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NICOLA FESTA

    da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)

Ho un ricordo, in una lontana sera ottobrina, che un mio amico fraterno e io portavamo a spasso intorno alla Fonte del Mercure non so che nostro sogno e che nostra passione il sole calava dietro quella divina apenninica, che, da l’alte di Sirino, cordigliera seghettando e merlettando il cielo, digrada dolcemente verso la marina di Scalea, e la luce morente , passando tra le foglie glabre dei pioppi e dei salici, gettava sulla corrente loquace un crepuscolo ninfale, fatto di apparscenze e di scolorimenti, si parlava della cultura lucana. E al nome di Nicola Festa, che, in quei tempi, era anche impigliato « per disciplina di partito » in una lotta politica, il mio amico, ch’è amante degli aforismi definitivi e delle definizioni aforistiche, disse: « Spirito cilenico, forse 1’ultimo ». E guardando la corrente del fiume che si annottava, aggiunse: « Ha bevuto largamente alle fonte de Ellade ».

Ripensando ora alle parole dell’amico, io veramente le trovo giuste. E non so pensare a Nicola Festa senza inquadrarlo in quella schiera esigua ma eletta di « rianimatore restauratori dell’arte e della vita di Grecia e di Roma »che consule Carducci ha donato alla nuova Italia, stremata dal romanticismo, la poesia barbara di Giosuè Carducci, armata come una folgore, perfetta come gli occhi di Pallade; la lirica di Giovanni Pascoli, serena e tersa e calda come un bacio di sole sui marmi bianchi del Parthenone, che sanno i travagli di Fidia: la lirica di Gabriele d’Annunzio, che pare nata nel seno concavo e sonoro della cetra a sette corde di Orfeo e ha gli occhi ardenti e la carne arsa di Saffo; la prosa asiatica e pagana di Eduardo Scarfoglio, che ha il sano ardore dei giovani corpi umani commisti, l’odore delle foreste vergini, fermenti di veleni e di potenze, ove fumano al sole le agavi disfatte, e i grassi fiori del cocco cadono, bruciati , nelle acque verdigne; la tavolozza d Francesco Paolo Michetti, varia come l'iride, potente e discorde come una musica di Wagner, intonata ad accogliere e a disperdere tutti i fantasmi e tutti gli spiriti della bellezza.

A questo neo-classicismo e neo-umanesimo di Italia, al quale anche Ettore Romagnoli ha portato e porta il bel peso del suo contributo, appartiene, anima e corpo, nonostante il suo spirito cristiano, Nicola Festa. in lui, come in nessuno, le spine di Calilea si sono veramente congiunte con le rose de l'Ellade. E nel suo cervello pagano, sul suo spirito cristiano, hanno dato realtà al prodigio di un temperamento artistico, che, sentendo cristianamente e pensando umanisticamente, infiora di virtù e di bellezza ogni sua cosa, e mostra 1’impronta del suggello spirituale di Giovanni Pascoli.

Questa fu la gran buona ventura di Nicola Festa :imbattersi giovinetto, quando frequentava le scuole liceali, in un maestro, che si chiamava Giovanni Pascoli, il quale influì potentemente sulla ben disposta natura del discepolo, per la formazione della sua personalità, l’indirizzo dei suoi studi e la decisione del suo avvenire, orientandolo verso quella tradizione italica e umanistica, che fu il nodo centrale, vitale e ideale, la ragione storica della esistenza del grande Poeta di Romagna, e dovea diventare il nutrimento spirituale di Nicola Festa.

Non solamente il discepolo ideale aveva trovato il suo maestro ideale. Ma due affinità elettive, due spiriti consimili erano venuti a trovarsi in contatto nei cerchio della vita.

