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LE CHIESE

Tempietto di San Gerardo  (C.so XVIII Agosto)

Noto ai potentini come “S. Gerardo di Marmo”, il tempietto è stato ultimato nel 1865, stando all’epigrafe alla destra della statua del Santo. Ritenuta opera dello scultore potentino Antonio Busciolano (1823 -1871), o di suo fratello Michele (1825-1894), l’edicola costituisce il prospetto scenico riproducente la facciata di un edificio a cupola, che veniva temporaneamente eretto nella Piazza durante la festa del patrono per fare da sfondo alle esibizioni della banda musicale.

Ha pianta semicircolare, chiusa sul fondo da una parete continua; sul basamento a gradoni, a pianta semiottagonale, poggiano cinque colonne con fusto scanalato, coronate da capitello fogliato con volute e mascheroni. Le colonne sorreggono architravi marmorei decorati da angioletti e rosette a rilievo e terminanti in alto con una cornice modanata.

La parete di fondo continua è tripartita. Il settore centrale è costituito da una vetrata policroma a raggi, su cui poggiano due colonne scanalate, che inquadrano la statua di S. Gerardo benedicente con mitra vescovile e bastone pastorale. A destra, un'iscrizione ricorda la dedica del tempietto nel 1865; a sinistra un'altra epigrafe in cornice fogliata di stucco commemora due gloriosi momenti della storia municipale, l’attacco dei briganti del 1809, respinti dai potentini, e l’insurrezione del XVIII Agosto 1860.

 

 

 

Duomo. Cattedrale di San Gerardo (Largo Duomo)

L'edificio originario del XIII secolo, dedicato alla Beata Vergine Assunta, fu successivamente intitolato al patrono di Potenza, S. Gerardo, un vescovo piacentino appartenente alla famiglia La Porta, approdato in Lucania ai primi del 1100. Il Duomo è stato ricostruito alla fine del XVIII secolo per volere del vescovo Andrea Serrao, che affidò il progetto ad un allievo del Vanvitelli, l'architetto Antonio Magri. Da allora l'aspetto della Cattedrale è decisamente mutato: da basilica romanica a tre navate, si è trasformata in un edificio di chiaro gusto neoclassico. La Cattedrale, all'esterno semplice e sobria, presenta una facciata principale a due spioventi. Il portale architravato duecentesco, sormontato da un timpano al centro del quale è inserito lo stemma del vescovo Claverio (1646-1672), fa da cornice a due ante bronzee, realizzate dall'artista Giovanni Niglia nel 1978. La porta sviluppa, in una sequenza continua, un complesso tema narrativo: al centro il Cristo risorto, ai quattro angoli i simboli degli Evangelisti, dall'alto in basso episodi della storia del popolo potentino dal 1111, anno in cui fu acclamato vescovo Gerardo La Porta.

