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CAPITOLO XII

Predice futura prole alla contessa Margherita di Chiaromonte che era sterile.

Margherita di Chiaromonte(l), che discendeva dall'antichissima stirpe di Carlo Magno re dei Galli(2), figlia di Giacomo Conte di Chiaromonte, fu sposa di Giacomo di Sanseverino, Conte di Tricarico e di Chiaromonte. Questi discendeva da Targisio, che proveniva dai Principi dei Normanni(4) e fu il primo che ebbe di suo diritto la contea di Sanseverino(5), da cui trasmise la denominazione di Sanseverino ai suoi discendenti. Questo Giacomo fu il primo dei Sanseverino che, per diritto di matrimonio, sposando Margherita di Chiaromonte, dopo la morte del fratello Ugo di Chiaromonte(6), ebbe potere sui Chiaromontesi.
Margherita, dunque, essendo rimasta senza figli per molti e molti anni e temendo fortemente che non ne avrebbe più avuti, venne molto spesso al Sagittario e si raccomandava alle preghiere del nostro Beato Giovanni, perché le facesse ottenere una discendenza. Un giorno Giovanni si accorse che Margherita emetteva, per questo, lamenti molto tristi, e le parlò in questi termini: Sii di forte animo, disse; non ti consumare più nel dolore, perché avrai certamente numerosa e bella discendenza. E, cosa mirabile a dirsi, non molti giorni dopo si dischiuse il grembo sterile della Contessa che generò ricchissima prole d'ambo i sessi, molto gradita a Dio, alla madre che la generò e agli uomini. Non conosciamo i nomi delle femmine. I maschi furono tre, e di essi è arrivata notizia fino a noi: Ruggiero, come primogenito, successe al padre Giacomo Sanseverino nella Contea di Tricarico e di Chiaromonte. Ugo fu Conte di Potenza e Grande Protonotario del Regno(7). Tommaso ebbe la Contea di Montescaglioso; ebbe l'ufficio di Viceré nel Regno di Napoli a nome di Luigi D'Angiò(8); liberò il Romano Pontefice Urbano VI(9) dall'assedio di Nocera(10) e diede al Sagittario i tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisaia(11). Nel nostro Archivio non abbiamo i documenti di questa concessione e della conferma regia, né gli originali, né le copie; ma che all'origine essi siano stati presentati nell'anno 1406, il 18 di novembre, 15° indizione, al Magnifico Francesco Boccaplanula, regio Commissario deputato ai demani di Basilicata, e che in forza di essi fu dato possesso dei predetti tenimenti a Frate Antonio dei Decreti, Abate del Sagittario, lo sappiamo dallo strumento originale della stessa possessione, che contiene le formalità, V3 ...
Nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo. Amen.
Nell'anno 1406 della sua natività; regnando il Serenissimo Signore, il Signore nostro Ladislao(12), per grazia di Dio re d'Ungheria, di Gerusalemme e di Sicilia, di Dalmazia, di Croazia, di Rama, di Serbia, di Galizia, di Lodomeria, di Comania, di Bulgaria, della Provenza, di Forcalquier e Conte di Piemonte(13), nell'anno ventesimo dei suoi regni. Felicemente, Amen. Nel mese di novembre il giorno 18 dello stesso anno, quindicesima indizione presso Senise. Noi Antonio di Melle di Laurino, giudice annuale della stessa Terra di Senise, Nicola di Notaio Riccardo, pubblico Notaio, per autorità regia, ovunque nelle Province del Principato Citra(14), delle Terre di Otranto, della Basilicata, della Valle del Crati, della Terra Giordana, e i testimoni letterati(15) sottoscritti, chiamati e invitati per questo atto, con il presente pubblico strumento(16) diciamo, facciamo noto e attestiamo che, nel giorno sopra indicato, essendo noi stati chiamati a istanza e richiesta del Signore Frate Antonio dei Decreti Dottore e Abate di Santa Maria del Sagittario alla presenza del Magnifico Francesco Boccaplanula di Napoli, Regio Commissario deputato ai Demani nella Provincia di Basilicata, come a noi pienamente risulta dalla sua commissione, dinanzi alla casa dell'Archimandrita di Carbone(17) ove lo stesso Francesco allora dimorava, il detto Signore Abate presentò dinanzi a noi alcuni privilegi del defunto Signore Tommaso di Sanseverino e la conferma, da parte dell'attuale Regia Maestà, dei sopraddetti privilegi, in vigore dei quali il detto Signore Abate chiese con istanza al predetto Francesco che, a nome del detto suo Monastero, lo reintroducesse, per l'autorità della Maestà Regia, e lo rimettesse nella reale possessione di cui al presente godeva, dei tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia come chiaramente si descrive nella donazione del defunto Signore Tommaso e nella conferma della detta Regia Maestà, delimitati da una parte dal fiume Signo e dall'altra con la bambacalia(18) di Rodiano, andando per la detta via(19) ed uscendo al bel monte(20), uscendo alla limpidina(21) sopra il bel monte, continuando verso il cippone della zapparia, arrivando alla palombaia di Favale e per la Serra della Difesa che appartenne a Pietro Presmatio, venendo serra serra di Massa degli orbi(22), scendendo verso il vallone di Bollite, e infine, da un'altra parte, con il mare e altri confini, secondo quanto fu in possesso del defunto Signore Tommaso di Sanseverino, donatore dei sopraddetti tenimenti. E il suddetto Francesco, sentite le giuste richieste del detto Abate, fece pubblicamente leggere alla nostra presenza i privilegi, e noi li sentimmo leggere e li esaminammo attentamente, in essi c'era scritto che il detto defunto Signore Tommaso di Sanseverino aveva donato al detto Monastero i detti tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia; inoltre che la detta donazione era confermata al presente per la generosa benevolenza della Regia Maestà; e con l'autorità di questi privilegi, il detto Francesco, che era presente, avuto, come disse, su questo argomento maturo consiglio con gli uomini anziani del luogo che avevano sentito le cose suddette, indusse nella reale possessione dei sopraddetti tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia il detto Signore Abate a nome del detto suo Monastero mediante l'anello che aveva al dito(24) secondo quanto aveva asserito e secondo i confini sopra descritti in conformità a ciò che tenne in suo possesso il Signore Tommaso di Sanseverino donatore dei tenimenti sopraddetti, perché li avesse, li tenesse, li possedesse ne avesse l'usufrutto, li potesse affittare e vendere, li potesse dare in affida per gli animali(26), per il terratico(27), per la quarteria(28), per il plateatico, per gli scagnagi(29) e tutti gli altri diritti spettanti ai detti tenimenti, e che il detto donatore percepiva; nonché i corsi d'acqua(30) e tutto ciò che qualsiasi altro Signore e Padrone riceve dai suoi propri tenimenti ed è solito ricevere. E ordina, inoltre, a tutti i Baroni e altri Regi Funzionari presenti e futuri, per l'autorità regia di cui è dotato in questa azione, sotto pena di cinquanta once e dell'indignazione della Regale Maestà(31) che riconoscano il detto Abate, a nome del suo suddetto Monastero, nella detta possessione, come detto prima, lo difendano, non lo disturbino, né molestino, ma piuttosto, come già detto, lo proteggano e lo difendano dai perturbatori e molestatori, punendo severamente i trasgressori ed esigendo senza remissione dai predetti trasgressori le pene stabilite. E siccome il detto Signore Abate asserisce che di tale fatto, cioè dello stato di reale possessione di cui sopra, sia necessario avere, nel detto suo Monastero, un pubblico strumento, e richiese esplicitamente noi, i sopraindicati Giudici, Notaio, e Testi sottoscritti, che della presente posizione, cioè della reale possessione, redigessimo un pubblico strumento, noi, considerando che il nostro servizio, che è pubblico, non possiamo negarlo a nessuno, a richiesta del detto Signore Abate circa la posizione di reale possesso, abbiamo redatto il presente strumento che, in testimonianza di quanto detto e a cautela del predetto Signore Abate, per l'interesse del detto suo monastero, dei suoi successori e di quanti possano o potranno averne, è stato scritto di mia mano, predetto Notaio che, pregato, fui presente a quanto sopra detto, e ho segnato con il mio vero solito segno(32) - Posto per il segno - +
Io Antonio Melle di Lauro, come sopra giudice della Terra di Senise.
Io Silvestro di Vascione di Taranto sono testimone.
Io Palumbo di Nicola del Giudice Martino di Senise, teste fui presente.
Io Leone di Aintarde di Venosa, milite, sono testimone.
Io Favello di Fanuele sono testimone.
Io Gualtiero de Cilento fui presente come testimone a quanto sopra detto.
Io Maestro Giovanni di Pietro Giovanni di Senise fui presente come testimone.

Della concessione dei tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia da parte di Tommaso Sanseverino al Sagittario si fa espressa menzione in un altro documento originale, scritto su pergamena nell'anno della Natività del Signore 1411, 24° anno dei regni di Ladislao Re di Ungheria, Gerusalemme e Sicilia, il giorno 9 del mese di giugno, 4° Indizione, presso Senise. In esso, alla presenza di Giovannuzzo del Cilento, annuale giudice della Terra di Senise di quell'anno, di Nicola del Notaio Riccardo della stessa Terra, pubblico Notaio, con autorità regia, per le Province del Principato Citra, le Terre di Montorio(33), Basilicata, Valle del Crati e Terra d'Otranto, dell'Attore Maestro della Curia dei Baiuli(34), dei Giudici(35) della stessa Terra di Senise e di nove testimoni letterati(36), depongono, dichiarano e attestano Goffredo Calfono, Nicola Volinterio e Guglielmo di Foracio, già custodi dei giumenti di Tommaso di Sanseverino di felice memoria(37). Dicendo che i termini e i confini descritti nel surriferito strumento di reale possessione e posizione tramite il Magnifico Francesco Boccaplanula di Napoli, Regio Commissario Deputato ai Demani nella Provincia di Basilicata per quanto riguarda i tenimenti di Rotonda del Mare e della Trisagia in beneficio del Venerabile Monastero di S. Maria del Sagittario sono, più o meno, gli stessi che delimitavano e racchiudevano i predetti tenimenti al tempo in cui erano posseduti sia dalla Contessa di Chiaromonte sia anche dal predetto donatore Tommaso di Sanseverino prima che li donasse al Sagittario predetto; e attestano di sapere ciò perché per molti anni, al tempo della buona memoria di Tommaso Sanseverino avevano lì custodito i suoi giumenti(38). Se poi anche Ruggiero e Ugo, fratelli maggiori, abbiano donato qualcosa al Sagittario ancora non mi è noto. Invece il figlio primogenito di Ruggiero, Giovanni Venceslao di Sanseverino, così chiamato quando era ancora ragazzo, poi Conte di Tricarico e di Chiaromonte, e Margherita di Sangineto, Contessa di Tricarico, di Chiaromonte, di Altomonte e di Corigliano, moglie dello stesso Venceslao, nell'anno del Signore 1380, 38° anno dei Regni della Regina Giovanna I(39), il giorno 24 del mese di giugno, per la grande devozione che avevano verso la Chiesa del Santuario e in remissione dei loro peccati e di quelli dei loro predecessori, diedero e trasmisero alla predetta Chiesa e al Venerabile Abate Fra Guglielmo di Vignola due mulini siti nella Contea di Chiaromonte, uno posto nel territorio della Terra presso il fiume Signo, nel luogo detto Carroso, l'altro nel territorio di Senise della predetta Contea di Chiaromonte, nel luogo chiamato Embolo, nella contrada Milioto, con i diritti, gli interessi e tutte le loro pertinenze, franchi, liberi ed esenti, con le acque, i corsi d'acqua, le vie, le entrate e le uscite e qualsiasi tipo di diritti, ragioni e pertinenze spettanti e pertinenti in qualsiasi modo ai detti due mulini(40) e a ciascuno di essi, non riservandosi niente, anzi espressamente concedendo che se, per caso, i due predetti mulini o uno qualsiasi di essi avesse bisogno, in qualunque tempo, di qualche riparazione per il decorso delle loro acque, sarebbe lecito al predetto Abate Guglielmo e agli Abati del Sagittario che a lui succederanno nel tempo e ai loro incaricati, senza nessun permesso da parte del donatore, dei suoi eredi e successori o incaricati, ma per propria autorità e in virtù della sola predetta concessione, riparare o rifare le dette condutture dei corsi d'acqua sia nei luoghi di prima che altrove, per tutto il territorio delle dette Terre(41), ovunque, in qualsiasi luogo sem-brerà loro adatto e opportuno, come ampiamente espresso nello strumento già redatto per mano del Notaio Guglielmo Pellegrino di Senise in presenza dello stesso Signor Conte e della Signora Contessa, di Silvestro Mario di Taranto, giudice ai contratti con regia autorità per le province di Basilicata, di Terra d'Otranto, della Terra Giordana e della Valle del Crati, di Tommasello Succorto di Senise, giudice annuale della stessa Terra di Senise, di Tommaso Succorto, milite, Signore del castello di Episcopia, di Nicola Signore di Missanello, di Giovannuccio, Signore di Calvera(42), di Ugo di Paolino e del Giudice Amillario di Tricarico, testimoni chiamati e pregati, che con la propria mano autenticarono il predetto strumento come testi, nell'anno e nel giorno già indicati.
A istanza del sunnominato Abate Guglielmo di Vignola, per la speciale devozione di cui era ricolmo verso il Monastero del Sagittario, ad onore e venerazione della Vergine Madre di Dio e del nostro Beato Giovanni da Caramola, Venceslao concesse anche, esclusivamente al Sagittario, la facoltà di riparare i vecchi mulini e di costruirne di nuovi nel territorio della Terra di Chiaromonte, come dal privilegio emesso nell'anno del Signore 1383, che pensiamo sia necessario riportare per mostrare in quanta considerazione avesse il nostro Beatissimo Uomo.
Ed ecco il testo del privilegio(43):
Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Amen
Nell'anno 1383 dalla Natività dello stesso, sotto il Regno del Serenissimo Signore nostro il Signore Carlo III(44), Re di Gerusalemme, di Sicilia, della Provenza, di Forcalquier e Conte del Piemonte, nel terzo anno dei suoi Regni, felicemente. Amen.
Il giorno 10 del mese di giugno della sesta indizione, presso Senise. Noi Tommasello Succurto giudice annuale della stessa Terra di Senise, Guglielmo Pellegrino, pubblico Notaio, per autorità regia, ovunque per la Provincia di Basilicata e del Principato Ultra(46) e per le terre di Montorio, e i testi sottoscritti, proprio per questo invitati e pregati, con il presente pubblico strumento facciamo noto e attestiamo che nel giorno predetto il Magnifico Venceslao di Sanseverino, Conte di Tricarico e di Chiaromonte, costituito alla nostra presenza, asserì di essere stato umilmente pregato da parte di Fra Guglielmo di Vignola, Abate del Monastero di Santa Maria del Sagittario, dell'Ordine Cistercense, della Diocesi di Anglona, per l'onore della Vergine gloriosa e del santo Giovanni da Caramola(47), di concedere benignamente che nel territorio della Terra di Chiaromonte nessuno possa edificare un mulino nuovo o ripararne qualcuno se nel tempo si fosse deteriorato, se ciò dovesse comportare un danno grave per il Monastero suddetto, non avendo il detto Monastero nessun reddito migliore(48). Ed egli, a motivo della singolare devozione che sempre ebbe verso il sopraddetto Monastero, ad onore e venerazione della Vergine Maria e del Beato Giovanni da Caramola, considerando anche che per la predetta devozione già i suoi predecessori molte e diverse altre cose avevano offerto nel modo già detto, non per violenza, inganno o timore, ma con libera, gratuita e spontanea volontà, concesse che nessuno, nel territorio della detta Terra di Chiaromonte, possa in alcun modo costruire un nuovo mulino o riparare i vecchi senza mandato o speciale licenza dello stesso Abate. Perciò siccome lo stesso Abate Guglielmo asserisce che questa grazia e concessione è utile e necessaria al predetto Monastero, ha attentamente pregato noi, i sopraindicati Giudice, Notaio e Testimoni, che di detta concessione e grazia redigessimo un pubblico strumento. Noi, dunque, vedendo che il detto Abate chiedeva cose giuste e a chi chiede cose giuste non si deve negare l'assenso, a futura memoria e a cautela, certezza e piena fiducia del detto Abate del Monastero e della Comunità dello stesso e dei suoi successori e di tutti gli altri che ne hanno interesse o potranno averne in futuro, è stato redatto questo pubblico presente strumento, circa la predetta concessione, per mano mia, il sopra detto Notaio, segnato al modo solito e ratificato con le sottoscrizioni e attestazioni di noi sunnominati Giudice, Notaio e Testimoni. Scritto da me, predetto Guglielmo, come sopra detto, Notaio che, premessa ogni cosa, richiesto sono stato presente; e io stesso mi sono segnato al modo solito.
Luogo del segno(49)
+ Segno di croce della mano propria di Tomasello Succorto, giudice annuale, testimone che non sa scrivere(50).
Io Tommaso sono stato presente a quanto sopra detto e attesto che è vero.
+ Segno di croce della mano propria di Nicola di Martina che sono stato presente a quanto sopra e non so scrivere.
+ Segno di croce della propria mano del Maestro Guglielmo di Cava, testimone alle cose di sopra, illetterato che non sa scrivere(51).
+ Segno di croce della mano propria di Ruggiero Succorto, illetterato che non sa scrivere.

