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scendevo le scale

Una cosa assai strana...
voglio raccontare, cosa è successo
una sera in cantina:
Scendevo le scale, in mano il lumino,
un soffio di vento, inciampando,
quanti accidenti.
Accidenti alle scale, al lumino,
al soffio di vento,
accidenti a me, che non avevo,
mai fatto fare, l’impianto, della corrente.
Riaccesi il lumino, e con la debole luce,
vedevo le ombre, tremando,
mi misi a sedere sul piccolo scanno e che vedo ?
Vedo mio nonno, mia nonna
Mio padre e mia madre
Più in la lo zio franco, zio angelo
E poi Giuseppe, il caro fratello,
con alcuni cugini, mi si accappona la pelle.
Sentivo i rumori, l’eco di un tempo,
mio nonno intonava, le nenie di allora
mia nonna veniva con le sue brocche, dalla fontana,
mio padre ridendo, andava e tornava,
come quando spargeva, sulla gelida terra
un pugno di grano.
Più in la,
nell’angolo buio della cantina
zio ciccio che viene da me, mi abbraccia
era lo zio malato di poliomielite
lo sentivo, poverino piangeva ,
con le mie mani, presi il suo viso
è lui, spaventato si allontana da me,
volevo corrergli dietro, afferrarlo per digli
zio non te ne andare, abbracciami ancora,
ma avevo paura e rimasi seduto.
Guardandomi intorno altre ombre la in fondo,
mio fratello Giuseppe che rideva sornione
era quello di un tempo, con i suoi baffi,
e con tutti i capelli,
non come quando, l’ho visto l’ultima volta.
Accanto mia madre che lo teneva per mano
ma non la vedevo, non vedevo bene il suo viso
ci rimasi un po’ male, mi dissi perché
mamma, neanche un sorriso?
Mi guardo intorno sempre più inquieto
vedevo i parenti, gli amici di un tempo
ognuno di loro, uno sguardo, un sorriso
mi salutavano, mi parevan tutti felici.
Eppure, mi dissi, di sopra, una cena leggera
e non ho bevuto, che un quarto di vino
mi chiesi perché ero sceso in cantina.
Mi destai al soffio di vento, che di nuovo insistendo
quel misero moccolo aveva già spento.
Brancolando nel buio raggiunsi le scale
che mi riportarono, con il fiatone, nel mondo reale.
I miei cari laggiù, che strano, ero spaventato,
confuso, col sangue gelato,
poi mi ripresi dallo stupore
e mi misi a sedere un po’ stanco asciugando la fronte
davanti alla porta sotto la gronda.
Ma io in cantina , ogni tanto ci torno
Come quando son solo, o per lenire un dolore
E con la speranza di rivedere mia madre
Con un sorriso, accanto a mio padre.
Mi siedo alla luce del debole lume
rivedo i miei cari e tutti gli amici.
Poi, su in cima alla scala, un po’ mi spaventa
la luce del sole che pare violenta,
e con tutti i rumori, la vita riprende.
Sarà che son pazzo, ma faccio finta di niente.
Un amico, ogni tanto, bussa alla porta,
e se sono in cantina, ritorno di sopra
mi tradisce l’affanno, e l’amico mi chiede
che fai ? come stai ? bene rispondo!
e quando va via mi guarda e mi dice
davvero stai bene, non sarà …
no!,gli dico, ero in cantina, ma non per il vino
mi aveva sentito venir su dalle scale
ma cosa gli dico, che in cantina ci vado
per fuggire dal mondo? per ritrovare i miei cari?
No!, non dico niente.
Col debole passo, lui si incammina scuotendo la testa
son certo che non è convinto, lui crede sia il vino,
e prima di chiudere la porta alle spalle
alzo la testa al cielo stellato,
una stella che brilla, mi accarezza,
è torna la voglia della cantina.
Ma è solo un momento, poi vado a dormire,
non voglio essere schiavo,
della pazzia.







29.08.2008 Mario S.

Autore: mario.scattone

 

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