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UN PRECURSORE DEL GIORNALISMO MODERNO
FERDINANDO PETRUCCELLI DELLA GATTINA


In molti lo ricordano come romanziere, storico, uomo politico o semplicemente come patriota lucano, ma Ferdinando Petruccelli della Gattina, oltre che tutto questo, fu un "meraviglioso giornalista". Così lo aveva definito Luigi Capuana nel suo noto saggio Libri e teatro del 1892, col quale ridelineava, in modo singolare, la personalità di quell'uomo che, malgrado la sua timidezza, modestia e cortesia, partoriva scritti straordinariamente indiscreti, esagerati, strani e non meno ricchi di osservazioni argute e di buon senso.
Barone e nello stesso tempo repubblicano, libero pensatore, critico spietato di credenze, di istituzioni e di tradizioni, Petruccelli attirò su di sé gli sguardi di letterati e di politici del secolo scorso. Nacque il 28 agosto 1815 a Moliterno (e non a Lagonegro, come erroneamente riferivano F. Verdinois, T. Sarti, V. Imbriani e La Gazzetta Piemontese del 30/31 marzo 1890), alle soglie dell'epoca romantica, l'anno stesso in cui il trattato di Vienna suddivideva l'Italia "a toppe come un Arlecchino". Dal 1838 fino alla vigilia della morte scrisse una trentina di volumi: romanzi storici, psicologici, sociali, storia, drammi, opere filosofiche. Egli stesso si sarebbe smarrito in un simile oceano: un oceano, dove articoli di giornali, messi insieme, facevano "qualche tonnellata".
Il periodo in cui operò è particolarmente interessante per il collegamento a tutta la nostra storia nazionale. "Attraverso i suoi scritti - afferma Giuseppe Santonastaso - possiamo leggere molte delle debolezze e delle grandezze degli italiani del suo tempo colte nell'inedito di salotti, nei circoli dei cospiratori, negli atteggiamenti di diplomatici e nelle relazioni ufficiali di governi". (1) In essi Petruccelli mette a nudo senza pietà la falsità, i preconcetti, le tradizioni più assurde e conservatrici del secolo in cui visse. Imbevuto di cultura illuministica, si scaglia contro il gesuitismo e l'oscurantismo del potere assoluto che gli fanno identificare Chiesa e potere temporale, Dio e papa.
D'animo e di temperamento appassionato ed insofferente, costretto dalle circostanze e dalle persecuzioni della polizia borbonica ad espatriare, portò a Parigi e a Londra freschezza e vivacità di idee. Dominato da un sentimento di spavalderia, non si curò delle volgarità che scrissero contro di lui: è questo l'aspetto più notevole e singolare del suo carattere. Chi si rifiutasse di capirlo, lasciandosi trascinare da grossolani pregiudizi, non potrebbe gustare la straordinaria ricchezza espressiva profusa in alcuni suoi libri.
In pochissimi casi, come in questo, biografia e opera si compenetrano e si confondono. La sua vita, infatti, paragonata ad "un romanzo in più volumi", è in buona parte racchiusa nelle pagine dei suoi numerosi libri e articoli.
All'agiatezza e alla tranquillità che avrebbero potuto essergli assicurate dall'appartenenza ad una famiglia nobile e benestante, Ferdinando Petruccelli della Gattina preferì una vita intensa e avventurosa che, se gli procurò fama europea per aver combattuto "dovunque vide oppressi la libertà e i diritti dei popoli", gli creò anche difficoltà e inimicizie profonde. "La ragione - osserva A. Macchia (che riporta il ritratto che Petruccelli fa di sé nella prefazione a "I moribondi") fu insita nella stessa natura: lo si direbbe fiero ma io lo credo piuttosto un timido. Un profondo sentimento del vero e della giustizia lo rende sarcastico e bilioso. Ama il mondo e le brigate sollazzevoli, ma si rassegna alla solitudine per l'invincibile nausea che gli destano gli sciocchi e i noiosi. In fondo, affettuoso, uomo semplice, buon figliuolo, ma che ha humour quanto un inglese". (2)
Solo dopo il 1861 - come rileva Valerio Castronovo - in "La stampa italiana dall'unità al fascismo" lo sviluppo giornalistico in Italia assume "dimensioni rilevanti" e su base nazionale. Ma Petruccelli si era ormai posto al servizio della stampa estera, per cui offrì una relativa collaborazione a quella italiana. Certo, un suo più ampio inserimento nella nostra stampa politica e d'informazione di quel periodo sarebbe stato molto importante. Era il momento in cui il giornale si assumeva compiti essenziali, quali l'istruzione degli elettori, una migliore comprensione della realtà, il rifiuto del passato in nome dell'avvenire.