Ma i coniugi Giacomo Sanseverino e Margherita di Chiaromonte, di cui abbiamo fatto menzione all'inizio di questo capitolo, l'anno precedente la morte del Beato Giovanni(52), si mostrarono munificentissimi benefattori del Monastero del Sagittario, perché non solo confermarono le donazioni fatte al Sagittario dai loro predecessori defunti e comminarono una multa di 10 once d'oro a chi portasse turbamenti o molestie contro di esso, ma con larghissima munificenza e generosità delimitarono da ogni parte il tenimento dove era stato fondato il monastero(53) e che era stato donato al Sagittario da un loro predecessore; di questo tenimento, infatti, nello strumento sopra riportato(54) non si leggevano ben delimitati i confini. Ma ecco il tenore del documento: Noi Giacomo di Sanseverino Conte di Tricarico e di Chiaromonte dichiariamo quanto qui sottoscritto(55).
Noi Giacomo di Sanseverino Conte di Tricarico e di Chiaromonte e la Contessa Margherita, coniugi, con il testo del presente privilegio facciamo noto, a tutti quelli che le vedranno queste disposizioni. Considerando che il Signore Gesù Cristo figlio di Dio ha stabilito la Chiesa sua sposa sopra una roccia fermissima(56), e perciò se qualcuno osasse recarle disturbo offenderebbe Dio con colpa grave e incorrerebbe nel suo indissolubile giudizio e sarebbe, così, al suo cospetto privo di ogni aiuto, essendo scritto: se uno peccherà contro un uomo potrà essere perdonato da Dio, ma se peccherà contro Dio nessuno pregherà per Lui(57); mentre, al contrario, chi proteggerà la Chiesa sarà protetto dal Signore, come Egli promise a Salomone dopo la costruzione del Tempio: Porrò, disse, il trono del tuo Regno sopra Israele per sempre(58); noi, dunque, pensando fermamente queste cose, dietro alle preghiere di Fra Ruggiero, abate del Venerabile Monastero di S. Maria del Sagittario, confermiamo tutte le donazioni delle pertinenze della nostra Terra di Chiaromonte fatte allo stesso Monastero dai nostri predecessori defunti secondo i privilegi e le protezioni ivi esposte. E in perpetuo confermiamo e vogliamo che, per il tranquillo possesso degli stessi beni e perché lo stesso Monastero non abbia disturbi da parte di alcuno, chiunque dei nostri vassalli ardisca d'ora in poi arrecare molestia incorra immediatamente nella pena di dieci once d'oro da pagare alla nostra Corte. Siccome, poi, dal nostro predecessore defunto fu dato allo stesso Monastero un tenimento entro il quale fu fondato il Monastero stesso, e di esso nel privilegio che ne era stato fatto non erano delimitati da nessuna parte i confini, abbiamo deciso, secondo la richiesta dello stesso Abate, di delimitarlo con questi confini. V3(59). Dalla parte dell'Occidente e del Mezzogiorno la Serra che si chiama Breacolosa e va per quella Serra fino al Piano che si chiama di Piazza Amara, fino al così detto Vallone del Turno, e scende, per quel Vallone, fino al fiume Frido, e poi sale per il detto fiume fino al Vallone detto del Calcenario, e sale per quel Vallone fino alla già detta Serra della Breacolosa; e questo è il confine da tutti i lati. Perciò, a futura memoria e a cautela dello stesso Monastero, abbiamo comandato che si facesse questo privilegio, munito dei nostri sigilli e confermato dalla sottoscrizione del predetto nostro Conte. Fatto a Senise nell'anno 1338, il 13 del mese di settembre, settima Indizione.

