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L’ISTITUTO GIUSTINO FORTUNATO
da "La Basilicata nel Mondo" (1924-1927)

Dopo una lunga, noiosa attesa alla stazione ferrovia di Potenza inferiore, e possibile, finalmente, prendere posto nel treno che percorre il tratto Potenza-Foggia uno dei tronchi delle ferrovie Ofantine, che ricordano una delle particolari; più ardue e vivaci fatiche parlamentari di Giustino Fortunato.

Il treno vince lentamente, ansando e sbuffando, l’erta collina grigia, argillosa, sulla quale è situato il nostro Capoluogo: da una parte, in prossimità di Potenza, brevi appezzamenti coltivati a ortaggi e a viti con qualche pianta da frutta dall’altra, l’ampia valle del Basento, con i vasti, alti declivi delle montagne di Pignola e di Brindisi di Montagna a destra, e di Vaglio a sinistra, selvaggiamente intersecati, erosi, solcati da valloni e burroni; spopolati di alberi e di case; muti e uniformi nel loro povero colore e nel loro grande squallore.

Il treno sosta lungamente alla stazione di Potenza superiore; poi, come se si fosse rinfrancato, riprende corsa. Attraversa, a circa 650 metri sui mare, la valle della Tiera, affluente del Basento, lascia a sinistra la stazione di Avigliano e a destra quella di Pietragalla, a 18-20 chilometri dagli abitati omonimi, e poi quella di Castel Lagopesole, aggiungendo fervore di vita al lavoro che, tutti i giorni, compiono, indomiti e irresistibili, fra le più grandi asprezze e difficoltà di terreno e di clima, i meravigliosi e ammirevoli aqricoltori aviglianesi, raggruppati in diecine di frazioni rurali, sparse nel vastissimo territorio pur tanto poco produttivo; sale poi alla stazione di Forenza, fra le selvagge foreste, stranamente rivestiti da fantastiche merlettature verdognole, da dove si abbraccia in uno sguardo l’ampio panorama della bella e bruna valle di Vitalba, chiuso all’orizzonte dalle aspre montagne di Rapone e di Ruvo del Monte, e, più lontano, da quelle di Pescopagano e S. Fele, dominate tutte dalla mole ardita, netta, imponente, del Vulture; e poi discende rapidamente, attraverso i territori sempreverdi di olivi di Rionero, Barile, Rapolla, Melfi, la più amena e ricca zona di Basilicata.

Questo gruppo di territori, al quale occorre aggiungere quello di Ripacandida, Maschito, Ginestra, Venosa e Genzano, rinomato in tutti i tempi per gli eccellenti prodotti della viticoltura, comprende parecchie migliaia di ettari di terreno a prevalente costituzione più o meno vulcanica, nei quali, accanto al dorato, dolce, aromatico Moscato a alla Malva da ambrata, si coltiva estesamente, con particolare e tradizionale cura, l’ottimo Aglianico, il vitigno principe della Basilicata, che fornisce il vino rude, vigoroso e generoso.

Da gran tempo i commercianti del nord d’Italia, e particolarmente del Piemonte, scendono, ad ogni vendemmia, nella zona del Vulture, per fare larghi acquisti di uve e di mosti, che, vinifìcati e manipolati abilmente, vanno ad aumentare degnamente lassù le disponibilità locali dell’ottimo Barbèra.

La coltivazione della vite, in quella zona bellissima ed interessante, come ormai in tutta la Basilicata è fortemente insidiata dalla fillossera, che distrugge inesorabilmente, con maggiore o minore rapidità, anche le più giovani, vigorose e lussureggianti piantagioni.

E poiché non è concepibile l’abbandono della cultura della vite in un territorio cosi adatto e propizio, e in condizioni così sicure di mercato; di una cultura altamente remunerativa, che consente di dare proficuo lavoro alla popolazione rurale, in proporzione almeno quattro volte maggiore, e con più sicurezza e più elevata mercede di quanto possa darne la cultura del grano: proprietari e conduttori di fondi si apprestano al nuovo impianto di vigneti, adoperando viti americane resistenti alla filossera, su le quali innestano gli ottimi vitigni locali.

