La parte più intensamente
abitata della cittadina è il rione “Purgatorio”, dalla omonima
chiesetta, e che si stende fino a ‘lu muruce” (la murge).
Comprende San Cataldo, il Vallone e il Portello. ‘il rione più vicino
alla Chiesa di Santa Maria e all’annesso ex Cenobio. E’ contemporaneo
ad essi.
Lungo il corso dei secoli ha subito l’influsso dei Benedettini prima,
e susseguentemente dei Francescani, modellandosi così ai “chianaiuoli”.
Tuttavia si notano caratteristiche peculiari diverse, che ne fanno
quasi un ceppo a sé.
Per la sua collocazione è un vero crocevia tra la parte alta del
paese: San Nicola e la Trinità; quella centrale: la Piazza; e la parte
inferiore: Sant’Antuono e il Piano.
Gli abitanti sono gente intraprendente, tutta data al lavoro e al
lucro, tesa al raggiungimento del benessere, in continua evoluzione e
ricerca di progresso.
E’ di sentimenti schietti, sinceri e forti.
Le specifiche attività lavorative, cui si sono da sempre dedicati fino
all’odierno sconvolgimento, provocato dalla massiccia emigrazione,
oltre alla agricoltura và segnalato l’artigianato della creta, della
pietra, della forgiatura di oggetti in ferro, della ebanisteria.
Forte delle proprie capacità d’inventiva, conservatori tenaci delle
tradizioni e segreti dell’arte trasmessi dai padri, questa gente ha
carattere cordiale e simpatico. Nel rione sorgono 2 chiesette. Quella
del Purgatorio, ad una sola aula, porta incisa sul frontale la
data:1717.
Alle pareti laterali interne sono addossati seggi simili agli stalli
dei cori capitolari. Accoglievano i soci della confraternita per la
salmodia in suffragio dei morti. Non vi è un leggio centrale, e il
tutto è rozzo ed ingombrante. Ora, la congrega non esiste più.
Vi fu un tentativo di ricostruirla verso il 1946, più per nostalgia
che per convinzione. I promotori non diedero segni di serietà e di
vero comportamento religioso. Nelle poche riunioni effettuate i nuovi
confratelli berciavano il canto dei salmi, e intercalavano, tra un
versetto e un asterisco, lunghi sorsi di vino, contenuti in capaci
“iasconi” nascosti sotto gli scanni. Alticci e quasi ebbri chiudevano
l’adunanza recandosi al cimitero, ove asciugavano del tutto i fiaschi,
sicuri di aver felicemente ricordato e suffragato i trapassati al
tintinnio dei bicchieri e al gorgoglio dei festosi “canniedd”.
Naturalmente vennero spazzati via dal Sacro Tempio, al modo del
comportamento di Cristo coi profanatori del Tempio di Gerusalemme.
Nell’interno si conserva una statua raffigurante la Vergine Assunta in
Cielo.
E’ una scultura lignea finissima, alquanto degradata dal tarlo che la
consuma.
Nel volto atteggiato verso l’alto, sembra di intravedere i cieli
stellati, in una visione di sogno. Esprime perfettamente l’anelito
verso il Figlio e l’Eterno.
La veste riccamente pieghettata l’avvolge lieve, svolazzante verso
l’infinito; le braccia aperte danno la spinta verso i cieli, come ali
d’angeli.
Al centro dell’altare maggiore è posta una grossa tela raffigurante la
Vergine del Suffragio. E’ rozzamente dipinta; è fredda e ferma; non
suscita alcuna emozione.
Particolare interesse, invece, merita il portale, con al sommo il
timpano snello e ben proporzionato, con al centro una grossa pietra
squadrata a rettangolo. Vi è scolpito un bassorilievo raffigurante un
macabro e pauroso teschio dalle occhiaie vuote, i denti atteggiati ad
una rabbiosa smorfia e gli stinchi incrociati.
Poco discosta sorge una cappellina dedicata a San Cataldo. La si
potrebbe datare, suppergiù, alla stessa epoca della Chiesa del
Purgatorio. Sono evidenti gli inconsulti rimaneggiamenti e gravi
manomissioni. Per l’invasione dei caseggiati limitrofi si è ridotta a
pochissimi metri quadrati. Il soffitto in legno è scomparso, invaso
dal piano superiore e sostituito con tavelloni. Conserva una tela di
un certo interesse. E’ proprietà privata, attualmente adibita a
deposito.
Il Vallone e il Portello si estendono ai piedi di un costone
argilloso, scosceso e grigio. E’ la “sede” dei “fainzari”, i bravi
figoli ora quasi scomparsi, e che davano vita al rione,
caratterizzandolo. Le attività pulsavano in ogni stagione: dal
prelievo accurato della creta, alla frantumazione, al pestaggio dei
componenti per la coloritura, alla accensione dei forni a legna, alla
“infornatura” e “sfornatura”; operazioni tutte compiute come un rito,
accompagnate dai canti festosi delle donne, col sottofondo delle voci
maschili.
La creta del costone è stata per il passato, anche recente, causa di
forti litigi, di esasperate gelosie di mestiere tra le varie
“botteghe”, e di odi profondi, lunghi nel tempo.
La delimitazione del costone per il prelievo della materia prima,
necessaria alla “faienza”, non è mai stata precisa; di qui i continui
sconfinamenti e l’arrembaggio per l’invasione della parte migliore.
Ora la contrada si va evolvendo con costruzioni di un certo gusto
civettuolo e presuntuoso, comunque funzionali e capaci.
In tutto il rione l’arte vi fa capolino quasi come un’estranea. Entra
in punta di piedi nei due edifici sacri, ed in vesti povere.
E’ evidente una carenza di sensibilità artistica in questa parte del
paese, a differenza, come si è visto, degli altri rioni.
Anche la cultura non ha trovato mai veri cultori in questi vicoli e
tra queste strettoie, ove tutta l’attenzione era rivolta al guadagno e
basta! Tuttavia non è mancata nel recente passato una tal quale
pretesa pseudo-culturale, al limite della presunzione e al livello
estremamente elementare. Si ricorda, quale esempio classico, la famosa
disputa all’inizio del secolo, verso la “piazzola”; disputa violenta
ed accesa sul preciso significato da attribuire agli aggettivi
“INTELLIGENTE” e “DILIGENTE”, arrivata a tale esasperazione da
scapparci il morto!
Malgrado tutto, nel grande mosaico paesano, anche questo tassello
compie una sua funzione, per la completezza del tutto.
da: "Calvello
- storia, arte, tradizioni"
di Luigi De Bonis
su autorizzazione dell'autore