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Balvano
 

da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)


BALVANO

E situata in declivio, a 450 metri di altitudine, in mezzo a una chiostra di monti, coperti di macchie e di boschi, di cui alcuni brulli e rocciosi, pieni di scoscendimenti e di forre, di asperità e di burroni, che fanno rammentare il verso dantesco:
Lo piè senza la man non si spedia.
Dalla posizione topografica del paese pare derivi il suo nome; il cui etimo, secondo le ricerche del compianto dottor Ignazio Gagliardi, sarebbe balua; baluardo, fortezza. Infatti, l'emblema o stemma del Comune è un castello con bastioni e torri tra rocce. La sua fondazione sembra rimontare agl’inizi del feudalismo; quando le continue invasioni barbariche costringevano i popoli a rifugiarsi sui dirupi e sui cocuzzoli delle montagne, abbandonando, con loro grave iattura, la valle, che è il corridoio naturale per gli scambi e le comunicazioni tra gli uomini. Il signorotto costruiva il suo turrito maniero in alto, in luogo inaccessibile; e là, sotto la sua protezione, si appollaiavano le trogloditiche casupole dei servi della gleba: primo nucleo di tanti paesi odierni.
Nel suo Dizionario di geografia universale, il Marmocchi dice che l'origine di Balvano è piuttosto antca, come rilevasi da alcuni epitaffi.
Al perimetro dell’abitato, sur un’alta balza a picco, s eleva superbo il massiccio castello medievale, dai muri spessi circa tre metri. Non si conosce il tempo preciso della sua costruzione, né il nome del suo primo signore: è presumibile, però, ch’esistesse avanti il Mille. In seguito venne in possesso della famiglia Giovene — parente della regina Giovanna I, strozzata nel castello di Muro Lucano nel 1382 — i di cui discendenti tuttora lo posseggono e vi abitano.
Poco fuori la periferia del paese, in sito ameno, sorge l'ex-convento de’ Francescani; ora sede delle scuole elementari (formate dalle cinque classi, maschili e femminili) della stazione dei RR. CC., e del Municipio: località, per queste destinazioni, eccentrica e scomoda, specie d’ inverno.
L’edilizia non ha nulla di pregevole: manca l’euritmia, l'estetica, la consistenza: le case si costruiscono ancora con le antidiluviane travature di legno.
Più volte furono danneggiate dai movimenti tellurici; completamente distrutte dall’edace terremoto del 31 luglio 1561.
Discrete, le chiese: restaurate e abbellite dal solerte arciprete don Claudio Pacelli. Sono quattro, oltre la cappella campestre di Santa Lucia, da parecchi anni chiusa al culto: la chiesa madre, consacrata con il titolo di S. Maria dell'Assunta, nel 1236, e diroccata dal terremoto dell’ 8 settembre 1694, nella quale si venera il capo di S. Pascazio martire, rinvenuto nelle catacombe romane e portato a Balvano, probabilmente nel secolo XVII, insieme con le reliquie di S. Concordio, traslatate nella vicina San Gregorio Magno ; la chiesa di S. Antonio, annessa al summenzionato ex-convento; — l'oratorio della Madonna della Grazia e la cappella di Maria SS. di Costantinopoli, posta a circa mezzo chilometro dall’abitato, con un convento attiguo, ora deserto. La tradizione popolare tramanda cosi l’origine di questa chiesetta: nel declinare del secolo XVI, a una pastorella muta, che custodiva in quei pressi un branco di pecore, comparve un giorno una formosa signora biancovestita, che le porse una lettera, dicendole di recapitarla subito al parroco. — Ma chi vigilerà le pecorelle nella mia temporanea assenza? — dice la povera fanciulla, che ha ricevuto per prodigio il dono della parola. “ Io stessa! ,, risponde la bella e gentile signora. La pastorella corse a consegnare, la lettera al destinatario; il quale ‘restò stupito nel sentir parlare la mutola e al miracolo gridò per le strade dopo la lettura del divino messaggio, nel quale la Signora biancovestita suggeriva di erigere a S. Maria di Costantinopoli una chiesetta proprio su quella costa ove pasceva il piccolo gregge della pastorella.
Tutti accorsero sul posto in preda a un indicibile orgasmo; ma l'avvenente signora più non c'era. La chiesa fu subito costruita e anche il convento; e per molto tempo turbe di pellegrini di paesi finitimi vi convennero per pregare e per obliare un attimo la tirannia della vita. Ogni anno, il primo martedì di settembre, vi si festeggia ancora la Madonna di Costantinopoli.