In un articolo del 12 maggio 1848 scriveva: "Dei signorotti brutali, altrettanto che ignoranti, ambiziosi, vani, avidi, maltrattano le misere genie dei proletari, strappano l'onore delle persone e le sostanze, la facoltà santissima della prole e del pensiero. Iloti, men che Iloti, paria men che paria, bruti men che bruti, la plebe, degradata in tutta l'umana natura, ha perduto perfino l'istinto di lamentarsi: ha pochi pomi di terra, qualche frusto di pane di segale e di saggina che si accordano come lusso sibaritico, solamente nelle grandi solennità e nei casi solenni di morbo, l'acqua pura delle fontane e scarso fuoco: ecco il sovrano agognare di quella gente. Il pensiero è in essi un ospite importuno e non trapassa la stentata mercede del durissimo travaglio giornaliero".
Infaticabile qual era, Petruccelli della Gattina gettò nel giornale le proprie passioni e idee gigantesche: i suoi articoli, ricchi di acute osservazioni e di profonda psicologia politica, si leggevano con interesse. Le sue quotidiane improvvisazioni erano care al pubblico "che faceva ressa al suo pulpito e ne aspettava il verbo".
I primi giornali ai quali collaborò giovanissimo furono, nel 1840, il Salvator Rosa di Napoli ed Il Raccoglitore fiorentino. In essi vi pubblicò efficaci corrispondenze descrittive dei suoi viaggi in Italia e in vari paesi d'Europa. Ma già nel 1838 il Petruccelli aveva scritto qualche articolo nell'Omnibus pittoresco di Napoli che, diretto, tra l'altro, dal conterraneo (di Barile) Vincenzo Torelli, fu il primo giornale sorto con finalità industriali e commerciali.
Nel '48, poi, Petruccelli si fece notare per la spregiudicatezza e l'aggressività degli articoli scritti su Mondo vecchio e Mondo nuovo. Se quel modesto foglietto a quattro pagine riscosse immediato successo, lo dovette proprio a lui, il redattore più qualificato.
Gli elzeviri, da cui traspariva il senso profondo della storia che andava attuandosi giorno dopo giorno, risentivano della lezione appresa a Napoli alla scuola di purismo di Basilio Puoti. Il suo giornalismo era sostenuto dalla forza di un temperamento esuberante, anche se impulsivo, dalla solidità di un linguaggio colorito ed espressivo.
Il primo numero di Mondo vecchio e Mondo nuovo iniziava così: "Nella pioggia dei giornali, giornaloni, giornalini, giornalacci e giornaletti di ogni colore, di nessun sapore, di ere vecchie e nuove, di convertiti e di convertibili; (...) facciamo anche noi mettere il naso fuori, non so con quanto piacere di taluni (...) questo satanetto, che uscirà tutti i giorni".
Il numero del 4 marzo '48 precisava che lo scopo del giornale era quello di levare la maschera ai tristi e soprattutto a coloro che occupavano cariche, di "censurare quanto fosse di male" per il bene del paese.
Vittorio Imbriani giudicò Mondo vecchio e Mondo nuovo "un giornalaccio" e "scandalosissimo" chi lo dirigeva. Sta di fatto che dalla penna del "meraviglioso giornalista" lucano (l'unico dei tredici collaboratori che firmava gli articoli) uscirono pesanti accuse al governo e al re che nulla faceva per eliminare la corruzione che dilagava nella società napoletana del tempo.
Petruccelli non era vanitoso, né opportunista, ma spontaneo e leale. Qualità desumibili anche dal fatto che, al momento delle elezioni per il Parlamento napoletano, non usò il giornale come strumento di propaganda personale.