Pascoli era un pagano, che amava, singolarmente amava, il cristianesimo, al quale lo inclinava il fato di dolore, che lo aveva percosso, in questo contrasta l’armonia cristiana, cosi nuova, così semplice, cosi pura, della sua poesia, che rimane però, innegabilmente, poesia umanistica, nel suo più profondo spirito e nei suo più essenziale contenuto etico e logico. Era uno spirito quello di Giovanni Pascoli, che avrebbe potuto finire asceta o anacoreta, se Egli non avesse fatta la sua cultura sui classici di Grecia e di Roma, in quell’ambiente del risorgimento intellettuale bolognese, sul quale imperava Giosuè Carducci. E pure, Egli rimane il più grande nostro poeta cristiano, inteso il suo cristianesimo non come milizia astratta e rigida di una religione e di un culto, ma come sentimento di umanità, di carità, di purezza, solidarietà degli uomini nel dolore, elevazione dello spirito, disinteresse delle cose terrene, bramosia del mistero. Cristiano come Gesù, e, come Apollo, pagano, mistico e puro amante della Bellezza e dell’Armonia, sino a cercare le risonanze del mare nel guscio concavo della conchiglia marina, il nodo del canto nella gola dell’usignolo, il gioco del sole sulle ali della rondine saettante, lacrime in occhi vergini, riflessi di carne appena creata.

Nicola Festa, che, nella patrizia casa di Matera, ov ‘era nato il 16 novembre del 1866 — era stato educato dal padre Francesco, coltissimo e saggio uomo, secondo i principi della più rigida morale cristiana e cattolica, nel contatto col grande Maestro attinse e bevve tutta la poesia del cristianesimo di Lui, fu preso dal fascino di quel suo classicismo umanistico e neo-pagano. E dal Pascoli, che prese ad amarlo, si lasciò completamente guidare nella via degli studi classici. Per consiglio del Poeta, egli concorse a una borsa di studio nell’ Istituto di Studi Superiori a Firenze, e vi compì i corsi universitari, laureandosi con lode nel 1888.

Insegnò per un anno nel Liceo di Orvieto; fu, quindi, nominato docente straordinario, e poi, subito, ordinario di lingua greca e latina, nell’ Istituto fiorentino. E di lì a poco, avendo dovuto il Piccolomini, per ragione della salute malferma, allontanarsi dallo insegnamento, Nicola Festa, con unanime voto della facoltà di lettere, fu chiamato a succedergli sulla cattedra di letteratura greca dell’ Università di Roma, che continua a tenere, e dall’alto della quale ha fatto la sua quadrata e possente fama di ellenista.

Tutta la sua opera è una battaglia per 1’Ideale. E i segni leonini di questa sua battaglia si ritrovano ovunque, perch’Egli, che ha lavorato più di tutti, ha, come nessuno, dispersa l’opera sua, donandola, come il buon grano dell’imagine manzoniana. Nella battagliera "Cultura", la famosa rivista di Ruggiero Bonghi, della quale, con Camillo de Lollis, fu condirettore e redattore; nella « Rivista di Cultura » con Giovanni Gentile, con Gioacchino Volpe, e ora, di nuovo nella « Cultura » diretta dal solo De Lollis, alla quale collabora, ha agitato, in quella sua prosa tersa e fluente, semplice e pacata, che ricorda un poco la grande prosa italica del suo Maestro immortale, le più complesse questioni letterarie, richiamando su di sé l’attenzione di tutti i più insigni cultori di storia e di critica letteraria per la sua trattazione della questione omerica, per la quale propugna tenacemente, con ardimento pari solo alla dottrina, con obbiettività nobilissima, la necessità del ritorno all'idea dell’unità assoluta e integrale.

Nel 1921, quando 1’Italia si preoccupò di riallacciare le relazioni culturali e commerciali con le nuove nazionalità sorte dal riassetto della penisola balcanica e dallo sfacelo degl’imperi russo e austriaco, Nicola Festa parve al gr. uff. Amedeo Giannini l’uomo più atto a fondare e a reggere l’Istituto per l’Europa Orientale, al quale diede tanta parte della sua attività.

La sua attività scientifica si è svolta e continua a assai varia: dalla filosofia classica svolgersi in campi, agli studii bizantini, alle letterature moderne. In ogni campo, Nicola Festa scava un solco di fertilità, una fonte di luce, apre una via nuova. Ma il mondo elleno, del mito e dei poeti, lo attrae. Egli va, con la fiaccola dell’idea, al diseppellimento dell’antica anima greca, percorrendo tutta intera la via, che gli era stata tracciata dal genio di Giovanni Pascoli.

