanto riguarda la libertà di pascolare
nelle difese, solo dopo che vi sono entrati gli animali della sua
Corte(63). Concesse, inoltre, ai Frati, agli uomini, agli oblati(64), ai
soggetti e agli inservienti dello stesso Monastero la libertà di
vendere e di comprare, senza alcuna vessazione o esazione.
Inoltre concesse che gli uomini, sia oblati che soggetti e inservienti dello stesso Sagittario, per il tempo in cui realmente sono
al suo servizio, non siano obbligati a nessuna tassa annuale o
colletta, né siano da nessuno dei suoi addetti obbligati o molestati per nessuna occasione, ragione o causa. Concesse, infine, al
Sagittario la facoltà, se lo volesse, di poter seminare o fare altri
lavori nelle sue terre senza la tassa del terratico.(65) E in osservanza di tutte le concessioni e le conferme fatte impose e intimò a sé
e ai suoi eredi di pagare alla Regia Curia cento once d'oro e
altrettante al Monastero del Sagittario(66), così anche alle
Università(67) di tutte le Terre del suo Dominio se avessero tentato di revocare o ritrattare in qualche punto il detto privilegio e
non avessero, entro un mese, reintegrato nei suoi diritti il detto
Monastero. Il testo di questo privilegio lo pubblichiamo tanto
più volentieri quanto più abbiamo faticato, procurandoci anche
le maledizioni Apostoliche(68), per il recupero di esso e degli altri
privilegi addotti in questo capitolo.
Ed ecco il tono del testo originale.
Noi Margherita di Chiaromonte ecc.(69). Considerando che la vita
di questo mondo è breve e come ombra e quasi come nave che passa per
un fiume d'acqua, desiderando noi anche, quando Dio vorrà chiamarci
da questa vita, di ritornare con gioia alla nostra patria la Gerusalemme
superna dove avremo la nostra vera dimora indubbiamente secondo la
nostra fede, come dice l'Apostolo: Non abbiamo qui una dimora permanente ma cerchiamo quella futura; anche perché in questo mondo
siamo dispensatori di Cristo e niente è nostro o resta inseparabile se
non quello che stabiliamo per Dio e diamo con le nostre mani nelle
Chiese ed elargiamo con le nostre mani per le necessità dei poveri,
secondo il detto del Beato Agostino: Tutto ciò che avrai dato a Dio per
la tua anima è tuo, mentre è perduto tutto ciò che avrai lasciato qui(70),
mossi da questi santi e giusti motivi, con il presente atto pubblico
facciamo noto e dichiariamo a tutti e ai singoli sia presenti che futuri:
siccome spetta alla nostra grandezza migliorare tutte le cose e soprattutto confermare con la devozione le cose che riguardano la libertà delle
Chiese(71); visti, dunque, e osservati diligentemente alcuni privilegi e
altre scritture e donazioni fatte dai nostri predecessori di felice
memoria e anche da Imperatori e da altri Principi e Signori Re dei tempi
passati al Venerabile Monastero di Santa Maria del Sagittario dell'Ordine
Cistercense, della Diocesi di Anglona per rimedio e salute delle loro
anime, desiderando, inoltre, di essere aiutati qui e in futuro dalle
preghiere dei Venerabili Frati dello stesso Monastero presso il Signore
nostro Gesù Cristo e la Gloriosa Vergine Madre Maria, spinti dalle
giuste richieste degli stessi Frati, poiché per prima a noi risulta dai
predetti scritti(72) e in secondo luogo per sufficienti prove di alcuni uomini probi e anziani della contrada, del territorio e del nostro dominio,
da
donazioni sia dei nostri predecessori che di altri signori, che il detto
Monastero teneva e possedeva, e tiene ancora a giusto titolo e possiede
al presente, vogliamo, irrevocabilmente comandiamo e ordiniamo che il
detto Monastero ora e in futuro non sia giammai, in alcun tempo,
defraudato nei suoi diritti, giurisdizioni e onori, e che rimanga per
sempre in ogni suo potere e che, per la nostra anima sia accresciuto di
favori più grandi. E prima di tutto che lo stesso luogo del Sagittario
ove il Monastero è situato con il vastissimo tenimento che lo circonda
sia libero e quieto da ogni molestia o servitù, con tutti i suoi diritti
e le
sue pertinenze, con la fida e diffida(73) di animali di persone estranee
di
qualsiasi grado o autorità, con le quarterie(74), con i carnaggi
represali(75)
e con tutti gli altri vantaggi, e sotto la pena di dodici once d'oro da
pagare da parte di qualsiasi persona che arrechi molestia e che entri
nel
detto tenimento senza il permesso e la volontà dell'Abate e della
Comunità del Monastero predetto, della quale somma metà sarà pagata alla nostra Curia e l'altra metà alla Chiesa irremissibilmente. Allo
stesso modo il Castello del Sicileo presso il fiume Sinni sia libero e
quieto, delimitato in sicuri confini, come chiaramente descritto nel
privilegio concesso alla stessa Chiesa da parte del defunto Eccellentissimo
Signore di felice memoria il Conte Renaldo de Guasto(76), con tutti i loro
diritti, preminenze e onori, con fida e diffida di animali di ogni
persona, con carnaggi, quarterie e altri vantaggi e rappresaglie(77). Così anche
la difesa limitata e confinante con il detto tenimento del Sicileo,
chiamata Santa Chinapura(78). V3. dalla parte dell'Oriente vi è il vallone del
Sicileo, e sale per lo steso vallone su per la Cresta di Santa
Genapura(79) dalla parte di Mezzogiorno, e si volta al Canale del Rubio e discendendo per il predetto Canale fino al fiume Sinni per il predetto fiume
ritorna al sunnominato vallone del Sicileo. Sia libera e quieta e senza alcuna molestia, con fida e diffida, carnaggio, rappresaglie e tutti gli
altri
onori e sotto la pena delle dodici once d'oro predette da pagarsi nel
modo e nella forma come sopra. Così anche il mulino di Chiaromonte
con gli orti, gli ortalizi(80) e le terre tutte intorno fino al fiume
Sinni, con
tutti i diritti e le sue pertinenze. Ancora la Chiesa di San Nicola di
Salza presso Senise con le vigne, le case, le possessioni, le cose e
tutti i
suoi diritti. Inoltre la Chiesa di S. Maria di Lauro con il tenimento di
Rotondella del Mare(81) e la Trisagia con tutti i diritti e le sue
pertinenze, libero e quieto, con fida e diffida di tutti gli animali di estranei
di
qualsiasi grado o dignità, e senza alcuna vessazione e molestia di uomini. E ancora un tenimento o foresta di S. Nicola di Frascini in territorio di Ordeolo(82), libera e quieta da qualsiasi molestia, confida e
diffida
di tutti gli animali di estranei a qualsiasi grado o condizione appartengano, con le terre che si trovano nella contrada che si chiama Lu
Gruttuni(83) con i suoi confini ben delimitati. Così anche il tenimento di
Matina di Pellicorio, libero e quieto da qualsiasi molestia di uomini,
con i diritti e le sue pertinenze; tutte cose che accettiamo e
ratifichiamo, concediamo e confermiamo e che di nuovo, per quanto spetta all'eccellenza nostra, devotamente doniamo al Monastero, e vogliamo che
liberamente e tranquillamente, come sopra è stato detto, il già detto
Monastero abbia e tenga e possegga in perpetuo senza qualsivoglia
contrarietà, vessazione o molestia, ricevendone gli affidi, le rappresaglie, i carnaggi, le quarterie e gli altri vantaggi nei predetti
tenimenti,
nel modo e forma sopra espressamente definiti. Così vogliamo in remissione dei nostri peccati, e in perpetuo concediamo che gli animali del
detto Monastero e di tutti i suoi uomini, pastori e inservienti,
pascolino liberamente e con sicurezza per tutto il nostro demanio e nelle terre
del nostro dominio sia nelle difese antiche che nuove(84); e anche se
nelle
predette difese, sia antiche che nuove, entreranno i nostri animali,
anche gli animali della detta Chiesa e dei suoi inservienti abbiano
subito, anche dopo l'ingresso degli animali di nostra proprietà, libera
facoltà, e senza licenza, di entrarvi, di restarvi e di pascervi, e ogni
altra
cosa necessaria senza molestia e vessazione. E, inoltre, i Frati e gli
altri
uomini di detto Monastero, sia gli oblati(85) che i soggetti(86) e gli inservienti per il tempo che sono alle dipendenze dello stesso Monastero,
possono in tutto il nostro Demanio vendere e comprare senza alcuna
esazione o vessazione(87); né, fino a quando saranno al servizio di detta
Chiesa, siano costretti a pagare tasse annuali o collette(88)
né siano, per
nessuna ragione, occasione o causa, oppressi o molestati da alcuno dei
nostri Officiali(89) o dei nostri dipendenti. Perché si preghi per la remissione dei nostri peccati e per la nostra anima, se l'Abate o la Comunità
dei Frati vorrà prendere qualcosa dalle terre del nostro dominio per
l'utilità e la comodità della detta Chiesa, per la semina o per eseguire
qualche opera, lo può fare liberamente e senza che sia, in alcun modo, sottoposto ad alcun pagamento di terraggi(90), né alcuno mai lo vieti in
alcun modo. E perché tutte e singole le cose dette abbiano perpetua
forza (91) di stabilità e si osservino inviolabilmente, se per caso, in
alcun
tempo, si tenderà da parte di qualche Università di qualche Terra(92) del
nostro dominio, o da parte nostra o dei nostri eredi, di revocare o
ritrattare in qualche cosa questo privilegio, incorrino immediatamente nella
pena di cento once d'oro(93) da pagare alla Regia Curia e altrettante da
pagare allo stesso Monastero, se entro un mese non avranno risarcito
il detto Monastero senza alcuna diminuzione, ferma restante questa
conferma e concessione in tutta la sua forza e stabilità. E così noi e i
nostri eredi, perché le cose che si sono dette si osservino
inviolabilmente, abbiamo solennemente obbligato i nostri beni presenti e futuri, e
perciò a perpetua memoria della cosa, abbiamo comandato di redigere il
presente privilegio e l'abbiamo munito con il nostro solito sigillo pendente con una cordicella di seta gialla e rossa. Dato nel castello di
San
Chirico nell'anno del Signore 1350, il giorno primo di luglio della
terza
Indizione. Registrato ecc. ecc.(94).
Se poi Margherita dopo questo anno 1350 abbia erogato
qualche altro privilegio in favore del Sagittario non lo so. L'ho
trovata ancora vivente in un privilegio da lei dato il primo di
gennaio 1354(95) a Tommaso Succurto, suo familiare, per i servizi
prestati e che sperava avrebbe prestato in futuro, e ai suoi eredi
da lui legittimamente o già nati o che sarebbero nati in futuro,
sui diritti, i redditi e i proventi della sua funzione di balivo(96)
della sua Terra di Senise, in due once d'oro da percepire anno
per anno dai redditi, diritti e proventi di qualsiasi tipo spettanti
e pertinenti in qualsiasi modo a detta funzione di balivo. Inoltre
allo stesso Tommaso e ai suoi eredi concesse, in considerazione
dei servizi che per molto tempo erano stati prestati, che, ogni
volta che capitasse, sia lui che i suoi eredi potessero nella terre
della sua Contea di Chiaromonte vendere alcuni loro animali e
altre loro cose, o comprare, e anche far macellare gli animali
senza che fosse tenuto a pagare al Conte o alla sua Corte alcun
contributo. Concesse, inoltre, la libertà allo stesso Tommaso e ai
suoi eredi, che nei tenimenti delle Terre della sua Contea i loro
animali potessero liberamente muoversi nei pascoli di erbe e di
ghiande senza che per questo si fosse costretti ad esibire nessuna fida(97)
o qualsiasi altro permesso, ad eccezione delle sole difese antiche che volle espressamente riservate agli animali della
sua Corte(98). Ma sia che Margherita di Chiaromonte abbia dato o
meno qualche altro privilegio al Sagittario, per riguardo ai meriti dello stesso nostro Beato Giovanni da Caramola, tutti i singoli privilegi, le concessioni, le libertà, le esenzioni, le giurisdizioni e i diritti concessi da Imperatori, Re, Principi e Signori al
Monastero del Sagittario fino al giorno 10 di maggio dell'anno
del Signore 1378, furono confermati, ratificati, accettati e nuovamente concessi in perpetuo dalla Regina Giovanna I, figlia di
Carlo d'Angiò, illustre Duca di Calabria e nipote di Roberto
sapientissimo Re dei Napoletani(99). Questa, infatti, in remissione
dei suoi peccati e per le anime dei suoi antenati, concesse al
Sagittario dodici once d'oro annualmente sugli introiti e sui redditi della Dogana di Napoli(100),
come appare dal privilegio già
pubblicato(101), che siccome abbraccia molte cose che è bene siano
conosciute dai posteri, ho pensato di trascrivere e di riportare
qui, perché sfugga alla voracità del tempo. Ed ecco la copia.