Ma Margherita di Chiaromonte, Contessa di Chiaromonte, rimasta vedova di suo marito Giacomo di Sanseverino, non solo confermò in modo specifico nell'anno del Signore 1350, il giorno 2 di luglio 3° Indizione, ciò che in modo generico insieme con suo marito aveva confermato nell'anno 1338, ma espressamente concesse che gli animali del detto Monastero del Sagittario, quelli di tutti i dipendenti, dei pastori, degli inservienti dello stesso Monastero potessero liberamente pascolare per tutto il demanio della Contea di Chiaromonte e per le sue Terre(61) anche nelle difese(62), sia antiche che nuove, senza molestia o vessazione alcuna; anche se, per quanto riguarda la libertà di pascolare nelle difese, solo dopo che vi sono entrati gli animali della sua Corte(63). Concesse, inoltre, ai Frati, agli uomini, agli oblati(64), ai soggetti e agli inservienti dello stesso Monastero la libertà di vendere e di comprare, senza alcuna vessazione o esazione. Inoltre concesse che gli uomini, sia oblati che soggetti e inservienti dello stesso Sagittario, per il tempo in cui realmente sono al suo servizio, non siano obbligati a nessuna tassa annuale o colletta, né siano da nessuno dei suoi addetti obbligati o molestati per nessuna occasione, ragione o causa. Concesse, infine, al Sagittario la facoltà, se lo volesse, di poter seminare o fare altri lavori nelle sue terre senza la tassa del terratico.(65) E in osservanza di tutte le concessioni e le conferme fatte impose e intimò a sé e ai suoi eredi di pagare alla Regia Curia cento once d'oro e altrettante al Monastero del Sagittario(66), così anche alle Università(67) di tutte le Terre del suo Dominio se avessero tentato di revocare o ritrattare in qualche punto il detto privilegio e non avessero, entro un mese, reintegrato nei suoi diritti il detto Monastero. Il testo di questo privilegio lo pubblichiamo tanto più volentieri quanto più abbiamo faticato, procurandoci anche le maledizioni Apostoliche(68), per il recupero di esso e degli altri privilegi addotti in questo capitolo.
Ed ecco il tono del testo originale.
Noi Margherita di Chiaromonte ecc.(69). Considerando che la vita di questo mondo è breve e come ombra e quasi come nave che passa per un fiume d'acqua, desiderando noi anche, quando Dio vorrà chiamarci da questa vita, di ritornare con gioia alla nostra patria la Gerusalemme superna dove avremo la nostra vera dimora indubbiamente secondo la nostra fede, come dice l'Apostolo: Non abbiamo qui una dimora permanente ma cerchiamo quella futura; anche perché in questo mondo siamo dispensatori di Cristo e niente è nostro o resta inseparabile se non quello che stabiliamo per Dio e diamo con le nostre mani nelle Chiese ed elargiamo con le nostre mani per le necessità dei poveri, secondo il detto del Beato Agostino: Tutto ciò che avrai dato a Dio per la tua anima è tuo, mentre è perduto tutto ciò che avrai lasciato qui(70), mossi da questi santi e giusti motivi, con il presente atto pubblico facciamo noto e dichiariamo a tutti e ai singoli sia presenti che futuri: siccome spetta alla nostra grandezza migliorare tutte le cose e soprattutto confermare con la devozione le cose che riguardano la libertà delle Chiese(71); visti, dunque, e osservati diligentemente alcuni privilegi e altre scritture e donazioni fatte dai nostri predecessori di felice memoria e anche da Imperatori e da altri Principi e Signori Re dei tempi passati al Venerabile Monastero di Santa Maria del Sagittario dell'Ordine Cistercense, della Diocesi di Anglona per rimedio e salute delle loro anime, desiderando, inoltre, di essere aiutati qui e in futuro dalle preghiere dei Venerabili Frati dello stesso Monastero presso il Signore nostro Gesù Cristo e la Gloriosa Vergine Madre Maria, spinti dalle giuste richieste degli stessi Frati, poiché per prima a noi risulta dai predetti scritti(72) e in secondo luogo per sufficienti prove di alcuni uomini probi e anziani della contrada, del territorio e del nostro dominio, da donazioni sia dei nostri predecessori che di altri signori, che il detto Monastero teneva e possedeva, e tiene ancora a giusto titolo e possiede al presente, vogliamo, irrevocabilmente comandiamo e ordiniamo che il detto Monastero ora e in futuro non sia giammai, in alcun tempo, defraudato nei suoi diritti, giurisdizioni e onori, e che rimanga per sempre in ogni suo potere e che, per la nostra anima sia accresciuto di favori più grandi. E prima di tutto che lo stesso luogo del Sagittario ove il Monastero è situato con il vastissimo tenimento che lo circonda sia libero e quieto da ogni molestia o servitù, con tutti i suoi diritti e le sue pertinenze, con la fida e diffida(73) di animali di persone estranee di qualsiasi grado o autorità, con le quarterie(74), con i carnaggi represali(75) e con tutti gli altri vantaggi, e sotto la pena di dodici once d'oro da pagare da parte di qualsiasi persona che arrechi molestia e che entri nel detto tenimento senza il permesso e la volontà dell'Abate e della Comunità del Monastero predetto, della quale somma metà sarà pagata alla nostra Curia e l'altra metà alla Chiesa irremissibilmente. Allo stesso modo il Castello del Sicileo presso il fiume Sinni sia libero e quieto, delimitato in sicuri confini, come chiaramente descritto nel privilegio concesso alla stessa Chiesa da parte del defunto Eccellentissimo Signore di felice memoria il Conte Renaldo de Guasto(76), con tutti i loro diritti, preminenze e onori, con fida e diffida di animali di ogni persona, con carnaggi, quarterie e altri vantaggi e rappresaglie(77). Così anche la difesa limitata e confinante con il detto tenimento del Sicileo, chiamata Santa Chinapura(78). V3. dalla parte dell'Oriente vi è il vallone del Sicileo, e sale per lo steso vallone su per la Cresta di Santa Genapura(79) dalla parte di Mezzogiorno, e si volta al Canale del Rubio e discendendo per il predetto Canale fino al fiume Sinni per il predetto fiume ritorna al sunnominato vallone del Sicileo. Sia libera e quieta e senza alcuna molestia, con fida e diffida, carnaggio, rappresaglie e tutti gli altri onori e sotto la pena delle dodici once d'oro predette da pagarsi nel modo e nella forma come sopra. Così anche il mulino di Chiaromonte con gli orti, gli ortalizi(80) e le terre tutte intorno fino al fiume Sinni, con tutti i diritti e le sue pertinenze. Ancora la Chiesa di San Nicola di Salza presso Senise con le vigne, le case, le possessioni, le cose e tutti i suoi diritti. Inoltre la Chiesa di S. Maria di Lauro con il tenimento di Rotondella del Mare(81) e la Trisagia con tutti i diritti e le sue pertinenze, libero e quieto, con fida e diffida di tutti gli animali di estranei di qualsiasi grado o dignità, e senza alcuna vessazione e molestia di uomini. E ancora un tenimento o foresta di S. Nicola di Frascini in territorio di Ordeolo(82), libera e quieta da qualsiasi molestia, confida e diffida di tutti gli animali di estranei a qualsiasi grado o condizione appartengano, con le terre che si trovano nella contrada che si chiama Lu Gruttuni(83) con i suoi confini ben delimitati. Così anche il tenimento di Matina di Pellicorio, libero e quieto da qualsiasi molestia di uomini, con i diritti e le sue pertinenze; tutte cose che accettiamo e ratifichiamo, concediamo e confermiamo e che di nuovo, per quanto spetta all'eccellenza nostra, devotamente doniamo al Monastero, e vogliamo che liberamente e tranquillamente, come sopra è stato detto, il già detto Monastero abbia e tenga e possegga in perpetuo senza qualsivoglia contrarietà, vessazione o molestia, ricevendone gli affidi, le rappresaglie, i carnaggi, le quarterie e gli altri vantaggi nei predetti tenimenti, nel modo e forma sopra espressamente definiti. Così vogliamo in remissione dei nostri peccati, e in perpetuo concediamo che gli animali del detto Monastero e di tutti i suoi uomini, pastori e inservienti, pascolino liberamente e con sicurezza per tutto il nostro demanio e nelle terre del nostro dominio sia nelle difese antiche che nuove(84); e anche se nelle predette difese, sia antiche che nuove, entreranno i nostri animali, anche gli animali della detta Chiesa e dei suoi inservienti abbiano subito, anche dopo l'ingresso degli animali di nostra proprietà, libera facoltà, e senza licenza, di entrarvi, di restarvi e di pascervi, e ogni altra cosa necessaria senza molestia e vessazione. E, inoltre, i Frati e gli altri uomini di detto Monastero, sia gli oblati(85) che i soggetti(86) e gli inservienti per il tempo che sono alle dipendenze dello stesso Monastero, possono in tutto il nostro Demanio vendere e comprare senza alcuna esazione o vessazione(87); né, fino a quando saranno al servizio di detta Chiesa, siano costretti a pagare tasse annuali o collette(88) né siano, per nessuna ragione, occasione o causa, oppressi o molestati da alcuno dei nostri Officiali(89) o dei nostri dipendenti. Perché si preghi per la remissione dei nostri peccati e per la nostra anima, se l'Abate o la Comunità dei Frati vorrà prendere qualcosa dalle terre del nostro dominio per l'utilità e la comodità della detta Chiesa, per la semina o per eseguire qualche opera, lo può fare liberamente e senza che sia, in alcun modo, sottoposto ad alcun pagamento di terraggi(90), né alcuno mai lo vieti in alcun modo. E perché tutte e singole le cose dette abbiano perpetua forza (91) di stabilità e si osservino inviolabilmente, se per caso, in alcun tempo, si tenderà da parte di qualche Università di qualche Terra(92) del nostro dominio, o da parte nostra o dei nostri eredi, di revocare o ritrattare in qualche cosa questo privilegio, incorrino immediatamente nella pena di cento once d'oro(93) da pagare alla Regia Curia e altrettante da pagare allo stesso Monastero, se entro un mese non avranno risarcito il detto Monastero senza alcuna diminuzione, ferma restante questa conferma e concessione in tutta la sua forza e stabilità. E così noi e i nostri eredi, perché le cose che si sono dette si osservino inviolabilmente, abbiamo solennemente obbligato i nostri beni presenti e futuri, e perciò a perpetua memoria della cosa, abbiamo comandato di redigere il presente privilegio e l'abbiamo munito con il nostro solito sigillo pendente con una cordicella di seta gialla e rossa. Dato nel castello di San Chirico nell'anno del Signore 1350, il giorno primo di luglio della terza Indizione. Registrato ecc. ecc.(94).
Se poi Margherita dopo questo anno 1350 abbia erogato qualche altro privilegio in favore del Sagittario non lo so. L'ho trovata ancora vivente in un privilegio da lei dato il primo di gennaio 1354(95) a Tommaso Succurto, suo familiare, per i servizi prestati e che sperava avrebbe prestato in futuro, e ai suoi eredi da lui legittimamente o già nati o che sarebbero nati in futuro, sui diritti, i redditi e i proventi della sua funzione di balivo(96) della sua Terra di Senise, in due once d'oro da percepire anno per anno dai redditi, diritti e proventi di qualsiasi tipo spettanti e pertinenti in qualsiasi modo a detta funzione di balivo. Inoltre allo stesso Tommaso e ai suoi eredi concesse, in considerazione dei servizi che per molto tempo erano stati prestati, che, ogni volta che capitasse, sia lui che i suoi eredi potessero nella terre della sua Contea di Chiaromonte vendere alcuni loro animali e altre loro cose, o comprare, e anche far macellare gli animali senza che fosse tenuto a pagare al Conte o alla sua Corte alcun contributo. Concesse, inoltre, la libertà allo stesso Tommaso e ai suoi eredi, che nei tenimenti delle Terre della sua Contea i loro animali potessero liberamente muoversi nei pascoli di erbe e di ghiande senza che per questo si fosse costretti ad esibire nessuna fida(97) o qualsiasi altro permesso, ad eccezione delle sole difese antiche che volle espressamente riservate agli animali della sua Corte(98). Ma sia che Margherita di Chiaromonte abbia dato o meno qualche altro privilegio al Sagittario, per riguardo ai meriti dello stesso nostro Beato Giovanni da Caramola, tutti i singoli privilegi, le concessioni, le libertà, le esenzioni, le giurisdizioni e i diritti concessi da Imperatori, Re, Principi e Signori al Monastero del Sagittario fino al giorno 10 di maggio dell'anno del Signore 1378, furono confermati, ratificati, accettati e nuovamente concessi in perpetuo dalla Regina Giovanna I, figlia di Carlo d'Angiò, illustre Duca di Calabria e nipote di Roberto sapientissimo Re dei Napoletani(99). Questa, infatti, in remissione dei suoi peccati e per le anime dei suoi antenati, concesse al Sagittario dodici once d'oro annualmente sugli introiti e sui redditi della Dogana di Napoli(100), come appare dal privilegio già pubblicato(101), che siccome abbraccia molte cose che è bene siano conosciute dai posteri, ho pensato di trascrivere e di riportare qui, perché sfugga alla voracità del tempo. Ed ecco la copia.
Giovanna per grazia di Dio Regina di Gerusalemme e di Sicilia, del Ducato di Puglia, del Principato di Capua, della Provenza, di Forcalquier, e Contessa del Piemonte. A tutti e ai singoli presenti e futuri che vedranno questi scritti. Sebbene la pienezza non abbia bisogno di aggiunte, né ciò che è già fermo di stabilità, si conferma, tuttavia, a volte, non perché ciò sia necessario, ma perché si veda la sincera generosità di chi conferma e si aggiunga al fatto la forza di più sicura cautela. Da parte del Venerabile Abate e dei Religiosi della Comunità del Monastero della Beata Vergine del sagittario dell'Ordine Cistercense della Diocesi di Anglona, da delegati a noi fedeli e diletti fu esposto umile supplica e dichiarato alla nostra Maestà che il suddetto Monastero fu fondato ed edificato da molto tempo, che ci vivono dei Monaci e che alcuni Frati di detto Monastero vissero in modo lodevole, tanto che, per ispirazione di Dio, uno di detti Monaci, cioè Fra' Giovanni da Caramola,fu ivi santificato(102) e divenne famoso sia in vita che in morte per numerosi miracoli e ancora oggi risplende soprattutto nelle Terre di Senise e di Chiaromonte, ove restituì alla salute di prima molti uomini affetti da diverse malattie e infermità; e il suo santissimo corpo è venerato al presente nel predetto Monastero. Ma anche molti altri Frati condussero una vita lodevole e santa, degna di ammirazione, esercitando, nello stesso Monastero, opere di carità. Perciò l'invittissimo defunto Imperatore Federico sempre Augusto(103) sommamente ingrandì detto Monastero con onori e dignità e con grandissima libertà(104). Così il serenissimo di pia e santa memoria defunto illustrissimo Re Roberto(105), Riccardo conte di Chiaromonte e la contessa Margherita, la defunta Signora Albreda(106), signora di Colobraro Noa e Rotonda, Rainaldo del Guasto concessero al detto Monastero molti e diversi privilegi e grandissime libertà accumulando e donando molti beni: il tenimento in cui detto Monastero è situato, il vasto e ampio tenimento del Sicileo, la foresta della Terra di Ordeolo libera da ogni servitù, il tenimento di Rotonda del Mare e della Trisagia, il tenimento di S. Nicola di Frascini, il luogo di Sant'Agata tra Malveto e il tenimento di Pellicorio, mulini e tanti altri tenimenti, Sagineto(107) beni e territori, franchigie e libertà, e soprattutto che gli animali del predetto Monastero e dei suoi inservienti abbiano la libertà e la possibilità di pascolare a proprio agio e facilmente(108), e possano prendere senza impedimento alcuno ghiande, erbe e tutto il necessario, non solo in tutta la Contea di Chiaromonte, nei suoi tenimenti e nelle difese, ma anche in tutto il regno di Sicilia, non solo per le Terre e i luoghi del nostro demanio, ma anche in quello degli altri Signori del detto Regno(109) senza alcuna molestia, angheria ed esazione di alcuna cosa; e fecero allo stesso Monastero similmente altre concessioni, donazioni, agevolazioni e grazie, come sono contenute nelle lettere e nei privilegi degli stessi donatori. Con molta chiarezza, dunque, questi fatti furono noti alla nostra Maestà, e noi vedemmo e osservammo tutte le cose predette; perciò da parte dello stesso Abate e della Comunità dei Frati, fu umilmente presentata supplica dinanzi al nostro trono che ci degnassimo con grazia speciale(110) di ratificare confermare e nuovamente concedere e donare, i tenimenti, le terre, i luoghi(111), i territori, la foresta, i mulini, le donazioni, le concessioni, le franchigie, le immunità e le grazie predette concesse alla stessa Chiesa da parte dei sunnominati donatori. E noi, intendendo continuare con il massimo favore le concessioni e le grazie elargite in modo particolare alle Chiese(112), e specialmente al detto Monastero, per i quali siamo pieni di zelo e che amministriamo con animo devoto, acconsentendo benignamente alle preghiere del detto Abate e della Comunità dei Frati, a rafforzamento di una più piena sicurezza, per certa nostra conoscenza, a tenore delle presenti lettere, ratifichiamo, accettiamo, diamo di nuovo in perpetuo e confermiamo le sopraddette immunità, libertà e grazie e tutti gli altri beni, sopra esposti, fatti ed elargiti alla stessa Chiesa dai sunnominati donatori, nella possessione dei quali si trova lo stesso Monastero al presente e secondo il tenore delle lettere e dei detti privilegi dei donatori. Diamo, inoltre, e concediamo in perpetuo, in remissione dei nostri peccati e per le anime di santa memoria dei nostri antenati, sugli introiti e redditi della Dogana della Città di Napoli dodici once d'oro all'anno. Col tenore delle presenti lettere concediamo, poi, a tutti e ai singoli nostri Officiali presenti e futuri e alle altre persone a cui spetta o potrà spettare in futuro, a qualsiasi titolo chiamati, che sostengano, proteggano, conservino e difendano i Religiosi del detto Monastero o altri che siano loro rappresentanti, circa il possesso di detti beni e grazie, né permettano che siano molestati da alcuno o che siano in qualche occasione disturbati. Se poi qualcuno oserà annullare o, in qualche modo, contraddire queste nostre lettere o il presente scritto, in pena della sua temerarietà prepari dodici libbre di oro purissimo(113) da dare metà alla nostra Curia e l'altra metà alla detta Chiesa cui ha arrecato danno, a meno che non ripari il suo reato entro il termine di trenta giorni e non renda totale soddisfazione alla detta Chiesa, e il presente privilegio resti sempre in tutto il suo vigore. In testimonianza di tutto questo e per il rafforzamento di detto Monastero e per la sua sicurezza in futuro, abbiamo comandato che si facesse questo privilegio. Dato a Napoli tramite il Magnifico Giurolo di Napoli, Milite, Logoteta(114), Protonotario del Regno di Sicilia, Collaterale(115), Consigliere e nostro fedele, nell'anno del Signore 1378, il 10 di maggio, della prima Indizione. Trentesimo anno dei nostri Regni(116).
Qui di passaggio è da supporre che molti altri privilegi si siano aggiunti al Monastero del Sagittario sia prima sia dopo la redazione del privilegio, ora presentato, della Regina Giovanna I, dei quali la suddetta Regina di Napoli non ha fatto menzione. Infatti tra gli altri privilegi che ancora sussistono nell'Archivio del Sagittario e che si salvarono dalle mani degli empi(117), vi è quello con cui Guglielmo della Marra(118), Milite, Signore delle Terre di Stigliano, Sant'Arcangelo, Cinapura(119) e Vagnano(120), ad onore del nome di Dio, per sentimento di carità e in suffragio delle anime dei suoi antenati, mentre era Abate del Sagittario Guglielmo, la cui bontà lo faceva degno di grazia maggiore, per pura sua generosità e per grazia speciale, concesse in perpetuo e irrevocabilmente al Venerabile Monastero di S. Maria del Sagittario, cui era legato da spirito di riverenza e onore, che tutti gli animali delle sue masserie, che avesse e che dovesse avere, di qualsiasi genere, specie e sesso, potessero, in tutti i territori delle sue Terre, ad eccezione delle sole difese antiche e riservate alla sua Curia, servirsi dei pascoli di ghiande, erbe e spighe ed anche delle acque sicuramente e liberamente, senza prestazione di fida o di altro qualsiasi diritto; e in essi e in qualsivoglia dei suoi terreni potessero sostare e fermarsi senza alcuna molestia e contrarietà alcuna da parte sua, dei suoi eredi e dei suoi successori, se e tutte le volte che all'Abate Guglielmo e ai suoi successori piacesse o sembrasse meglio e più utile per il detto Monastero. Queste e altre cose è possibile vedere più ampiamente nel suo privilegio originale, firmato proprio dalla mano di Guglielmo(121), Milite(122). Il privilegio fu redatto in Roccanova(123) nell'anno del Signore 1369, il giorno primo di settembre, ottava Indizione.
Ma mentre questi benefici e molti altri, soprattutto per i meriti del Beato Giovanni da Caramola, accrescevano la grandezza dei Cistercensi, fino a che il Sagittario fu in auge, quando nella Chiesa di Dio, sotto il pontificato del Papa Urbano VI, scoppiò lo scisma lungo e pessimo per tutti(124), come altrove abbiamo detto(125), alcuni dei tanti beni del Sagittario cominciarono a diminuire. Infatti per tutto il tempo in cui il Papa e l'Antipapa, per esercitare il potere e per attirare facilmente gli uomini a prendere le proprie parti e allettarli alle loro fazioni, dispensavano tutti i benefici, sottoponendo soprattutto i Monasteri degli Ordini Regolari, a nuove Commende(126), i Commendatari del Monastero del Sagittario e quelli che, in quel periodo, furono i loro Agenti e Procuratori, fino al Pontificato della felice memoria di Papa Pio IV(127) che governò la Navicella di Pietro dal 26 di dicembre dell'anno del Signore 1560, fino al giorno 9 dello stesso mese dell'anno 1565, non si preoccuparono tanto di conservare i beni e i diritti della Chiesa loro affidata quanto di portare alla totale distruzione le cose del Sagittario. Per questo i Padri del Sagittario, non potendo più sopportare la tirannide che su di loro esercitava Girolamo Virgallito Commendatario, tramite Giovanni Luigi Virgallito della Terra di Senise, suo procuratore(128), si rivolsero al Romano Pontefice Pio IV, lamentandosi dei torti che ricevevano; e da lui ebbero un Breve(129) firmato di mano del Cardinale Ludovico Simonetta alla presenza dello stesso Santissimo Signore datato a Roma, presso S. Pietro, sotto l'anello del Pescatore(130) il giorno 4 di ottobre 1564, in cui si chiedeva che il Vescovo di Anglona e il suo Vicario Generale nelle cose spirituali, dopo aver convocato chi di necessità, esaminasse gli eccessi contenuti nel libello di supplica e procedesse fino alla sentenza definitiva e alla sua esecuzione, e facesse che ai Monaci del Sagittario si assegnasse la separazione della Mensa(131). Era, allora, Vescovo di Anglona Giovanni Paolo Amanio, di Crema(132), nobile per molta esperienza di vita ed eminente per autorità e per dottrina. Aveva preso parte al Concilio Tridentino e vi aveva apposto la sua firma; era molto caro a Pio IV. I Padri del Sagittario, tramite il loro Procuratore, il Venerabile Padre Don Carluccio di Ciminello, di Castelluccio, monaco dello stesso Monastero, accusarono Giovanni Luigi Virgallito di 44 imputazioni(133); e il predetto Vescovo Giovanni Paolo Amanio lo dichiarò, finalmente, come reo confesso in tutte le accuse imputagli, con un suo decreto firmato di propria mano e letto e promulgato, mentre la Curia sedeva in tribunale, il giorno 7 del mese di febbraio del 1565. Ma mentre il Vescovo Giovanni lavora alacremente per punire le colpe di Luigi, l' Abate Commendatorio Girolamo, pentitosi nel cuore del male, cercò di calmare gli animi dei Sagittariensi e di blandirli a suo favore. Si arrivò, così, ad un accordo: si definirono i beni e i diritti per il vitto e il vestito dei Monaci e per le riparazioni degli utensili e del Monastero(134), e i Sagittariensi si ritirarono dalla causa e deposero l'astio concepito contro il Procuratore Giovanni Luigi, ciò che egli più di ogni altra cosa aveva desiderato. E lo strumento della convenzione e della concordia fu confermato da Gregorio XIII, come altrove abbiamo detto(135). Perché, poi, si sappia quali tenimenti, quali libertà e quali diritti, contenuti nei privilegi sopra dati e citati, abbia persi nella Contea di Chiaromonte il Monastero del Sagittario per colpa dei Commendatari, sia lecito riportare alla lettera la sentenza promulgata da Sebastiano della cosentino, Regio Valle, dottore in ambedue i diritti(136), cosentino, Regio Commissario deputato per la reintegrazione dello Stato dell'Illustrissimo ed Eccellentissimo Principe di Bisignano, Conte di Chiaromonte ecc.(137), la quale, sebbene lunga non dispiacerà all'attuale Illustrissimo e Reverendissimo Commendatario, né sarà nociva ai Signori Padri del Sagittario, né ingrata allo studioso e al lettore curioso. Ecco il testo(138).
Al tergo(139): Sentenza del Reverendo Abate del Sagittario.
Nell'interno Nel Nome dei Signore nostro Gesù Cristo. Amen.
Nell'anno della Natività del Signore 1546, Regnando i Serenissimi e Cattolici(140) Signori nostri i Signori Carlo V Imperatore dei Romani sempre Augusto re di Germania(141), Giovanna(142) madre e lo stesso Carlo suo figlio, per grazia di Dio re di Castiglia, di Aragona, delle due Sicilie, di Gerusalemme ecc. il 27 del mese di maggio, della quarta Indizione. Nel Castello o Palazzo dell'Illustrissimo Principe di Bisignano nella Terra di Senise(143)„ presso la strada pubblica all'intorno(144). Noi Sebastiano della Valle, dottore in ambedue i diritti, Commissario d'Ordine delle Sacre e Cattoliche Maestà(145), tramite 1'Ill. Signore Vicerè del Regno(146), deputato per la reintegrazione dello Stato(147) dell'Ill. Signore il Principe di Bisignano, come si vede dalle lettere sottoriportate della nostra Commissione del predetto Ill. Signore il Vicerè del Regno con inserita la copia delle lettere Commissionali delle Sac. e Ces. Catt.(148) Maestà spedite sotto la data 15 dicembre 1543 nel Castelnuovo di Napoli(149), e da altre lettere del predetto Ill. Signore il Vicerè del Regno, anch'esse con inserita la copia delle lettere Commissionali delle Sac. Ces. e Catt. Maestà spedite in data 4 dicembre 1545 nel Castelnuovo di Napoli, impresse al tergo con i soliti sigilli regali e avvalorate, le stesse lettere di Commissione, con altre sottoscrizioni. (Sulla sentenza che si ebbe circa la reintegrazione dei beni del Principe di Bisignano si hanno le lettere commissionali precitate del Vicerè del Regno con acclusa la copia della lettera di Carlo V data nella città della Specia(150) il 27 sett. 1541, nella quale lettera di Carlo V è contenuta tutta la potestà del Regio Commissario reintegratore; ma per quanto riguardava i possessori di beni nello Stato del Principe di Bisignano, Carlo V aggiunge espressamente questa precisazione: Che la potestà dei Commissari non comprenda quei beni che nello spazio di trent'anni e con l'assenso regio furono alienati dal detto Stato e dalle sue Terre; su di queste si proceda per via ordinaria innanzi ai giudici competenti, senza che si voglia in alcun modo tentare il contrario, se si vuole il compiacimento dell'Illustre Vicere(151) ed evitare, oltre all'incorrere nella nostra ira ed indignazione, la pena di mille ducati d'oro, ecc.