Balvano non possiede vere opere d’arte, di nessuna sorta né nel suo territorio si sono finora scoperti ruderi e oggetti archeologici. Si sono ritrovate soltanto parecchie fosse di sepolti vivi! In tempi molto remoti, dice la tradizione, nei tempi di paganesimo, (l’origine del paese sarebbe, dunque, molto anteriore all’epoca feudale?), i Gentili di questi luoghi, giunti alla decrepitezza, quando più non potevano sopportare il peso della vita (si breve e sì lunga a un tempo !), si sopprimevano cito: tuto et jucunde.... Quod mihi praebes tibi reddo~,,. Il morituro, salutati parenti e amici e preso un fiasco di vino poderoso, con funerea impassibilità da gran guignol, scendeva in una fossa, molto ampia e rivestita di lastre laterizie, che una persona incaricata coperchiava quindi con grossi mattoni e terra. Come egli vedeva buio, vuotava il fiasco e si poneva a dormire supino!!
Ma certo non sempre tra le braccia pietose di Bacco e di Morfeo coglieva la morte il sepolto vivo !!!... Questo macabro sistema... mortifero somiglia un pò troppo alla “ eutanasia ,, dei moderni o, meglio, dei futuristi! A dispetto di Dante, il quale assevera che alla Morte La porta del piacer nessun disserra.
Nella contrada detta del Marmo, — non molto lontano dal luogo dove nel 1809 fu ucciso da’ briganti il pìode de Gambs, generale di Gioacchino Murat — sì sono rinvenuti recentemente considerevoli giacimenti di pregevolissimo marmo, che restano però ancora inesplorati, perché point d’argent, point de Suisse. Non solo: ma anche perché non è ancora del tutto cessata nella nostra regione l’endemia... apatica!

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Il 31 agosto del 1925 è stato solennemente inaugurato, con l’intervento di mons. Scarlata, vescovo di Muro, e di mons. Cesarano, arcivescovo di Campagna, un bel monumento ai 48 Balvanesi immolatisi su l'ara della Patria nella guerra. Il riuscito lavoro, in marmo bianco e di Pietrasanta, è dello scultore Ciocchetti di Roma, su progetto dell’esimio e giovane nostro concittadino ing. Alessandro di Stasio.
Le strade urbane sono a leggero pendio, provviste di fogne; però irregolari e malamente pavimentate, sebbene il Comune potesse provvedere alla loro decorosa riattazione, essendo uno dei più ricchi di Basilicata.
Tre vie rotabili congiungono il paese a San Gregorio Magno, a Picerno e a Ricigliano, e un’altra di circa tre chilometri porta alla stazione ferroviaria, sulla linea Napoli-Taranto. Dista 24 Km. da Muro Lucano, 40 da Potenza, 84 da Salerno, 140 da Napoli e 52 dal mare. Tuttavia, il pesce qui compare a intermittenze... annuali!
Salubre è l'aria; temperato il clima; sane le acque potabili, che saranno copiosissime tra breve, non appena avremo — oltre la bella e grande fontana già esistente — le numerose fontanine progettate, da distribuirsi in diverse zone dell’abitato.
L’agro fortemente alpestre è assai esteso e ricco di terreni sativi, di pascoli, di sodaglie, di selve e di boschi: maestoso e ultrasecolare quello denominato Sevinosa. Abbondante è la selvaggina: lepri, volpi, beccacce, stame, pernici, cignali e... lupi ! Vi allignano la quercia, il cerro, il faggio, il castagno, l’olivo, molti alberi da frutta, e nei punti solatii vegeta benino anche l’arancio. Frequente è l’epuntia amyclaea, o fico d’India spinoso, e spontaneo nasce l'opoponaco chironio, delle ombrellifere, che ha virtù tonica e nervina: secondo la botanica del Tenore, questa pianta non si trova in altro luogo di Basilicata. Sufficiente è la produzione dei cereali e delle civaie. Negletta è, invece, l’orticoltura, mentre vi prospera l’industria del bestiame e del caseificio, quantunque quest’ultima sia eseguita ancora con mezzi empirici. Scarsa importanza ha la viticoltura: si ricavano vini di piccola gradazione alcolica e di poco gusto, non bastevoli al consumo locale; che numerosi e fervidi sono qui gli adoratori del dio di Nasso!