Giovanna per grazia di Dio Regina di Gerusalemme e di Sicilia,
del Ducato di Puglia, del Principato di Capua, della Provenza, di
Forcalquier, e Contessa del Piemonte. A tutti e ai singoli presenti e
futuri che vedranno questi scritti. Sebbene la pienezza non abbia bisogno di aggiunte, né ciò che è già fermo di stabilità, si conferma,
tuttavia, a volte, non perché ciò sia necessario, ma perché si veda la
sincera
generosità di chi conferma e si aggiunga al fatto la forza di più sicura
cautela. Da parte del Venerabile Abate e dei Religiosi della Comunità
del Monastero della Beata Vergine del sagittario dell'Ordine
Cistercense della Diocesi di Anglona, da delegati a noi fedeli e diletti
fu
esposto umile supplica e dichiarato alla nostra Maestà che il suddetto
Monastero fu fondato ed edificato da molto tempo, che ci vivono dei
Monaci e che alcuni Frati di detto Monastero vissero in modo lodevole, tanto che, per ispirazione di Dio, uno di detti Monaci, cioè Fra'
Giovanni da Caramola,fu ivi santificato(102) e divenne famoso sia in vita
che in morte per numerosi miracoli e ancora oggi risplende soprattutto nelle Terre di Senise e di Chiaromonte, ove restituì alla salute di
prima molti uomini affetti da diverse malattie e infermità; e il suo
santissimo corpo è venerato al presente nel predetto Monastero. Ma anche
molti altri Frati condussero una vita lodevole e santa, degna di ammirazione, esercitando, nello stesso Monastero, opere di carità. Perciò
l'invittissimo defunto Imperatore Federico sempre Augusto(103) sommamente ingrandì detto Monastero con onori e dignità e con grandissima
libertà(104). Così il serenissimo di pia e santa memoria defunto illustrissimo Re Roberto(105), Riccardo conte di Chiaromonte e la contessa
Margherita, la defunta Signora Albreda(106), signora di Colobraro Noa e
Rotonda, Rainaldo del Guasto concessero al detto Monastero molti e
diversi privilegi e grandissime libertà accumulando e donando molti
beni: il tenimento in cui detto Monastero è situato, il vasto e ampio
tenimento del Sicileo, la foresta della Terra di Ordeolo libera da ogni
servitù, il tenimento di Rotonda del Mare e della Trisagia, il tenimento di S. Nicola di Frascini, il luogo di Sant'Agata tra Malveto e
il tenimento di Pellicorio, mulini e tanti altri tenimenti,
Sagineto(107) beni e territori, franchigie e libertà, e soprattutto che gli animali
del
predetto Monastero e dei suoi inservienti abbiano la libertà e la possibilità di pascolare a proprio agio e facilmente(108), e possano prendere
senza impedimento alcuno ghiande, erbe e tutto il necessario, non solo
in tutta la Contea di Chiaromonte, nei suoi tenimenti e nelle difese, ma
anche in tutto il regno di Sicilia, non solo per le Terre e i luoghi del
nostro demanio, ma anche in quello degli altri Signori del detto
Regno(109) senza alcuna molestia, angheria ed esazione di alcuna cosa; e
fecero allo stesso Monastero similmente altre concessioni, donazioni,
agevolazioni e grazie, come sono contenute nelle lettere e nei privilegi
degli stessi donatori. Con molta chiarezza, dunque, questi fatti furono
noti alla nostra Maestà, e noi vedemmo e osservammo tutte le cose predette; perciò da parte dello stesso Abate e della Comunità dei Frati, fu
umilmente presentata supplica dinanzi al nostro trono che ci degnassimo con grazia speciale(110) di ratificare confermare e nuovamente concedere e donare, i tenimenti, le terre, i luoghi(111), i territori, la
foresta, i
mulini, le donazioni, le concessioni, le franchigie, le immunità e le
grazie predette concesse alla stessa Chiesa da parte dei sunnominati donatori. E noi, intendendo continuare con il massimo favore le concessioni e le grazie elargite in modo particolare alle Chiese(112), e
specialmente
al detto Monastero, per i quali siamo pieni di zelo e che amministriamo con animo devoto, acconsentendo benignamente alle preghiere del
detto Abate e della Comunità dei Frati, a rafforzamento di una più
piena sicurezza, per certa nostra conoscenza, a tenore delle presenti
lettere, ratifichiamo, accettiamo, diamo di nuovo in perpetuo e confermiamo le sopraddette immunità, libertà e grazie e tutti gli altri beni,
sopra esposti, fatti ed elargiti alla stessa Chiesa dai sunnominati
donatori, nella possessione dei quali si trova lo stesso Monastero al
presente e secondo il tenore delle lettere e dei detti privilegi dei donatori.
Diamo, inoltre, e concediamo in perpetuo, in remissione dei nostri peccati e per le anime di santa memoria dei nostri antenati, sugli introiti
e redditi della Dogana della Città di Napoli dodici once d'oro all'anno.
Col tenore delle presenti lettere concediamo, poi, a tutti e ai singoli
nostri Officiali presenti e futuri e alle altre persone a cui spetta o
potrà
spettare in futuro, a qualsiasi titolo chiamati, che sostengano, proteggano, conservino e difendano i Religiosi del detto Monastero o altri che
siano loro rappresentanti, circa il possesso di detti beni e grazie, né
permettano che siano molestati da alcuno o che siano in qualche occasione
disturbati. Se poi qualcuno oserà annullare o, in qualche modo, contraddire queste nostre lettere o il presente scritto, in pena della sua
temerarietà prepari dodici libbre di oro purissimo(113) da dare metà alla
nostra Curia e l'altra metà alla detta Chiesa cui ha arrecato danno, a
meno che non ripari il suo reato entro il termine di trenta giorni e non
renda totale soddisfazione alla detta Chiesa, e il presente privilegio
resti
sempre in tutto il suo vigore. In testimonianza di tutto questo e per il
rafforzamento di detto Monastero e per la sua sicurezza in futuro,
abbiamo comandato che si facesse questo privilegio. Dato a Napoli tramite il Magnifico Giurolo di Napoli, Milite, Logoteta(114), Protonotario
del Regno di Sicilia, Collaterale(115), Consigliere e nostro fedele, nell'anno del Signore 1378, il 10 di maggio, della prima Indizione. Trentesimo
anno dei nostri Regni(116).
Qui di passaggio è da supporre che molti altri privilegi si
siano aggiunti al Monastero del Sagittario sia prima sia dopo la
redazione del privilegio, ora presentato, della Regina Giovanna
I, dei quali la suddetta Regina di Napoli non ha fatto menzione.
Infatti tra gli altri privilegi che ancora sussistono nell'Archivio
del Sagittario e che si salvarono dalle mani degli empi(117), vi è
quello con cui Guglielmo della Marra(118), Milite, Signore delle
Terre di Stigliano, Sant'Arcangelo, Cinapura(119) e Vagnano(120), ad
onore del nome di Dio, per sentimento di carità e in suffragio
delle anime dei suoi antenati, mentre era Abate del Sagittario
Guglielmo, la cui bontà lo faceva degno di grazia maggiore, per
pura sua generosità e per grazia speciale, concesse in perpetuo
e irrevocabilmente al Venerabile Monastero di S. Maria del
Sagittario, cui era legato da spirito di riverenza e onore, che tutti
gli animali delle sue masserie, che avesse e che dovesse avere, di
qualsiasi genere, specie e sesso, potessero, in tutti i territori delle
sue Terre, ad eccezione delle sole difese antiche e riservate alla
sua Curia, servirsi dei pascoli di ghiande, erbe e spighe ed anche
delle acque sicuramente e liberamente, senza prestazione di fida
o di altro qualsiasi diritto; e in essi e in qualsivoglia dei suoi terreni potessero sostare e fermarsi senza alcuna molestia e contrarietà alcuna da parte sua, dei suoi eredi e dei suoi successori, se
e tutte le volte che all'Abate Guglielmo e ai suoi successori piacesse o sembrasse meglio e più utile per il detto Monastero.
Queste e altre cose è possibile vedere più ampiamente nel suo
privilegio originale, firmato proprio dalla mano di Guglielmo(121),
Milite(122). Il privilegio fu redatto in Roccanova(123) nell'anno del
Signore 1369, il giorno primo di settembre, ottava Indizione.
Ma mentre questi benefici e molti altri, soprattutto per i meriti
del Beato Giovanni da Caramola, accrescevano la grandezza dei
Cistercensi, fino a che il Sagittario fu in auge, quando nella
Chiesa di Dio, sotto il pontificato del Papa Urbano VI, scoppiò
lo scisma lungo e pessimo per tutti(124), come altrove abbiamo
detto(125), alcuni dei tanti beni del Sagittario cominciarono a diminuire. Infatti per tutto il tempo in cui il Papa e l'Antipapa, per
esercitare il potere e per attirare facilmente gli uomini a prendere le proprie parti e allettarli alle loro fazioni, dispensavano tutti
i benefici, sottoponendo soprattutto i Monasteri degli Ordini
Regolari, a nuove Commende(126), i Commendatari del Monastero
del Sagittario e quelli che, in quel periodo, furono i loro Agenti
e Procuratori, fino al Pontificato della felice memoria di Papa
Pio IV(127) che governò la Navicella di Pietro dal 26 di dicembre
dell'anno del Signore 1560, fino al giorno 9 dello stesso mese
dell'anno 1565, non si preoccuparono tanto di conservare i beni
e i diritti della Chiesa loro affidata quanto di portare alla totale
distruzione le cose del Sagittario. Per questo i Padri del
Sagittario, non potendo più sopportare la tirannide che su di
loro esercitava Girolamo Virgallito Commendatario, tramite
Giovanni Luigi Virgallito della Terra di Senise, suo procuratore(128), si rivolsero al Romano Pontefice Pio IV, lamentandosi dei
torti che ricevevano; e da lui ebbero un Breve(129) firmato di mano
del Cardinale Ludovico Simonetta alla presenza dello stesso
Santissimo Signore datato a Roma, presso S. Pietro, sotto l'anello del Pescatore(130) il giorno 4 di ottobre 1564, in cui si chiedeva
che il Vescovo di Anglona e il suo Vicario Generale nelle cose
spirituali, dopo aver convocato chi di necessità, esaminasse gli
eccessi contenuti nel libello di supplica e procedesse fino alla
sentenza definitiva e alla sua esecuzione, e facesse che ai Monaci
del Sagittario si assegnasse la separazione della Mensa(131). Era,
allora, Vescovo di Anglona Giovanni Paolo Amanio, di Crema(132),
nobile per molta esperienza di vita ed eminente per autorità e
per dottrina. Aveva preso parte al Concilio Tridentino e vi aveva
apposto la sua firma; era molto caro a Pio IV. I Padri del
Sagittario, tramite il loro Procuratore, il Venerabile Padre Don
Carluccio di Ciminello, di Castelluccio, monaco dello stesso
Monastero, accusarono Giovanni Luigi Virgallito di 44 imputazioni(133); e il predetto Vescovo Giovanni Paolo Amanio lo dichiarò, finalmente, come reo confesso in tutte le accuse imputagli,
con un suo decreto firmato di propria mano e letto e promulgato, mentre la Curia sedeva in tribunale, il giorno 7 del mese di
febbraio del 1565. Ma mentre il Vescovo Giovanni lavora alacremente per punire le colpe di Luigi, l' Abate Commendatorio
Girolamo, pentitosi nel cuore del male, cercò di calmare gli
animi dei Sagittariensi e di blandirli a suo favore. Si arrivò, così,
ad un accordo: si definirono i beni e i diritti per il vitto e il vestito dei Monaci e per le riparazioni degli utensili e del
Monastero(134), e i Sagittariensi si ritirarono dalla causa e deposero l'astio concepito contro il Procuratore Giovanni Luigi, ciò che
egli più di ogni altra cosa aveva desiderato. E lo strumento della
convenzione e della concordia fu confermato da Gregorio XIII,
come altrove abbiamo detto(135). Perché, poi, si sappia quali tenimenti, quali libertà e quali diritti, contenuti nei privilegi sopra
dati e citati, abbia persi nella Contea di Chiaromonte il
Monastero del Sagittario per colpa dei Commendatari, sia lecito
riportare alla lettera la sentenza promulgata da Sebastiano della
cosentino, Regio
Valle, dottore in ambedue i diritti(136),
cosentino, Regio
Commissario deputato per la reintegrazione dello Stato
dell'Illustrissimo ed Eccellentissimo Principe di Bisignano,
Conte di Chiaromonte ecc.(137), la quale, sebbene lunga non
dispiacerà all'attuale
Illustrissimo e Reverendissimo
Commendatario, né sarà nociva ai Signori Padri del Sagittario,
né ingrata allo studioso e al lettore curioso. Ecco il testo(138).