- Ho letto la predetta lettera commissionale nelle platee(152), e negli inventari autentici di Chiaromonte e di Senise e nel Grande Archivio della Regia Camera(153), - Sedendo noi in tribunale(154) ed essendo tra noi l'egregio Mattia de Lando, Notaio degli atti del detto reintegratore e rappresentando la Curia(155), diciamo, facciamo noto e dichiariamo che, essendoci noi recati, secondo la nostra lettera commissionale, nella Terra di Chiaromonte per la reintegra da fare nella detta Terra, fu emanato per nostro ordine, un editto circa la descrizione e l'inventario dei beni feudali e demaniali(156), dei diritti e delle giurisdizioni che il detto Illustrissimo Signore Principe ha e pretende di avere in detta Terra e nelle sue pertinenze e distretti, con inserita la forma della petizione degli stessi beni e diritti, presentata tramite il magnifico Procuratore del detto Illustrissimo Principe in cui chiedeva che tutti i feudi che gli appartenevano, i territori e i diritti tenuti da qualsiasi persona, anche da ecclesiastici, nella detta Terra di Chiaromonte, fossero, come indebitamente da loro tenuti e posseduti, reintegrati e uniti alla mensa feudale(157) di detto Illustrissimo Principe. Per il quale editto, essendo stati citati, secondo il solito, il Sindico(158) gli Eletti dell'Università(159) e gli uomini della Terra i Feudatari e tutti gli altri che avessero avuto motivo di essere presenti a quanto sopra detto, comparve fra gli altri il Magnifico e Reverendo Giovannello Virgallito Abate Commendatario della Venerabile Chiesa di Santa Maria del Sagittario, e disse che lui e gli altri Abati suoi predecessori avevano tenuto e posseduto e al presente ancora tenevano e possedevano i beni infrascritti i diritti e le immunità, e di essi e di ognuno di loro aver goduto in forza di amplissimi privilegi concessi alla detta Venerabile Chiesa da parte di Principi per il passato, e per tanto tempo che in contrario non c'è ricordo di uomini(160); e prima di tutto un comprensorio di terre posto nel territorio di Chiaromonte in contrada di Arimentana, che comincia dal muro vecchio e con i suoi confini va fino alla fronte che tende alla Valle di Laino e alla Conca del Ventrile, e, di cresta in cresta, fino alla Pietra di Faraco, che(161) è presso il fiume Frido e discende per lo stesso fiume fino alla metà del piano, ove si riunisce con il primo confine dalla parte di oriente: con diritto di pascolo con le proprietà, i diritti, le azioni, le prerogative, i terraggi, e le sue pertinenze, franco da ogni imposta. Così ancora due altri fondi coltivati: uno V3(162) sito nella contrada che si chiama Corrari o Grottola , limitata dai confini qui descritti: V3 comincia dalla Pietra di Faraco che è presso il fiume Frido(163) e discende per lo stesso fiume fino alla tartarea(164), e poi discende alla detta Pietra di Faraco. L'altra terra coltivata è nel luogo del Martineo, ora è detto della Palombara(165), come inizia dal fiume Sinni e sale per un vallone che è detto di Cusino e sale per lo stesso vallone fino al fronte che è sopra la stessa via, e discende per questo fronte fino al fiume Frido e seguendo questo fiume scende fino al fiume Sinni dove ci sono anche due mulini(166) che appartengono alla stessa Chiesa con una serra(167) e battinderi(168), con i diritti e tutte le sue pertinenze, con esenzione da imposte. Inoltre due altri mulini con terre tutto intorno al di qua del fiume Sinni, nella contrada di Carroso, presso la conduttura dell'acqua andando su fino alla petraia del Sinni(169), e proprio ai piedi del vallone della Grancia discende, seguendo lo stesso fiume fino alla conduttura vecchia, e seguendo questa, in alto, esce sulla via che conduce al mulino presso le terre della Certosa di S. Nicola(170) con tutte le sue pertinenze e franca. Così il luogo in cui è Sita la detta Chiesa con un vastissimo tenimento, così comincia: V3 dalla parte occidentale e meridionale, la serra che è detta di Imbriacolosa, e va per quella serra al piano che è detto Piazzamano fino al vallone denominato del Turno e scende per quel vallone fino al fiume Frido e poi sale seguendo questo fiume fino al vallone che si chiama Calcinaro e per questo vallone fino alla già detta serra della Imbriacolosa; e questa è la conclusione dei confini da ogni parte. E questo tenimento di detta Chiesa è franco, libero ed esente, con i diritti, le giurisdizioni, le azioni, le prerogative, le quarterie, le rappresaglie, e tutte le altre proprie pertinenze, con la pena di dodici once d'oro da pagare da parte di chiunque entri in detto territorio senza il permesso del Reverendo Abate di detta Chiesa, con la giurisdizione civile e criminale(171) e la cognizione delle cause civili, criminali e miste(172) V3 dal giorno 13 del mese di agosto, fino a tutto il giorno 16 dello stesso mese nei riguardi di chi ivi arrivasse o di chi vi si trovasse.(173) Allo stesso modo il tenimento del Sicileo che è un territorio di per sè separato dal territorio di Chiaromonte e dagli altri territori, presso il fiume Sinni, il Vallone di Mineo e il vallone del Rubio. Ha origine con il Rubio e sale per lo stesso piano di Luparelli e di San Nicola di Diacono, sale per l'antro dei Volgari e arriva alla via trasversale che va a Noha ed esce per la tartarea, la quale passa per la via della Chiesa di Sant'Elena(174), che va per la terra di Curtelli(175) e ritorna al Vallone che si chiama Scannagatta da dove ritorna al Vallone di Mineo e a metà dello stesso vallone arriva al fiume Sinni. In questo tenimento vi è una difesa della stessa Chiesa dai confini che qui vengono delimitati. Dalla parte orientale vi è il vallone del Sicileo e per questo stesso vallone sale su per la cresta della serra detta di Santa Ginapura; dalla parte meridionale si volta verso il canale del Rubio e scendendo per il predetto canale si arriva fino al fiume Sinni, salendo, poi per il predetto fiume, al predetto vallone del Sicileo. La difesa è libera(176) e quieta e senza alcuna molestia da parte di nessuno, confida e diffida, carnaggi, rappresaglie e tutti gli altri diritti(177) e sotto pena di dodici once d'oro da pagare nel modo e nella forma già detta, con giurisdizione e cognizione delle cause civili, criminali e miste; e per quanto riguarda i cittadini e gli abitanti che, per caso, volessero riunirsi per dimorare nel detto territorio del Sicileo potranno agire secondo la forma dei privilegi e non in altro modo. Così il diritto di proibire la costruzione di mulini nel territorio di Chiaromonte e di riparare i vecchi; cioè che nessuno può nel detto territorio della Terra di Chiaromonte e nel suo distretto e pertinenze costruire nuovi mulini né riparare i vecchi in danno della detta Chiesa. Così il diritto di pascolo per gli animali della detta Chiesa, e dei suoi Oblati nel Demanio della Contea di Chiaromonte e della terra di Senise senza alcun impedimento(178). Lo stesso per l'oliveto e l'orto della stessa Chiesa con gli altri alberi da frutta nella contrada di San Cristoforo, che confina a oriente, occidente e mezzogiorno con le vie pubbliche e dalla parte di settentrione con l'orto della Chiesa di San Leonardo, con terraggi e frutti, franco e libero, così un pezzo di terra della detta Chiesa in contrada di Maiolongo o Fontanella, franco e libero che confina a settentrione con la vigna di Giovanni di Arbio ad occidente con una vigna della detta Chiesa di Santa Maria quali tenino a decima, Linardo de Cliento e Vincenzo Rosata(179). Così nella contrada Mancluso, un pezzo di terra segnato da questi confini: dalla parte di mezzogiorno con il fiume Sinni salendo su per il Vallone di Cavallano, per questa valle fino alle Terre che al presente tiene Todaro di Todaro, che sono della Corte, esce salendo alla cresta delle terre del feudo de lo Cannito o di Latonia, come scende l'acqua verso oriente(180) e per la detta cresta discende al predetto fiume e finisce. Così ancora nella contrada del Ponte una vigna con alcuni vignali(181) limitati da questi confini, V3 dalla parte di occidente, con la via pubblica, dalla parte del mezzogiorno con la vigna di Antonello di Maestro Cecco, dalla parte di oriente con la vigna di Giovanni Maria Virgallito, vigna che fu già del Notaio Ugone di Motta. Ancora una vigna nella contrada del Gafaro(182), con alcuni altri alberi di ulivi, delimitata con questi confini, V 3. dalla parte occidentale con l'uliveto di Giacomo Antonio Virgalitto e con la via pubblica, dalla parte di mezzogiorno con le terre di Battista di Diambra dalla parte dell'oriente con le terre di San Nicola della Certosa, con l'oliveto dell'Ospizio(183) e con le terre di Agostino Gallarati, inoltre due vigne nella contrada di Maldenaro, con alcuni vignali e terre tutt'intorno, con molti alberi, delimitate ad oriente dalla via pubblica, dalla parte di borea con il Vignale degli eredi di Tommaso de Grazia e la via pubblica, a mezzogiorno con la vigna di Elia Grosso, e con altri confini. Similmente un pezzo di terra in contrada de li Manchi che confina a mezzogiorno con la via pubblica, a oriente con il Vallonello(184) e con le terre della Chiesa della Trinità di Senise(185), ad occidente con le terre di S. Giovanni di Chiaromonte, e altri confini. Ancora un oliveto con altri alberi nella contrada della Grutta de l'acqua limitato dai seguenti confini, V3. a mezzogiorno e a oriente con un orto e un oliveto del Notaio Iannuccio Virgallito e Agostino Gallarati, a settentrione la via pubblica, a occidente le terre e gli ortali e con l'oliveto di Pietro Antonio e Giovanni Luigi Virgallito e a borea con l'ortale del Notaio Iannuccio Virgallito. Ancora una vigna con alcuni vignali e terre vuote nella contrada Corace, delimitati da questi confini: dalla parte d'oriente la via pubblica per la quale si va al mulino, dalla parte di borea la via pubblica a occidente con la vigna di Carlo Barisano, a mezzogiorno con la vigna che fu di Cataldo di San Martino, e con altri confini. Inoltre una serra di acqua della detta Chiesa, adatta a chiudere le tavole(186) nella contrada de li Suaze, presso il vallone di Turno e lo iazzo(187) de la Puma. E altri confini, con il censo annuo di cinque carlini(188) da pagare alla Curia principale. Inoltre la giurisdizione civile, criminale e mista, e il mero e misto imperio sui vassalli, i familiari, gli oblati e gli inservienti della detta Chiesa di Santa Maria e al suo Abate o Commedatario(189). Così anche il diritto di proibire la pesca nella corrente del Frido, cominciando dal vallone de lo Turno fino alla pescheria del fiume. Così anche le immunità degli scandagi(190) V 3. circa gli animali della masseria o dei buoi comprati per uso della masseria, non solo il diritto di scandagio ma l'immunità del plateatico(191). Inoltre un trappeto per le olive in contrada Santa Sofia presso la detta Chiesa, con in mezzo un viottolo(192) e la via pubblica. Così pure un comprensorio di terre nel territorio di Senise con redditi e altri beni, come è contenuto in un 'altra esposizione presentata circa i beni siti nella Terra di Senise. Così anche la detta Chiesa di Santa Maria del Sagittario ha il diritto che nello spazio fra il Monastero e le Grance nessuno può arrestare alcuna persona per nessun motivo, anche criminale(193). Possiede, inoltre, nella contrada de lo Casale un Vignale che tiene Don Antonello Coppola con il reddito di quindici grani, delimitato da questi confini: dalla parte di Borea con il detto Antonello Coppola, ad occidente con Riccardo di Alfano, a mezzogiorno e ad oriente con le vie pubbliche. E ancora tiene due vie contigue nella contrada Corace limitate da questi confini V 3. ad oriente con la via pubblica, a mezzogiorno con la vigna che tiene Martino de Salvo, che è della Certosa di S. Nicola, ad occidente con la vigna di Eleonora Virgallita(194) e con quella di Don Leonardo Perpignano, dalla parte di Borea con la vigna della stessa Magnifica Eleonora, a reddito annuo e con il censo di undici carlini. Ancora nella contrada dell'Oliveto(195) o di Minieri la detta Chiesa tiene due vignali(196) con alcuni piedi di olive(197) e di sicomori(198), e altri frutti; e racchiusi in questi confini, V 3. Dalla parte di mezzogiorno con la vigna di Salerno da Rotonda, dalle altre parti con le vie pubbliche. Il detto Reverendo Signore Abate, a nome del predetto Monastero di Santa Maria del Sagittario, tiene nella terra di Senise, i beni descritti qui sotto, redditi o censi, V 3. un pezzo di terra in contrada di Borrello o della Vena(199), delimitato da questi confini, V 3. Dalla parte di Borea con il fiume Serrapotamo e dallo stesso fiume sale per la vecchia via con cui si andava a Chiaromonte, e discende all'Ogliastra e scendendo per la via con cui ora si va da Chiaromonte a Senise e attraversando dalla parte del mezzogiorno esce alle Terre che ora tiene Felice di Paolino, e con la vigna di Girolamo d'Elia, ed esce al fiume Serapotamo, primo confine. Così un uliveto in contrada Fontanelle(200), contiguo con Scipione Cotugno(201), la vigna di S. Francesco(202), la via pubblica. Inoltre due casaleni(203) nella contrada di Santa Maria presso la casa di Sant'Elia(204), con la via pubblica a occidente e un viottolo nel mezzo. Il nobile Scipione e Vittorio Cotugno, per una casa in contrada de la Piazza(205) e per un'altra casa nella contrada di San Francesco sono tenuti a pagare tre tareni e diciassette grana; Mata di Sant'Arcangelo, per una casa in contrada San Michele due tareni e dieci grana. La magnifica Vincenza di San Donato, per una casa nella contrada di Santa Croce é tenuta a pagare tre grana. Nicola La Camera, per un casa nella contrada di San Michele, e per una grotta nella contrada del Portello(206) è tenuta a pagare un tareno e quindici grana. Francesco di Napoleone è tenuto a pagare per una grotta nella contrada di San Michele , tre grana. Luciano di Paolino per una casa nella stessa contrada è tenuto a pagare dieci grana. Il notaio Francesco di Colantonio, per una vigna nella contrada della Sauza(207) e per un'altra partita comprata dagli eredi di Nardo di Stratella, è tenuto a pagare un tareno e diciassete grana e mezzo. Pietro di Troya, per un oliveto nella contrada della Guardia è tenuto a pagare undici grana. Il notaio Polidoro d'Afflitto per una vigna nella contrada della Serra della Guardia è tenuto a pagare, come sopra, un tareno. Antonello d'Elia per una vigna in contrada della Sauza è tenuto a pagare un tareno e cinquanta grana. Nicola de Mero per una vigna in contrada della Sauza è tenuto a pagare sei grana. Don Colicchia la Mendora per un oliveto nella stessa contrada è tenuto a pagare sette grana. L'erede del notaio Luigi Marino(208) per una vigna nella stessa contrada è tenuto a pagare nove grana. L'erede di Giovanni Oride per una vigna nella contrada di Sauza è tenuto a pagare otto grana. Cataldo Focarazo(209) per un oliveto nella stessa contrada è tenuto a pagare dieci grana e mezzo. Creusa di Iannicco è tenuta a pagare cinque grana per una vigna nella stessa contrada. Don Giovanni Carlo Crocco(210) per una vigna nella contrada Sant'Acqua è tenuto a pagare dieci grana. Nardo Libro per una vigna in contrada della Sauza è tenuto a pagare diciassette grana e mezzo. Antonio Boi, per una vigna che fu di Salerno de Vicario in contrada de lo Caraculo è tenuto a pagare due grana. L'erede di Vincenzo di Paolino per una vigna in contrada della Sauza è tenuto a pagare tre tareni e dieci grana, e per un'altra vigna nella stessa contada quindici grana. Luciano di Paolino per una casa nella contrada di San Michele è tenuto a pagare un tareno. Don Nicola Giacomo Missanello per una vigna nella detta contrada è tenuto a pagare dieci grana. L'erede di Zamorro per una vigna nella stessa contrada è tenuto a pagare cinque grana. Don Nicola de la Mendolara(211) per una vigna nella contrada della Sauza è tenuto a pagare due menzanelle(212) e mezzo di mosto. L'erede del notaio Loise Marino per una vigna nella stessa contrada è tenuto a dare sei mezzanelle di vino mosto. Nicola Daniele nella stes-sa contrada è tenuto a pagare otto grana. Gli eredi di Pianella de Giorgio per la vigna nella contrada della Sauza quindici grana. Gli eredi di Giovanni Francesco de Vito per la grotta nella contrada di Santa Caterina(213) sono tenuti a pagare sei grana. Gli eredi del notaio Giliberto Marino per l'oliveto nella contrada di San Pietro sono tenuti a pagare un grano. Il maestro Giovanni Paolo Gangarella per la casa nella contrada di Santra Maria del Presbiterato è tenuto a pagare un tareno. Tuzio Rufolo per la vigna in contrada di la Vena(214) è tenuto a pagare sei grana. Gli eredi di Colangelo de Marino per la vigna nella contrada di San Giovanni della Serra sono tenuti a pagare sette grana. Nardo Angelo di Mastro Grasso(215) per la vigna nella contrada di Tainale è tenuto a pagare un grano. L'erede di Vincenzo di Paolino per la vigna nella contrada de li Sauzi(216), è tenuto a dare mezza libbra di cera(217). Don Vincenzo Severo, per la casa nella contrada de la Piazza, è tenuto a dare mezza libbra di cera, Aquila del Rubio, per la vigna nella contrada delle Sauze, è tenuto a pagare cinque mezzanelle di vino mosto. Bernardino de Monte, per una vigna nella stessa contrada è tenuto a dare mezza mezzanella di vino mosto. Rinaldo de Turcio per la vigna nella stessa contrada è tenuto a dare due mezzanelle e un terzo di vino mosto. Inoltre un pezzo di terra nella contrada di lo Pinno di la Mandica(218) delimitata dai seguenti confini: con la fornace, con il notaio Giovanni di Noya e la via pubblica, e con i beni del nobile Marco del notaio Ruggiero e la via per la quale si va al foro(219), e con i beni degli eredi di Angelo Imperito e con i beni della Trinità. I mulini nella contrada Embolo o Picocco o di Trubolo, con il terreno tutto intorno e presso le vigne che tiene don Nicola Giacomo de Missanello al censo in enfiteusi(220) di un carlino all'anno, e presso la vigna di Nardo di Durante, che tiene al censo in enfiteusi di cinque grana all'anno, e presso la vigna di Colella de Rocca, che tiene, come sopra per cinque grana, e vicino alla vigna del notaio Daniele, che tiene, come sopra, a otto grana, presso le possessioni della Trinità di Senise(221) e la via pubblica dalla parte orientale e, dalla parte di borea, la via pubblica. — Fu, inoltre, espressamente detto che se di alcuni beni, giurisdizioni, diritti, immunità non si fosse parlato nella presente sentenza,si possa intentare su di essi azione giudiziaria per poterli ricuperare da qualsiasi persona li tenesse indebitamente. E dopo che da una parte e dall'altra furono fatte alcune repliche, esaminati i testimoni, presentati i privilegi e le scritture, dopo aver esposto legittimamente ogni cosa, fummo, finalmente, da parte del detto Magnifico e Reverendo Abate, richiesti, con la dovuta istanza, che dovessimo procedere all'espedizione della causa e alla emissione della sentenza. Perciò noi sopra indicati, viste le petizioni, le deposizioni dei testi, i privilegi e le scritture e discusse e considerate tutte le altre cose dedotte nel processo, mossi nella mente da degni motivi, dopo aver ripetuto il nome di Cristo e della Madre Gloriosa da cui procedono i retti giudizi e per cui gli occhi dei giusti guardano la verità(222), diciamo, dichiariamo e definitivamente sentenziamo che il predetto Magnifico Reverendo Giovannello(223) e l'Abate(224) dalla detta venerabile Chiesa di Santa Maria del Sagittario dovrà essere ed è assolto e liberato, come con questa definitiva sentenza lo assolviamo e liberiamo, dall'imposizione del detto Magnifico Procuratore dell'Illustrissimo Principe, e, i detti beni, redditi, censi, diritti, giurisdizioni, franchigie, immunità e tutte le altre cose, una per una elencate e descritte, sono spettate e appartenute e al presente spettano e appartengono alla detta Chiesa e al predetto suo Reverendo Abate, e la detta Chiesa e colui che ne sarà l'Abate nel tempo, abbia, e nel futuro possa avere i beni franchi(225), gli allodiali(226) e i burgensatici(227), liberi ed esenti da ogni onere di servitù o di censo, ad eccezione della detta Serra nella detta contrada delli Sauzi, che appartiene alle rendite della Corte del Principe della detta Terra di Chiaromonte per cinque carlini all'anno; e che di tutti questi beni possa disporre come di beni allodiali, franchi e burgensatici della stessa Chiesa. Riservando anche alla predetta Chiesa, al suo Abate presente e a chi lo sarà nel futuro, a nome della stessa Chiesa, il diritto di agire contro chi indebitamente volesse usurpare i beni e gli altri diritti della stessa Chiesa. Con la presente sentenza vogliamo che nel futuro non sia arrecato alcun pregiudizio alle altre immunità esposte dal detto Reverendo Abate e spettanti alla detta Chiesa. Proclamando questa sentenza in questi scritti, in tal forma, vogliamo che abbia valore nel modo più completo. Sebastiano sopra nominato, Regio Commissario. Questa sentenza fu letta, presentata ed esposta il giorno predetto 27 del mese di maggio, della quarta Indizione, 1546, nel castello o Palazzo prèdetto. Presenti Giacomo d'Amato di Senise, giudice per i contratti, il Signor Francesco Strambo, il Diacono Aurelio de la Rocca, il nobile Antonello Sanseverino, il Magnifico Marco de Roya, il nobile Marco Antonio Virgallito di Chiaromonte e l'egregio Camillo de Presbiteris di Cosenza, presente il Magnifico Giovanni Antonio Lignito, procuratore del detto Illustrissimo Principe che ascoltò la detta sentenza, e presente il detto Reverendo Abate Giovannello Virgallito, Abate e Commendatario del detto Monastero e della Chiesa di Santa Maria del Sagittario, il quale per quanto riguarda se stesso e la detta Chiesa loda e accetta la presente sentenza.(228)
Ma l'uomo di Dio Giovanni da Caramola(229) profetò molte altre cose che non sono scritte nel suo Ufficio(230) e fece tanto progresso nel dono della profezia da essere paragonato nella festa della Chiesa del Sagittario,(231) a Isaia, a David, a Geremia, Profeti della legge antica.(232)