In codeste condizioni, l’Opera Nazionale per i combattenti, per agevolare e guidare l’azione degli agricoltori in un lavoro non scevro da serie difficoltà tecniche, volle, nel 1921, fondare in Rionero un Istituto per il progresso della viticoltura della zona del Vulture, intitolandolo al nome di Giustino Fortunato, che attraverso la elevata, eletta, austera, sempre uguale, quarantenne opera parlamentare, letteraria, storica ed economica, onora la nostra Provincia e la Patria, e che è stato e sarà sempre circondato dal reverente affetto di una infinita moltitudine di ammiratori.

I] primo Consiglio di Amministrazione dell’Opera Nazionale per i combattenti, dei quale facevan parte due uomini illustri e degnissimi della nostra Basilicata, Nicola Miraglia, quercia mirabile e incrollabile della nostra razza, sempre giovane e vigoroso e lucido nei suoi novant'anni intensamente vissuti; e Antonio Sansone, agronomo e maestro insigne, scomparso ancora nel pieno possesso del suo forte ingegno e della sua eccezionale preparazione tecnico-economica, deliberò l’acquisto del fondo e lo stanziamento dei primi mezzi: la presente Amministrazione dell’Opera ha voluto completarne gli impianti, senza limitazione di mezzi, e assicurarne lo sviluppo e il funzionamento, che comincia davvero a essere utile, e che certamente riuscirà utilissimo nel prossimo avvenire.

L’ Istituto « Giustino Fortunato » sorge nell’ex Villa Granata, a pochi passi dall’abitato di Rionero, verso Atella. Nei nove ettari di estensione sono stati impiantati, in più riprese, appezzamenti a viti americane fra le più consigliate e reputate, a piante da frutta, a vivai di fruttiferi e a vasti, magnifici barbateliai di viti, e, nello scorso anno, e stato impiantato un vigneto sperimentale.

Lo sviluppo e il vigore vegetativo di tutte codeste piantagioni è sorprendente. Le fotografie, che illustrano questo scritto, ne danno la prova.

Le barbatelledi viti americane e quelle innestate con viti nostrane, largamente distribuite due anni fa, e l’anno scorso, e quelle che, insieme ai piantoni di fruttiferi, si stanno distribuendo ora, destano la meraviglia degli agricoltori, anche in contrade dove, per ormai antica consuetudine, l’allevamento di queste piante è fatto con largo corredo di esperienza particolare.

E tutto l’abbondante materiale di piante che si prepara ogni anno siamo già a oltre centomila barbatelle di viti e ad una diecina di mila piantoni di fruttiferi diversi — vien diffuso nei territori della zona del Vulture, e in qualche più lontano paese della provincia, a prezzo di costo, sul quale gli ex combattenti, coltivatori diretti, hanno un sensibile sconto.

Ma la funzione dell’Istituto non può limitarsi a così modesto per quanto utilissimo compito; un azione ben più ampia e profonda deve essere intrapresa, non appena si completerà la costituzione di esso Istituto azione di studio, di ricerche e di indagini sperimentali sulla viticoltura e frutticoltura della regione, e risoluzione di importanti problemi biologici relativi a Codeste due simpatiche e utili branche dell’agricoltura, in maniera da potere realmente guidare gli agricoltori e contribuire al sicuro progresso della loro unica industria.

Proviamoci a delinearne il programma.

L’Aglianico è, come ho già detto, un eccellente vitigno per la zona del Vulture. Di sufficiente vigore vegetativo in tutti i territori e in tutte le esposizioni mantiene per lungo tempo costanza e abbondanza di produzione, sempre che venga ben coltivato; L'uva è di ottima qualità: il vino che se ne ricava, dopo un solo anno di conservazione, perde la primitiva ruvidità, e acquista delicati caratteri di finezza e un profumo gradevolissimo.