Al tergo(139): Sentenza del Reverendo Abate del Sagittario.
Nell'interno Nel Nome dei Signore nostro Gesù Cristo. Amen.
Nell'anno della Natività del Signore 1546, Regnando i Serenissimi e
Cattolici(140) Signori nostri i Signori Carlo V Imperatore dei Romani
sempre Augusto re di Germania(141), Giovanna(142) madre e lo stesso Carlo
suo figlio, per grazia di Dio re di Castiglia, di Aragona, delle due
Sicilie, di Gerusalemme ecc. il 27 del mese di maggio, della quarta
Indizione. Nel Castello o Palazzo dell'Illustrissimo Principe di
Bisignano nella Terra di Senise(143) presso la strada pubblica all'intorno(144). Noi Sebastiano della Valle, dottore in ambedue i diritti,
Commissario d'Ordine delle Sacre e Cattoliche Maestà(145), tramite 1'Ill.
Signore Vicerè del Regno(146), deputato per la reintegrazione dello
Stato(147) dell'Ill. Signore il Principe di Bisignano, come si vede dalle lettere sottoriportate della nostra Commissione del predetto Ill. Signore
il
Vicerè del Regno con inserita la copia delle lettere Commissionali delle
Sac. e Ces. Catt.(148) Maestà spedite sotto la data 15 dicembre 1543 nel
Castelnuovo di Napoli(149), e da altre lettere del predetto Ill. Signore
il
Vicerè del Regno, anch'esse con inserita la copia delle lettere
Commissionali delle Sac. Ces. e Catt. Maestà spedite in data 4 dicembre 1545 nel Castelnuovo di Napoli, impresse al tergo con i soliti
sigilli regali e avvalorate, le stesse lettere di Commissione, con altre
sottoscrizioni. (Sulla sentenza che si ebbe circa la reintegrazione dei beni
del
Principe di Bisignano si hanno le lettere commissionali precitate del
Vicerè del Regno con acclusa la copia della lettera di Carlo V data
nella
città della Specia(150) il 27 sett. 1541, nella quale lettera di Carlo V è
contenuta tutta la potestà del Regio Commissario reintegratore; ma per
quanto riguardava i possessori di beni nello Stato del Principe di
Bisignano, Carlo V aggiunge espressamente questa precisazione: Che
la potestà dei Commissari non comprenda quei beni che nello spazio di
trent'anni e con l'assenso regio furono alienati dal detto Stato e dalle
sue Terre; su di queste si proceda per via ordinaria innanzi ai giudici
competenti, senza che si voglia in alcun modo tentare il contrario, se
si
vuole il compiacimento dell'Illustre Vicere(151) ed evitare, oltre all'incorrere nella nostra ira ed indignazione, la pena di mille ducati d'oro,
ecc.
- Ho letto la predetta lettera commissionale nelle platee(152), e negli
inventari autentici di Chiaromonte e di Senise e nel Grande
Archivio della Regia Camera(153), - Sedendo noi in tribunale(154) ed
essendo tra noi l'egregio Mattia de Lando, Notaio degli atti del detto
reintegratore e rappresentando la Curia(155), diciamo, facciamo noto e
dichiariamo che, essendoci noi recati, secondo la nostra lettera commissionale, nella Terra di Chiaromonte per la reintegra da fare nella
detta Terra, fu emanato per nostro ordine, un editto circa la descrizione e l'inventario dei beni feudali e demaniali(156), dei diritti e delle
giurisdizioni che il detto Illustrissimo Signore Principe ha e pretende di
avere in detta Terra e nelle sue pertinenze e distretti, con inserita la
forma della petizione degli stessi beni e diritti, presentata tramite il
magnifico Procuratore del detto Illustrissimo Principe in cui chiedeva
che tutti i feudi che gli appartenevano, i territori e i diritti tenuti
da
qualsiasi persona, anche da ecclesiastici, nella detta Terra di
Chiaromonte, fossero, come indebitamente da loro tenuti e posseduti,
reintegrati e uniti alla mensa feudale(157) di detto Illustrissimo
Principe.
Per il quale editto, essendo stati citati, secondo il solito, il
Sindico(158) gli
Eletti dell'Università(159) e gli uomini della Terra i Feudatari e tutti
gli
altri che avessero avuto motivo di essere presenti a quanto sopra detto,
comparve fra gli altri il Magnifico e Reverendo Giovannello Virgallito
Abate Commendatario della Venerabile Chiesa di Santa Maria del
Sagittario, e disse che lui e gli altri Abati suoi predecessori avevano
tenuto e posseduto e al presente ancora tenevano e possedevano i beni
infrascritti i diritti e le immunità, e di essi e di ognuno di loro aver
goduto in forza di amplissimi privilegi concessi alla detta Venerabile
Chiesa da parte di Principi per il passato, e per tanto tempo che in
contrario non c'è ricordo di uomini(160); e prima di tutto un comprensorio di
terre posto nel territorio di Chiaromonte in contrada di Arimentana,
che comincia dal muro vecchio e con i suoi confini va fino alla fronte
che tende alla Valle di Laino e alla Conca del Ventrile, e, di cresta in
cresta, fino alla Pietra di Faraco, che(161) è presso il fiume Frido e
discende per lo stesso fiume fino alla metà del piano, ove si riunisce con il
primo confine dalla parte di oriente: con diritto di pascolo con le proprietà, i diritti, le azioni, le prerogative, i terraggi, e le sue
pertinenze,
franco da ogni imposta. Così ancora due altri fondi coltivati: uno V3(162)
sito nella contrada che si chiama Corrari o Grottola , limitata dai confini qui descritti: V3 comincia dalla Pietra di Faraco che è presso il
fiume Frido(163) e discende per lo stesso fiume fino alla tartarea(164), e
poi
discende alla detta Pietra di Faraco. L'altra terra coltivata è nel
luogo
del Martineo, ora è detto della Palombara(165),
come inizia dal fiume
Sinni e sale per un vallone che è detto di Cusino e sale per lo stesso
vallone fino al fronte che è sopra la stessa via, e discende per questo fronte fino al fiume Frido e seguendo questo fiume scende fino al fiume
Sinni dove ci sono anche due mulini(166) che appartengono alla stessa
Chiesa con una serra(167) e battinderi(168), con i diritti e tutte le sue pertinenze, con esenzione da imposte. Inoltre due altri mulini con terre
tutto intorno al di qua del fiume Sinni, nella contrada di Carroso,
presso la conduttura dell'acqua andando su fino alla petraia del Sinni(169), e
proprio ai piedi del vallone della Grancia discende, seguendo lo stesso
fiume fino alla conduttura vecchia, e seguendo questa, in alto, esce
sulla via che conduce al mulino presso le terre della Certosa di S.
Nicola(170) con tutte le sue pertinenze e franca. Così il luogo in cui è
Sita
la detta Chiesa con un vastissimo tenimento, così comincia: V3 dalla
parte occidentale e meridionale, la serra che è detta di Imbriacolosa, e
va per quella serra al piano che è detto Piazzamano fino al vallone
denominato del Turno e scende per quel vallone fino al fiume Frido e
poi sale seguendo questo fiume fino al vallone che si chiama Calcinaro
e per questo vallone fino alla già detta serra della Imbriacolosa; e
questa è la conclusione dei confini da ogni parte. E questo tenimento di
detta Chiesa è franco, libero ed esente, con i diritti, le
giurisdizioni, le
azioni, le prerogative, le quarterie, le rappresaglie, e tutte le altre
proprie pertinenze, con la pena di dodici once d'oro da pagare da parte di
chiunque entri in detto territorio senza il permesso del Reverendo
Abate di detta Chiesa, con la giurisdizione civile e criminale(171) e la
cognizione delle cause civili, criminali e miste(172) V3 dal giorno 13 del
mese di agosto, fino a tutto il giorno 16 dello stesso mese nei riguardi
di chi ivi arrivasse o di chi vi si trovasse.(173) Allo stesso modo il tenimento del Sicileo che è un territorio di per sè separato dal territorio
di
Chiaromonte e dagli altri territori, presso il fiume Sinni, il Vallone
di
Mineo e il vallone del Rubio. Ha origine con il Rubio e sale per lo
stesso piano di Luparelli e di San Nicola di Diacono, sale per l'antro dei
Volgari e arriva alla via trasversale che va a Noha ed esce per la
tartarea, la quale passa per la via della Chiesa di Sant'Elena(174), che va per
la
terra di Curtelli(175) e ritorna al Vallone che si chiama Scannagatta da
dove ritorna al Vallone di Mineo e a metà dello stesso vallone arriva al
fiume Sinni. In questo tenimento vi è una difesa della stessa Chiesa dai
confini che qui vengono delimitati. Dalla parte orientale vi è il
vallone
del Sicileo e per questo stesso vallone sale su per la cresta della
serra
detta di Santa Ginapura; dalla parte meridionale si volta verso il canale del Rubio e scendendo per il predetto canale si arriva fino al fiume
Sinni, salendo, poi per il predetto fiume, al predetto vallone del
Sicileo.
La difesa è libera(176) e quieta e senza alcuna molestia da parte di nessuno, confida e diffida, carnaggi, rappresaglie e tutti gli altri
diritti(177) e
sotto pena di dodici once d'oro da pagare nel modo e nella forma già
detta, con giurisdizione e cognizione delle cause civili, criminali e
miste; e per quanto riguarda i cittadini e gli abitanti che, per caso,
volessero riunirsi per dimorare nel detto territorio del Sicileo
potranno
agire secondo la forma dei privilegi e non in altro modo. Così il
diritto
di proibire la costruzione di mulini nel territorio di Chiaromonte e di
riparare i vecchi; cioè che nessuno può nel detto territorio della Terra
di Chiaromonte e nel suo distretto e pertinenze costruire nuovi mulini né riparare i vecchi in danno della detta Chiesa. Così il diritto di
pascolo per gli animali della detta Chiesa, e dei suoi Oblati nel
Demanio della Contea di Chiaromonte e della terra di Senise senza
alcun impedimento(178). Lo stesso per l'oliveto e l'orto della stessa
Chiesa
con gli altri alberi da frutta nella contrada di San Cristoforo, che
confina a oriente, occidente e mezzogiorno con le vie pubbliche e dalla
parte di settentrione con l'orto della Chiesa di San Leonardo, con terraggi e frutti, franco e libero, così un pezzo di terra della detta
Chiesa
in contrada di Maiolongo o Fontanella, franco e libero che confina a
settentrione con la vigna di Giovanni di Arbio ad occidente con una
vigna della detta Chiesa di Santa Maria quali tenino a decima, Linardo
de Cliento e Vincenzo Rosata(179). Così nella contrada Mancluso, un
pezzo di terra segnato da questi confini: dalla parte di mezzogiorno con
il fiume Sinni salendo su per il Vallone di Cavallano, per questa valle
fino alle Terre che al presente tiene Todaro di Todaro, che sono della
Corte, esce salendo alla cresta delle terre del feudo de lo Cannito o di
Latonia, come scende l'acqua verso oriente(180) e per la detta cresta
discende al predetto fiume e finisce. Così ancora nella contrada del
Ponte una vigna con alcuni vignali(181) limitati da questi confini, V3
dalla parte di occidente, con la via pubblica, dalla parte del
mezzogiorno con la vigna di Antonello di Maestro Cecco, dalla parte di oriente
con la vigna di Giovanni Maria Virgallito, vigna che fu già del Notaio
Ugone di Motta. Ancora una vigna nella contrada del Gafaro(182), con
alcuni altri alberi di ulivi, delimitata con questi confini, V 3. dalla
parte occidentale con l'uliveto di Giacomo Antonio Virgalitto e con la
via pubblica, dalla parte di mezzogiorno con le terre di Battista di
Diambra dalla parte dell'oriente con le terre di San Nicola della
Certosa, con l'oliveto dell'Ospizio(183) e con le terre di Agostino
Gallarati, inoltre due vigne nella contrada di Maldenaro, con alcuni
vignali e terre tutt'intorno, con molti alberi, delimitate ad oriente
dalla
via pubblica, dalla parte di borea con il Vignale degli eredi di Tommaso
de Grazia e la via pubblica, a mezzogiorno con la vigna di Elia Grosso,
e con altri confini. Similmente un pezzo di terra in contrada de li
Manchi che confina a mezzogiorno con la via pubblica, a oriente con il
Vallonello(184) e con le terre della Chiesa della Trinità di Senise(185), ad occidente con le terre di S. Giovanni di Chiaromonte, e altri confini.