L'ingresso principale è preceduto da un'ampia gradinata “a ventaglio” di restauro, mentre sul lato destro si apre un accesso secondario, una sorta di pseudo-protiro con timpano sorretto da colonne di probabile epoca romana, preceduto da una gradinata di ridotte dimensioni. Il Duomo ha un impianto “a croce latina”, il cui transetto presenta bracci di dimensioni diverse: quello  sinistro è visibilmente più profondo di quello destro. Varcato l'ingresso principale, a destra, si succedono quattro arcate laterali. Nella prima, attraverso una cancellata in ferro di XIX secolo, di chiaro gusto tardo borbonico, si vede un fonte battesimale con basamento in rame e parte superiore in bronzo a cui fa da sfondo tematico un affresco realizzato dal Prayer nel 1934. Nella seconda, su un altare marmoreo si conserva una modesta scultura raffigurante San Gaetano da Thiene, opera di bottega napoletana del XIX secolo. Oltrepassato l'ingresso secondario, all'interno di una nicchia, è una statua lignea che rappresenta la B.V. del Carmine. La scultura, risalente alla prima metà dellOttocento, mostra chiaramente la ripresa di elementi iconografici settecenteschi. La navata, il transetto e la zona absidale sono coperte da volte “a botte lunettate”, affrescate negli anni Trenta del secolo scorso dal pittore Mario Prayer, su commissione del vescovo mons. Bertazzoni. Occupa il braccio destro del transetto una cappella dedicata a S. Gerardo, delimitata da una cancellata in ferro a doppio battente. Al suo interno si ammira un altare di scuola napoletana in marmi policromi della prima età del Settecento, nel cui paliotto un'urna contiene le reliquie del patrono. Al di sopra della mensa, all'interno di un'edicola impreziosita da elementi marmorei, è custodita la statua di S.Gerardo  in legno policromo, rappresentato in trono nell'atto di benedire con la mitra e con il pastorale nella mano sinistra. La scultura, risalente al XV secolo, è stata restaurata nel 1880, stando a quanto si legge su un'iscrizione posta alla base. Fa da cornice alla statua una maestosa scenografia di gusto barocco, affrescata sulla parete di fondo della cappella: ai lati del patrono, all'interno di edicole, due figure femminili recano l'una una croce, l'altra una fiaccola. Nella lunetta un affresco ricorda il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino, operato dal Santo in una campagna del Potentino. Al centro del presbiterio, sopraelevato di circa un metro rispetto alla navata, è posto l'altare maggiore, realizzato durante i lavori di restauro degli anni Settanta del secolo scorso con pregiate tarsie marmoree recuperate dal precedente altare. Di particolare rilievo il paliotto posteriore, che reca al centro un rosone di pregio e ai lati due bassorilievi in marmo raffiguranti stemmi vescovili. Le pareti laterali del presbiterio e dell'abside sono adornate da oli su tavola, realizzati dal pittore Onofrio Bramante nel 1980, una sorta di cornice narrativa alla pantografia del Cristo Risorto, che campeggia al centro del catino absidale. Particolarmente ricca è anche la decorazione delle volte “a botte lunettate” del presbiterio e dell'abside. Al centro dell'abside una grossa grata ricopre delle scale che conducono sotto l'altare maggiore dove si conservano resti di un mosaico policromo di III - IV secolo d.C., rinvenuto negli anni Sessanta nel corso di interventi di restauro nel settore absidale. In corrispondenza dell'arco trionfale, il pavimento musivo è in parte racchiuso dal basamento di una muratura con andamento circolare, sul cui prolungamento rettilineo sinistro si conservano resti di affreschi, considerati probabili residui di una cripta di epoca romanica. La pianta emersa dagli scavi, con abside rivolta ad Oriente, sembra rimandare inequivocabilmente ad un edificio sacro paleocristiano, mentre si presenta più difficile l'interpretazione della funzione dell'area pavimentata a mosaico, con tutta probabilità un "martyrion", cioè una zona in cui si custodivano i corpi dei martiri. Sulla parete di fondo, un altare di XVIII secolo in marmo policromo conserva all'interno del paliotto un'urna contenente le reliquie di S. Genuaria, trasportate a Potenza dal vescovo De Torres nel 1645. In verticale si sviluppa un grande affresco raffigurante il simbolo dell'Eucarestia, a cui fanno corona una serie di puttini e figure alate immerse in un'evanescente coltre di nubi. Nella lunetta superiore, con la rappresentazione del solenne momento dell'Ultima Cena, si conclude il tema narrativo accennato nell'affresco sottostante. Completa l'apparato decorativo della cappella il dipinto della volta in cui il Cristo è circondato dal popolo. Sulla parete di sinistra si ammira un crocifisso ligneo tardo gotico di pregevole fattura, risalente al XV secolo, mentre sulla parete opposta una grande tela, commissionata al Prayer da mons. Bertazzoni  nel 1939, raffigura S. Giovanni Bosco circondato da fedeli lucani. Segue una cappella più raccolta, denominata "dell'Immacolata" da una scultura lignea policroma del XVIII secolo raffigurante  la Vergine nell'atto di schiacciare il capo del serpente. Si custodisce nella cappella anche un sarcofago bronzeo contenente le spoglie di mons. Bertazzoni, realizzato dallo scultore Friscia nel 1979.

Sul basamento della lesena, posta tra la cappella dell'Immacolata e l'arcata successiva, è murata una iscrizione funeraria, risalente agli ultimi anni del I sec. d. C.

 

Chiesa di Santa Maria del Sepolcro (Piazzale Aldo Moro)

Diverse sono le ipotesi formulate circa il titolo e le origini dell'antico edificio sacro che, con tutta probabilità, risalgono alla fine del XII o ai primi decenni del secolo successivo. Sembra possano collegarsi con la partecipazione di cittadini locali alle Crociate, forse la terza del 1190-1191, alla quale presero parte i conti di Santasofia signori di Rivisco, una contrada periferica di Potenza, i quali, al ritorno dalla crociata avrebbero fatto costruire la Chiesa originaria. Nel 1647 il vescovo di Potenza, mons. Claverio, fu inviato a Grumento dal papa Innocenzo I come visitatore apostolico, e, colpito da una Reliquia del Sangue di Cristo, ne chiese una parte ai Canonici del posto. Tenne la Reliquia presso di sé per diversi anni e, quando i frati di Santa Maria del Sepolcro vollero restaurare la Chiesa  ed il convento, il vescovo pensò di sistemarvi la Reliquia, quindi arricchì a sue spese la Chiesa di un soffitto ligneo e cassettoni ottagonali intagliati e dorati. Sulla parete destra della navata fece costruire un monumentale altare barocco con sfarzose decorazioni in stucco e, al centro della parte superiore, in una urna protetta da una portella con tre chiavi. Il 4 giugno 1656, venne posta a Reliquia in un calice d'argento che recava incise quattro scene pasquali: l'agonia nell'orto; la flagellazione alla colonna; una caduta di Gesù sotto la Croce; la Resurrezione del Sepolcro. Circa la denominazione "del Sepolcro" sono state avanzate due ipotesi. Secondo la prima, il nome deriverebbe dal fatto che i Guevara, signori di Potenza, dal 1488 in poi edificarono nella Chiesa il loro sepolcro gentilizi; l'altra ipotesi, supportata da alcuni documenti, agli inizi del XIV secolo, nei pressi dell'attuale edificio sacro, sorgeva un casale denominato "S. Sepolcro", di proprietà dei Templari (un Ordine cavalleresco fondato nel 1118 a Gerusalemme, attivo al fine di proteggere, anche con le armi, i pellegrini che si recavano in Terra Santa).