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Balvano ha una popolazione residente di 3064 abitanti, e oltre 2000 emigrati in America!! Fa parte del circondano dì Potenza, ed è nella giurisdizione della pretura di Vietri; ma avrà presto la sua sezione distaccata. Appartiene alla diocesi di Muro, e a quel collegio elettorale tornerà a essere aggregata con la ripristinazione del collegio uninominale.
Nel dicembre del 1917, s’inaugurò l’impianto elettrico della Società Idroelettrica Lucana, che fornisce l’energia per la illuminazione pubblica e privata e per due molini e una segheria. Esistono due filande e cinque frantoi (trappite), azionati da forza animale, di cui uno solo con torchio idraulico; una fabbrica di fuochi pirotecnici; un’agenzia della Banca Cooperativa di S. Gregorio Magno; un asilo infantile, egregiamente tenuto dalle Suore del Preziosissimo Sangue; e una Società di Mutuo Soccorso tra operai e agricoltori, fondata il 1 gennaio del 1884, a iniziativa del defunto dott. Domenico Cirone.
Ogni anno, dal 9 al 13 novembre, ha luogo una importante fiera di bestiame e mercanzie, detta di San Stanislao, e il 13 giugno ricorre l’annuale festività del patrono S. Antonio di Padova. Caratteristica è la processione di questa sontuosa festa; vi prende parte anche una lunga teoria di rubiconde forosette vestite da “ verginelle ,,, con i capelli inghirlandati e spioventi per le spalle, portanti sul capo le graziosissime cente votive (manca in italiano il termine proprio), cioè delle grosse costruzioni di ceri contesti, variamente sagomati e pittorescamente adorni di fiori artificiali, di nastri e di smaglianti stagnole colorate.... Al vederle, tornano in mente le canefore, che, in Atene, alle feste di Pallade, portavano cestelle di spighe e di fiori. Tutti i parenti del devoto, che ha offerto la centa al Santo, vestiti in grande tenuta e pieni di boria, seguono la processione accanto al cereo trofeo, che sovente è preceduto da pifferi e cornamuse, il cui ciaramellare non sempre è sopraffatto da’ concerti della musica, che accompagna la statua dell’inclito protettore.
Nel 1861, Balvano pure fu visitata dai briganti; i quali, a onor del vero, vennero qui da cortesi turisti, mentre nella vicina Ricigliano commisero atroci nefandezze, come si rileva dal diario del generale don Josè Borjes, l'avventuriero spagnolo arruolato in Francia da’ Comitati borbonici. “ 23 novembre: un’ora dopo mezzogiorno. — I nostri soldati si sbandano, abbandonano i feriti, il frutto delle loro rapine, i bagagli e alcuni fucili, e fuggono dinanzi a 40 guardie nazionali, provenienti da Balvano. Il nemico, però, non ha osato d’inseguirci. Dopo un’ora di marcia abbiamo incontrato una compagnia di 47 uomini, egregiamente formata e disciplinata. Questa forza ci ha preceduti nella direzione di Balvano, ove siamo giunti alle sette di sera. Il paese era illuminato; la popolazione gridava W. Francesco III. Il vescovo, (Mons. Laspro) alcuni preti e la guardia nazionale si rinchiusero nel castello, situato a sud, in una posizione inespugnabile. I nazionali ci hanno dichiarato che ben contenti sarebbero se avessimo rispettato gli averi e che non avrebbero fatto fuoco contro di noi, se non quando i nostri avessero sparato su di essi. li capitano (?) è uscito e sì e abboccato con Crocco. Don Giovanni e De Langlois sono stati nel castello, ma ignoro ciò che abbiano detto e fatto. Mi è grato notare che il massimo ordine è regnato in paese nella notte. —
24 novembre, Balvano, ore 7 e mezza ant. — Ascendiamo la montagna e ci dirigiamo a Ricigliano. I Riciglianesi ci ricevono agitando ramoscelli di olivo. —
— Ore undici della sera — Disordini inauditi sono avvenuti in questo paese: non noto i particolari, perché sono orribili sotto ogni aspetto!