Il Racioppi assegna a Mondo vecchio e Mondo nuovo buona parte degli avvenimenti che provocarono la formazione delle barricate a Napoli: "Non fu quel piccolo giornale che fece il 15 maggio, no: ma anche della sua carta fu fabbricata la cartuccia che esplose il 15 maggio".
Nel numero del 12 maggio si criticava la politica estera ed interna del governo, "più che mai incerta, sospesa, eccentrica da ogni principio, pericolosa a' vitali fini della libertà". Il rilassamento era crescente poiché, "sotto manto di religioso rispetto alla libertà e alla legalità, si promuoveva l'anarchia, madre del despotismo".
L'insistente aggressività, la virulenza dei suoi attacchi personali e la violenza dell'articolo La polizia apparso nel numero 145, indussero la magistratura, "in settembre", a sospendere definitivamente Mondo vecchio e Mondo nuovo che, nel corso della sua breve esistenza aveva assunto altri titoli: Un altro mondo, Il Finimondo, Così va il mondo.
Ma è opportuno, a questo punto, precisare che il giornalismo napoletano, dopo la Costituzione dell'11 febbraio, non si identificava solo col giornale del Petruccelli. Accanto ad esso, Il lucifero, Il Messaggero, Il Riscatto italiano, Il Costituzionale, Il Lampo, etc; tutti di orientamento liberale più o meno marcato.
"Giornalista a linee dritte e senza partiti" per il Valinoti, "meraviglioso" secondo il Capuana, Petruccelli divenne ben presto qualcuno appena varcò la frontiera.
Sedutosi alla "mensa" di Jules Simon, assimilò facilmente la scioltezza e la franchezza dei francesi. Impadronitosi della lingua e della letteratura anglo-francese, divenne uno dei primi grandi corrispondenti a livello europeo, una "fontana zampillante", per usare un'espressione del Croce. Il suo stile incisivo e mordace, la sua integrità morale, la passionalità e il gusto del paradosso conquistavano il lettore.
Il Petruccelli (insieme al pugliese Raffaele De Cesare del Corriere di Napoli) occupò un posto di rilievo non soltanto nel giornalismo o nella letteratura, ma in quella che può definirsi letteratura del giornale, dal grande reportage moderno al pamphlet o addirittura al libello. Ricca fu la sua produzione giornalistica, sparsa nei principali giornali e nelle maggiori riviste italiane e straniere. Tra l'altro il Petruccelli fu corrispondente del Pungolo, della Gazzetta d'Italia e della Gazzetta di Torino e collaboratore anche della famosa Cronaca bizantina, in cui pubblicò un ciclo di articoli: Le grandi etere. Gran parte dei suoi articoli più specificamente politici fu trasfusa anche nell'opera Fattori e malfattori della politica italiana. Alla sua produzione giornalistica, inoltre, possono essere attribuiti i due volumi: L'esposizione d'igiene a Londra nell'anno 1884 (Roma, Botta, 1885) e L'esposizione delle invenzioni a Londra nell'anno 1885.
L'esilio in Francia e in Inghilterra (1850-1860) assunse un'importanza notevole nella formazione culturale del Petruccelli. Dai testi della cultura napoletana, infatti, lo scrittore-giornalista lucano passò, grazie ai contatti con molti spiriti liberali, alla letteratura francese e inglese; da una esperienza provinciale a una europea, facendosi largamente conoscere ed apprezzare. Ma nelle capitali di Francia e d'Inghilterra, Petruccelli portò con sé, oltre che l'anima dell'artista, anche l'impeto del cospiratore (l'esperienza del '48 a Napoli e in Calabria era ancora viva). Per cui, battendosi generosamente per gli ideali repubblicani, durante il colpo di Stato di Luigi Bonaparte, ed entrando in contatto con il Mazzini e gli altri rifugiati politici a Londra, accentuò le sue posizioni radicalmente democratiche e divenne uno dei protagonisti di quella che allora si poteva definire l'opposizione europea. La permanenza all'estero gli diede modo di coltivare la religione delle libere nazionalità, l'ideologia del progresso, il sentimento costituzionale del regime parlamentare. Parigi, coinvolgendolo direttamente nella lotta, gli permise di allargare la propria esperienza politica. Durante quegli anni, Petruccelli mantenne intatto l'amore per la propria patria, anche se tale sentimento si manifestò per lo più con aspri rimproveri, col disprezzo di uomini e cose, con "raffronti impari pigliati fuori e di lontano, da altre regioni e altri tempi".