 

Note

1. Nota marginale dell'Autore: Vedi il privilegio Miseratione ecc. nella Vita del Beato Gioacchino Abate Florense, c. 15, pg. 35E. Ferdinando della Marra Duca di Guardia nella sua opera sulle famiglie estinte ecc. Napoli, stamp. nell'anno 1641. Sulla famiglia Tricarico pg. 308 ecc. 414. L' Autore prima ha citato se stesso, poi uno storico noto del suo tempo.

2. Veramente Carlo Magno non era re dei Galli, ma dei Franchi, una tribù germanica che occupando stabilmente l'antica Gallia ne aveva mutato il nome in Francia.

3. Giacomo Sanseverino era figlio di Tommaso II Sanseverino, Conte di Marsico, e di Sveva di Tricarico, dalla quale aveva ereditato il titolo di Conte di Tricarico; era nato tra il 1302 e il 1303. Non si sa la data di nascita di Margherita, sulla cui età al tempo della storia che qui viene narrata, cfr. Bastanzio, o. c. pg. 8 sg e Percoco o. c. pg. 50.

4. Targisio, con il fratello Angerio (che fu il capostipite dei Filangieri) venne in Italia nel 1045 al seguito di Roberto il Guiscardo.

5. E' Sanseverino presso Salerno; di qui prese il nome la famiglia che poi si disse sempre dei Sanseverino. Fu una delle case più potenti in Italia ed ebbe personaggi importanti in ogni campo. Ebbe il possesso di oltre trecento feudi.

6. Ugo di Chiaromonte, figlio del Conte Giacomo e fratello di Margherita era morto senza eredi, nel 1319. Un'altra figlia di Giacomo, Odolina, aveva sposato Diego della Ratta, conte di Caserta.

7. Il primo dei notai nell'amministrazione del Regno.

8. E' Luigi I D'Angiò che, ostaggio a Londra nel 1360, riuscì a fuggire nel 1363 e sconfisse varie volte gli Inglesi. Ebbe vita avventurosa. Adottato da Giovanna II, fu re di Napoli e conte di Provenza, ma dovette affrontare Carlo di Durazzo al quale Papa Urbano VI aveva dato l'investitura di Napoli. Sconfitto dal suo avversario, Luigi morì a Bari nel 1384.

9. Bartolomeo Prignano, già arcivescovo di Acerenza; papa dal 1378 al 1389. Inviso per la sua durezza, gli fu opposto dai Cardinali francesi, un antipapa, Roberto di Ginevra che prese il nome di Clemente VII, il quale, ritiratosi ad Avignone, diede origine al grande Scisma d'Occidente, che durò dal 1378 al 1417.

10. In opposizione a Giovanna II di Napoli, che aveva aderito all'antipapa, Urbano VI diede l'investitura di Napoli a Carlo di Durazzo. Con questo nuovo Re, che era stato incoronato a Roma il 12 giugno del 1381, il Papa andò prima ad Aversa poi a Nocera (1384) dove presto si guastò con lui, tanto che arrivò a scomunicarlo. Il Re prima lo tenne assediato in Nocera, poi dovette desistere, perché arrivò nella zona una flotta genovese in aiuto del Papa. Forse Tommaso Sanseverino è qui ricordato, nientemeno che come liberatore del Pontefice, solo perché si dichiarò a suo favore e perché dovette essere a fianco dei Genovesi nella liberazione del Papa.