La Chiesa presenta un portico anteriore a tre archi, terminante con un cornicione a “Romanella”, ed una facciata con tetto “a capanna” ed un grande “oculo” centrale. Entrando nel portico è possibile ammirare una porta lignea centrale finemente intagliata a motivi floreali in riquadri geometrici, un significativo esempio di scultura del primo '500. Incornicia la pregevole scultura un portale in pietra calcarea affiancato da due stemmi, uno francescano e l'altro nobiliare, e sormontato da una lunetta contenete un affresco raffigurante la Deposizione delle tre Marie. Sui lati minori del portico è possibile ammirare altri due portali coevi di pregevole fattura.Nella navata centrale colpisce la raffinata fattura del soffitto a cassettoni, che, con le sue formelle rigorosamente geometriche, genera effetti chiaroscurali che lo rendono un singolare esempio di decorazione ad alto rilievo, tipico della scultura lignea del Seicento lucano. Varcato il portale d'ingresso si nota, sulla parete destra, l'altare del SS. Sacramento, nel quale è visibile la portella in rame dorato, che racchiude la reliquia del SS. Sacramento. Sulla stessa parete è possibile ammirare un piccolo bassorilievo in pietra, proveniente dalla parrocchia di Noepoli: la Vergine in trono con il Bambino sulle ginocchia affiancata da due angeli alati. La qualità dell'esecuzione ed i caratteri stilistici che la connotano rimandano ad un artista lucano, noto come "Maestro di Noepoli", attivo tra il XV ed il XVI secolo. Sulla parere di sinistra si possono ammirare quattro altari in stucco intervallati da tele di pregevole fattura. Un olio su tela raffigura la Madonna delle Grazie con S. Francesco d'Assisi e S. Patrizio  secondo schemi cari alla devozione francescana ed alla tradizione artistica tardo-manieristica napoletana. La tela, in base a confronti stilistici, sembra attribuibile ad una delle più significative personalità della pittura lucana del XVI secolo: Antonio Stabile. Allo stesso artista, o ad un membro della sua famiglia, è stata attribuita un'altra tela, una tempera su tavola centinata, raffigurante l'Apparizione della Vergine ai SS. Francesco e Rocco. Sulla parete di fondo della navata si conserva il dipinto raffigurante l'Adorazione dei Pastori, per lungo tempo attribuita al Ribera, detto lo "Spagnoletto", poi, in base ad un confronto stilistico con una tela di uguale soggetto conservata in S. Maria della Salute a Napoli, si è ipotizzato che il vero autore fosse Onofrio Palumbo.

Chiesa di San Rocco  (Rione S. Rocco)

L'edificio nacque sulle rovine di una precedente cappella edificata tra il 1400 ed il 1500 in seguito ad una terribile pestilenza, detta "Delle Ghiandole". Al periodo di fondazione dell'originario luogo di culto risale anche l'istituzione dell'omonima Confraternita, il cui statuto fu riconosciuto nel 1789 da Ferdinando IV di Borbone. Il logorio del tempo ne causò il crollo completo nel 1832 e la Confraternita solo nel 1860 diede inizio alla costruzione del un nuovo edificio. Nel corso di un biennio, grazie al cospicuo sostegno economico dei fedeli, fu riaperta al culto la Chiesa del "Pellegrino di Montpelier".

Ben visibile  al centro dell'architrave del portale d'ingresso una formella in marmo recante in rilievo l'effigie di S. Rocco, databile al 1857 ed attribuibile allo scultore lucano Michele Busciolano. In facciata si apre un varco luce di forma semicircolare che si ripete anche sulle pareti laterali; mentre, sul lato sinistro adiacente l'abside, si leva il campanile. Tale corpo di fabbrica, a tre livelli, culmina con una cuspide troncopiramidale in cui si conserva una campana non più in funzione, fusa nel 1565 e dedicata a S. Lorenzo da Padula.Sul lato destro del prospetto principale si ammira una statua in bronzo raffigurante S. Rocco, realizzata nel 1969 su progetto del parroco don Salvatore Vigilante, alla cui sinistra, all'interno di una piccola nicchia, si scorge una stele funeraria di epoca romana (I secolo d.C). In posizione quasi simmetrica, all'esterno dei due cappelloni semicilindrici, sono appena visibili due formelle incassate e scolpite a rilievo, delle quali è leggibile solo quella del cappellone destro che sembra raffigurare una scena di deposizione.

L'impianto, “a croce latina”, è a tre navate. I due cappelloni laterali e l'abside, di uguali dimensioni, presentano una copertura “a calotta emisferica” impreziosita da riquadri ottagonali degradanti, recanti al centro un motivo vegetale. Colpisce, nell'interno, l'abbondanza di stucchi dorati in contrasto con il sobrio rivestimento basamentale in pietra di Trani.

Nel cappellone di destra, su un altare in marmo, all'interno di un'edicola, si conserva una scultura in legno policromo raffigurante S. Rocco, anch'essa realizzata nel 1859 dal potentino Michele Busciolano. Secondo un modello iconografico assai diffuso, il Santo è raffigurato come un giovane barbato, nelle vesti e con il bastone da pellegrino, nell'atto di indicare il bubbone della peste sulla gamba sinistra.

Al di là dell'altare maggiore, si ammira un crocifisso ligneo di pregevole fattura risalente al XV secolo, su cui il Cristo, secondo i caratteri tipici dell'epoca, è raffigurato con un attento studio dei particolari anatomici.