Ma questo vitigno, che ha tanti pregi, ha pure qualche difetto: matura un pò tardi. I suoi grappoli bellissimi e serrati, se sono pronti per la vendemmia alla fine di settembre o ai primi di ottobre nelle contrade esposte a mezzogiorno e ad altitudini non superiori ai 400 metri sul mare, non possono essere raccolti prima della fine di ottobre in terreni aventi altra esposizione o altitudine superiore a quella indicata. A Rionero, per esempio, la vendemmia si protrae, ogni anno, anche ai primi di novembre.

Con l'inevitabile impiego dei porta-innesti americani, assai più vigorosi dell’Aglianico, avremo certamente piante molto più robuste di quelle comuni nei vigneti che vanno sparendo; e, conseguentemente, la produzione per ogni vite sarà più abbondante che porta, naturalmente, a un maggior ritardo nella maturazione dell’uva, con gli inconvenienti ovvii che ognuno può rilevare. Basti considerare che, nei nostri paesi, col settembre-ottobre cessa d’ordinario il Defloro asciutto, e la temperatura si abbassa notevolmente, per indurci a prevedere il grave pericolo di eseguire la vendemmia e la vinificazione in un periodo piovoso e freddo.

Con tali prospettive dovremo noi--ci domandiamo-­provar la introduzione di altri vitigni a maturazione notevolmente più precoce, e, quindi, mutare la qualità del vino del Vulture, ormai universalmente noto e apprezzato nelle sue attuali caratteristiche, o non sarà più logico e più conveniente ricercare, con indagine paziente e rigorosa, fra i milioni di viti di Aglianico ora coltivate, quella che, a parità di tutte le condizioni colturali e di ambiente, porta più precocemente a maturazione i suoi grappoli, e, fissata bene questa

sottorazza di Aglianico, propagarla poi per mezzo dell’innesto ?

E quando la fillossera starà per finire di distruggere tutte le viti di Aglianico di vecchio impianto — ciò che può essere, anzi è, doloroso, ma inevitabile non sarà il caso di mantenere integro, con tutti gli accorgimenti scientifici e colturali, un vigneto a piante madri di codesto vitigno, per la produzione delle marze da innesto, ed evitare di prelevare le medesime da vigneti ricostituiti su soggetti americani, i quali, inevitabilmente , influiscono sullo sviluppo vegetativo del vitigno che vi è innestato, modificandone le attitudini colturali ?

E, per viti assai più vigorose che quelle finora generalmente coltivate, che ripetono il maggiore rigoglio vegetativo dalla influenza del soggetto selvaggio, nonché dalla stessa operazione dell’ innesto, potremo noi mantenere l’attuale, comune, semplice sistema di allevamento, con il debole sostegno di una canna, o non dobbiamo invece ricercare, tra le forme più ricche di viticoltura, quella che ci possa consentire di ottenere ottima uva a sufficiente buon mercato.

Questi, ed altri problemi fondamentali, si dovranno risolvere anche nei riguardi degli altri vitigni coltivati, e, in modo particolare, per la Malvasia e il Moscato, per i quali l’Istituto dovrà pure compiere opera più ampia e importante. L’ uva, che si ottiene da questi due vitigni nei terreni della zona del Vulture, e quanto di più delicatamente aromatico e fine si possa immaginare; ed è particolarmente adatta a produrre i grandi spumanti dolci, di cui la industria piemontese oggi va giustamente orgogliosa.

Ai piedi e sulle pendici del grande vulcano spento, cantato da Orazio, si può organizzare, in proposito, una industria destinata a signoreggiare su tutte le altre similari italiane; e 1’Istituto Giustino Fortunato ha il dovere di intraprendere esperimenti al riguardo, e di eccitare i produttori alla costituzione di un solido organismo tecnico-economico, che sappia realizzare tanta ricchezza.

