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PRECEDENTI GRECI DI RITUALI E FOLCLORE MODERNI NEL MEZZOGIORNO

Il carnevale di Tricarico, in provincia di Matera. ha un rito singolare. Figuranti si travestono da vacche o giovenche, altri si travestono da tori. I primi hanno sostituito le pelli dei bovini con nastri multicolori, i secondi con abiti e maschere nere da quando il sindaco del paese emise una ordinanza che proibiva il pellame per motivi "igienici". Sia le giovenche che i tori sono governati da un "vaccaro". Tutta la mandria si sposta, prima dell'alba del 17 gennaio, dalla chiesa di S. Antonio Abate situata fuori del centro abitato, e si dirige verso il paese mimando continue fughe delle vacche che vengono, a loro volta, inseguite dai tori, i quali raggiunte le "fuggitive" mimano l'accoppiamento prima di ricondurle nella mandria.
Tutto si svolge sotto l'occhio vigile del mandriano.
Sembrerebbe, a prima vista, un rito propiziatorio di una società pastorale e come tale l'ho considerato nel fotografarlo nel 1982. Ad una attenta ricerca successiva, il carnevale di Tricarico si è configurato come un sincretismo della cultura greca con quella italica dei lucani-sanniti che hanno spodestato gli enotri nel VI sec. a. C. .
Nel libro "La terra del rimorso", Ernesto De Martino, alla fine del capitolo "Commentario storico", descrive il mito argivo delle figlie di Proitos, a proposito del menadismo e dei riti orgiastici femminili, cui fa risalire il fenomeno delle tarantolate. Questa descrizione del mito e del rito ad esso legato, si incastra perfettamente con il rituale del carnevale tricaricese.
Scrive De Martino: "Anche le Pretidi, al pari di Io, appaiono nell'atto di ''fare le vacche" (Proerides implerunt falsis mugisibus agros): e ad Io che è inseguita dal bovaro dai cento occhi e che arresterà la sua corsa in un paesaggio arboreo e acquatico dove si compirà in forma simbolica il suo destino di madre, fa riscontro, nel mito argivo, la terapia del mantis Melampo, che con l'aiuto di giovani robusti organizza un inseguimento delle fanciulle (che imitano le giovenche, n.d.r.), mediante gridi rituali e danze di possessione...".
Più avanti si legge ancora: "Nella versione bacchilidea del mito delle Pretidi, non Melampo ma lo stesso Proitos le cerca e le insegue nei monti, sino a raggiungerle presso un corso d'acqua, chiamato Lysios, nel quale esegue il rito di purificazione: chiede poi ad Artemis di liberare le figlie dal loro miserabile accesso di mania e promette alla dea un sacrificio di venti giovenche di pelo rosso, non ancora sottomesse al giogo, con evidente allusione simbolica alle figlie in furore e ribelli al loro destino matrimoniale".
La lunga citazione del brano di Ernesto De Martino ci consente di formulare un'ipotesi scientifica di analogia tra il rituale del menadismo descritto dallo studioso e quello del carnevale da noi fotografato e utilizzato per una mostra all'Università di Puebla in Messico con tematica etnica.
Dal rito di purificazione (i figuranti compiono tre giri intorno alla chiesa di S. Antonio Abate situata sulla strada che conduce al fiume Basento) all'inseguimento delle "vacche" vestite di nastri colorati tra cui il rosso, da parte dei "tori" e del "vaccaro", si riscontra una similitudine con i riti descritti dall'antropologo.
Lo stesso mimare la copula evidenzia, a Tricarico, il destino matrimoniale dell'atto e la funzione procreatrice che doveva socialmente assumere nelle civiltà arcaiche.
Discorrendo con Rocco Mazzarone, figura di rilievo del gruppo di intellettuali materani chiamati dalla Fondazione dell'ingegner Olivetti ad analizzare le conseguenze del risanamento dei Sassi, negli anni '50, ho avuto la conferma che anche un archeologo di grande spessore aveva intuito il coincidere dei rituali. La compianta Eleonora Bracco, in più occasioni, aveva sottolineato che nel caso del carnevale di Tricarico bisognava riferirsi alla cultura pagana. La sua intuizione si basava sulla vistosa presenza di consistenti tracce di un insediamento greco e romano, venute alla luce già dal 1935 (E. Mele, 1935, Notizie scavi), databili tra il VII e il IV sec. a.C.. L'archeologo Felice Gino Lo Porto, nella premessa al suo intervento al 13° Convegno di studi sulla Magna Grecia, svoltosi a Taranto nell'ottobre del 1973, sottolinea l'accuratezza con ccui la Bracco ha analizzato i numerosi scavi nel materano. Grazie alla scrupolosità e al felice intuito di questa studiosa dipendente della Sovrintendenza di Taranto, il relatore afferma: "Le esplorazioni sistematiche offrono ora un panorama assai vasto in cui è finalmente possibile affrontare, con metodo rigorosamente scientifico, la complessa fenomenologia storico-archeologica connessa allo studio della civiltà indigena e dell'ellenizzazione delle aree interne da parte della colonia greca di Metaponto".