11. Il nome è di chiara origine bizantina e significa tre volte santo. Antico centro abitato sul versante ionico presso Rotondella, scomparve, con ogni probabilità, nel corso del secolo XV. Ad avvalorare tutte queste notizie l'Autore mette una nota marginale, in cui cita capitoli particolari, riguardanti i Sanseverino, di opere storiche che dovevano, allora, essere piuttosto note nel mondo degli studiosi. Ecco la nota: Scipione Ammirato, quando parla della famiglia Sanseverino, cap. di Giacomo Conte di Tricarico primo fol. 25. Filiberto Campano nel libro sulle origini dei Nobili, cap. dei Conti di Tricarico, fol. 97. D. Camillo Tutini Napoletano, sulla mutabilità della Fortuna, pg 9, e si ha in calce alla sua opera sull'Origine e sulla Fondazione dei Seggi di Napoli.

12. E' Ladislao d'Angiò Durazzo; figlio di Carlo III, successe al padre nel 1386, ma poté prendere possesso del Regno solo nel 1400, dopo aver vinto Luigi II degli Angioini di Francia. Ambiziosissimo, tentò di estendere il suo dominio all'Italia centrale e ambì persino alla corona imperiale. Represse con terribile durezza e crudeltà le rivolte dei Sanseverino, alcuni dei quali fece strangolare nel Maschio Angioino, dandone poi il cadavere in pasto ai cani. Sconfitto a Roccasecca nel 1411, seppe riconquistare le posizioni perdute, ma quando stava per riprendere la lotta, fu stroncato dalla morte a 38 anni. Fu detto, chi sa perché, Magnanimo. Gli
successe la sorella Giovanna II. Il suo bel monumento funebre si ammira nella chiesa napoletana di San Giovanni a Carbonara. Una pregevole monografia su Ladislao è quella di A. Cutolo: Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Napoli 1969.

13. Questi titoli non sono tutti reali, ma molti di pretesa: sono, infatti, i titoli ereditati dagli Angioini o quelli di terre che, conquistate una volta, si consideravano proprie anche se perdute. Ladislao in questo diploma cita anche i titoli che appartenevano a Sigismondo di Brandeburgo, imperatore, che, infatti, li usava (Ungheria, Dalmazia, ecc.) nei suoi diplomi.

14. Corrispondeva, più o meno, all'attuale provincia di Salerno.

15. Che sapevano, cioè, leggere e scrivere.

16. Il termine strumento dal latino instrumentum, nel significato di atto notarile era usato comunemente nell'italiano antico (lo usa anche il Boccaccio) ed è rimasto per secoli nei dialetti del Meridione d'Italia.

17. Archimandrita di Carbone, nel 1406, sembra che fosse un Giacomo II, che governò dal 1404 al 1430. Cfr., in proposito, L. Branco, La storia del Monastero di Carbone..., Venosa 1998, pg 103, 137.

18. Si tratta, certamente, di una piantagione di cotone (bambace o bambagia). Importato in Sicilia dagli Arabi prima dell'anno 1000, il cotone era comunemente coltivato in tutta l'Italia Meridionale.

19. Non s'è, in verità, parlato di alcuna via.

20. Certamente non è un nome proprio, perché il testo, che pure abbonda nell'uso delle maiuscole, qui dice semplicemente bel monte.

21. Così nel testo: che cos'è?

22. Per serra serra si intende di collina in collina; Massa degli orbi è, certamente, il nome, proprio di qualche luogo particolare, perché qui è usata la M maiuscola.

23. Bollita cambiò il nome in Nova Siri con R. D. 6-3-1872.

24. Mediante l'anello si imprimeva su un documento il sigillo di autenticazione: il plico, infatti, veniva chiuso (sigillato) con una sostanza (per lo più cera o piombo) su cui restava impresso il segno di autenticazione.

25. Si noti l'insistenza nel determinare con la massima precisione la completa e totale proprietà dei beni di cui si tratta, così come prima si sono determinati i confini e come dopo si specificheranno i vari modi di esercizio delle competenze giuridiche della proprietà stessa: segno che facilmente, come del resto sempre è avvenuto, si ricorreva ai cavilli per inficiare i titoli di possesso, soprattutto quando si trattava di beni ecclesiastici che da un Signore venivano dati e da un altro venivano tolti.

26. Far pascolare, dietro pagamento di un canone, gli animali in una zona determinata.

27. Terratico e plateatico erano, di per sé, una tassa sull'uso del suolo; qui si intende una forma particolare di affidamento del suolo per usi vari, ovviamente sempre legati all'ambiente agricolo-pastorale del tempo.

28. E' la coltivazione di un terreno a rotazione di quattro anni col primo anno a riposo.

29. Sta, forse, per scagghiaggio, che indica, nella vagliatura del grano, la mondiglia che resta nel vaglio, cioè le piccole scaglie (donde il nome) le bucce del grano.

30. Si capisce facilmente che avevano una grande importanza non solo per le povere necessità domestiche del tempo e per l'irrigazione dei campi, ma anche per le piccole industrie allora in uso: molini, gualchiere, ecc.

31. Era cosa abituale, nelle antiche formule notarili, minacciare, per i trasgressori, oltre alla pena pecuniaria, l'indignazione del Re.

32. Era un disegnetto geometrico particolare, diverso per ogni notaio e ripetuto in tutti i suoi documenti sempre identico, perciò qui è detto solito segno: sostituiva, in qualche modo, il timbro a secco di tanti documenti dei secoli posteriori.

33. Nell'antico Regno di Napoli c'era un Montorio in Abruzzo, attuale Montorio al Vomano, in provincia di Teramo, e uno nel Molise, attuale Montorio nei Frentani (Campobasso).

34. I baiuli furono nell'antico regno meridionale, nei vari periodi, esattori, giudici o, più genericamente, pubblici ufficiali con attribuzioni e cariche diverse.

35. Da intendere, con ogni probabilità, come componenti la commissione invitata a giudicare sulle varie questioni.

36. Così detti, certamente, perché capaci di leggere e scrivere, cosa molto rara in quei tempi.

37. Felice memoria, buona memoria sono espressioni ancora in uso tra gli anziani nei paesi del Meridione, e certamente erano in uso quando il de Lauro scriveva, perciò le cita: il latino classico, infatti, per indicare il defunto citava solo il nome preceduto da quondam, cioè il fu.

38. II solito periodo lunghissimo (e, per questo, non sempre nel testo originale, del tutto chiaro) che per non dar adito ad alcun dubbio circa la legittimità delle posizioni del Monastero ripete cose già dette e ridette.

39. Giovanna I d'Angiò salì sul trono di Napoli a 17 anni, alla morte del nonno Roberto nel 1343. Ebbe vita travagliata e turbolenta e finì tragicamente nella notte tra il 27 e 28 luglio del 1382, soffocata con un cuscino di piume. Come discendente diretta degli Angioini, era anche contessa di Provenza e, come tale, vendette a Papa Clemente VI la città di Avignone al prezzo di 80.000 fiorini. La sua figura divenne, nei secoli, argomento di molte leggende non solo nell'Italia Meridionale, ma anche in Provenza, ove La Reino Jano fu celebrata da F. Mistral in una tragedia in lingua provenzale.

40. I mulini, tutti su corsi d'acqua nel Meridione d'Italia, e mossi dalla corrente, erano particolari strumenti di ricchezza e sottoposti a particolari controlli. Ce n'erano molti sparsi lungo i torrenti, nelle campagne e sono durati per secoli; ancora oggi, qua e là, se ne vedono i resti.

41. Cioè di Chiaromonte e di Senise.

42. Il testo dice Calabra, ma è uno dei nomi con cui veniva indicata Calvera.

43. Nota marginale dell'Autore: Dall'Archivio dello stesso monastero.

44. E' Carlo di Durazzo, pronipote di Carlo II d'Angiò, che era stato adottato dalla Regina Giovanna, contro la quale, tuttavia, si ribellò per istigazione di Urbano VI, che lo incoronò re di Napoli nel giugno del 1381 (perciò nel documento riportato, che è del 1383, risulta al terzo anno di regno). Fece uccidere Giovanna, che aveva ceduto i suoi diritti a Luigi d'Angiò. Chiamato nel 1385 al trono d'Ungheria, fu ucciso in una congiura ordita dalla regina vedova dell'ultimo re d'Ungheria. E' il padre di Ladislao e di Giovanna II.

45. I Sanseverino predilessero sempre Senise, che arriverà alla massima prosperità con Pietro Antonio all'inizio del sec. XVI.

46. Corrispondeva, più o meno, alle attuali provincie di Benevento e Avellino.

47. E', forse, l'unico punto in cui il Beato Giovanni è chiamato Santo; ma è certamente da intendere in senso generico, cioè di uomo di vita santa.

48. Si voleva mantenere, come è facile notare, un regime di monopolio a favore del Sagittario, cosa che, certamente, non poteva contribuire allo sviluppo economico e civile della zona.

49. Dove, cioè, mettere il segno proprio del Notaio.

50. E' stato già notato che solo pochissime persone, oltre agli ecclesiastici e ai notai, sapevano scrivere.

51. Non sappiamo in che cosa fosse maestro questo Guglielmo di Cava che non sapeva scrivere: il termine maestro, infatti, era ed è quanto mai generico. Fra l'altro nei tempi lontani cui si riferiscono questi documenti erano detti maestri quelli che svolgevano particolari funzioni nella vita della corte. Così, ad esempio, era detto maestro chi aveva cura dei cavalli, la persona addetta alla custodia e all'allenamento dei falconi da caccia e così di seguito; senza parlare ovviamente dei vari mestieri: maestro falegname, maestro calzolaio, ecc. quelli che poi si chiamarono mastri.

52. II Beato Giovanni morì il 26 agosto del 1338.

53. Il Monastero del Sagittario era stato fondato da Alibreda di Chiaromonte il 12 dicembre 1155. L'Ughelli (o. c. 80) lo dice fondato nel 1220. Secondo A. Nigro il Sagittario sarebbe stato fondato da Ugo Sanseverino, conte di Potenza, alla fine del sec. XIV; J. Frankin lo dice fondato da Ugo di Chiaromonte (cfr. A. Giganti o.c. pg. VI). Nel 1202 è attestato come monastero cistercense legato a Casamari. (Monasticon Italiae, pg. 183).

54. Di questo strumento nel quale si parlava del primo territorio donato al Monastero e che l'Autore dice sopra riportato non si è parlato nel testo, perciò il desuper expedito (sopra riportato) è, forse, da intendere precedentemente pubblicato, e riferito all' altra opera del De Lauro la Historia Monasterii Sagittariensis che, come dice il titolo, espressamente trattava della storia del Sagittario.

55. Nota marginale dell'Autore: Dall'Archivio dello stesso Sagittario.

56.  Comincia, qui, una delle solite lunghe introduzioni che si premettevano agli atti.notarili del tempo. Siccome non è da pensare che fossero dettate dai nobili che chiedevano che si redigessero i documenti, anche perché tali introduzioni risultano sempre ricolme di citazioni bibliche a volte non semplici perché fossero pensate dai nobili signori, quasi sempre ignoranti, che chiedevano i documenti; né si deve pensare che dipendessero da personale volere dei notai, non è, forse, azzardato dire che fossero volute, oltre che dal gusto del tempo, dai Monaci stessi interessati agli atti di donazione; ma, proprio perché comuni si può pensare che dette introduzioni fossero diventate una specie di formulario accettato da tutti.

57. La frase non sembra sia scritta in alcun punto della Bibbia.

58. Dopo che Salomone costruì il Tempio, il Signore gli apparve per la seconda volta e gli disse: Se tu camminerai davanti a me come vi camminò tuo padre con cuore integro e con rettitudine, se adempirai quanto ti ho comandato ... io stabilirò il trono del tuo regno in Israele per sempre. (I Re, 9, 4)

59. E' certamente un'indicazione tecnica del foglio.

60. Così dice il testo, ma che significa? Non parlavano ufficialmente, il Conte e la Contessa di Chiaromonte? Chi è dunque questo nostro Conte che qui si nomina? O si voleva dire di noi Conte? Ed è anche un po' strano che non ci sia il nome di chi materialmente ha scritto il documento.

61. Essendo, nel testo, con lettera maiuscola, è da intendere i paesi della Contea.

62. E' stato, forse, già notato che si chiamavano difese i terreni riservati al feudatario (e perciò difesi), ove erano proibiti i così detti usi civici: far legna, raccogliere frutti selvatici e cose simili.

63. Cioè del Conte.

64. Quelli che, senza professare i voti, vivevano nel Monastero e ne osservavano le regole.

65. La tassa che si pagava per lavorare un podere non proprio.

66. E' una somma veramente alta che, certamente, nessuno avrebbe mai pagato.

67. L'Università di una Terra era l'insieme dei cittadini.

68. Il testo dice proprio così senza dare spiegazione alcuna. Forse vuole alludere alle difficoltà dall'Autore incontrate nel procurarsi i documenti negli archivi; è strano anche il fatto che, mentre per quasi tutti gli altri documenti ha indicato gli archivi di provenienza, per questo e per quello precedentemente riportato non abbia dato alcuna indicazione.

69. Evita la citazione dei soliti titoli.

70. Qui finisce il lungo e, per noi, strano e inutile prologo, che, tuttavia, come è stato notato, rivela un modo di pensare e di esprimersi tipico di un'età ancora, almeno formalmente, tutta impregnata di religiosità cristiana.

71. Libertà dalle pretese dei vari signori e signorotti locali.

72. Ha parlato, infatti, poco prima, di privilegi scritti per volere di Imperatori, Re e Principi.

73. La fida o affida era un'antica imposta sui pascoli; in particolare la fida era, in età feudale una tassa a titolo di compenso della riduzione a coltura di terreni prima adibiti a pascolo. In questo caso, tuttavia, è, con ogni probabilità, da intendere come diritto di poter far pascolare i propri animali su un determinato territorio; la diffida come la proibizione di questi diritti.

74. La quarteria, già incontrata, è la rotazione delle colture a ciclo quadriennale.

75. Il carnaggio era, praticamente, un canone di affitto pagato al proprietario del fondo con un determinato numero di animali. Qui, tuttavia, si parla di carnaggi represali (cioè in rappresaglia) ed è, certamente, da intendere come il diritto, da parte del monastero, ad essere risarcito con un dato numero di animali del danno subito per eventuali pascoli abusivi nel suo territorio.

76. Si riferisce alla donazione fatta al monastero di S. Maria di Bonavalle, incorporato poi nel Sagittario, da Reinaldo del Guasto con la moglie Agnese e il fratello di questa, Riccardo, nel 1203.

77. Cioè diritto di risarcimento per danni subiti.

78. Qui si tratta, com'è chiaro, di un territorio nell'ambito del Sicileo. Ma con questo stesso nome (Cinapura, Cenapura, Acinapura, Santa Cinapura) è indicato più di un centro antico. Questo nome mentre per qualcuno è corruzione di Regina Pura, per altri (Racioppi o. c. II, pg. 63) sta per Acinapura e deriverebbe dal greco einopoièo (dipingo immagini) preceduto da alfa privativa e dunque con lo stesso significato di Acheropita, cioè non dipinta da mani d'uomo.