Ancora un oliveto con altri alberi nella contrada della Grutta de l'acqua limitato dai seguenti confini, V3. a mezzogiorno e a oriente con
un orto e un oliveto del Notaio Iannuccio Virgallito e Agostino
Gallarati, a settentrione la via pubblica, a occidente le terre e gli
ortali
e con l'oliveto di Pietro Antonio e Giovanni Luigi Virgallito e a borea
con l'ortale del Notaio Iannuccio Virgallito. Ancora una vigna con
alcuni vignali e terre vuote nella contrada Corace, delimitati da questi
confini: dalla parte d'oriente la via pubblica per la quale si va al
mulino, dalla parte di borea la via pubblica a occidente con la vigna di
Carlo
Barisano, a mezzogiorno con la vigna che fu di Cataldo di San
Martino, e con altri confini. Inoltre una serra di acqua della detta
Chiesa, adatta a chiudere le tavole(186) nella contrada de li Suaze,
presso
il vallone di Turno e lo iazzo(187) de la Puma. E altri confini, con il
censo
annuo di cinque carlini(188) da pagare alla Curia principale. Inoltre la
giurisdizione civile, criminale e mista, e il mero e misto imperio sui
vassalli, i familiari, gli oblati e gli inservienti della detta Chiesa
di
Santa Maria e al suo Abate o Commedatario(189). Così anche il diritto di
proibire la pesca nella corrente del Frido, cominciando dal vallone de
lo
Turno fino alla pescheria del fiume. Così anche le immunità degli
scandagi(190) V 3. circa gli animali della masseria o dei buoi comprati
per
uso della masseria, non solo il diritto di scandagio ma l'immunità del
plateatico(191). Inoltre un trappeto per le olive in contrada Santa Sofia
presso la detta Chiesa, con in mezzo un viottolo(192) e la via pubblica.
Così pure un comprensorio di terre nel territorio di Senise con redditi
e altri beni, come è contenuto in un 'altra esposizione presentata circa
i
beni siti nella Terra di Senise. Così anche la detta Chiesa di Santa
Maria del Sagittario ha il diritto che nello spazio fra il Monastero e
le
Grance nessuno può arrestare alcuna persona per nessun motivo,
anche criminale(193). Possiede, inoltre, nella contrada de lo Casale un
Vignale che tiene Don Antonello Coppola con il reddito di quindici
grani, delimitato da questi confini: dalla parte di Borea con il detto
Antonello Coppola, ad occidente con Riccardo di Alfano, a mezzogiorno e ad oriente con le vie pubbliche. E ancora tiene due vie contigue
nella contrada Corace limitate da questi confini V 3. ad oriente con la
via pubblica, a mezzogiorno con la vigna che tiene Martino de Salvo,
che è della Certosa di S. Nicola, ad occidente con la vigna di Eleonora
Virgallita(194) e con quella di Don Leonardo Perpignano, dalla parte di
Borea con la vigna della stessa Magnifica Eleonora, a reddito annuo e
con il censo di undici carlini. Ancora nella contrada dell'Oliveto(195)
o
di
Minieri la detta Chiesa tiene due vignali(196) con alcuni piedi di
olive(197)
e di sicomori(198),
e altri frutti; e racchiusi in questi confini, V 3. Dalla
parte di mezzogiorno con la vigna di Salerno da Rotonda, dalle altre
parti con le vie pubbliche. Il detto Reverendo Signore Abate, a nome del
predetto Monastero di Santa Maria del Sagittario, tiene nella terra di
Senise, i beni descritti qui sotto, redditi o censi, V 3. un pezzo di
terra
in contrada di Borrello o della Vena(199), delimitato da questi confini,
V 3. Dalla parte di Borea con il fiume Serrapotamo e dallo stesso fiume
sale per la vecchia via con cui si andava a Chiaromonte, e discende
all'Ogliastra e scendendo per la via con cui ora si va da Chiaromonte a
Senise e attraversando dalla parte del mezzogiorno esce alle Terre che
ora tiene Felice di Paolino, e con la vigna di Girolamo d'Elia, ed esce
al
fiume Serapotamo, primo confine. Così un uliveto in contrada
Fontanelle(200), contiguo con Scipione Cotugno(201), la vigna di S.
Francesco(202), la via pubblica. Inoltre due casaleni(203) nella contrada di
Santa Maria presso la casa di Sant'Elia(204), con la via pubblica a occidente e un viottolo nel mezzo. Il nobile Scipione e Vittorio Cotugno,
per una casa in contrada de la Piazza(205) e per un'altra casa nella contrada di San Francesco sono tenuti a pagare tre tareni e diciassette
grana; Mata di Sant'Arcangelo, per una casa in contrada San Michele
due tareni e dieci grana. La magnifica Vincenza di San Donato, per
una casa nella contrada di Santa Croce é tenuta a pagare tre grana.
Nicola La Camera, per un casa nella contrada di San Michele, e per
una grotta nella contrada del Portello(206) è tenuta a pagare un tareno e
quindici grana. Francesco di Napoleone è tenuto a pagare per una grotta nella contrada di San Michele , tre grana. Luciano di Paolino per
una casa nella stessa contrada è tenuto a pagare dieci grana. Il notaio
Francesco di Colantonio, per una vigna nella contrada della Sauza(207) e
per un'altra partita comprata dagli eredi di Nardo di Stratella, è
tenuto a pagare un tareno e diciassete grana e mezzo. Pietro di Troya, per
un oliveto nella contrada della Guardia è tenuto a pagare undici grana.
Il notaio Polidoro d'Afflitto per una vigna nella contrada della Serra
della Guardia è tenuto a pagare, come sopra, un tareno. Antonello
d'Elia per una vigna in contrada della Sauza è tenuto a pagare un
tareno e cinquanta grana. Nicola de Mero per una vigna in contrada
della Sauza è tenuto a pagare sei grana. Don Colicchia la Mendora per
un oliveto nella stessa contrada è tenuto a pagare sette grana. L'erede
del notaio Luigi Marino(208) per una vigna nella stessa contrada è tenuto a pagare nove grana. L'erede di Giovanni Oride per una vigna nella
contrada di Sauza è tenuto a pagare otto grana. Cataldo Focarazo(209) per
un oliveto nella stessa contrada è tenuto a pagare dieci grana e mezzo.
Creusa di Iannicco è tenuta a pagare cinque grana per una vigna nella
stessa contrada. Don Giovanni Carlo Crocco(210) per una vigna nella
contrada Sant'Acqua è tenuto a pagare dieci grana. Nardo Libro per
una vigna in contrada della Sauza è tenuto a pagare diciassette grana e
mezzo. Antonio Boi, per una vigna che fu di Salerno de Vicario in contrada de lo Caraculo è tenuto a pagare due grana. L'erede di Vincenzo
di Paolino per una vigna in contrada della Sauza è tenuto a pagare tre
tareni e dieci grana, e per un'altra vigna nella stessa contada quindici
grana. Luciano di Paolino per una casa nella contrada di San Michele
è tenuto a pagare un tareno. Don Nicola Giacomo Missanello per una
vigna nella detta contrada è tenuto a pagare dieci grana. L'erede di
Zamorro per una vigna nella stessa contrada è tenuto a pagare cinque
grana. Don Nicola de la Mendolara(211) per una vigna nella contrada
della Sauza è tenuto a pagare due menzanelle(212) e mezzo di mosto.
L'erede del notaio Loise Marino per una vigna nella stessa contrada è
tenuto a dare sei mezzanelle di vino mosto. Nicola Daniele nella stes-sa contrada è tenuto a pagare otto grana. Gli eredi di Pianella de
Giorgio per la vigna nella contrada della Sauza quindici grana. Gli
eredi di Giovanni Francesco de Vito per la grotta nella contrada di
Santa Caterina(213) sono tenuti a pagare sei grana. Gli eredi del notaio
Giliberto Marino per l'oliveto nella contrada di San Pietro sono tenuti a pagare un grano. Il maestro Giovanni Paolo Gangarella per la casa
nella contrada di Santra Maria del Presbiterato è tenuto a pagare un
tareno. Tuzio Rufolo per la vigna in contrada di la Vena(214) è tenuto a
pagare sei grana. Gli eredi di Colangelo de Marino per la vigna nella
contrada di San Giovanni della Serra sono tenuti a pagare sette grana.
Nardo Angelo di Mastro Grasso(215) per la vigna nella contrada di
Tainale è tenuto a pagare un grano. L'erede di Vincenzo di Paolino per
la vigna nella contrada de li Sauzi(216), è tenuto a dare mezza libbra di
cera(217). Don Vincenzo Severo, per la casa nella contrada de la Piazza, è
tenuto a dare mezza libbra di cera, Aquila del Rubio, per la vigna nella
contrada delle Sauze, è tenuto a pagare cinque mezzanelle di vino
mosto. Bernardino de Monte, per una vigna nella stessa contrada è
tenuto a dare mezza mezzanella di vino mosto. Rinaldo de Turcio per
la vigna nella stessa contrada è tenuto a dare due mezzanelle e un terzo
di vino mosto. Inoltre un pezzo di terra nella contrada di lo Pinno di
la Mandica(218) delimitata dai seguenti confini: con la fornace, con il
notaio Giovanni di Noya e la via pubblica, e con i beni del nobile Marco
del notaio Ruggiero e la via per la quale si va al foro(219), e con i beni
degli
eredi di Angelo Imperito e con i beni della Trinità. I mulini nella contrada Embolo o Picocco o di Trubolo, con il terreno tutto intorno e
presso le vigne che tiene don Nicola Giacomo de Missanello al censo in
enfiteusi(220) di un carlino all'anno, e presso la vigna di Nardo di
Durante, che tiene al censo in enfiteusi di cinque grana all'anno, e
presso la vigna di Colella de Rocca, che tiene, come sopra per cinque
grana, e vicino alla vigna del notaio Daniele, che tiene, come sopra, a
otto grana, presso le possessioni della Trinità di Senise(221) e la via
pubblica dalla parte orientale e, dalla parte di borea, la via pubblica.
Fu,
inoltre, espressamente detto che se di alcuni beni, giurisdizioni,
diritti,
immunità non si fosse parlato nella presente sentenza,si possa intentare su di essi azione giudiziaria per poterli ricuperare da qualsiasi
persona li tenesse indebitamente. E dopo che da una parte e dall'altra
furono fatte alcune repliche, esaminati i testimoni, presentati i privilegi
e
le scritture, dopo aver esposto legittimamente ogni cosa, fummo, finalmente, da parte del detto Magnifico e Reverendo Abate, richiesti, con
la dovuta istanza, che dovessimo procedere all'espedizione della causa
e alla emissione della sentenza. Perciò noi sopra indicati, viste le
petizioni, le deposizioni dei testi, i privilegi e le scritture e discusse e
considerate tutte le altre cose dedotte nel processo, mossi nella mente da
degni motivi, dopo aver ripetuto il nome di Cristo e della Madre
Gloriosa da cui procedono i retti giudizi e per cui gli occhi dei giusti
guardano la verità(222), diciamo, dichiariamo e definitivamente sentenziamo che il predetto Magnifico Reverendo Giovannello(223) e l'Abate(224)
dalla detta venerabile Chiesa di Santa Maria del Sagittario dovrà essere ed è assolto e liberato, come con questa definitiva sentenza lo
assolviamo e liberiamo, dall'imposizione del detto Magnifico Procuratore
dell'Illustrissimo Principe, e, i detti beni, redditi, censi, diritti,
giurisdizioni, franchigie, immunità e tutte le altre cose, una per una elencate e descritte, sono spettate e appartenute e al presente spettano e
appartengono alla detta Chiesa e al predetto suo Reverendo Abate, e la
detta Chiesa e colui che ne sarà l'Abate nel tempo, abbia, e nel futuro
possa avere i beni franchi(225), gli allodiali(226) e i burgensatici(227),
liberi ed
esenti da ogni onere di servitù o di censo, ad eccezione della detta
Serra
nella detta contrada delli Sauzi, che appartiene alle rendite della
Corte
del Principe della detta Terra di Chiaromonte per cinque carlini all'anno; e che di tutti questi beni possa disporre come di beni allodiali,
franchi e burgensatici della stessa Chiesa. Riservando anche alla predetta
Chiesa, al suo Abate presente e a chi lo sarà nel futuro, a nome della
stessa Chiesa, il diritto di agire contro chi indebitamente volesse
usurpare i beni e gli altri diritti della stessa Chiesa. Con la presente
sentenza vogliamo che nel futuro non sia arrecato alcun pregiudizio alle
altre immunità esposte dal detto Reverendo Abate e spettanti alla detta
Chiesa. Proclamando questa sentenza in questi scritti, in tal forma,
vogliamo che abbia valore nel modo più completo. Sebastiano sopra
nominato, Regio Commissario. Questa sentenza fu letta, presentata ed
esposta il giorno predetto 27 del mese di maggio, della quarta
Indizione, 1546, nel castello o Palazzo prèdetto. Presenti Giacomo
d'Amato di Senise, giudice per i contratti,
il Signor Francesco
Strambo, il Diacono Aurelio de la Rocca, il nobile Antonello
Sanseverino, il Magnifico Marco de Roya, il nobile Marco Antonio
Virgallito di Chiaromonte e l'egregio Camillo de Presbiteris di
Cosenza, presente il Magnifico Giovanni Antonio Lignito, procuratore del detto Illustrissimo Principe che ascoltò la detta sentenza, e
presente il detto Reverendo Abate Giovannello Virgallito, Abate e
Commendatario del detto Monastero e della Chiesa di Santa Maria del
Sagittario, il quale per quanto riguarda se stesso e la detta Chiesa
loda
e accetta la presente sentenza.(228)
Ma l'uomo di Dio Giovanni da Caramola(229) profetò molte
altre cose che non sono scritte nel suo Ufficio(230) e fece tanto progresso nel dono della profezia da essere paragonato nella festa
della Chiesa del Sagittario,(231) a Isaia, a David, a Geremia, Profeti
della legge antica.(232)
Note
1. Nota marginale dell'Autore: Vedi il privilegio Miseratione ecc. nella
Vita del Beato
Gioacchino Abate Florense, c. 15, pg. 35E. Ferdinando della Marra Duca
di Guardia nella
sua opera sulle famiglie estinte ecc. Napoli, stamp. nell'anno 1641.