Prima di questa data il materiale, per stessa ammissione del relatore, non era cosi copioso da consentire una verifica attendibile delle affermazioni degli scritti di Strabone, storico originario del Ponto ma che visse a lungo a Roma nel I sec a.C. e che redasse un trattato in 17 volumi, frutto del suo frequente viaggiare nei domini romani.
Lo storico-geografo, riportando il racconto di Antioco di Siracusa, descrisse l'ostilità delle popolazioni enotrie dell'interno verso la neonata colonia di Metaponto sullo Ionio nell'VIII sec a.C.. Soltanto nei secoli successivi, VII e VI a. C., fu consentito ai greci della costa di penetrare lentamente all'interno (Strab. VI, 265). Il risultato è stato, secondo l'archeologo Lo Porto, una "ellenizzazione" degli enotri che coinvolse i lucano-sanniti che vi si sovrapposero. Su questa conclusione convennero anche Mario Napoli, Panebianco e Adamesteanu, seppure con sfumature diverse.
Il lavoro intelligente di questi archeologi ha consentito di trovare la conferma di questo sincronismo tra le due comunità inizialmente ostili tra loro. Sempre nella relazione di Lo Porto si legge: "Contemporaneamente a questo intenso traffico di prodotti di importazione greca cominciano a circolare nel Materano i primi stateri incusi di Sibari, Crotone e Metaponto, e più tardi, dracme e didracmi di Poseidonia, Velia e Terina, attestanti un graduale incremento di rapporti commerciali con le popolazioni indigene dell'entroterra, che offrono in cambio un mercato fondato precipuamente sui prodotti della pastorizia più che quelli del suolo, dei quali la fascia costiera, soprattutto la metapontina, sovrabbonda grazie all'attività agricola dei coloni greci".
La conferma della sovrapposizione delle popolazioni sannitico-lucane a quelle autoctone delle genti enotrie ellenizzate, la troviamo nelle affermazioni perentorie ed inequivocabili di Strabone (VI, 253) in questo intrecciarsi di etnie, gli autoctoni trasferiscono ai Lucani l'assimilazione della civiltà greca, in parte nella lingua, nella religione e nell'arte.
Grazie a questi fenomeni di sincretismo culturale oggi riviviamo il mito di Proitos o Preto di cui è impregnato il Carnevale di Tricarico.
Di diverso avviso è la storica locale Carmela Biscaglia che, al pari dell'antropologo Enzo Spera, fa risalire I'evento al periodo immediatamente successivo al mille. La presenza di un'economia pastorale nell'area di Tricarico avrebbe indotto i massari ad assumere il rituale propiziatorio nella festa dell'inizio dell'anno segnato dai cicli produttivi della terra, quale è, appunto, la ricorrenza del carnevale nella cultura agro-pastorale. A sostegno della sua tesi, in una breve intervista telefonica a noi concessa, la cultrice di storia di Tricarico, di cui abbiamo apprezzato il frutto delle ricerche, cita la fonte di un "Liber Jurum" in cui è contenuta I'autorizzazione dei Principi di Sanseverino, nella metà del '400, ad aprire una "difesa" per i buoi da lavoro, impiegati poi nei lavori agricoli nella piana metapontina. Questa ipotesi ha affinità con quanto da noi affermato.
L'ellenizzazione di un popolo dedito alla pastorizia ha fatto si che i lucani assimilassero il mito di Proitos e del menadismo, l'iniziazione, cioè, delle adolescenti alla vita di donne adulte. I simboli del mito e le figure del rito, le "giovenche", presenti entrambi nella problematica e nella vita economica degli autoctoni, non ha fatto altro che facilitare il sincretismo
culturale.
La permanenza delle condizioni di vita economica basate sulla pastorizia e sull'allevamento allo stato brado delle zone interne della Lucania nel corso dei secoli successivi a quelli cui facciamo riferimento, ha consentito che tale frammento di cultura magno-greca arrivasse a noi.


Nota bibliografica

FELICE GINO LO PORTO, Civiltà indigena e penetrazione greca nella Lucania orientale, in "Mon. Ant. Linc. Ser. Misc.", 1 marzo 1973
FELICE GINO LO PORTO, "Atti del 13° Convegno di Studi sulla Magna Grecia", Taranto 14-19 ottobre 1973. Napoli, 1974, pp 106-134
DINO ADAMESTEANU, Popoli anellenici in Basilicata, Roma, 1971
MARIO NAPOLI, Civiltà della Magna Grecia, Roma,1969
CARMELA BISCAGLIA, Il carnevale di Tricarico, in "Quaderni del Centro dei servizi culturali di Tricarico", 1986
ENZO SPERA, Inizio del Carnevale di Tricarico, in "Quaderni dell'Università degli Studi di Bari",2-1981/82
ERNESTO DE MARTINO, La terra del rimorso, Milano, 1961



tratto da Rassegna Storica Salernitana n. 33 pagg. 201-204
pubblicazione autorizzata dall'autore

Autore: Antonio Tateo

 

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