Chiesa di Santa Lucia

Borgo di S. Lucia  (Portasalza)

Di origine medioevale, il Borgo di S. Lucia è caratteristico per le piccole abitazioni affastellate intorno a stretti e tortuosi vicoli. Nel larghetto che si raggiunge percorrendo un breve  tratto da Via Portasalza si affaccia la piccola Chiesa di Santa Lucia, di epoca anteriore al 1200.Il prospetto della Chiesa presenta un portale in pietra calcarea sormontato da una semplice cornice al di sopra della quale un elemento modanato forma un arco a sesto acuto rialzato che racchiude una piccola statua di S. Lucia. La Santa è rappresentata nell’atto di sorreggere con la mano sinistra appoggiata al seno una palma, e con la mano destra un piatto contenente gli occhi che, secondo la leggenda, la fanciulla siracusana si strappò per sottrarsi alle lusinghe del tiranno Pascasio innamorato di lei. La statua, di dimensioni assai ridotte, risale al 1881 ed è attribuibile al noto scultore potentino Michele Busciolano. Al di sopra del portale vi è un “oculo” circolare con sagoma in stucco; un secondo “oculo” all'interno del timpano ha la funzione di dare luce al sottotetto.Un piccolo campanile “a vela” è posto sul tetto, in corrispondenza del lato sinistro; sulla facciata sinistra è ben visibile, tra la prima e la seconda delle tre monofore presenti, un stemma araldico risalente al 1586, raffigurante un cavallo rampante con briglia e sella, scoperto durante recenti lavori di restauro. L'interno della Chiesa è ad aula unica con un solo altare; sopra il portale d'ingresso è sistemata una cantoria lignea con l'organo. Il soffitto interno è realizzato con un plafone ligneo del 1843 decorato con elementi ottagonali a doppia cornice con fioroni centrali a sei petali. Questi elementi sono intervallati con motivi floreali e fogliacei e da piccole stelle a sei punte.Nella Chiesa si conserva un'acquasantiera, proveniente dalla locale Chiesa di Santa Maria del Sepolcro. La raffinata scultura presenta al centro della vasca tre piccole teste umane unite tra di loro ed un basamento formato da tre leoni accovacciati, che sostengono uno stelo decorato a motivi floreali. Il pezzo è di notevole pregio è può essere attribuito a botteghe locali di artisti della pietra, attivi nel XV secolo.

La Cappella della Madonna di Loreto (Via Caserma Lucania)

E' una piccola Chiesa ancora molto frequentata per l'antico culto della "Madonna d' Lurita", (Madonna di Loreto), che aveva il centro proprio nella città di Potenza, punto di passaggio dei contadini che, attraverso la Porta San Giovanni, andavano a lavorare le campagne a Nord della città. Ben poco si conosce dell’epoca della sua costruzione, ma alcune fonti attestano l’esistenza di una cappella dell’Annunziata nella prima metà del XVI secolo. Agli inizi del '900 la cappella era priva di campanile e senza sagrestia ed annessi, con un semplice sagrato semicircolare. Nel 1924 fu aggiunto il campanile con bifora e venne rifatto il portale della Chiesa con un soprarco “a sesto acuto”. La Chiesa, sottoposta a continui rifacimenti, dopo il sisma del 1980, si presenta oggi con una copertura a capanna ed un modesto ingresso al di sopra del quale si apre un grande oculo con vetrata policroma. Dell'originaria struttura si conserva il perimetro semicircolare del sagrato antistante la Chiesa ed un'antica croce metallica stilizzata che delimita il territorio della parrocchia della SS. Trinità.

L'edificio,  assai sobrio all'interno, presenta un’aula unica, divisa da un arco realizzato in conci di pietra calcarea lavorata, probabile residuo della struttura originaria. Unica opera di pregio è il dipinto dell'Annunciazione, realizzato nel 1824 dal pittore potentino Buonadonna.

 

Chiesa di San Michele  (Via Rosica)

Una delle più antiche testimonianze relative all'esistenza dell'edificio è rappresentata da un documento del 1178 in cui i chierici di questa Chiesa e di quella della Trinità, site nel "castrum vetus", il centro urbano, chiedevano al vescovo Giovanni Sola di confermare gli ordinamenti regolanti la vita, i doveri e i diritti dei due collegi presbiterali, già emanati dal re Ruggero. Tuttavia, la fondazione di questo luogo di culto è sicuramente anteriore al 1178, come fa presupporre l'intitolazione a San Michele che rimanda al periodo longobardo.Il prospetto principale, realizzato in pietra “a vista”, diviso in tre zone da quattro lesene sistemate all'estremità della facciata, riflette chiaramente la ripartizione spaziale dell'interno. Il portale principale è caratterizzato da un doppio stipite con doppio arco “a tutto sesto”, al di sopra del quale si apre una grande finestra “strombata”.