Dopo molti saggi, rimasti inediti, su codici minori di Eschilo e sulla geografia del mondo omerico, rivolse la sua attenzione al curioso opuscolo di Palefato « De incredibilibus » e lo studiò nella sua genesi e sui rapporti col razionalismo, applicato alla spiegazione dei e della loro origine. Questo lavoro del Festa fu il segnale di parecchi articoli di filologi tedeschi: sorsero molte polemiche, per le quali egli dové più volte tornare a occuparsi del Palefato, del quale diede anche un’edizione critica nella collezione « Mythographi Graeci » diretta dal Wagner, compresa nella « Bibliotheca Teubneriana » di Lipsia, ove aveva già pubblicato l’edizione critica del terzo libro di Giamblico.

Quando il Vitelli fondò gli « Studi italiani di filologia classica » Nicola Festa fu il primo a preparare per essi alcuni indici, brevi cataloghi di collezioni poco conosciute o sconosciute di manoscritti greci. Questo lavoro gli offrì il destro di addentrarsi negli studi bizantini, .allora « in gran dispitto » dai nostri classicisti anche più. Riesumò e pubblicò l'epistolario di Teodoro Duca Lascari, imperatore di Nicea, e diede una edizione correttissima di cinque lettere greche di Federico II di Svevia al genero Giovanrn Batatzes.

Ma la scoperta del papiro di Bacchilide lo richiamò dalla via di Bisanzio verso la riva serena de 1’Iusso il fiume sacro de l’Ellade, che nasconde, in ogni onda, un Iddio.

Primo fra tutti, egli fece una edizione italiana di quei preziosi frammenti di poesia melica greca: edizione che, diciotto anni dopo, tesaurizzando nuove scoperte e la maggiore esperienza acquistata, rifece da cima a fondo, tenendo anche conto dei maggiori lavori pubblicati sullo stesso soggetto da studiosi di ogni paese del mondo civile.

Nella prolusione, che iniziò la sua vita accademica all’ Università di Roma, Nicola Festa espose una sua intuizione teoretica . . originale della complicata e controversa questione della « catarsi » nel dramma greco antico, secondo le teorie di Aristotele. Anche su questa via, egli fu ben presto seguito in Italia e fuori, da una pleiade di studiosi.

Poco dopo che Nicola Festa aveva assunta la cattedra universitaria di Roma, Pio Rajna, allora presidente della Commissione petrarchesca, gli affidò l'incarico di preparare l’edizione critica del poema latino « De Africa » di Francesco Petrarca.

Vincendo difficoltà di ogni sorta, che lo costrinsero anche a varie interruzioni del lavoro, esaminando e vagliando tutti i documenti esistenti non solo in Italia, molti dei quali ignoti o mal noti, ma quelli sparsi per le biblioteche d’Europa, nell’Austria, nella Germania, nell’Inghilterra, nella Francia, nella Spagna, assoggettandosi a un lavoro da titano e da certosino, in brevissimo tempo — ed era opera di tal mole da fiaccar la iena di qualunque spirito alacre — Nicola Festa preparò il lavoro. E se difficoltà editoriali non fossero sopraggiunte a interrompere e ritardarne il corso della stampa, l’edizione critica del poema petrarchesco avrebbe già veduta la luce.

Tutto questo, non ha potuto distogliere interamente il  Festa dal campo principale e passionale della sua attività: la letteratura greca. Oltre a vani contributi su questioni minori, e alle varie questioni trattate e risolte nei corsi accademici, egli ha, infatti, in questi ultimi tempi, volto il suo pensiero allo studio della metrica greca, e ha preparato un volume ancora inedito, ma di prossima pubblicazione, che susciterà, secondo le convinzioni e le previsioni dell’Autore, vivaci polemiche, consensi e dissensi, sia per la novità del metodo, sia per la opposizione risoluta a molte teorie dominanti. Un libro di contro-corrente, quasi di rivolta ideale.

Ma, come se tutto questo prodigale dispendio di energie e di talento non bastasse a colmare la misura della sua attività e della sua capacità, Nicola Festa, convinto della necessità di non distaccare la scienza dalla vita, anzi di armonizzarle, ha promosso la Società Italiana per il progresso e la diffusione degli studi classici, e collaborò, tra i primi, alla rivista « Atene e Roma ». Convinto che il classicismo è miracolo di vita e di bellezza — come Giovanni Pascoli — iniziò quindi una serie di varie pubblicazioni a carattere divulgativo: Omero, Bacchilide, Epittoto, e le tragedie di Sofocle, per la traduzione delle quali egli si valse della preziosa collaborazione della sua consorte. Con lo stesso intento divulgativo, fondò la « Piccola biblioteca di autori greci tradotti col testo a fronte » presso l’editore Sansoni.