A Balvano, come in ogni parte di terra lucana, nacquero parecchi uomini insigni. Ricordo Cristiano Proliano, famoso astronomo del secolo XV, e il naturalista Francesco Barbazita, che compose un singolare erbario e che nella contrada Caprarezze di questo territorio trovò, mi si assicura, una pianta, la quale porta appunto il suo nome, affatto sconosciuta alla Botanica. Nella Lucania di Angelo Bozza trovo: Gionata, conte di Conza, uno dei principali capi della congiura dei Baroni, ordita in Melfi nel 1160, contro Majone, favorito di Guglielmo I re di Puglia e di Sicilia; e il conte Raon, capitano di Federigo II, sconfitto nel 1229 dall’esercito del papa Gregorio IX. Nacque qui, inoltre, il 22 luglio 1827, il preclanissimo presule D. Valerio Laspro, arcivescovo primate di Salerno, decano dell’episcopato del mondo, morto nella sua sede il 22 novembre 1914.

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Ora qualche rilievo folkloristico, e basta.
Come tutti i montanini, il contadino è assai passionale: comincia a far all’amore, corampopulo, fin dall’adolescenza; e spesso LII cupido pàthos, che gli tormenta e arde anima e carne, ha manifestazioni troppo palesi, troppo tangibili! Quod scripsi, scrispsi vobis: me commendo... Molto patetici sono i canti notturni degl’innamorati, sotto le case delle loro morose: canzoni d’amore e di odio e di rampogne, di rimpianti e di contumelie... Canzoni spontanee, improvvisate, senza metro e senza rima, con rare assonanze, sempre su lo stesso motivo musicale, interrotte da lunghi passagalli eseguiti su la chitarra battente o sul biblico cembalo (tammurr), per dar tregua all’ugola e alla estemporaneità dell’innamorato cantore.
Il dialetto, nel quale ha preso posto qualche voce napoletana, per la contiguità del paese con quella regione, è abbastanza intelligibile, se si escludono pochi vocaboli alquanto astrusi, come (la e non accentata resta muta): pruiébete, proverbio; travulare, palancola; perciate, immobilizzato; cérasale, giugno; metugl, luglio; attruvv, ottobre; mumane, stamattina; gghè, io; pesemore, preso; aggazzò, burlare; ecc. Caratteristiche foniche sono il rotacismo, o soverchia ripetizione della e l'abuso della vocale u, e del digamma sc.
La popolana veste tuttora in costume antico: gonna nera, lunga e pieghettata, con due fessurine triangolari su le reni; grembiule non molto ampio; corpetto scollato, nero o a colori, da cui escono, a campana, le bianche maniche della camicia, chiuse da manopole, di diverso tessuto, che prima usavano lunghe dal polso al cubito e ora arrivano fino al bicipite brachiale; su la testa, anche col solleone, uno sciallino piegato, o un panno pesante ornato di larghi nastri e di galloni d'oro... non sempre di coppella. Va pure a nozze così vestita, senza i rituali fiori d’arancio. E quando prende il lutto, per molto tempo esce dì casa coperta del suo “ panno ,, di lana nera, da lei stessa tessuto e tinto: è di forma rettangolare, e dalla testa scende alle anche e anteriormente oltre i lombi. Attende essa volentieri alla rocca e al telaio, e conosce pure un po’ la tintoria. Ma non più intera conviene a lei la sapiente formula antica: lanam foecit et casta vixit!i
Notevole è l'abilità e la resistenza che hanno queste montanine nel portare sul cercine grandi carichi: fino a poco meno di un quintale! Si vedono spessissimo trasportare in bilico sul capo, sculettando e discorrendo o facendo la calza e badando al bambino, financo materie liquide in grossi recipienti aperti. Quest’ uso, però, riesce nocivo alla loro capigliatura, poiché il peso la scompone e la strappa.
Anche in costume veste il vecchio contadino: cappello a piccolo cocuzzolo conico: largo solino candido, che ricopre il bavero della giacchetta, la quale porta sul davanti due file decorative, longitudinali e parallele, di bottoni di metallo dorato; calzoni stretti e corti, fin su la rotula; calze bianche fino al ginocchio, e scarponi di pelle di bove (alias zampitti).
Quando poi è in lutto indossa, anche nei meriggi canicolari, il suo grossolano mantello invernale (mantied), di color marrone, che sovente è provvisto di un cappuccetto.
La prosopografica non trova nulla di peculiare nella conformazione fisica di questi abitanti. I quali sono lavoratori, industri, economici; non sanguinari, ma alquanto riottosi; un po’ bigotti, e troppo inclini alla curiosità e alla maldicenza....
In questa succinta etopeia forse la mia parola par tropp’osa.
Ed è reticente.

TEODORO SAVINO


 

da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)


 

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