E' possibile accedere nell'edificio anche da un ingresso laterale posto al centro della facciata destra. Il portale è in pietra con conci lavorati a faccia vista e presenta, nella lunetta sovrastante la piattabanda, un bassorilievo raffigurante una Madonna con Bambino, recante a sinistra il simbolo francescano e a destra un motivo floreale. Tra il portale ed il coronamento ad archetti è murata un’iscrizione funeraria romana. L'edificio, di stile chiaramente romanico, presenta un impianto basilicale con tre navate terminanti in tre absidi. La navata principale ha una copertura lignea a capriate “a vista” ed è illuminata da tre monofore “a doppio strombo”. Varcato il portale principale, nella parete destra della Chiesa, due nicchioni cinquecenteschi conservano tracce di affreschi rinvenuti in occasione di lavori di restauro eseguiti negli anni Settanta. Il primo, meglio conservato, raffigura una Vergine in trono con Bambino in grembo tra S. Nicola di Bari e S. Ambrogio ed in basso i due donatori. In alto, sulla sinistra, la città di Potenza fa da sfondo alla figura di S. Michele che uccide il drago. L'ignoto artista, con molta probabilità, può essere ricollegato alla cerchia di Giovanni di Luca da Eboli, attivo nella prima metà del XVI secolo. Nel secondo nicchione, sono visibili frammenti illeggibili di un affresco che raffigurava, probabilmente, una Santa ed un'altra figura inserita all'interno di motivi decorativi. Al dipinto mal conservato fa da cornice un arco in pietra calcarea con alte basi che sostengono due lesene con capitelli di stile ionico, sulla cui piattabanda si legge il nome del donatore e la data di esecuzione: Donato Cannillo - 1551.

Proseguendo lungo la parete destra, è possibile ammirare una tempera su tavola raffigurante la Madonna del Carmine, la cui icona riflette chiaramente canoni stilistici bizantini. Accanto, un olio su tela, propone il tema dell'Annunciazione. La Vergine è raffigurata in ginocchio davanti al leggio in direzione dell'Angelo che indica, con la mano destra, il cielo e regge, nella sinistra, un giglio. Dalla finestra aperta la dirompente figura del Padre Eterno invia alla Madonna un fascio di luce, la colomba dello Spirito Santo ed un angelo portacroce che si presenta come un elemento iconografico assai innovativo. In basso a destra è il committente a mani giunte, mentre sull'inginocchiatoio è posta la data, 1612, e la firma dell'artista Giovanni de Gregorio,  meglio noto come  il "Pietrafesa".Sulla parete sinistra è possibile ammirare un olio su tela, raffigurante una Madonna con Bambino ed i SS. Pietro e Paolo, databile intorno al 1580 ed opera dell'artista fiammingo Dirck Hendricksz, noto come Teodoro D'Errico, appartenente alla cerchia Filippo II, viceré di Napoli.

Segue l'altare intitolato a S. Antonio, in legno policromo finemente intagliato, ricomposto in passato con elementi di scuole ed epoche diverse.

Un dipinto ad olio del XVII secolo raffigura S. Gerardo e S. Francesco da Paola a sinistra, S. Vito e S. Ignazio a destra, probabili opere di un pittore locale. Della stessa epoca è una scultura lignea posta nella nicchia, raffigurante S. Antonio secondo l'iconografia tradizionale, quasi sicuramente opera di un artista lucano.

La navata sinistra termina con una cappella con fonte battesimale databile alla metà del secolo scorso, al cui interno sono inseriti due dipinti raffiguranti scene battesimali, realizzati dal pittore Mario Prayer nel 1950.

 

Chiesa di San Francesco

L’austero edificio duecentesco, sorse, secondo la tradizione, "sul cammino" del Poverello di Assisi. Sul portale principale della costruzione, alla base dell'impianto dell'archivolto, si leggono due date: a sinistra FUN. CON. 1265, anno di fondazione del convento, e a destra FUN. ECCLAE 1274, anno di costruzione della Chiesa.Un atto notarile del 1279 tramanda un evento straordinario, legato alla realizzazione dell'edificio. Nel 1266 due operai rimasero improvvisamente sepolti mentre scavavano le fondamenta della struttura: sebbene la terra fosse premuta sempre più su di loro per l'accorrere di molti curiosi, all'improvviso un operaio, dando una picconata a caso, fece volare via il berretto di uno dei malcapitati. Davvero un incredibile prodigio, dal momento che i due uomini in realtà erano sprofondati per più di qualche metro. In seguito all'episodio, da tutti considerato un miracolo di S. Francesco, il popolo potentino tributò una grande devozione al "frate poverello" e ai suoi seguaci.

L’attuale Chiesa sorge sui resti di un preesistente oratorio protoromanico, di cui si conservano elementi decorativi in pietra con il motivo della palma a ventaglio, inseriti nel muro sinistro esterno della Chiesa, sotto il portico restaurato e sulla parete interna dell'abside. La facciata anteriore dell’'edificio presenta, in alto, un grande rosone con vetrata e in basso, un bellissimo portale durazzesco. Sul fianco sinistro della Chiesa si conserva il portale che dà accesso all'ala superstite del chiostro cinquecentesco, fatto costruire per iniziativa dei conti Guevara di Potenza. Dell'antico "Grande Convento", che tra il XVI e il XIX secolo ospitò una prestigiosa Scuola Teologica, non rimane quasi nulla. L'edificio, che in passato occupava pressappoco un'area corrispondente all'attuale ex Palazzo di Giustizia e parte del Palazzo del Governo, oggi si riduce a poco più di una quarantina di ambienti. Del chiostro si conserva un porticato a sei arcate al cui termine è collocata una porta lignea, che conduce all'antisacrestia e dà accesso al convento, ancora oggi abitato dai Frati Minori Conventuali. A coronamento della porta, databile agli inizi del XVI secolo, si può ammirare un portale quattrocentesco in pietra calcarea. Dall'esterno sono visibili, sulla facciata sinistra dell'edificio, tre monofore risalenti alla seconda metà del secolo XIII, simmetricamente presenti anche sulla facciata laterale destra.