Sulla famiglia
Tricarico pg. 308 ecc. 414. L' Autore prima ha citato se stesso, poi uno
storico noto
del suo tempo.
2. Veramente Carlo Magno non era re dei Galli, ma dei Franchi, una tribù
germanica
che occupando stabilmente l'antica Gallia ne aveva mutato il nome in
Francia.
3. Giacomo Sanseverino era figlio di Tommaso II Sanseverino, Conte di
Marsico, e di
Sveva di Tricarico, dalla quale aveva ereditato il titolo di Conte di
Tricarico; era
nato tra il 1302 e il 1303.
Non si sa la data di nascita di Margherita, sulla cui età al tempo della
storia che qui
viene narrata, cfr. Bastanzio, o. c. pg. 8 sg e Percoco o. c. pg. 50.
4. Targisio, con il fratello Angerio (che fu il capostipite dei
Filangieri) venne in Italia
nel 1045 al seguito di Roberto il Guiscardo.
5. E' Sanseverino presso Salerno; di qui prese il nome la famiglia che
poi si disse sempre dei Sanseverino. Fu una delle case più potenti in Italia ed ebbe
personaggi
importanti in ogni campo. Ebbe il possesso di oltre trecento feudi.
6. Ugo di Chiaromonte, figlio del Conte Giacomo e fratello di Margherita
era morto
senza eredi, nel 1319. Un'altra figlia di Giacomo, Odolina, aveva
sposato Diego
della Ratta, conte di Caserta.
7. Il primo dei notai nell'amministrazione del Regno.
8. E' Luigi I D'Angiò che, ostaggio a Londra nel 1360, riuscì a fuggire
nel 1363 e sconfisse varie volte gli Inglesi. Ebbe vita avventurosa. Adottato da
Giovanna II, fu re
di Napoli e conte di Provenza, ma dovette affrontare Carlo di Durazzo al
quale
Papa Urbano VI aveva dato l'investitura di Napoli. Sconfitto dal suo
avversario,
Luigi morì a Bari nel 1384.
9. Bartolomeo Prignano, già arcivescovo di Acerenza; papa dal 1378 al
1389. Inviso
per la sua durezza, gli fu opposto dai Cardinali francesi, un antipapa,
Roberto di
Ginevra che prese il nome di Clemente VII, il quale, ritiratosi ad
Avignone, diede
origine al grande Scisma d'Occidente, che durò dal 1378 al 1417.
10. In opposizione a Giovanna II di Napoli, che aveva aderito
all'antipapa, Urbano VI
diede l'investitura di Napoli a Carlo di Durazzo. Con questo nuovo Re,
che era
stato incoronato a Roma il 12 giugno del 1381, il Papa andò prima ad
Aversa poi
a Nocera (1384) dove presto si guastò con lui, tanto che arrivò a
scomunicarlo. Il
Re prima lo tenne assediato in Nocera, poi dovette desistere, perché
arrivò nella
zona una flotta genovese in aiuto del Papa. Forse Tommaso Sanseverino è
qui
ricordato, nientemeno che come liberatore del Pontefice, solo perché si
dichiarò a
suo favore e perché dovette essere a fianco dei Genovesi nella
liberazione del
Papa.
11. Il nome è di chiara origine bizantina e significa tre volte santo.
Antico centro abitato sul versante ionico presso Rotondella, scomparve, con ogni
probabilità, nel
corso del secolo XV.
Ad avvalorare tutte queste notizie l'Autore mette una nota marginale, in
cui cita
capitoli particolari, riguardanti i Sanseverino, di opere storiche che
dovevano,
allora, essere piuttosto note nel mondo degli studiosi. Ecco la nota:
Scipione
Ammirato, quando parla della famiglia Sanseverino, cap. di Giacomo Conte
di Tricarico
primo fol. 25. Filiberto Campano nel libro sulle origini dei Nobili,
cap. dei Conti di
Tricarico, fol. 97. D. Camillo Tutini Napoletano, sulla mutabilità della
Fortuna, pg 9, e si
ha in calce alla sua opera sull'Origine e sulla Fondazione dei Seggi di
Napoli.
12. E' Ladislao d'Angiò Durazzo; figlio di Carlo III, successe al padre
nel 1386, ma
poté prendere possesso del Regno solo nel 1400, dopo aver vinto Luigi II
degli
Angioini di Francia. Ambiziosissimo, tentò di estendere il suo dominio
all'Italia
centrale e ambì persino alla corona imperiale. Represse con terribile
durezza e crudeltà le rivolte dei Sanseverino, alcuni dei quali fece strangolare nel
Maschio
Angioino, dandone poi il cadavere in pasto ai cani. Sconfitto a
Roccasecca nel
1411, seppe riconquistare le posizioni perdute, ma quando stava per
riprendere la
lotta, fu stroncato dalla morte a 38 anni. Fu detto, chi sa perché,
Magnanimo. Gli
successe la sorella Giovanna II. Il suo bel monumento funebre si ammira
nella
chiesa napoletana di San Giovanni a Carbonara. Una pregevole monografia
su
Ladislao è quella di A. Cutolo: Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Napoli
1969.
13. Questi titoli non sono tutti reali, ma molti di pretesa: sono,
infatti, i titoli ereditati
dagli Angioini o quelli di terre che, conquistate una volta, si
consideravano proprie anche se perdute. Ladislao in questo diploma cita anche i titoli
che appartenevano a Sigismondo di Brandeburgo, imperatore, che, infatti, li usava
(Ungheria,
Dalmazia, ecc.) nei suoi diplomi.
14. Corrispondeva, più o meno, all'attuale provincia di Salerno.
15. Che sapevano, cioè, leggere e scrivere.
16. Il termine strumento dal latino instrumentum, nel significato di
atto notarile era
usato comunemente nell'italiano antico (lo usa anche il Boccaccio) ed è
rimasto
per secoli nei dialetti del Meridione d'Italia.
17. Archimandrita di Carbone, nel 1406, sembra che fosse un Giacomo II,
che governò dal 1404 al 1430. Cfr., in proposito, L. Branco, La storia del
Monastero di
Carbone..., Venosa 1998, pg 103, 137.
18. Si tratta, certamente, di una piantagione di cotone (bambace o
bambagia).
Importato in Sicilia dagli Arabi prima dell'anno 1000, il cotone era
comunemente
coltivato in tutta l'Italia Meridionale.
19. Non s'è, in verità, parlato di alcuna via.
20. Certamente non è un nome proprio, perché il testo, che pure abbonda
nell'uso
delle maiuscole, qui dice semplicemente bel monte.
21. Così nel testo: che cos'è?
22. Per serra serra si intende di collina in collina; Massa degli orbi
è, certamente, il
nome, proprio di qualche luogo particolare, perché qui è usata la M
maiuscola.
23. Bollita cambiò il nome in Nova Siri con R. D. 6-3-1872.
24. Mediante l'anello si imprimeva su un documento il sigillo di
autenticazione: il
plico, infatti, veniva chiuso (sigillato) con una sostanza (per lo più
cera o piombo)
su cui restava impresso il segno di autenticazione.
25. Si noti l'insistenza nel determinare con la massima precisione la
completa e totale
proprietà dei beni di cui si tratta, così come prima si sono determinati
i confini e
come dopo si specificheranno i vari modi di esercizio delle competenze
giuridiche
della proprietà stessa: segno che facilmente, come del resto sempre è
avvenuto, si
ricorreva ai cavilli per inficiare i titoli di possesso, soprattutto
quando si trattava
di beni ecclesiastici che da un Signore venivano dati e da un altro
venivano tolti.
26. Far pascolare, dietro pagamento di un canone, gli animali in una
zona determinata.
27. Terratico e plateatico erano, di per sé, una tassa sull'uso del
suolo; qui si intende una
forma particolare di affidamento del suolo per usi vari, ovviamente
sempre legati all'ambiente agricolo-pastorale del tempo.
28. E' la coltivazione di un terreno a rotazione di quattro anni col
primo anno a riposo.
29. Sta, forse, per scagghiaggio, che indica, nella vagliatura del
grano, la mondiglia che
resta nel vaglio, cioè le piccole scaglie (donde il nome) le bucce del
grano.
30. Si capisce facilmente che avevano una grande importanza non solo per
le povere
necessità domestiche del tempo e per l'irrigazione dei campi, ma anche
per le piccole industrie allora in uso: molini, gualchiere, ecc.
31. Era cosa abituale, nelle antiche formule notarili, minacciare, per i
trasgressori, oltre
alla pena pecuniaria, l'indignazione del Re.
32. Era un disegnetto geometrico particolare, diverso per ogni notaio e
ripetuto in
tutti i suoi documenti sempre identico, perciò qui è detto solito segno:
sostituiva,
in qualche modo, il timbro a secco di tanti documenti dei secoli
posteriori.
33. Nell'antico Regno di Napoli
c'era un Montorio in Abruzzo, attuale
Montorio al
Vomano, in provincia di Teramo, e uno nel Molise, attuale Montorio nei
Frentani
(Campobasso).
34. I baiuli furono nell'antico regno meridionale, nei vari periodi,
esattori, giudici o,
più genericamente, pubblici ufficiali con attribuzioni e cariche
diverse.
35. Da intendere, con ogni probabilità, come componenti la commissione
invitata a
giudicare sulle varie questioni.
36. Così detti, certamente, perché capaci di leggere e scrivere, cosa
molto rara in quei
tempi.
37. Felice memoria, buona memoria sono espressioni ancora in uso tra gli
anziani nei
paesi del Meridione, e certamente erano in uso quando il de Lauro
scriveva, perciò le cita: il latino classico, infatti, per indicare il defunto citava
solo il nome preceduto da quondam, cioè il fu.
38. II solito periodo lunghissimo (e, per questo, non sempre nel testo
originale, del
tutto chiaro) che per non dar adito ad alcun dubbio circa la legittimità
delle posizioni del Monastero ripete cose già dette e ridette.
39. Giovanna I d'Angiò salì sul trono di Napoli a 17 anni, alla morte
del nonno
Roberto nel 1343. Ebbe vita travagliata e turbolenta e finì tragicamente
nella notte
tra il 27 e 28 luglio del 1382, soffocata con un cuscino di piume. Come
discendente diretta degli Angioini, era anche contessa di
Provenza e, come tale, vendette a
Papa Clemente VI la città di Avignone al prezzo di 80.000 fiorini. La sua
figura divenne, nei secoli, argomento di molte leggende non solo nell'Italia
Meridionale, ma
anche in Provenza, ove La Reino Jano fu celebrata da F. Mistral in una
tragedia in
lingua provenzale.
40. I mulini, tutti su corsi d'acqua nel Meridione d'Italia, e mossi
dalla corrente, erano
particolari strumenti di ricchezza e sottoposti a particolari controlli.
Ce n'erano
molti sparsi lungo i torrenti, nelle campagne e sono durati per secoli;
ancora oggi,
qua e là, se ne vedono i resti.
41. Cioè di Chiaromonte e di Senise.
42. Il testo dice Calabra, ma è uno dei nomi con cui veniva indicata
Calvera.
43.
Nota marginale dell'Autore: Dall'Archivio dello stesso monastero.
44.
E' Carlo di Durazzo, pronipote di Carlo II d'Angiò, che era stato
adottato dalla
Regina Giovanna, contro la quale, tuttavia, si ribellò per istigazione
di Urbano VI,
che lo incoronò re di Napoli nel giugno del 1381 (perciò nel documento
riportato,
che è del 1383, risulta al terzo anno di regno). Fece uccidere Giovanna,
che aveva
ceduto i suoi diritti a Luigi d'Angiò. Chiamato nel 1385 al trono
d'Ungheria, fu
ucciso in una congiura ordita dalla regina vedova dell'ultimo re
d'Ungheria. E' il
padre di Ladislao e di Giovanna II.
45. I Sanseverino predilessero sempre Senise, che arriverà alla massima
prosperità con
Pietro Antonio all'inizio del sec. XVI.