Nella capitale francese, dove lo chiamavano affettuosamente" Mr. Pierre Oiseau de la petite chatte", fu ben accolto. Daniele Manin e Jules Simon gli furono molto vicini, aprendogli la non facile porta di accesso ai giornali di alto cartello. Il primo non aveva dimenticato l'azione svolta da Mondo vecchio e Mondo nuovo a favore della repubblica di Venezia. Il secondo lo inserì nel suo salotto letterario, detto "Les Tuileries des Republicains" e nel mondo giornalistico francese ed europeo. Petruccelli non deluse e ben presto si fece notare per il brio e la vivacità degli articoli, per il coraggio di scrittore che si metteva in contraddizione con gli scrittori più noti. Divenne così collaboratore e corrispondente apprezzatissimo del National, della Presse, del Journal des Débats, dell'Indépendance Belge, della Liberté, del Paris Journal, della Revue de Paris (fondata da Balzac), della Revue française (cui collaborava anche Charles Baudelaire), della Libre recherche, del Courrier Français, della Cloche, del Daily Telegraph, del Morning Star, del Cornhill Magazine, del Daily News, dell'Evénement, della Petite Presse, del Courrier de Paris. E quale corrispondente appunto dell'Indépendance Belge, del Daily Telegraph e della Presse, nella guerra tra il Piemonte (sostenuto dalla Francia) e l'Austria del '59-'60, seguì le truppe di Napoleone III e, dopo Magenta, fu tra i primi ad entrare sul "tender" di una locomotiva.
Quale corrispondente del Journal des Débats insieme al pubblicista francese suo amico Levoyson nella guerra italo-austriaca del '66, seguì le truppe italiane e nella descrizione del campo di battaglia di Custoza che egli visitò la notte successiva alla sfortunata rotta, parlò crudamente di "mucchi di cadaveri infranti", del "rantolo dei morenti", dello "strazio dei feriti". "Era il solo giornale francese - scriveva il Petruccelli - che ci desse questa prova di costosa simpatia: tutti gli altri avevano mandato corrispondenti al campo austriaco che ci calunniarono e vilipesero indegnamente".
Cinque anni dopo la morte del Petruccelli, sul Figaro del 7 dicembre 1895, Jules Claretie disegnava questo splendido croquis: "Diceva tutto nelle sue corrispondenze, questo uomo diabolico, e bisognava tagliarne le frasi mordenti o feroci, attenuare, velarne il pensiero. Renan in persona s'incaricava di tal cura, per avere il piacere di gustare in precedenza, di assaporare allo stato inedito le indiscrete confidenze del Petruccelli (...). La descrizione ch'egli fece del campo di battaglia di Custoza, visto di notte, uguaglia in orrore le acqueforti di Goya, o le maschere in cera del siciliano Zumbo, che si vedono alla Signoria di Firenze: la notte piena di spavento, la carneficina piena di fantasmi, con le pozze di sangue e gli urli dei feriti. No, nulla è più fantastico e più crudelmente vero di questo quadro d'agonia! Mai il reportage ha dato un'opera d'arte superiore, insieme di getto e definitiva (...). Ma quelle confidenze e quelle descrizioni, se avevano dell'attrazione per Renan e collaboratori, non piacevano al quartier generale d'Italia. Una lettera, pubblicata l'indomani del disastro di Lissa, venne a colmare la misura del malumore. Credo anche che lo si costrinse a tornare in Francia, ove Renan potè felicitarlo con comodo delle descrizioni e delle ironie di qualità superiore".