A completamento del prospetto laterale sinistro, si leva il possente campanile che presenta su un alto basamento un ordine di finestre romaniche, due ordini di finestre gotiche ed una cuspide piramidale di restauro. Questo corpo di fabbrica, più volte sottoposto a rifacimenti, risale alla fine del XIV o all'inizio del XV secolo.

Al 1499 è datato il portale principale della Chiesa, che incornicia una porta lignea di grosso pregio per qualità e rarità dell'intaglio. L'impianto della Chiesa, secondo lo stile delle prime chiese francescane, è molto semplice: un'unica navata considerevolmente allungata, chiusa da  abside, con copertura lignea di restauro a capriate “a vista”. Sulla parete sinistra, in una nicchia, si trova un affresco raffigurante il Martirio di San Sebastiano, opera del celebre pittore lucano Giovanni Todisco, risalente al 1550.

Proseguendo lungo la parete, a sinistra dell'arco trionfale, è visibile la porta che mette in comunicazione la Chiesa con l'antisacrestia. La pregevole scultura del XVII secolo è a due battenti, ognuno dei quali si compone di tre riquadri uguali. Nelle formelle superiori sono intagliati “a giorno” dei motivi vegetali, in quelle centrali volute ed elementi fogliacei incorniciano un fiorone iscritto in un cerchio; mentre  nei riquadri inferiori ritorna il motivo del fiore iscritto nel cerchio e circondato da foglie. Sulla parete di destra dell'antisacrestia, un portale durazzesco incornicia un'altra porta lignea di grande valore che immette in un'ampia sala in cui si conservano dodici pannelli ottagonali raffiguranti gli Apostoli, chiaramente realizzati da mani diverse in epoche differenti, probabilmente tra la fine del Seicento e gli inizi del secolo seguente. La porta, del XVI secolo, è a due battenti divisi ciascuno in tre riquadri.

L'arco trionfale, decorato a motivi tardogotici di derivazione catalana, separa lo spazio riservato ai fedeli dalla zona presbiterale. Al centro dell'abside, chiusa da una volta “a crociera” in stile tardogotico, è sospeso un crocifisso di pregevole fattura dell'inizio del Seicento. L'attento studio naturalistico del corpo umano e l'espressione di contenuta sofferenza che traspare dal volto del Cristo testimoniano una svolta iconografica che anticipa i numerosi esemplari barocchi presenti in tutta la Basilicata.

Al centro del presbiterio è possibile ammirare l'altare marmoreo; sulla parete destra della navata è addossato il sepolcro di Donato de Grasis. La raffigurazione del defunto costituisce un'importante testimonianza dell'abbigliamento cinquecentesco tipico del potentino di  medio ceto sociale: tunica corta di panno pesante, camicia con maniche strette ricoperte fino a metà dallo slargo della tunica, pantaloni stretti e corti fin sotto il ginocchio, chiusi da un legaccio su calze spesse, scarpe ben modellate sul piede in tessuto pesante con suola di cuoio ed infine berretto senza falde aderente al capo. C'è chi ha voluto vedere nell'opera risalente al 1534 la mano di un insigne maestro come Giovanni da Nola; anche se, in realtà, il sepolcro sembra assai vicino  a modelli iconografici napoletani di fine Quattrocento ed inizio Cinquecento.Sempre lungo la parete destra è possibile ammirare, all'interno di una nicchia, una tempera su tavola donata alla Chiesa di San Francesco dalla famiglia Janora nel 1852. Si tratta di una Madonna con Bambino, meglio nota come Madonna del Terremoto, in quanto legata al ricordo del terribile sisma che colpì Potenza e molti altri centri della Basilicata nella notte del 16 dicembre 1857. Il dipinto, che presenta affinità stilistiche con le icone pugliesi del XIII secolo, rappresenta la Vergine con il capo dolcemente inclinato verso il Figlio, raffigurato nell'atto di benedire con la mano destra e con un rotolo nella mano sinistra. A destra della preziosa icona, all'interno di una nicchia, si conserva un affresco raffigurante S. Francesco in posizione eretta con il saio ed un libro nella mano sinistra. I continui restauri effettuati nel corso dei secoli ne compromettono la datazione che dovrebbe aggirarsi, in base al confronto con altri affreschi, intorno al quinto decennio del XV secolo.

Di probabile maestranza locale è un affresco del XIV secolo che ritrae S. Chiara in posizione frontale ed eretta, con il saio francescano e con un libro nella mano sinistra.