46. Corrispondeva, più o meno, alle attuali provincie di Benevento e
Avellino.
47.
E', forse, l'unico punto in cui il Beato Giovanni è chiamato Santo; ma è
certamente da intendere in senso generico, cioè di uomo di vita santa.
48.
Si voleva mantenere, come è facile notare, un regime di monopolio a
favore del
Sagittario, cosa che, certamente, non poteva contribuire allo sviluppo
economico
e civile della zona.
49. Dove, cioè, mettere il segno proprio del Notaio.
50.
E' stato già notato che solo pochissime persone, oltre agli
ecclesiastici e ai notai,
sapevano scrivere.
51. Non sappiamo in che cosa fosse maestro questo Guglielmo di Cava che
non sapeva scrivere: il termine maestro, infatti, era ed è quanto mai generico.
Fra l'altro nei
tempi lontani cui si riferiscono questi documenti erano detti maestri
quelli che
svolgevano particolari funzioni nella vita della corte. Così, ad
esempio, era detto
maestro chi aveva cura dei cavalli, la persona addetta alla custodia e
all'allenamento dei falconi da caccia e così di seguito; senza parlare ovviamente
dei vari
mestieri: maestro falegname, maestro calzolaio, ecc. quelli che poi si
chiamarono
mastri.
52.
II Beato Giovanni morì il 26 agosto del 1338.
53.
Il Monastero del Sagittario era stato fondato da Alibreda di Chiaromonte
il 12
dicembre 1155. L'Ughelli (o. c. 80) lo dice fondato nel 1220. Secondo A.
Nigro il
Sagittario sarebbe stato fondato da Ugo Sanseverino, conte di Potenza,
alla fine
del sec. XIV; J. Frankin lo dice fondato da Ugo di Chiaromonte (cfr. A.
Giganti o.c.
pg. VI). Nel 1202 è attestato come monastero cistercense legato a
Casamari.
(Monasticon Italiae, pg. 183).
54. Di questo strumento nel quale si parlava del primo territorio donato
al Monastero
e che l'Autore dice sopra riportato non si è parlato nel testo, perciò
il desuper expedito (sopra riportato) è, forse, da intendere precedentemente
pubblicato, e riferito all' altra opera del De Lauro la Historia Monasterii Sagittariensis che, come
dice il titolo,
espressamente trattava della storia del Sagittario.
55. Nota marginale dell'Autore: Dall'Archivio dello stesso Sagittario.
56.
Comincia, qui, una delle solite lunghe introduzioni che si premettevano
agli atti.notarili del tempo. Siccome non è da pensare che fossero dettate dai
nobili che
chiedevano che si redigessero i documenti, anche perché tali
introduzioni risultano sempre ricolme di citazioni bibliche a volte non semplici perché
fossero pensate dai nobili signori, quasi sempre ignoranti, che chiedevano i
documenti; né si
deve pensare che dipendessero da personale volere dei notai, non è,
forse, azzardato dire che fossero volute, oltre che dal gusto del tempo, dai Monaci
stessi interessati agli atti di donazione; ma, proprio perché comuni si può pensare
che dette
introduzioni fossero diventate una specie di formulario accettato da
tutti.
57. La frase non sembra sia scritta in alcun punto della Bibbia.
58. Dopo che Salomone costruì il Tempio, il Signore gli apparve per la
seconda volta
e gli disse: Se tu camminerai davanti a me come vi camminò tuo padre con
cuore integro
e con rettitudine, se adempirai quanto ti ho comandato ... io stabilirò
il trono del tuo regno
in Israele per sempre. (I Re, 9, 4)
59. E' certamente un'indicazione tecnica del foglio.
60. Così dice il testo, ma che significa? Non parlavano ufficialmente,
il Conte e la
Contessa di Chiaromonte? Chi è dunque questo nostro Conte che qui si
nomina? O
si voleva dire di noi Conte? Ed è anche un po' strano che non ci sia il
nome di chi
materialmente ha scritto il documento.
61. Essendo, nel testo, con lettera maiuscola, è da intendere i paesi
della Contea.
62. E' stato, forse, già notato che si chiamavano difese i terreni
riservati al feudatario (e
perciò difesi), ove erano proibiti i così detti usi civici: far legna,
raccogliere frutti
selvatici e cose simili.
63. Cioè del Conte.
64. Quelli che, senza professare i voti, vivevano nel Monastero e ne
osservavano le
regole.
65. La tassa che si pagava per lavorare un podere non proprio.
66. E' una somma veramente alta che, certamente, nessuno avrebbe mai
pagato.
67. L'Università di una Terra era l'insieme dei cittadini.
68. Il testo dice proprio così senza dare spiegazione alcuna. Forse
vuole alludere alle
difficoltà dall'Autore incontrate nel procurarsi i documenti negli
archivi; è strano
anche il fatto che, mentre per quasi tutti gli altri documenti ha
indicato gli archivi
di provenienza, per questo e per quello precedentemente riportato non
abbia dato
alcuna indicazione.
69. Evita la citazione dei soliti titoli.
70. Qui finisce il lungo e, per noi, strano e inutile prologo, che,
tuttavia, come è stato
notato, rivela un modo di pensare e di esprimersi tipico di un'età
ancora, almeno
formalmente, tutta impregnata di religiosità cristiana.
71. Libertà dalle pretese dei vari signori e signorotti locali.
72. Ha parlato, infatti, poco prima, di privilegi scritti per volere di
Imperatori, Re e
Principi.
73. La fida o affida era un'antica imposta sui pascoli; in particolare
la fida era, in età
feudale una tassa a titolo di compenso della riduzione a coltura di
terreni prima
adibiti a pascolo. In questo caso, tuttavia, è, con ogni probabilità, da
intendere
come diritto di poter far pascolare i propri animali su un determinato
territorio; la
diffida come la proibizione di questi diritti.
74. La quarteria, già incontrata, è la rotazione delle colture a ciclo
quadriennale.
75. Il carnaggio era, praticamente, un canone di affitto pagato al
proprietario del
fondo con un determinato numero di animali. Qui, tuttavia, si parla di
carnaggi
represali (cioè in rappresaglia) ed è, certamente, da intendere come il
diritto, da
parte del monastero, ad essere risarcito con un dato numero di animali
del danno
subito per eventuali pascoli abusivi nel suo territorio.
76. Si riferisce alla donazione fatta al monastero di S. Maria di
Bonavalle, incorporato
poi nel Sagittario, da Reinaldo del Guasto con la moglie Agnese e il
fratello di questa, Riccardo, nel 1203.
77. Cioè diritto di risarcimento per danni subiti.
78. Qui si tratta, com'è chiaro, di un territorio nell'ambito del
Sicileo. Ma con questo
stesso nome (Cinapura, Cenapura, Acinapura, Santa Cinapura) è indicato
più di
un centro antico. Questo nome mentre per qualcuno è corruzione di Regina
Pura,
per altri (Racioppi o. c. II, pg. 63) sta per Acinapura e deriverebbe
dal greco einopoièo (dipingo immagini) preceduto da alfa privativa e dunque con
lo
stesso
significato di Acheropita, cioè non dipinta da mani d'uomo.
79. Prima ha detto Cinapura ora dice Genapura.
80. E', certamente, da intendere ortaglia, nel senso di terreno
scarsamente coltivato,
quasi in stato di abbandono.
81. E' la prima volta che si nomina Rotondella, finora si è sempre detto
Rotonda del
Mare.
82. Si tratta di Oriolo, in provincia di Cosenza, ma sul confine della
Basilicata, anch'esso fino al 1972 della diocesi di Tursi.
83. Così nel testo.
84. Ogni tanto il feudatario stabiliva una nuova difesa proibendo agli
abitanti della
zona gli usi civici liberamente esercitati nelle terre libere.
85. Il testo dice offerti che è, certamente, da intendere come oblati.
86. Cioè, in genere, chi viveva alle dipendenze del monastero.
87. Cioè senza pagare tasse o prestare servizi particolari.
88. Queste collette erano raccolte di denaro al di fuori delle tasse
ordinarie.
89. Si chiamavano officiali i funzionari della corte.
90. Terraggio è Io stesso che terratico nel senso di tassa da pagare
sulla coltivazione di
un terreno.
91. L'interpretazione del brano è certamente quella proposta; ma nel
testo latino c'è
un errore di costruzione inspiegabile se si considera la perfetta
conoscenza che
I'Autore ha della lingua latina o, forse, spiegabile proprio per questa
estrema sicurezza, che gli ha fatto confondere robur roboris, che è neutro, con
vis - roboris che
è femminile, perché il significato è lo stesso.
92. Cioè gli abitanti di qualche paese.
93. Troppo alta, perché si prendesse sul serio.
94. Ma nemmeno qui si dice chi abbia steso il documento.
95. Nota marginale dell'Autore: Archivio dell'Illustrissimo Sign.
Marchese di Episcopia. Se
Margherita risulta ancora viva nel 1354, anche a non voler tenere conto
di tutte le
osservazioni del Bastanzio (o. c. pg. 9) di cui s'è fatto cenno circa la
data della sua
nascita e del suo matrimonio, se è esatta la data 1270 che il Bastanzio
stesso (ib.)
dice che si legge nell'androne, a destra, entrando nel municipio, come
hanno di
costruzione del Convento di San Francesco in Senise, che fu voluto da
Margherita,
la Signora di Chiaromonte, doveva, in realtà essere, nel 1354, più o
meno centenaria.
96. Era un magistrato, un funzionario a capo di una circoscrizione
territoriale. II testo
dice baiulo, ma, in questo caso, nel significato, appunto, di balivo.
97. Cioè affitto o permesso per il pascolo degli animali.
98. Ma, come si vede, tutto questo non c'entra non solo con la vita del
Beato ma nemmeno con gli interessi del Sagittario.
99.
Infatti Giovanna I era figlia del defunto Carlo, duca di Calabria
(titolo dei principi ereditari di Napoli) unico figlio superstite di Re Roberto. Morto
prematuramente un suo fratello, Martino, Giovanna divenne erede al trono di
Napoli, su cui
salì alla morte del nonno nel 1343. Roberto è detto, dall'Autore,
sapientissimo,
infatti è rimasto nella storia con il nome di Roberto il Saggio. Fu
grande mecenate e amico del Petrarca; ma Dante forse non lo stimava molto come re, se
allude
veramente a lui nel canto VIII del Paradiso quando lo dice più adatto a
predicare
che a governare: Ma voi torcete alla religione tal che fia nato a
cingersi la spada e fate
re di tal ch'è da sermone (vv 145-147).
100. Anticamente la dogana (duana, doana, dovana) era il fondaco ove si
trattenevano le merci che venivano da fuori, per sottoporle a dazio.
101. Anche qui è, forse, da intendere come pubblicato nell'altra opera
del De Lauro,
quella che tratta esplicitamente della storia del Sagittario.
102. E' forse da intendere: ivi si fece santo.
103. E' Federico II; ed è un po' strano che un'Angioina parli con tono
rispettoso ed
ammirato verso l'Imperatore contro la cui discendenza tutti gli Angioini
avevano
sempre lottato; ma ormai erano tempi lontani e Federico meritava il
rispetto che
si deve all'imperatore come tale.
104. Cioè con privilegi che concedevano libertà di agire e di muoversi
secondo i bisogni e le necessità, senza premunirsi, come tante volte era richiesto, di
speciali
licenze o permessi.
105. Re Roberto, il nonno di Giovanni, era morto da trentasei anni, ma
era ancora
molto ricordato, e il suo regno, anche se tutt'altro che felice e
glorioso, era visto,
tutto sommato, come un periodo tranquillo e pacifico, dati i tempi
turbolenti che
gli erano succeduti sotto l'infausto governo della sua volubile e tanto
discussa
nipote.
106. E' Alberada di Buonalbergo, prima moglie di Roberto il Guiscardo e
madre di
Boemondo. Quando il Guiscardo la ripudiò per sposare Sichelgaita,
sorella di
Gisulfo principe di Salerno, le assegnò i vasti e ricchi feudi di
Colobraro e Policoro
sul versante ionico della Basilicata. Alberada è sepolta nella chiesa
normanna
della SS. Trinità di Venosa.
107. Malvito e Sangineto, in provincia di Cosenza.
108. Si insiste tanto sugli animali, perché erano, allora, forse più
delle stesse terre, la
più sicura fonte di sostentamento e di ricchezza; e allevati, com'erano,
solo all'aperto e, spesso, allo stato brado, avevano bisogno di vaste e ricche
estensioni di
terreni alberati.
109. Non si limita, dunque, questo privilegio (dato ufficialmente dalla
stessa Regina)
a ricordare i diritti e le libertà già concessi al Sagittario, ma
conferma privilegi rari
anche se, ovviamente, non sempre fruibili in tempi in cui non era
certamente facile spostare gli animali da un luogo all'altro; ma erano pur sempre,
almeno sotto
l'aspetto giuridico, privilegi molto importanti: si pensi, ad esempio,
ai lunghi tragitti nei periodi di transumanza e alla necessità di avere libertà di
pascolo per
migliaia di animali in cammino su lunghe distanze per giorni.
