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LE CHIESE RUPESTRI DI MATERA:IL PROGETTO DI RECUPERO

Soffermarsi sul valore storico artistico del complesso delle chiese rupestri dell'area materana sembra, per assurdo, addirittura superfluo. A lungo, nomi importanti della storia dell'arte dal Bertaux al Cappelli al Rizzi da Cosimo Damiano Fonseca al Guillou, scienziati e tecnici dell'Istituto Centrale di Restauro, il Circolo "La Scaletta", Associazioni culturali, colti estimatori e studiosi si sono misurati con problemi di datazione dei dipinti murali, o di interpretazioni iconografiche o, ancora, di lettura delle fonti documentarie e di tradizione.
E tuttavia non si può prescindere dal mettere in evidenza come esso rappresenti un unicum, insieme ad alcune altre testimonianze nel melfese, nell'ambito della cultura artistica della regione.
Il progetto di restauro, previsto per una spesa complessiva di più di un miliardo di vecchie lire suddiviso in tre annualità - dal 2002 al 2004 finanziata con fondi stanziati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, interessa un considerevole numero di chiese rupestri: alcune, tra tutte ugualmente importanti ed esemplificative, Santa Barbara, San Giovanni in Monterrone, San Nicola dei Greci, Santa Maria della Valle. Cristo alla Gravinella, La Palomba, Madonna delle tre Porte, San Falcione.
Il programma è stato messo a punto grazie alla collaborazione fattiva con l'Amministrazione Comunale di Matera, che ha proceduto all'esproprio di alcune di esse, con l'Ente Ecclesiastico, che ha concesso l'autorizzazione ai lavori, con l'Ente Parco delle Chiese Rupestri, che, pur avendo provveduto a redigere un autonomo progetto, ha ritenuto indispensabile il confronto con la Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico al fine di realizzare un programma integrato di interventi.
Le motivazioni alla base di un così importante e vasto progetto di restauro sono da ricercarsi, oltre che nella valorizzazione e nella restituzione alla pubblica fruizione di un Patrimonio storico e artistico di inestimabile valore, soprattutto nella necessità, ormai non più procrastinabile, di assicurarne la conservazione resa drammaticamente precaria a causa del tempo, dell'incuria, a volte di atti vandalici inconsulti, per evitare il rischio di danni irreversibili che, purtroppo, potrebbero identificarsi con perdite parziali o totali.
Per sgombrare correttamente il campo da false aspettative, e per alcuni, frettolose e allarmanti conclusioni, occorre subito premettere che le operazioni di restauro previste nel progetto generale non hanno carattere definitivo e, tantomeno risolutivo dei problemi di conservazione che da secoli affliggono i dipinti murali rupestri sia a causa della loro intrinseca natura, sia perché indissolubilmente condizionati dai delicati equilibri fisici, chimici e ambientali delle pareti in grotta sulle cui superfici si stendono.
Alcune indagini ambientali indirizzate all'osservazione dalle normalmente mutevoli ma, purtroppo, anche mutanti condizioni climatiche, nonché all'individuazione dei percorsi delle acque reflue che, non adeguatamente e tempestivamente canalizzate, producono fenomeni di infiltrazione sono state, nell'ultimo quinquennio, eseguite con perizia da tecnici specializzati.
Anche le rilevazioni del microclima interno nelle immediate adiacenze delle zone parietali dipinte e le analisi dei biodeteriogeni che, trovando un humus estremamente favorevole prolificano con stupefacente velocità e rigoglio, hanno dato esiti interessanti.
Tali indagini hanno interessato, però, solo alcune chiese rupestri: Santa Barbara, ad esempio, o Santa Lucia alle Malve o il Complesso di San Nicola dei Greci e, ultimamente la Chiesa di Santa Maria della Vaglia e se i risultati, per il loro carattere scientifico, possono essere estesi analogicamente ad altri insediamenti rupestri, pur tuttavia è importante evidenziare che ognuno di essi ha, dal punto di vista delle problematiche affrontate, una propria specificità determinata dall'ubicazione topografica, dalla tecnica di scavo, dalla sostanza fisica della materia scavata, dalla presenza o assenza di vegetazione arborea circostante, dalla tecnica pittorica dei dipinti, perfino dalla diversa natura dei pigmenti e delle terre adoperati.
Per questo si è ritenuto, almeno per il momento, di progettare il restauro delle nostre chiese rupestri con una metodica consolidata dall'esperienza, adottando con la massima prudenza, tecniche e materiali assolutamente testati e, in ogni caso, mirati a non alterare le condizioni chimico-fisiche e ambientali che nel tempo si sono determinate.
Così, ad esempio, non sono stati previsti interventi drastici e forzosi di deumidificazione degli ambienti ma sono stati eseguiti semplici controlli termoigrometrici per misurare il grado di escursione quotidiana e stagionale, provvedendo nel contempo, laddove sarà possibile, come nel caso della Chiesa dei quattro Evangelisti, all'istallazione di particolari diaframmi protettivi agli accessi tali da assicurare la regolamentazione dei flussi di aria alternativamente secca o umida.
La bonifica ambientale interna, quindi, dovrebbe essere agevolata con la limitazione naturale e non affatto traumatica dei fenomeni di umidità e di condensa.
L'eliminazione di sali e di scialbi, in alcuni casi, come a Santa Maria della Vaglia, tanto carbonatati da risultare di difficilissima rimozione, e operazione fondamentale per restituire visibilità ai dipinti peraltro spessissimo offuscati anche da estese colonie di microrganismi, come in Santa Barbara o in Santa Lucia alle Malve, che assumono colorazioni diverse, dal verde muschio al bruno intenso, a seconda della vetustà dell'insediamento biologico o dell'interazione di fattori chimico-fisici tra la pellicola pittorica e la calcarenite di supporto o ancora dello spessore degli strati di pulviscolo atmosferico.
Preliminarmente si procederà al consolidamento delle zone di decoesione tra i vari strati costitutivi dei dipinti murali, supporto, tonachino, pellicola pittorica, adoperando tecniche e materiali idonei al fine di evitare un ulteriore degrado dovuto al "rigetto" di sostanze compatibili. Le integrazioni pittoriche saranno limitate e discrete per non alterare l'originalità dell'opera d'arte.
In premessa abbiamo evidenziato, che gli interventi previsti non presumono di risolvere definitivamente il problema del restauro delle chiese rupestri e, tuttavia, essi costituiscono, ad oggi l'unica terapia in grado di preservale da ulteriore degrado. Tra gli operatori del settore va sempre più diffondendosi la convinzione che, per assicurare la conservazione delle opere d'arte, specie di quelle che, come i dipinti rupestri, presentano quadri diagnostici di difficili soluzioni tecniche, sia indispensabile curare la loro manutenzione in modo costante e ciclico, con monitoraggi continui che evidenzino modificazioni, anche minime, dello stato di conservazione in modo da intervenire tempestivamente sui processi di maligne trasformazioni già al loro primo insorgere.
È oltremodo auspicabile che finalmente si realizzi il concorso di molteplici forze presenti sul territorio, rappresentate dagli Enti Pubblici e Privati, per attivare risorse umane, tecniche ed economiche, convogliate in proficue campagne di Manutenzione ordinaria e straordinaria: le nostre preziose Chiese Rupestri vanno, è nostro precipuo dovere istituzionale e morale, consegnate alla storia futura.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2002"

Autore: Testo di AGATA ALTAVILLA

 

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