 

Chiesa della Santissima Trinità  (Via Pretoria)

Due importanti  indicazioni cronologiche a supporto delle coordinate storiche: la ricostruzione dell’edificio nella seconda metà dell'Ottocento ed i lavori di restauro del 1930. Per il periodo precedente, invece, un terzo riferimento è costituito da una descrizione del tempio esistente prima del terremoto del 1857. Si tratta dei verbali relativi a due visite pastorali di mons. Tiberio Carrafa, svoltesi a Potenza negli anni 1566-7, e nel 1571. In tali documenti la Chiesa non viene descritta nella sua struttura architettonica, ma sono indicate le singole cappelle con i relativi altari e le dediche. Finora sono state formulate due ipotesi circa la configurazione che la Chiesa aveva prima del terremoto del 1857: la prima, sostiene che fosse romanica e a tre navate; l'altra, più debole, sostiene l’esistenza di tracce d'una fabbrica non anteriore al XIV secolo. Prima del 1061, esisteva nel centro storico un collegio di preti che officiava una Chiesa intitolata alla SS. Trinità. La conferma viene anche da un documento del gennaio del 1178 con il quale i chierici delle chiese di S. Michele e della Trinità, site nel "castrum vetus", chiedevano al vescovo Giovanni Sola di confermare gli ordinamenti regolanti la vita, i doveri e i diritti dei due collegi presbiteriali, già emanati dal re Ruggero.

Oggi la Chiesa si presenta esternamente come un edificio di gusto Neoclassico, con pareti in pietra “a vista” e con facciata principale caratterizzata da un portale inserito tra due nicchie vuote ritmate da lesene con basi e capitelli compositi. La medesima ripartizione si conserva anche nelle facciate laterali.

Su Via Pretoria si apre l'ingresso laterale della Chiesa, il cui portale è sormontato da una lunetta contenete una tempera su tavola rappresentante l'Annunciazione. L'opera, di un ignoto artista meridionale, risale al XVI secolo e proviene dal soppresso monastero di S. Luca. All’interno della Chiesa sono stati rinvenuti un frammento di affresco del XIII secolo raffigurante la parte inferiore di una Maestà in trono, ed una lapide sepolcrale del 1666. Di pregevole fattura il cassettonato, realizzato durante i lavori di ricostruzione del 1930, che presenta lacunari intarsiati in oro zecchino, con al centro una tela raffigurante la S.S. Trinità, opera dell'artista romano Mario Barberis. Varcato il portale principale, a destra, si può ammirare un primo altare, del XIX secolo, sormontato da una scultura in legno policromo raffigurante S. Vincenzo Ferrer, opera di ignoto artista. Segue un secondo altare con la statua di S. Gaetano. All'altezza dell'ingresso laterale si conserva una lunetta con un dipinto dell'Annunciazione, attribuita ad Antonio Stabile, ed un'acquasantiera in pietra calcarea, del XVIII secolo, di artista ignoto.

Proseguendo lungo la navata è possibile ammirare un terzo altare, in marmi policromi di bottega napoletana del  XVIII secolo, sormontato da una nicchia in cui è alloggiata una statua lignea della Madonna delle Grazie con Bambino vestito con un abito di broccato ricamato in fili d'oro. Sul presbiterio si può ammirare l'altare maggiore realizzato con tarsie marmoree policrome non diversamente dagli altri collocati nelle cappelle laterali. Nel braccio destro del transetto si possono ammirare due tele di pregevole fattura. Un olio su tavola del 1606 raffigurante la Madonna della Sanità, detta anche "Madonna dei Mali", è attribuito a Giovanni De Gregorio, meglio noto come "Il Pietrafesa". Accanto, si conserva un olio su tela raffigurante la Madonna e Santi, opera di un ignoto artista locale. Nel braccio sinistro del transetto sono altri due oli su tela di pregevole fattura, provenienti dal soppresso monastero di S. Luca. Il primo, accompagnato da un'iscrizione che ricorda la data di esecuzione (1738), raffigura la Madonna di S. Luca, opera del pittore napoletano Cacciapuoti, attivo nella prima metà del XVIII secolo.L'altro ripropone il motivo iconografico di Madonna con Bambino e Santi, opera di ignoto napoletano, forse attribuibile alla bottega di Girolamo Imparato, attivo tra il 1550 ed il 1621. I santi rappresentati sono Pietro e Paolo. Dietro ciascuno, figurano rispettivamente S. Leonardo e S. Agostino, aggiunti successivamente. Il dipinto, databile al XVIII secolo, sembra essere una copia assai modesta di un'altra tela con Madonna e Bambino tra i SS. Pietro e Paolo, appartenente alla Chiesa di S. Michele a Potenza. Proseguendo lungo la parete sinistra della navata, si incontrano quattro cappelle. Nella prima è custodita una grande lapide che ricorda i caduti della prima guerra mondiale; nella seconda, al di sopra di un altare, è posto un crocifisso in legno policromo, opera di ignoto artista meridionale databile al XVIII secolo, anche se per il modellato della parte superiore sembra essere anche più antico. Nella terza cappella si conserva un altare risalente alla seconda metà del Settecento, sormontato da una nicchia con scultura lignea del XIX secolo raffigurante S. Anna. Della stessa epoca è la statua, in legno policromo, di S. Francesco Saverio in legno policromo, che si trova nella nicchia dell'ultima cappella.