110. Sono formule tipiche, anche se strane e inconcepibili per la nostra
sensibilità e
mentalità, proprie delle monarchie assolute in cui tutto era dovuto solo
alla volontà, alla benevolenza, alla grazia dei sovrani.
111. Forse qui è da intendere nel significato di possedimenti fondiari,
di fattorie o,
anche, nel significato di orti, come in qualche dialetto lucano; così,
ad esempio, i
vecchi contadini di Sant'Arcangelo chiamavano luoghi o giardini i famosi
orti e
frutteti, ormai scomparsi, della media Valle dell'Agri.
112. Lo zelo per la Chiesa e la cura di singole chiese era comune tra i
sovrani del
medioevo cristiano e particolarmente della monarchia francese e, in
Italia, di quella angioina, che era strettamente unita per parentela a quella francese:
Carlo
d'Angiò, il capostipite, era, infatti, fratello di S. Luigi (Luigi IX il
Santo) e S.
Ludovico di Tolosa era figlio di Carlo II d'Angiò e fratello di re
Roberto nonno
della regina Giovanna. Salvo poi a vivere, come si può facilmente
notare, in modo,
tante volte, tutt'altro che cristiano.
113. La libbra equivaleva a dodici once, dunque il trasgressore in
parola avrebbe
dovuto dare in tutto 144 once, il che non era poco se si tien conto che
la libbra equivaleva (anche se con le dovute oscillazioni di tempo e di luogo) a circa
340 grammi; perciò la somma in questione sarebbe stata pari a più di 4 kg di
oro! Era mai
possibile che si potesse pagare tanto?
114. Titolo di origine bizantina; più o meno lo stesso che protonotario,
cioè primo
notaio del re.
115. Era, in origine, chi accompagnava e aiutava nelle sue funzioni il
più alto magistrato in un affare importante dello Stato. Indicava, in genere, un alto
magistrato.
116. Veramente il 1378 sarebbe non il 30° ma il 35° anno di regno di
Giovanna, che era
salita al trono alla morte del nonno Roberto, nel 1343. Qui, tuttavia,
si allude, con
ogni probabilità al definitivo rientro di Giovanna a Napoli dopo
l'esilio nella
Provenza, ove dovette riparare per sfuggire ai pericoli seguiti alla
morte violenta
del primo marito Andrea d'Ungheria.
117. Allude al fatto che spesso i Signori interessati ad usurpare i beni
dei monasteri
distruggevano i documenti che avrebbero potuto ostacolarli nel
compimento dei
loro piani.
118. E' Guglielmo II della Marra, appartenente ad una nobilissima
famiglia originaria
di Barletta.
119. Forse è un errore dell'Autore che, probabilmente, voleva dire
Accettura, che,
infatti, risulta tra possedimenti dei Della Marra in Basilicata
(Stigliano, Aliano,
Accettura, Sant'Arcangelo, Roccanova ed altri) mentre non risulta una
Cinapura.
120. Forse vuol dire Gannano, che, in realtà, risulta tra i possedimenti
dei Della Marra.
121. L' Autore nota che Guglielmo sapeva scrivere, cosa non comune.
122. Ma Guglielmo era anche conte di Aliano.
123. Era una delle Terre dei Della Marra.
124. Si riferisce al così detto Scisma d'Occidente o Grande Scisma che
durò dal 1378
al 1417. Nacque dalla ribellione al dispotismo di Urbano VI da parte di
13 cardinali, quasi tutti francesi, che a Fondi dichiararono non legittima la
sua elezione e
nominarono Roberto di Ginevra che prese il nome di Clemente VII e pose
la sua
sede ad Avignone.
125. Nota marginale dell'Autore: Dall'Esposizione storica e simbolica
dei vaticini sugli Uomini Apostolici, cioè dei romani pontefici, pg. 59. lett. a. è una
delle opere, tutte scritte in latino, di G. De Lauro.
126. L'istituto della Commenda è stato fra i più dannosi nella vita
della Chiesa.
Consisteva nell'assegnare un bene ecclesiastico (abbazia, priorato o
anche diocesi)
ad un chierico o anche a un secolare che ne percepiva gli utili
beneficiari e affidava il potere spirituale a un delegato. D'origine molto antica, fu
favorito soprattutto dal bisogno di danaro dei papi avignonesi e dalla necessità, durante
Io Scisma
d'Occidente, di assicurarsi sostenitori. La Commenda, che lo stesso
Concilio di
Trento non riuscì a sopprimere, fu la principale causa della decadenza
della vita
monastica: arricchiva intrusi, spesso laici di famiglie nobili o
cardinali mondani, a
scapito dei tanti monasteri abbandonati a se stessi e
all'amministrazione di uomini senza scrupoli. A volte capitava che avessero la Commenda uomini
destinati a
diventare famosi; così, per dare solo due esempi di commende
riguardanti, nel
secolo XVII, due monasteri della Basilicata molto lontani l'uno
dall'altro e diversissimi fra loro per origini e storia, nel 1630 ebbe la Commenda del
Monastero di
Sant'Elia di Carbone G.B. Panphili che sarà poi papa Innocenzo X (cfr.
L. Branco,
La Storia del Monastero di Carbone, o.c. pg. 177), mentre una quarantina
di anni
dopo troviamo Abate Commendatario del Monastero benedettino di San
Michele
sul Vulture il Card. Federico Borromeo, proprio quello reso celebre dal
Manzoni
nei Promessi Sposi (cfr. G. Fortunato, Balie, Feudi e Baroni nella valle
di Vitalba, a
cura di T. Pedio, Manduria 1968, vol. III, pg. 266 sg.).
127. Giovanni Angelo Medici, di Milano, papa dal 1559 al 1565, convocò
per la terza
volta il Concilio di Trento (1562-63) e ne approvò i decreti conclusivi
(1566), cercando di metterli in pratica a cominciare dalla riforma della Curia,
coadiuvato, in
questo dal nipote S. Carlo Borromeo.
128. Era usanza comune che i Commendatari si servissero di loro amici o
confidenti
o parenti come procuratori per esercitare le loro funzioni
amministrative. Del
resto, spesso la Commenda stessa restava in famiglia, così, in questo
stesso periodo, qualche anno prima, troviamo commendario dello stesso monastero
Giovannello Virgallito, che nel 1554 aveva fatto sistemare nel
Sagittario il bel coro
ligneo che ora si trova a Lauria.
129. E' così chiamato il documento pontificio, meno solenne della Bolla,
che si emette
per affari di minore importanza, e perciò è anche più breve nella
stesura.
130. E' così chiamato dall'impronta che rappresenta S. Pietro pescatore,
il sigillo usato
nei brevi pontifici.
131. Si diceva Mensa il complesso delle rendite del Monastero necessarie
al sostentamento dei monaci. Qui si allude, certamente, alla necessità di togliere
dalle rendite di cui godeva il Commendatario, quanto era necessario per il vitto e
il vestito
dei frati. Ma è molto triste dover costatare come sia stato necessario
il ricorso
diretto al Papa, perché ai monaci non mancasse il minimo necessario per
vivere.
Tutte le proprietà e tutti i privilegi che tanti nobili benefattori
avevano elargito al
Sagittario, perché i monaci pregassero per loro, servivano solo ad
arricchire le
famiglie dei commendatari.
132. Giovanni Paolo Amanio, di Crema, fu eletto il 5 aprile 1560. Resse
la Diocesi
secondo lo spirito del Concilio di Trento cui aveva partecipato. Morì
nel 1580 e fu
sepolto nella Chiesa madre di Senise, nella Cappella della Conversione
di S. Paolo
che lui stesso s'era fatto costruire. Fu in lotta accesa con Cesare
Ruggieri, che in
quel periodo era Abate commendatario di S. Elia di Carbone (cfr. L.
Branco, Storia
del Monastero di Carbone, o.c. pg. 133 sg.).
133. Nota marginale dell'Autore: Dall'autentico processo conservato
nell'archivio del
Sagittario.
134. Da questa nota si può comprendere (cosa già considerata) l'assurdo
paradosso
che costituiva la Commenda: come si poteva accettare e sopportare che
tutte le ricchezze di un'Abbazia potessero diventare gratuitamente proprietà di
estranei fino
a costringere i monaci a rivolgersi al tribunale ecclesiastico perché
non fosse loro
negato il minimo necessario per vivere?!
135. Nota marginale dell'Autore: Qui, c. 5, pg. 20. E. cioè in questa
stessa opera al capitolo 5 alla pagina 20 lettera E (ovviamente del testo originale latino)
ove si parlava appunto dell'accordo raggiunto nell'anno 1573 circa le spese sia per
le suppellettili della chiesa e la riparazione del Monastero, sia per il
sostentamento, il vitto
e il vestito dei monaci con il signore Don Girolamo Virgallito Abate
commendatario, il quale, seguendo le orme dei suoi predecessori, negava ai monaci
del
Sagittario anche il necessario.
136. UID è scritto nel testo, cioè utriusque iuris doctor, che significa
dottore sia nel diritto canonico, cioè quello che regolava l'amministrazione della Chiesa,
sia nel diritto civile.
137. In quel periodo il principe di Bisignano era Pietro Antonio
Sanseverino, uno dei
signori più brillanti del suo tempo e ricco di molti titoli e di molti
feudi; perciò l'
ecc. del testo.
138. Nota marginale dell' Autore: Dall'archivio della stessa Abbazia.
139. Cioè sulla fascetta all'esterno del plico, quasi titolo del
contenuto.
140. Il titolo di Re Cattolici fu dato dal Papa a Ferdinando d'Aragona e
a Isabella di
Castiglia, quando nel 1492 con la conquista di Granada cacciarono dalla
Spagna
gli ultimi Musulmani.
141. Carlo V (1500-1558) erede da parte materna dei domini spagnoli e da
parte del
padre dei domini asburgici e delle Fiandre, ebbe la corona imperiale nel
1519. Fu
il più potente sovrano del suo tempo.
142. E' Giovanna la Pazza (1479-1555), figlia di Ferdinando d' Aragona e
di Isabella di
Castiglia, madre di Carlo V; impazzì alla morte del marito Filippo
d'Asburgo il
Bello (1506) e visse da allora segregata nel castello di Tordesillas.
143. Sebbene Principe di Bisignano e conte di Chiaromonte e signore di
molti altri
feudi, Pietro Antonio Sanseverino quando non era in giro per l'Europa
preferiva
Senise ad ogni altro suo possedimento e si fermava volentieri in questo
centro, che
divenne allora uno dei paesi più ricchi e più vivaci di tutta la zona.
144. Il castello palazzo era in alto, circondato dalla strada
pubblica; esiste ancora,
sebbene solo come ombra di quello originale. Il primo castello era
messo, con ogni
probabilità, in basso, sullo sperone ove poi, nel 1270, fu costruito,
per volere di
Margherita di Chiaromonte, il convento dei Francescani.
145. Carlo V e la madre Giovanna, la quale era regina di Castiglia,
anche se solo
nominalmente, per eredità da parte materna.
146. Vicerè di Napoli era, allora, il celebre Don Pedro Alvarez di
Toledo, che nel suo
lungo governo (1532-1553) rinnovò l'aspetto architettonico di Napoli
(nacque
allora la via di Toledo, che era considerata la più bella strada
d'Europa, e i così
detti quartieri spagnoli a ridosso della stessa arteria) e cercò di
frenare lo strapotere dei Baroni. Non riuscì, per l'opposizione incontrata, il suo
tentativo di introdurre a Napoli l'inquisizione spagnola.
147. Era chiamato Stato il complesso dei beni delle famiglie più
potenti: così lo Stato
dei Sanseverino. In questa zona solo Noepoli aveva il titolo di Stato
non in relazione alla famiglia feudale, ma al paese, e si diceva lo Stato di Noia.
148. Sacre, Cesaree, Cattoliche: i primi due titoli spettavano, di per
sé, solo a Carlo V
come imperatore; il terzo sia a Carlo che alla Madre, come re di Spagna.
149.
E' il Maschio Angioino che, fino a quando non si costruì il palazzo
reale, fu il castello reggia di Napoli.
150.
E', con ogni probabilità, la Spezia, in Liguria, regione ove Carlo si
fermava volentieri con la sua corte. L' Autore ha aperto una lunga
parentesi, per spiegare, nella citazione del documento di reintegra del
Principe di Bisignano, la particolare condizione dei beni del Monastero
del Sagittario.
151.
Era un modo di dire ad indicare che si evitava, così facendo, di
incorrere nelle pene previste dalla legge e comminate dai vari
magistrati a ciò preposti.
152.