Quale corrispondente della Presse da Torino, Petruccelli inviò dieci lettere dense di colore e di geniali, pungenti intemperanze (raccolte poi nella sua opera più importante, I moribondi di Palazzo Carignano) sul primo Parlamento italiano del 1861. Un vero documento storico, un'analisi attenta che vede il Petruccelli muoversi con spigliatezza, gusto, e con la curiosità del giornalista al quale non sfugge il ruolo politico di questo o quel deputato, e dell'artista che sa ritrarre uomini e stati d'animo. Il giornalismo de "I moribondi", da molti imitato, da nessuno superato, è pieno di senso storico, è ricco di contenuto umano e di notazioni psicologiche riguardanti insigni personaggi che si chiamavano: Camillo Cavour, Giuseppe Garibaldi, Marco Minghetti, Francesco Crispi, Bettino Ricasoli, Francesco De Sanctis, Ubaldino Peruzzi, Urbano Rattazzi, Quintino Sella, Agostino Depretis ed altri ancora. Una rappresentazione caricaturale dei colleghi deputati annunciava l'esistenza di quelle che sarebbero state le note dominanti della vita politica italiana degli anni successivi: la subordinazione del Parlamento al governo, la debolezza dei governi sostituiti o rimpastati continuamente, gli scioglimenti anticipati di legislature, i compromessi, le connivenze del governo con i gruppi economici privati, il trasformismo.
Successivamente, durante la guerra franco-prussiana del '70, dalle barricate parigine, durante l'assedio e in seguito dalla Comune, spedì numerose corrispondenze ai principali giornali del mondo. In quell'occasione, con la collaborazione della moglie, signora Maude, scrisse il libro Gli incendiari della Comune, le stragi di Parigi ed il Governo di Versailles.
Dopo la pace di Francoforte, il 23 maggio 1871 ritornò in patria. In seguito, quando la Comune fu domata, per ordine di Thiers, contro cui egli aveva scritto articoli feroci, fu espulso dalla Francia per aver preso le difese dei comunardi. Nel frattempo si recò in Inghilterra e nel '72 poté finalmente rientrare in Francia, grazie all'intervento di amicizie influenti.
Petruccelli fu anche corrispondente di alcuni giornali e riviste italiani come L'Unione, L'Opinione di Torino, Il Fanfulla della Domenica, La Cronaca bizantina, La Nuova antologia.
Il primo, fondato a Milano nel 1860, diretto da Emilio Treves, aveva un programma che si ispirava ad un liberalismo vagamente progressivo. Ad esso va però riconosciuto il merito "di aver perseguito con impegno il tentativo di far uscire le scienze italiane dal limbo dell'accademia e di farla penetrare nel vivo della storia corrente".
Il secondo, nato nell'ottobre del 1866, dopo la guerra contro l'Austria, si proponeva un compito ingrato, vale a dire quello di "portare alla luce del sapere, allettare alla fatica dell'apprendere" ben 16 milioni di analfabeti.
Nel 1888, da Londra, Petruccelli ritornò quasi cieco a Parigi, dove morì il 29 marzo 1890, a settantacinque anni. Approssimandosi la fine, aveva manifestato alla moglie, la signora Maude, la volontà di essere cremato, raccomandandosi di spargere le sue ceneri sul suolo dell'amata Inghilterra. Anche Engels, spentosi cinque anni dopo, alla stessa età del Petruccelli, manifesterà lo stesso desiderio. Petruccelli, da medico quale era, credeva nella trasformazione della materia ed era solito dire: "Tornando sott'altra forma alla vita, da vegetabile, in Inghilterra, sarò ben coltivato; da uomo sarò un moderno civis romanus in qualunque parte del mondo: da animale, sarò protetto dal Comitato che si occupa dei maltrattamenti delle bestie. In Francia, o clericale o comunardo. In Germania, e me ne dispiace, soldato e forse contro il mio paese d'una volta. In Svizzera, albergatore. Negli Stati Uniti, uomo ricco. In Italia... Non so quel che potrò essere in Italia". (3)
Il Petruccelli, così poliforme nell'esteriorità della vita, ma puro come un cristallo nella coscienza, facile ad infiammarsi, ma anche più facile a disgustarsi, in una cosa fu deciso: nella ricerca della verità e della giustizia, che costituì l'insegna della sua vita oltremodo tumultuosa.

Note
1. G. SANTONASTASO, Studi di pensiero politico, Istituto delle ediz. accad., Udine 1939, p. 25.
2. A. MACCHIA, Prefazione a I suicidi di Parigi, St. Tip. Bideri, Napoli, p. 3.
3. Cit. in L. CAPUANA, Libri e teatro, Giannotta, Catania 1892, pp. 200-201.

 

Testo di Tatiana Lisanti                  
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2000


 

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