Vi è poi altro campo di studi e di realizzazioni nella coltura delle uve da tavola, e nella loro conservazione per 1’inverno, e nella preparazione dell’uva passa: industrie possibilissime nel Mezzogiorno e che hanno un sicuro avvenire. Basti ricordare, a vergogna degli italiani, che importiamo uva passa per qualche milione di lire, e che il nostro Paese, per eccellenza, ne consuma, per abitante e per anno, appena la decima parte di quanto ne consuma 1’Inghilterra.

Anche la frutticoltura può trovare esteso e proficuo sviluppo nella zona del Vulture. Scarsamente e poco diligentemente curata oggi, essa può assurgere a vera e propria industria, come è avvenuto in tante contrade d’Italia.

Meli e peri, susine, albicocche, peschi ecc., a centinaia di migliaia di esemplari, possono esser diffusi in quegli ameni territori, ne quali troveranno una mano d’opera che, se ora è ignara delle razionali norme culturali, ha una intelligenza sorprendente e duttile, che lascia assai bene sperare.

Ho ammirato, nel settembre scorso, la grandiosa esposizione di frutta organizzata a Trento dall’amorerevole opera dei dirigenti di quel Consiglio Agrario Provinciale, dove gran parte dei frutticoltori d’Italia, con i superbi e squisiti e svariati prodotti, portarono l’anima e la passione della Patria, in un ambiente colturale come quello della zona del Vulture, in cui 1’ulivo sempreverde alligna benissimo, la produzione. delle frutta potrebbe rivaleggiare con quella sorprendente di Massalombarda, del Piemonte e del Veneto.

Sanno gli agricoltori del Circondario di Melfì che i frutteti delle località indicate forniscono, annualmente, un reddito lordo di alcune diècine di migliaia di lire per ettaro, e che peschìeti di Canale e di Santena, in Piemonte, arrivano a dare talvolta qualche cosa come centomila lire a ettaro.

Vi sono delle valli nel Melfese, assai bene riparate dai venti, dove la frutticoltura più accurata e più proficua può trovare sufficiente sviluppo. Anche quando fossero soddisfatte le richieste del consumo locale, che non sono poi molto modeste, se teniamo conto dei bisogni del Capoluogo, vi è 1’importante mercato di Bari a breve distanza e vi è, sopratutto, la possibilità di avviare un attiva corrente di spedizioni verso i grandi mercati del nord d’Italia e anche dell’estero.

E attorno alla frutticoltura potranno fiorire tante altre piccole e non disprezzabili industrie: l'apicoltura, l'essiccamento delle frutta, la conservazione delle medesime in sciroppo, ecc.

Non appena i vivai diventeranno reditivi, sarà proposto 1’impianto, nell’Istituto, di una completa serie di apparecchi meteorologici registratori, allo scopo seguire, con assidua cura, le singole fasi vegetative delle vite, delle piante da frutta e delle altre comuni coltivazioni della contrada, in rapporto all’andamento del clima, nei suoi singoli fattori: calore, luce, umidità, venti..... Così sarà possibile, in avvenire, guidare le colture medesime sulla scorta di una più precisa conoscenza dell’ambiente fisico locale, e quindi, con indirizzo schiettamente striale, il che vuol dire, con più sicuro tornaconto. Questo, per sommicapi, il programma dell’Istituto

Giustino Fortunato, programma facile a prospettare e ad esporre, ma che richiede, per la sua realizzazione, un opera assidua, paziente, rigorosa, illuminata, e, sopratutto, di lunga durata.

La potenza dell’Ente, che lo ha voluto fondare e largamente sussidiare, e il fervore di lavoro, che nei dirigenti inspira il nome onde l’Istituto s'intitola, sono sufficiente garanzia di vita prosperosa e di proficuo successo.
 

da "La Basilicata nel Mondo" (1924-1927)

 

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