Nell'antica terminologia giuridica dell'Italia Meridionale si chiamava
Platea l'elenco ragionato dei beni fondiari di una Signoria.
153.
Finisce qui la lunga parentesi e riprende il testo del documento.
154.
Formula tipica per dire che si dichiarava qualcosa in forma solenne e
ufficiale.
155.
Sempre per dire che si parla in maniera ufficiale.
156.
Sono i beni pubblici destinati all'uso diretto o indiretto dei
cittadini.
157.
Come per la Mensa del Monastero e la Mensa Vescovile, è un modo per dire
che qualche bene appartiene alle persone o agli enti indicati: il
principe, il monastero, il vescovo.
158.
E' forma arcaica per Sindaco. Indicava il rappresentante della Comunità
cittadina nelle controversie giuridiche (come in questo caso) oppure il
riscuotitore delle gabelle o l'ambasciatore della Comunità presso
qualche personaggio importante, e cose simili.
159.
Cioè i rappresentanti della cittadinanza.
160.
Il testo non è chiaro, ma il senso sembra quello proposto.
161.
Nel testo sembra che ci sia un errore di stampa: si legge un qua che dev'essere
inteso certamente per quae .
162.
E', forse, l'indicazione del fondo.
163.
Il testo dice Frigido
164.
Così nel testo, con la lettera minuscola.
165.
Palombara dovrebbe essere il luogo del fondo, Mantineo della contrada.
166.
Sono i mulini mossi ad acqua, dei quali si è parlato in vari documenti
già riportati.
167.
Non era ciò che oggi si intende per serra, ma uno sbarramento di pali o
di tavole costruito sul fiume per regolarne il corso e forse
indirizzarlo proprio al funzionamento dei mulini.
168.
Si diceva battinderio (o paraturo) la gualchiera, cioè una macchina, per
Io più mossa ad acqua, che per mezzo di magli assodava i tessuti di
lana. In un documento del 1432 (cit. da Percoco, o. c. 64) Polisena
Sanseverino donava uno trappito da magenare olive et uno batenderio seu
paraturo. .. iuxtaflomaria Acri.
169.
Il testo dice petrarium, termine usato ancora oggi nei dialetti
meridionali, petraro, per indicare il letto proprio dei fiumi a regime
torrentizio, le fiumare, larghissimo e pieno di pietre, con l'acqua che,
divisa in vari rivoli, scorre, nei periodi secchi, qua e là per la
vastissima pietraia bianca.
170.
E' la grande Abbazia certosina di S. Nicola in Valle.
171.
Potere di amministrare la giustizia sia in ambito civile che penale.
172.
Sempre in ambito giudiziario significa che l'Abbazia aveva autorità per
indagare al fine di istituire un processo sia civile che criminale o
misto; era il pieno potere feudale.
173. Quindi la pienezza di giurisdizione di cui si parlava poteva essere
esercitata nel tenimento solo per quattro giorni nel mese di agosto.
174.
Forse è da intendere Sant'Elania, toponimo ancora esistente a
Chiaromonte.
175.
Terra indicava un paese, e un paese di nome Curtelli non risulta. Un
Casale detto di Curtilli viene ricordato a Matera (T. Pedio, Centri
scomparsi in Basilicata, Venosa 1980, pag.57) ma non nella contea di
Chiaromonte.
176.
Nel testo del documento c'è un evidente errore di grammatica, dovuto,
certamente, alla poca attenzione che, per la lingua, c'era in questi
scrivani e notai preoccupati solo, e non sempre ci riuscivano, che il
testo non desse motivi a bisticci futuri.
177.
Cioè senza pendenza alcuna di ordine giuridico e con piena proprietà e
con la possibilità di darla o toglierla a chiunque, perché rendesse nel
modo migliore.
178.
Si potevano, cioè, portare gli animali del Monastero e dei suoi oblati
al pascolo ovunque tra Chiaromonte e Senise.
179.
Così, in lingua volgare, nel testo. Tenere a decima, significava in
origine, coltivare un fondo con l'obbligo di dare al proprietario che lo
concedeva la decima parte del prodotto; in seguito indicò,
genericamente, la mezzadria.
180.
Cioè verso oriente, ove, in realtà, si dirige l'acqua del Sinni; ma la
descrizione, come è facile notare, è, come quasi sempre in questi
documenti, piuttosto confusa: forse doveva essere più chiara per chi
abitava sul posto.
181.
Cioè un terreno con alcuni pezzi piantati a vigna.
182.
La contrada corrisponde, forse, alla zona che ancora, a Chiaromonte, si
chiama Fosso del Gafaro. (Cfr. in proposito, G. Percoco, in o.c.
pag.47).
183.
Il testo dice Hospitalis, che significa certamente ospizio e che era,
forse, un edificio del monastero destinato ad alloggio dei forestieri.
184.
Cioè una piccola valle stretta e lunga, essendo il vallone, tante volte
trovato in questi documenti, non una grande valle, come potrebbe far
pensare l'accrescitivo, bensì una lunga valle chiusa tra due pareti
laterali.
185.
Questa chiesa di Senise era ricca di molte terre, tanto che con le sue
rendite poteva sostentare cinque preti. Venne abbattuta nel sec. XIX (Bastanzio,
o.c., 54).
186.
E' certamente un piccolo sistema di chiuse per regolare il flusso
dell'acqua che serviva al funzionamento del mulino.
187.
Il recinto ove, d'estate, si raccoglievano le pecore all'aperto.
188.
Il carlino era una moneta d'oro o d'argento che aveva preso nome da
Carlo d'Angiò che l'aveva fatta coniare nel 1278, ma che fu poi imitata
da altri sovrani.
189.
Non si dimentichi che chi parla è l' Abate Commendatario Virgallito, il
quale dinanzi ai Magistrati che stanno trattando la reintegrazione nei
propri diritti di Pietro Antonio Sanseverino, rivendica la proprietà e i
diritti del Monastero del Sagittario; dopo aver elencato le tante
proprietà che gli appartenevano, dice, adesso, anche i diritti di tipo
giudiziario. In particolare qui si dice che l' Abate di S. Maria ha la
giurisdizione civile, criminale e mista, che è, più o meno, ciò che si
dice subito dopo, cioè il mero e misto imperio. Con l'espressione
"imperio puro" si intendeva la giurisdizione in materia essenzialmente
penale data ai feudatari; Per "imperio misto" si intendeva la
giurisdizione penale congiunta con la civile.
190.
Era l'esame delle merci o degli animali che si volevano vendere o il
prezzo che il magistrato, a ciò costituito, fissava per le singole
merci, o, in generale, la verifica, il riscontro o il controllo sul
mercato.
191. Cioè l'esenzione dal pagamento del tributo per la temporanea
occupazione di suolo pubblico. Il plateatico, infatti, era una tassa che
si pagava per uso di suolo pubblico.
192.
Il testo dice strictulo, che corrisponde alla voce dialettale strittule.
193.
Era il famoso diritto d'asilo, cioè l'immunità per chi viveva o si
rifugiava in un luogo sacro; qui l'immunità si estende dal Monastero
alle sue dipendenze, cioè le Grance.
194.
Questo è il cognome più ricorrente nel documento che qui viene
presentato, e, come si soleva fare nel tempo in cui il documento fu
steso, il cognome è declinato e, per questo, si presenta al femminile,
Virgallita, che sarà la forma che poi resterà fino ad oggi.
195.
Dell'Oliveto, così nel testo originale.
196.
Il testo dice venialia, ma è certamente da leggere vignalia.
197.
Il testo dice pedibus olivarum, che mostra come il latino di questi atti
notarili fosse, spesso, nient'altro che la latinizzazione di forme
dialettali, in questo caso piedi d'olive.
198.
E' strano che in queste zone si parli di sicomori, che sono piante
dell'Africa e del Medio Oriente, a meno che non si volesse alludere ai
cornioli che alcuni chiamavano sicomori.
199.
A Senise la contrada Borrelli si chiama anche Visciglio.
200.
C'è ancora una contrada detta Fontanelle sul confine di Senise con
Sant'Arcangelo, se è la stessa di cui qui si parla.
201.
Famiglia in vista allora a Senise; aveva la tomba nella Chiesa della SS.
Trinità. (Bastanzio, o.c. pag 54).
202.
Cioè del Convento di S. Francesco, fondato a Senise nel 1270.
203.
Raggruppamenti di case.
204.
Probabile proprietà del Monastero di Carbone.
205.
Così nel testo originale, de la Piazza, ripetendo, ovviamente, il modo
con cui la
contrada comunemente era indicata dalla gente.
206.
In questa contrada (ancora oggi chiamata così a Senise) nel 1595 morì,
in un incidente di caccia, il quattordicenne Francesco Teodoro
Sanseverino, figlio di Niccolò Berardino conte di Chiaromonte. (Cfr. F.
Bastanzio, o.c. pg. 29).
207.
Corrisponde certamente alla contrada di Senise detta Salsa.
208.
La famiglia Marino, una delle più in vista a Senise in quel tempo, aveva
la tomba nella Chiesa della SS. Trinità. (Bastanzio, o.c. pg. 54).
209.
E' la famiglia Focaraccio, cognome ancora vivo a Senise.
210.
Anche i Crocco ci sono ancora a Senise.
211.
Così nel testo: è, certamente, da intendere Amendolara.
212.
La Mezzanella era un'antica misura di capacità in uso nell'Italia
Meridionale. Giuseppe M. Galanti, nella sua opera Della descrizione
geografica e politica delle Sicilie, vol. II, pag. 215, scrive: Nella
Provincia di Terra di Otranto, vi è la Menza, colla quale si misura il
mosto, il vino, l'aceto, il vin cotto. Questa menza, ch'è un vaso di
creta rustica si compone di 16 carafe...
213.
Tutti questi toponimi di santi si rifanno a chiese e chiesette (molte
volte adattate in grotte) quasi sempre di origine bizantina, perciò la
Santa Caterina qui nominata è certamente la Santa di Alessandria
d'Egitto, molto venerata dai Monaci greci.
214.
Così nel testo.
215. Proprio così nel testo.
216.
Questa volta è scritta così.
217.
La cera, che allora era solo quella naturale delle api, valeva più del
miele, perché molto richiesta non solo per l'uso delle chiese, ma
perché, insieme con l'olio, unico mezzo di illuminazione.
218.
Così nel testo.
219.
Vuol dire, forse, alla piazza; ma è strano che nel testo del documento,
che è scritto in un latino molto alla buona e spesso, come già notato,
con termini ed espressioni popolari, si trovi qui un termine che è
proprio del latino classico.
220.
E' il godimento di una proprietà con l'obbligo di migliorarla e di
pagarne un canone, a volte solo simbolico.
221.
E' la ricca chiesa di Senise già varie volte incontrata in queste
pagine.
222.
Sono le formule consuete, tipiche dei processi medioevali,
incomprensibili alla mentalità laica dei nostri tempi, ma naturali in
tempi in cui l'idea e il sentimento religioso impregnava tutti gli
aspetti della vita, non solo e non tanto, forse, dei singoli individui,
ma di tutta la società, in tutte le sue espressioni e manifestazioni.
223.
E' Giovannello Virgallito, abate commandatario del Monastero.
224.
La sentenza, cioè, non riguardava solo l'Abate del tempo, Virgallito,
che era, del resto, solo commendatario, ma anche tutti gli altri abati
che sarebbero venuti.
225.
Cioè liberi da tributi.
226.
I beni posseduti in piena e libera proprietà, senza vincoli feudali.
227.
E', più o meno, la stessa cosa di prima. Si vuole insistere nel dire che
i beni di cui si tratta non sono del feudatario; burgensatico, infatti,
vuol dire borghese, cioè di chi abita nel borgo, non nel castello; di
questo tipo sono i beni del Monastero, che, perciò, sono liberi, non
sottomessi al feudatario.
228.
Finisce qui la lunga citazione dell'atto di reintegrazione del feudo al
principe Pietro A. Sanseverino. Di questo atto il De Lauro riporta solo
il lungo brano che poteva avere interesse per il Sagittario. La copia
originale e completa di questo documento era conservata, secondo il
Bastanzio (o.c. pg. 30) a Cava dei Tirreni, presso l'archivio di Matteo
(forse voleva dire Mattia) de Lando; ma una copia autentica era stata
voluta dai Senisesi, che la conservavano con molta cura nel loro
archivio comunale, donde poi scomparve non si sa come. Una copia,
tuttavia, è conservata ancora, dice il Bastanzio, presso l'archivio
della famiglia Falcone, in Senise.
229.
Si riprende, dopo la lunghissima interruzione, il racconto della vita
del Beato che era stata interrotta alla narrazione della maternità della
Contessa Margherita e che aveva dato motivo alla lunga parentesi
storico-giuridica.
230.
Cioè nella preghiera ufficiale e corale per la sua festa il 26 di
agosto.
231.
Nota marginale dell'Autore: Responsorio della prima lettura.
232.
Cioè del Vecchio Testamento.
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