79. Prima ha detto Cinapura ora dice Genapura.

80. E', certamente, da intendere ortaglia, nel senso di terreno scarsamente coltivato, quasi in stato di abbandono.

81. E' la prima volta che si nomina Rotondella, finora si è sempre detto Rotonda del Mare.

82. Si tratta di Oriolo, in provincia di Cosenza, ma sul confine della Basilicata, anch'esso fino al 1972 della diocesi di Tursi.

83. Così nel testo.

84. Ogni tanto il feudatario stabiliva una nuova difesa proibendo agli abitanti della zona gli usi civici liberamente esercitati nelle terre libere.

85. Il testo dice offerti che è, certamente, da intendere come oblati.

86. Cioè, in genere, chi viveva alle dipendenze del monastero.

87. Cioè senza pagare tasse o prestare servizi particolari.

88. Queste collette erano raccolte di denaro al di fuori delle tasse ordinarie.

89. Si chiamavano officiali i funzionari della corte.

90. Terraggio è Io stesso che terratico nel senso di tassa da pagare sulla coltivazione di
un terreno.

91. L'interpretazione del brano è certamente quella proposta; ma nel testo latino c'è un errore di costruzione inspiegabile se si considera la perfetta conoscenza che I'Autore ha della lingua latina o, forse, spiegabile proprio per questa estrema sicurezza, che gli ha fatto confondere robur — roboris, che è neutro, con vis - roboris che è femminile, perché il significato è lo stesso.

92. Cioè gli abitanti di qualche paese.

93. Troppo alta, perché si prendesse sul serio.

94. Ma nemmeno qui si dice chi abbia steso il documento.

95. Nota marginale dell'Autore: Archivio dell'Illustrissimo Sign. Marchese di Episcopia. Se Margherita risulta ancora viva nel 1354, anche a non voler tenere conto di tutte le osservazioni del Bastanzio (o. c. pg. 9) di cui s'è fatto cenno circa la data della sua nascita e del suo matrimonio, se è esatta la data 1270 che il Bastanzio stesso (ib.) dice che si legge nell'androne, a destra, entrando nel municipio, come hanno di costruzione del Convento di San Francesco in Senise, che fu voluto da Margherita, la Signora di Chiaromonte, doveva, in realtà essere, nel 1354, più o meno centenaria.

96. Era un magistrato, un funzionario a capo di una circoscrizione territoriale. II testo dice baiulo, ma, in questo caso, nel significato, appunto, di balivo.

97. Cioè affitto o permesso per il pascolo degli animali.

98. Ma, come si vede, tutto questo non c'entra non solo con la vita del Beato ma nemmeno con gli interessi del Sagittario.

99. Infatti Giovanna I era figlia del defunto Carlo, duca di Calabria (titolo dei principi ereditari di Napoli) unico figlio superstite di Re Roberto. Morto prematuramente un suo fratello, Martino, Giovanna divenne erede al trono di Napoli, su cui salì alla morte del nonno nel 1343. Roberto è detto, dall'Autore, sapientissimo, infatti è rimasto nella storia con il nome di Roberto il Saggio. Fu grande mecenate e amico del Petrarca; ma Dante forse non lo stimava molto come re, se allude veramente a lui nel canto VIII del Paradiso quando lo dice più adatto a predicare che a governare: Ma voi torcete alla religione — tal che fia nato a cingersi la spada — e fate re di tal ch'è da sermone (vv 145-147).

100. Anticamente la dogana (duana, doana, dovana) era il fondaco ove si trattenevano le merci che venivano da fuori, per sottoporle a dazio.

101. Anche qui è, forse, da intendere come pubblicato nell'altra opera del De Lauro, quella che tratta esplicitamente della storia del Sagittario.

102. E' forse da intendere: ivi si fece santo.

103. E' Federico II; ed è un po' strano che un'Angioina parli con tono rispettoso ed ammirato verso l'Imperatore contro la cui discendenza tutti gli Angioini avevano sempre lottato; ma ormai erano tempi lontani e Federico meritava il rispetto che si deve all'imperatore come tale.

104. Cioè con privilegi che concedevano libertà di agire e di muoversi secondo i bisogni e le necessità, senza premunirsi, come tante volte era richiesto, di speciali licenze o permessi.

105. Re Roberto, il nonno di Giovanni, era morto da trentasei anni, ma era ancora molto ricordato, e il suo regno, anche se tutt'altro che felice e glorioso, era visto, tutto sommato, come un periodo tranquillo e pacifico, dati i tempi turbolenti che gli erano succeduti sotto l'infausto governo della sua volubile e tanto discussa nipote.

106. E' Alberada di Buonalbergo, prima moglie di Roberto il Guiscardo e madre di Boemondo. Quando il Guiscardo la ripudiò per sposare Sichelgaita, sorella di Gisulfo principe di Salerno, le assegnò i vasti e ricchi feudi di Colobraro e Policoro sul versante ionico della Basilicata. Alberada è sepolta nella chiesa normanna della SS. Trinità di Venosa.

107. Malvito e Sangineto, in provincia di Cosenza.

108. Si insiste tanto sugli animali, perché erano, allora, forse più delle stesse terre, la più sicura fonte di sostentamento e di ricchezza; e allevati, com'erano, solo all'aperto e, spesso, allo stato brado, avevano bisogno di vaste e ricche estensioni di terreni alberati.

109. Non si limita, dunque, questo privilegio (dato ufficialmente dalla stessa Regina) a ricordare i diritti e le libertà già concessi al Sagittario, ma conferma privilegi rari anche se, ovviamente, non sempre fruibili in tempi in cui non era certamente facile spostare gli animali da un luogo all'altro; ma erano pur sempre, almeno sotto l'aspetto giuridico, privilegi molto importanti: si pensi, ad esempio, ai lunghi tragitti nei periodi di transumanza e alla necessità di avere libertà di pascolo per migliaia di animali in cammino su lunghe distanze per giorni.

110. Sono formule tipiche, anche se strane e inconcepibili per la nostra sensibilità e mentalità, proprie delle monarchie assolute in cui tutto era dovuto solo alla volontà, alla benevolenza, alla grazia dei sovrani.

111. Forse qui è da intendere nel significato di possedimenti fondiari, di fattorie o, anche, nel significato di orti, come in qualche dialetto lucano; così, ad esempio, i vecchi contadini di Sant'Arcangelo chiamavano luoghi o giardini i famosi orti e frutteti, ormai scomparsi, della media Valle dell'Agri.

112. Lo zelo per la Chiesa e la cura di singole chiese era comune tra i sovrani del medioevo cristiano e particolarmente della monarchia francese e, in Italia, di quella angioina, che era strettamente unita per parentela a quella francese: Carlo d'Angiò, il capostipite, era, infatti, fratello di S. Luigi (Luigi IX il Santo) e S. Ludovico di Tolosa era figlio di Carlo II d'Angiò e fratello di re Roberto nonno della regina Giovanna. Salvo poi a vivere, come si può facilmente notare, in modo, tante volte, tutt'altro che cristiano.

113. La libbra equivaleva a dodici once, dunque il trasgressore in parola avrebbe dovuto dare in tutto 144 once, il che non era poco se si tien conto che la libbra equivaleva (anche se con le dovute oscillazioni di tempo e di luogo) a circa 340 grammi; perciò la somma in questione sarebbe stata pari a più di 4 kg di oro! Era mai possibile che si potesse pagare tanto?

114. Titolo di origine bizantina; più o meno lo stesso che protonotario, cioè primo notaio del re.

115. Era, in origine, chi accompagnava e aiutava nelle sue funzioni il più alto magistrato in un affare importante dello Stato. Indicava, in genere, un alto magistrato.

116. Veramente il 1378 sarebbe non il 30° ma il 35° anno di regno di Giovanna, che era salita al trono alla morte del nonno Roberto, nel 1343. Qui, tuttavia, si allude, con ogni probabilità al definitivo rientro di Giovanna a Napoli dopo l'esilio nella Provenza, ove dovette riparare per sfuggire ai pericoli seguiti alla morte violenta del primo marito Andrea d'Ungheria.

117. Allude al fatto che spesso i Signori interessati ad usurpare i beni dei monasteri distruggevano i documenti che avrebbero potuto ostacolarli nel compimento dei loro piani.

118. E' Guglielmo II della Marra, appartenente ad una nobilissima famiglia originaria di Barletta.

119. Forse è un errore dell'Autore che, probabilmente, voleva dire Accettura, che, infatti, risulta tra possedimenti dei Della Marra in Basilicata (Stigliano, Aliano, Accettura, Sant'Arcangelo, Roccanova ed altri) mentre non risulta una Cinapura.

120. Forse vuol dire Gannano, che, in realtà, risulta tra i possedimenti dei Della Marra.

121. L' Autore nota che Guglielmo sapeva scrivere, cosa non comune.

122. Ma Guglielmo era anche conte di Aliano.

123. Era una delle Terre dei Della Marra.

124. Si riferisce al così detto Scisma d'Occidente o Grande Scisma che durò dal 1378 al 1417. Nacque dalla ribellione al dispotismo di Urbano VI da parte di 13 cardinali, quasi tutti francesi, che a Fondi dichiararono non legittima la sua elezione e nominarono Roberto di Ginevra che prese il nome di Clemente VII e pose la sua sede ad Avignone.

125. Nota marginale dell'Autore: Dall'Esposizione storica e simbolica dei vaticini sugli Uomini Apostolici, cioè dei romani pontefici, pg. 59. lett. a. è una delle opere, tutte scritte in latino, di G. De Lauro.

126. L'istituto della Commenda è stato fra i più dannosi nella vita della Chiesa. Consisteva nell'assegnare un bene ecclesiastico (abbazia, priorato o anche diocesi) ad un chierico o anche a un secolare che ne percepiva gli utili beneficiari e affidava il potere spirituale a un delegato. D'origine molto antica, fu favorito soprattutto dal bisogno di danaro dei papi avignonesi e dalla necessità, durante Io Scisma d'Occidente, di assicurarsi sostenitori. La Commenda, che lo stesso Concilio di Trento non riuscì a sopprimere, fu la principale causa della decadenza della vita monastica: arricchiva intrusi, spesso laici di famiglie nobili o cardinali mondani, a scapito dei tanti monasteri abbandonati a se stessi e all'amministrazione di uomini senza scrupoli. A volte capitava che avessero la Commenda uomini destinati a diventare famosi; così, per dare solo due esempi di commende riguardanti, nel secolo XVII, due monasteri della Basilicata molto lontani l'uno dall'altro e diversissimi fra loro per origini e storia, nel 1630 ebbe la Commenda del Monastero di Sant'Elia di Carbone G.B. Panphili che sarà poi papa Innocenzo X (cfr. L. Branco, La Storia del Monastero di Carbone, o.c. pg. 177), mentre una quarantina di anni dopo troviamo Abate Commendatario del Monastero benedettino di San Michele sul Vulture il Card. Federico Borromeo, proprio quello reso celebre dal Manzoni nei Promessi Sposi (cfr. G. Fortunato, Balie, Feudi e Baroni nella valle di Vitalba, a cura di T. Pedio, Manduria 1968, vol. III, pg. 266 sg.).

127. Giovanni Angelo Medici, di Milano, papa dal 1559 al 1565, convocò per la terza volta il Concilio di Trento (1562-63) e ne approvò i decreti conclusivi (1566), cercando di metterli in pratica a cominciare dalla riforma della Curia, coadiuvato, in questo dal nipote S. Carlo Borromeo.

128. Era usanza comune che i Commendatari si servissero di loro amici o confidenti o parenti come procuratori per esercitare le loro funzioni amministrative. Del resto, spesso la Commenda stessa restava in famiglia, così, in questo stesso periodo, qualche anno prima, troviamo commendario dello stesso monastero Giovannello Virgallito, che nel 1554 aveva fatto sistemare nel Sagittario il bel coro ligneo che ora si trova a Lauria.

129. E' così chiamato il documento pontificio, meno solenne della Bolla, che si emette per affari di minore importanza, e perciò è anche più breve nella stesura.

130. E' così chiamato dall'impronta che rappresenta S. Pietro pescatore, il sigillo usato nei brevi pontifici.

131. Si diceva Mensa il complesso delle rendite del Monastero necessarie al sostentamento dei monaci. Qui si allude, certamente, alla necessità di togliere dalle rendite di cui godeva il Commendatario, quanto era necessario per il vitto e il vestito dei frati. Ma è molto triste dover costatare come sia stato necessario il ricorso diretto al Papa, perché ai monaci non mancasse il minimo necessario per vivere. Tutte le proprietà e tutti i privilegi che tanti nobili benefattori avevano elargito al Sagittario, perché i monaci pregassero per loro, servivano solo ad arricchire le famiglie dei commendatari.

132. Giovanni Paolo Amanio, di Crema, fu eletto il 5 aprile 1560. Resse la Diocesi secondo lo spirito del Concilio di Trento cui aveva partecipato. Morì nel 1580 e fu sepolto nella Chiesa madre di Senise, nella Cappella della Conversione di S. Paolo che lui stesso s'era fatto costruire. Fu in lotta accesa con Cesare Ruggieri, che in quel periodo era Abate commendatario di S. Elia di Carbone (cfr. L. Branco, Storia del Monastero di Carbone, o.c. pg. 133 sg.).

133. Nota marginale dell'Autore: Dall'autentico processo conservato nell'archivio del Sagittario.

134. Da questa nota si può comprendere (cosa già considerata) l'assurdo paradosso che costituiva la Commenda: come si poteva accettare e sopportare che tutte le ricchezze di un'Abbazia potessero diventare gratuitamente proprietà di estranei fino a costringere i monaci a rivolgersi al tribunale ecclesiastico perché non fosse loro negato il minimo necessario per vivere?!

135. Nota marginale dell'Autore: Qui, c. 5, pg. 20. E. cioè in questa stessa opera al capitolo 5 alla pagina 20 lettera E (ovviamente del testo originale latino) ove si parlava appunto dell'accordo raggiunto nell'anno 1573 circa le spese sia per le suppellettili della chiesa e la riparazione del Monastero, sia per il sostentamento, il vitto e il vestito dei monaci con il signore Don Girolamo Virgallito Abate commendatario, il quale, seguendo le orme dei suoi predecessori, negava ai monaci del Sagittario anche il necessario.

136. UID è scritto nel testo, cioè utriusque iuris doctor, che significa dottore sia nel diritto canonico, cioè quello che regolava l'amministrazione della Chiesa, sia nel diritto civile.

137. In quel periodo il principe di Bisignano era Pietro Antonio Sanseverino, uno dei signori più brillanti del suo tempo e ricco di molti titoli e di molti feudi; perciò l' ecc. del testo.

138. Nota marginale dell' Autore: Dall'archivio della stessa Abbazia.

139. Cioè sulla fascetta all'esterno del plico, quasi titolo del contenuto.

140. Il titolo di Re Cattolici fu dato dal Papa a Ferdinando d'Aragona e a Isabella di Castiglia, quando nel 1492 con la conquista di Granada cacciarono dalla Spagna gli ultimi Musulmani.