Da Bisanzio, nell’Oriente slavo, il passo è breve. E dagli studi bizantini, quasi svolgendo gli anelli di una catena ideale, che si snodava intorno al suo spirito proteiforme, Nicola Festa anche Giovanni Pascoli, aveva subito il fascino delle dolenti canzoni slave, nenie lente e cupe, come il fluire dei grandi fiumi estuosi — fu attratto allo studio della lingua russa, dalla quale tradusse e fece conoscere al pubblico italiano una parte della produzione di Maikov, e tutte le composizioni del poeta popolare Kolzov, delle quali, finora, non è stato però pubblicato che qualche saggio.

Anche per la scuola egli ha lavorato e ha rivolto ad essa il suo amore di apostolo.

Recentissimo è il suo « Corso di lingua greca » in cui Nicola Festa pone in pratica i suoi principi innovatori per un più rapido e più efficace studio delle lingue classiche, dei quali principi, applicati allo studio del latino, trattò pure in un memorabile articolo pubblicato nella « Rivista pedagogica ».

Solo la consuetudine degli spiriti magni, la necessità di intenderli apppieno, per renderli accessibili agli indotti, e di farsi umile con gli umili, e piccolo con i piccoli, anche questa virtù egli apprese da Giovanni Pascoli, che divinamente la conobbe e la praticò, uomo e poeta — poteva ispirargli così viva passione per la scuola, per la quale ha combattuto e combatte ancora le battaglie più fervide, più audaci.

Ma la sua opera capitale, quella, che più lo avvicina al grande spirito di Giovanni Pascoli e più lo fa degno di tal Maestro, e la sua traduzione dei due poemi omerici : « L’ Iliade, e l’Odissea ». Solamente il Pascoli poteva, in esametri italiani che hanno la stessa armonia metrica, lo stesso rilievo fidiaco, la stessa grazia, la stessa forza e perfezione degli originari esametri omerici, tentare di rendere nella nostra lingua i due poemi divini. Ma la fatica rimase tronca, quasi agli inizi. Solamente Nicola Festa, il discepolo che più aveva penetrato lo spirito essenziale di Giovanni Pascoli e con Lui aveva navigato su le tolde attiche, alla ricerca della Bellezza cilena, sepolta sotto l’Egeo, intorno alla corona delle Cicladi, ove approdò dalla morte, incorrompibile, il corpo di Saffo, fasciato nella onda dei capelli, che il lungo sonno sotto il mare aveva tinto di viola; solamente Nicola Festa, spirito ellenico, trapiantato nel tempo nostro, poteva cimentarsi nell’ardua opera di riprendere 1’interrotta fatica del Maestro, che gli aveva dato l’esempio e gli aveva aperta la via, e condurla a compimento, prodigiosamente, in una prosa limpida, armoniosa, fluente, che aderisce al testo omerico come la fragranza al fiore, trasparente e volatile, come una fiala di aromi. Una prosa, di cui la letteratura italiana ha scarsi esempi.

Per anni ed anni, Nicola Festa avea vissuto con Omero, si era fatto contemporaneo del suo spirito, della sua gente. Da mille rivoli puri egli avea bevuto la grazia ellenica. Col, quando si mise all’opera, il capolavoro era gia maturo dentro di sé. E non fece che coglierlo.

Questa traduzione festiana dei poemi omerici rimarrà a lungo, classicamente: perch’essa, come la traduzione dell’Iliade di Vincenzo Monti, come quella dell Eneide di Annibal Caro, è per dirla con Oscar

Wilde una ricomposizione originale dell’opera di arte, un’opera di arte, dentro la cornice di una altra preesistente opera di arte ».

Per entro, si sente il respiro di un altro poeta, la potenza d un altro artista, il soffio di un altro spirito dello spirito ellenico di Nicola Festa, creazione melodiosa dello spirito umanistico di Giovanni Pascoli.

E, cristiano e cattolico militante, Nicola Festa, in politica, svolge la sua attività nel partito popolare italiano, del quale è tra le personalità più illustri e rappresentative. E la via ch’egli percorre verso le mete e le cime, all’ascesi delle quali è adusato, della arte e della scienza, nel pieno vigore del suo ingegno, e illuminata dal raggio bianco della sua fede.

 

 

da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)
 


 

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