Cappella del Beato Bonaventura  (Vico Beato Bonaventura)

In origine edificio privato, per iniziativa del vescovo Tiberio Durante, agli inizi del secolo scorso fu trasformato in un piccolo luogo di culto. Qui nacque nel 1651 Carlo Antonio Gerardo Lavanca, meglio noto come fra' Bonaventura, sacerdote francescano dell'Ordine dei Minori Conventuali, beatificato nel 1775.Introduce nel raccolto luogo di culto un pregevole portale settecentesco in pietra calcarea, forse proveniente dal monastero di S. Luca. Gli stipiti sono impreziositi da elementi decorativi “a motivi vegetali” inseriti tra volute; la piattabanda presenta al centro due teste di cherubini alati, al di sopra dei quali due elementi a voluta racchiudono uno stemma francescano.

La cappella è costituita da un unico ambiente, accessibile direttamente dal Vicolo Bonaventura, diviso in due vani da un enorme arcata” a sesto ribassato” su pilastri a pianta quadrata.

Varcato l'ingresso, sulla parete destra, è un grande dipinto: un olio su tela, raffigurante un'Ultima cena, opera dell'artista Mario Prajer che ne aveva realizzato uno identico per la cappella del SS. Sacramento del Duomo.

Accanto, all'interno di una nicchia, un'urna lignea dorata custodisce alcune reliquie del Santo (frammenti degli abiti). Al di sopra, tre oli su tavola rappresentano rispettivamente il Crocifisso, l'Addolorata e S. Giovanni, opere degli anni Cinquanta del pittore Prayer. Allo stesso artista si deve anche la decorazione della volta “a crociera” nelle cui vele sono raffigurati i quattro Evangelisti.

Sull'altare in pietra rossa di Avigliano in Tarsia una grande tela raffigura il Beato in estasi davanti al SS. Sacramento, realizzata nel 1907 dal potentino Vincenzo Busciolano, come riproduzione di un dipinto del XVIII secolo, allora conservato nella sacrestia della Chiesa di San Francesco.

 

Chiesa di Santa Maria Delle Grazie  (Rione Betlemme)

Della piccola Chiesa di Santa Maria delle Grazie, un tempo denominata S. Maria di Betlemme, si hanno poche ed incerte notizie storiche. Tuttavia, la sua probabile origine sembra risalire al 1180, quando due devoti coniugi potentini ne ordinarono la costruzione.

Chiesa della Beata Vergine del Rosario (Rione Betlemme)

E' attestata tra la metà dell'Ottocento fino agli anni Ottanta del secolo successivo, la festa della Madonna di Betlemme, che in principio si teneva presso la Chiesa il martedì dopo Pasqua, successivamente il lunedì di Pasquetta. Tale ricorrenza era detta anche della "Scrascedda", per via di un singolare biscotto che le donne potentine erano solite preparare per l'occasione. La festa oggi non si celebra più ed il bel prato che circondava la chiesetta è stato occupato da alcune industrie. Il piccolo edificio sacro ha vissuto un lungo periodo di abbandono  durante il quale, da circa un cinquantennio, è stata edificata  la moderna Chiesa della Beata Vergine del Rosario.

 

Chiesa di S. Antonio la Macchia (C.da S. Antonio La Macchia)

L’edificio fu realizzato nel secolo scorso nello stesso luogo in cui un tempo sorgevano la Chiesa ed  il convento dei Frati Cappuccini, edificati nel 1530 da fra Tullio della famiglia Balsamo di Potenza.

Immerso nella folta vegetazione,  il convento sorgeva in aperta campagna, lontano dalla città: un vero e proprio eremo circondato dal bosco, dove la vita era scandita dal ritmo della natura e delle funzioni religiose. La Chiesa era abitualmente frequentata dai contadini che vivevano nei dintorni, ma l’ultimo sabato e domenica di Aprile, in occasione della ricorrenza della Madonna dell’Incoronata, vi giungevano  numerosi fedeli.

Dell’antico complesso di S. Antonio la Macchia resta solo una croce in pietra, tuttora visibile sulla destra lungo la strada asfaltata che conduce alla chiesetta. L'edificio, interamente restaurato, presenta una facciata in blocchi di pietra squadrata ed un piccolo portico antistante l’ingresso, a cui si affianca un basso campanile quadrangolare. Interrompe il sobrio linearismo del prospetto una bifora di chiaro gusto romanico. La Chiesa, a navata unica,  conserva al suo interno un arredo semplice e la statua di Sant'Antonio a cui è intitolato il piccolo luogo di culto.

Seminario Pontificio Regionale  (Viale Marconi)

Dopo la celebrazione del Concilio Plenario Salernitano Lucano dell'aprile del 1925, i vescovi della Basilicata ottennero un'udienza particolare dal pontefice di allora, Papa Pio X, nel corso della quale esposero la difficile condizione delle diocesi della propria regione, ancora priva di un Seminario. Il Papa raccolse il messaggio e decise di donare alla Lucania un nuovo Seminario con sede a Potenza, rispondente alle moderne esigenze igieniche e didattiche. Nel 1926  ebbe inizio la costruzione dell'edificio e con essa l'espansione della città verso Sud.

La struttura, progettata dall’arch. torinese G. Momo e dall'ing. T. Bianchi, si sviluppa intorno ad un ampio cortile delimitato da quattro ali,  delle quali una è tronca ed occupata da una cappella absidata completa di campanile.

pubblicazione autorizzata:            

Comune di Potenza - unità di direzione     
cultura, politiche giovanili, promoz. immagine
( testo: D. Mancusi - C. Serra ) 

 

 

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