141. Carlo V (1500-1558) erede da parte materna dei domini spagnoli e da parte del padre dei domini asburgici e delle Fiandre, ebbe la corona imperiale nel 1519. Fu il più potente sovrano del suo tempo.

142. E' Giovanna la Pazza (1479-1555), figlia di Ferdinando d' Aragona e di Isabella di Castiglia, madre di Carlo V; impazzì alla morte del marito Filippo d'Asburgo il Bello (1506) e visse da allora segregata nel castello di Tordesillas.

143. Sebbene Principe di Bisignano e conte di Chiaromonte e signore di molti altri feudi, Pietro Antonio Sanseverino quando non era in giro per l'Europa preferiva Senise ad ogni altro suo possedimento e si fermava volentieri in questo centro, che divenne allora uno dei paesi più ricchi e più vivaci di tutta la zona.

144. Il castello — palazzo era in alto, circondato dalla strada pubblica; esiste ancora, sebbene solo come ombra di quello originale. Il primo castello era messo, con ogni probabilità, in basso, sullo sperone ove poi, nel 1270, fu costruito, per volere di Margherita di Chiaromonte, il convento dei Francescani.

145. Carlo V e la madre Giovanna, la quale era regina di Castiglia, anche se solo nominalmente, per eredità da parte materna.

146. Vicerè di Napoli era, allora, il celebre Don Pedro Alvarez di Toledo, che nel suo lungo governo (1532-1553) rinnovò l'aspetto architettonico di Napoli (nacque allora la via di Toledo, che era considerata la più bella strada d'Europa, e i così detti quartieri spagnoli a ridosso della stessa arteria) e cercò di frenare lo strapotere dei Baroni. Non riuscì, per l'opposizione incontrata, il suo tentativo di introdurre a Napoli l'inquisizione spagnola.

147. Era chiamato Stato il complesso dei beni delle famiglie più potenti: così lo Stato dei Sanseverino. In questa zona solo Noepoli aveva il titolo di Stato non in relazione alla famiglia feudale, ma al paese, e si diceva lo Stato di Noia.

148. Sacre, Cesaree, Cattoliche: i primi due titoli spettavano, di per sé, solo a Carlo V come imperatore; il terzo sia a Carlo che alla Madre, come re di Spagna.

149. E' il Maschio Angioino che, fino a quando non si costruì il palazzo reale, fu il castello — reggia di Napoli.

150. E', con ogni probabilità, la Spezia, in Liguria, regione ove Carlo si fermava volentieri con la sua corte. L' Autore ha aperto una lunga parentesi, per spiegare, nella citazione del documento di reintegra del Principe di Bisignano, la particolare condizione dei beni del Monastero del Sagittario.

151. Era un modo di dire ad indicare che si evitava, così facendo, di incorrere nelle pene previste dalla legge e comminate dai vari magistrati a ciò preposti.

152. Nell'antica terminologia giuridica dell'Italia Meridionale si chiamava Platea l'elenco ragionato dei beni fondiari di una Signoria.

153. Finisce qui la lunga parentesi e riprende il testo del documento.

154. Formula tipica per dire che si dichiarava qualcosa in forma solenne e ufficiale.

155. Sempre per dire che si parla in maniera ufficiale.

156. Sono i beni pubblici destinati all'uso diretto o indiretto dei cittadini.

157. Come per la Mensa del Monastero e la Mensa Vescovile, è un modo per dire che qualche bene appartiene alle persone o agli enti indicati: il principe, il monastero, il vescovo.

158. E' forma arcaica per Sindaco. Indicava il rappresentante della Comunità cittadina nelle controversie giuridiche (come in questo caso) oppure il riscuotitore delle gabelle o l'ambasciatore della Comunità presso qualche personaggio importante, e cose simili.

159. Cioè i rappresentanti della cittadinanza.

160. Il testo non è chiaro, ma il senso sembra quello proposto.

161. Nel testo sembra che ci sia un errore di stampa: si legge un qua che dev'essere inteso certamente per quae .

162. E', forse, l'indicazione del fondo.

163. Il testo dice Frigido

164. Così nel testo, con la lettera minuscola.

165. Palombara dovrebbe essere il luogo del fondo, Mantineo della contrada.

166. Sono i mulini mossi ad acqua, dei quali si è parlato in vari documenti già riportati.

167. Non era ciò che oggi si intende per serra, ma uno sbarramento di pali o di tavole costruito sul fiume per regolarne il corso e forse indirizzarlo proprio al funzionamento dei mulini.

168. Si diceva battinderio (o paraturo) la gualchiera, cioè una macchina, per Io più mossa ad acqua, che per mezzo di magli assodava i tessuti di lana. In un documento del 1432 (cit. da Percoco, o. c. 64) Polisena Sanseverino donava uno trappito da magenare olive et uno batenderio seu paraturo. .. iuxtaflomaria Acri.

169. Il testo dice petrarium, termine usato ancora oggi nei dialetti meridionali, petraro, per indicare il letto proprio dei fiumi a regime torrentizio, le fiumare, larghissimo e pieno di pietre, con l'acqua che, divisa in vari rivoli, scorre, nei periodi secchi, qua e là per la vastissima pietraia bianca.

170. E' la grande Abbazia certosina di S. Nicola in Valle.

171. Potere di amministrare la giustizia sia in ambito civile che penale.

172. Sempre in ambito giudiziario significa che l'Abbazia aveva autorità per indagare al fine di istituire un processo sia civile che criminale o misto; era il pieno potere feudale.

173. Quindi la pienezza di giurisdizione di cui si parlava poteva essere esercitata nel tenimento solo per quattro giorni nel mese di agosto.

174. Forse è da intendere Sant'Elania, toponimo ancora esistente a Chiaromonte.

175. Terra indicava un paese, e un paese di nome Curtelli non risulta. Un Casale detto di Curtilli viene ricordato a Matera (T. Pedio, Centri scomparsi in Basilicata, Venosa 1980, pag.57) ma non nella contea di Chiaromonte.

176. Nel testo del documento c'è un evidente errore di grammatica, dovuto, certamente, alla poca attenzione che, per la lingua, c'era in questi scrivani e notai preoccupati solo, e non sempre ci riuscivano, che il testo non desse motivi a bisticci futuri.

177. Cioè senza pendenza alcuna di ordine giuridico e con piena proprietà e con la possibilità di darla o toglierla a chiunque, perché rendesse nel modo migliore.

178. Si potevano, cioè, portare gli animali del Monastero e dei suoi oblati al pascolo ovunque tra Chiaromonte e Senise.

179. Così, in lingua volgare, nel testo. Tenere a decima, significava in origine, coltivare un fondo con l'obbligo di dare al proprietario che lo concedeva la decima parte del prodotto; in seguito indicò, genericamente, la mezzadria.

180. Cioè verso oriente, ove, in realtà, si dirige l'acqua del Sinni; ma la descrizione, come è facile notare, è, come quasi sempre in questi documenti, piuttosto confusa: forse doveva essere più chiara per chi abitava sul posto.

181. Cioè un terreno con alcuni pezzi piantati a vigna.

182. La contrada corrisponde, forse, alla zona che ancora, a Chiaromonte, si chiama Fosso del Gafaro. (Cfr. in proposito, G. Percoco, in o.c. pag.47).

183. Il testo dice Hospitalis, che significa certamente ospizio e che era, forse, un edificio del monastero destinato ad alloggio dei forestieri.

184. Cioè una piccola valle stretta e lunga, essendo il vallone, tante volte trovato in questi documenti, non una grande valle, come potrebbe far pensare l'accrescitivo, bensì una lunga valle chiusa tra due pareti laterali.

185. Questa chiesa di Senise era ricca di molte terre, tanto che con le sue rendite poteva sostentare cinque preti. Venne abbattuta nel sec. XIX (Bastanzio, o.c., 54).

186. E' certamente un piccolo sistema di chiuse per regolare il flusso dell'acqua che serviva al funzionamento del mulino.

187. Il recinto ove, d'estate, si raccoglievano le pecore all'aperto.

188. Il carlino era una moneta d'oro o d'argento che aveva preso nome da Carlo d'Angiò che l'aveva fatta coniare nel 1278, ma che fu poi imitata da altri sovrani.

189. Non si dimentichi che chi parla è l' Abate Commendatario Virgallito, il quale dinanzi ai Magistrati che stanno trattando la reintegrazione nei propri diritti di Pietro Antonio Sanseverino, rivendica la proprietà e i diritti del Monastero del Sagittario; dopo aver elencato le tante proprietà che gli appartenevano, dice, adesso, anche i diritti di tipo giudiziario. In particolare qui si dice che l' Abate di S. Maria ha la giurisdizione civile, criminale e mista, che è, più o meno, ciò che si dice subito dopo, cioè il mero e misto imperio. Con l'espressione "imperio puro" si intendeva la giurisdizione in materia essenzialmente penale data ai feudatari; Per "imperio misto" si intendeva la giurisdizione penale congiunta con la civile.

190. Era l'esame delle merci o degli animali che si volevano vendere o il prezzo che il magistrato, a ciò costituito, fissava per le singole merci, o, in generale, la verifica, il riscontro o il controllo sul mercato.

191. Cioè l'esenzione dal pagamento del tributo per la temporanea occupazione di suolo pubblico. Il plateatico, infatti, era una tassa che si pagava per uso di suolo pubblico.

192. Il testo dice strictulo, che corrisponde alla voce dialettale strittule.

193. Era il famoso diritto d'asilo, cioè l'immunità per chi viveva o si rifugiava in un luogo sacro; qui l'immunità si estende dal Monastero alle sue dipendenze, cioè le Grance.

194. Questo è il cognome più ricorrente nel documento che qui viene presentato, e, come si soleva fare nel tempo in cui il documento fu steso, il cognome è declinato e, per questo, si presenta al femminile, Virgallita, che sarà la forma che poi resterà fino ad oggi.

195. Dell'Oliveto, così nel testo originale.

196. Il testo dice venialia, ma è certamente da leggere vignalia.

197. Il testo dice pedibus olivarum, che mostra come il latino di questi atti notarili fosse, spesso, nient'altro che la latinizzazione di forme dialettali, in questo caso piedi d'olive.

198. E' strano che in queste zone si parli di sicomori, che sono piante dell'Africa e del Medio Oriente, a meno che non si volesse alludere ai cornioli che alcuni chiamavano sicomori.

199. A Senise la contrada Borrelli si chiama anche Visciglio.

200. C'è ancora una contrada detta Fontanelle sul confine di Senise con Sant'Arcangelo, se è la stessa di cui qui si parla.

201. Famiglia in vista allora a Senise; aveva la tomba nella Chiesa della SS. Trinità. (Bastanzio, o.c. pag 54).

202. Cioè del Convento di S. Francesco, fondato a Senise nel 1270.

203. Raggruppamenti di case.

204. Probabile proprietà del Monastero di Carbone.

205. Così nel testo originale, de la Piazza, ripetendo, ovviamente, il modo con cui la
contrada comunemente era indicata dalla gente.

206. In questa contrada (ancora oggi chiamata così a Senise) nel 1595 morì, in un incidente di caccia, il quattordicenne Francesco Teodoro Sanseverino, figlio di Niccolò Berardino conte di Chiaromonte. (Cfr. F. Bastanzio, o.c. pg. 29).

207. Corrisponde certamente alla contrada di Senise detta Salsa.

208. La famiglia Marino, una delle più in vista a Senise in quel tempo, aveva la tomba nella Chiesa della SS. Trinità. (Bastanzio, o.c. pg. 54).

209. E' la famiglia Focaraccio, cognome ancora vivo a Senise.

210. Anche i Crocco ci sono ancora a Senise.

211. Così nel testo: è, certamente, da intendere Amendolara.

212. La Mezzanella era un'antica misura di capacità in uso nell'Italia Meridionale. Giuseppe M. Galanti, nella sua opera Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, vol. II, pag. 215, scrive: Nella Provincia di Terra di Otranto, vi è la Menza, colla quale si misura il mosto, il vino, l'aceto, il vin cotto. Questa menza, ch'è un vaso di creta rustica si compone di 16 carafe...

213. Tutti questi toponimi di santi si rifanno a chiese e chiesette (molte volte adattate in grotte) quasi sempre di origine bizantina, perciò la Santa Caterina qui nominata è certamente la Santa di Alessandria d'Egitto, molto venerata dai Monaci greci.

214. Così nel testo.

215. Proprio così nel testo.

216. Questa volta è scritta così.

217. La cera, che allora era solo quella naturale delle api, valeva più del miele, perché molto richiesta non solo per l'uso delle chiese, ma perché, insieme con l'olio, unico mezzo di illuminazione.

218. Così nel testo.

219. Vuol dire, forse, alla piazza; ma è strano che nel testo del documento, che è scritto in un latino molto alla buona e spesso, come già notato, con termini ed espressioni popolari, si trovi qui un termine che è proprio del latino classico.

220. E' il godimento di una proprietà con l'obbligo di migliorarla e di pagarne un canone, a volte solo simbolico.

221. E' la ricca chiesa di Senise già varie volte incontrata in queste pagine.

222. Sono le formule consuete, tipiche dei processi medioevali, incomprensibili alla mentalità laica dei nostri tempi, ma naturali in tempi in cui l'idea e il sentimento religioso impregnava tutti gli aspetti della vita, non solo e non tanto, forse, dei singoli individui, ma di tutta la società, in tutte le sue espressioni e manifestazioni.

223. E' Giovannello Virgallito, abate commandatario del Monastero.

224. La sentenza, cioè, non riguardava solo l'Abate del tempo, Virgallito, che era, del resto, solo commendatario, ma anche tutti gli altri abati che sarebbero venuti.

225. Cioè liberi da tributi.

226. I beni posseduti in piena e libera proprietà, senza vincoli feudali.

227. E', più o meno, la stessa cosa di prima. Si vuole insistere nel dire che i beni di cui si tratta non sono del feudatario; burgensatico, infatti, vuol dire borghese, cioè di chi abita nel borgo, non nel castello; di questo tipo sono i beni del Monastero, che, perciò, sono liberi, non sottomessi al feudatario.

228. Finisce qui la lunga citazione dell'atto di reintegrazione del feudo al principe Pietro A. Sanseverino. Di questo atto il De Lauro riporta solo il lungo brano che poteva avere interesse per il Sagittario. La copia originale e completa di questo documento era conservata, secondo il Bastanzio (o.c. pg. 30) a Cava dei Tirreni, presso l'archivio di Matteo (forse voleva dire Mattia) de Lando; ma una copia autentica era stata voluta dai Senisesi, che la conservavano con molta cura nel loro archivio comunale, donde poi scomparve non si sa come. Una copia, tuttavia, è conservata ancora, dice il Bastanzio, presso l'archivio della famiglia Falcone, in Senise.

229. Si riprende, dopo la lunghissima interruzione, il racconto della vita del Beato che era stata interrotta alla narrazione della maternità della Contessa Margherita e che aveva dato motivo alla lunga parentesi storico-giuridica.

230. Cioè nella preghiera ufficiale e corale per la sua festa il 26 di agosto.

231. Nota marginale dell'Autore: Responsorio della prima lettura.

232. Cioè del Vecchio Testamento.