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VENOSA, SS. TRINITÀ - INCOMPIUTA

The excavation of the church of SS. Trinità of Venosa in Basilicata revealed an archeological sequence of extraordinary interest covering a chronological span from the Republican period to the second half of VIth century. The episcopal complex was built in an area previously taken up by a residential complex of Venusia, which in the IIIrd-Vth centuries.faced a slow urban decline, apparent above all in the trasformation of houses, reutilizing earlier structures. The complex brought to light is compsed of two churches: one is visible below the church of SS. Trinità and the other is located on its side facing west.The excavation furnished data crucial to understanding problems regarding the evolution of the church from its origins till Norman period; a problem, however, which remains to be solved concern the continuity and the connection between the "old church" and the external church with two baptismal pools. New informations have not emerged concerning the monastic complex, mentioned in historical sources in XIth century.


Fino all'inizio degli anni '80 parlare della Trinità di Venosa significava fare riferimento fondamentalmente al celeberrimo monumento noto come "l'Incompiuta" e, solo in tono minore, alla chiesa ad essa si collegata.
L'intensificarsi dell'indagine archeologica, in rapporto anche alle complesse fasi di restauro della c.d. chiesa vecchia, hanno invece consentito di riportare in luce una basilica altomedievale della fine del VI secolo, in stretta correlazione con la chiesa e le due vasche battesimali visibili nell'area esterna alla chiesa, attestanti la presenza di un complesso episcopale di grande rilevanza, dalle complesse fasi costruttive, non ancora totalmente chiarite.
Tutto il complesso si sovrappone ad un settore dell'abitato urbano, ininterrottamente in uso dal III sec. a.C. al IV d.C., sia pure con interventi di trasformazione e ristrutturazione, e con un'ultima fase di frequentazione dell'area, quando le strutture erano ormai parzialmente crollate e negli strati di crollo e di abbandono si erano inseriti numerosi focolari in laterizio e alcune fosse di scarico (metà V - metà VI sec. d.C.). Decisa quindi la costruzione della chiesa, tutte le strutture preesistenti sono rasate ad una medesima quota e coperte da uno strato omogeneo di riempimento.
Sono quindi realizzate le fondazioni e un battuto di calce, utilizzato come piano di cantiere, va a coprire l'estensione di tutta l'area interessata dalla chiesa. Contemporaneamente all'utilizzo del battuto di cantiere si registra la costruzione di una vasca, quasi certamente con funzione battesimale, rimasta in uso solo per il periodo di costruzione della chiesa stessa. Lo scavo non ha invece finora fornito indicazioni nuove sul complesso abbaziale, riccamente attestato dalle fonti storico-documentarie.

IL COMPLESSO EPISCOPALE

Il complesso cultuale si articola in due edifici per i quali non è ancora possibile definire con precisione il rapporto di contemporaneità d'uso. I resti visibili sul lato destro dell'attuale chiesa, all'interno dell'area archeologica, si configurano in un edificio trilobato con corridoio esterno, contenente al centro una vasca battesimale esagonale, preceduto da tre navatelle, in una delle quali è ricavata una seconda vasca battesimale cruciforme.
In origine la chiesa doveva essere pavimentata a mosaico con motivi geometrici e vegetali, di cui restano alcuni frammenti. Nello spazio tra questa chiesa e l'Incompiuta esistono altri ambienti, uno dei quali, rettangolare, conserva quasi per intero la pavimentazione a mosaico.
In tutta l'area sono visibili moltissime tombe, in qualche caso coeve alla basilica, ma per la maggior parte riferibili al momento del suo abbandono, quando tutta la zona fu riutilizzata come cimitero all'aperto.
L'impianto di questa chiesa sembra possa essere relazionato alla presenza del vescovo Stefano, sicuramente attestato tra il 408 ed il 504 d.C., cui potrebbe fare riferimento una iscrizione rinvenuta nell'area della basilica esterna.
Più chiaro risulta l'impianto della seconda basilica, coincidente in parte con il perimetro esterno della c.d. chiesa vecchia, a tre navate divise da 7 pilastri collegati da archi a tutto sesto, con un ampio transetto contenuto. La facciata originaria, con uno degli accessi relativi a questa fase, è ancora visibile dall'esterno in corrispondenza della navatella di sinistra. L'abside era in origine aperta per mezzo di 8 grandi finestre, successivamente ridotte tompagnando la metà inferiore; al suo esterno si sviluppava un corridoio anulare, quasi una seconda abside larga quanto l'intera chiesa. La presenza di questa struttura, unitamente a quella delle 8 grandi finestre, che consentivano di vedere l'altare anche dal deambulatorio, porta a confronti con le basiliche cruciformi a Roma o con quelle campane ad absidi perforate, tipologia architettonica generalmente rapportabile all'esistenza di reliquie. Due colonne di cipollino, di riutilizzo, sorreggevano l'arco trionfale poggiante su due pulvini appositamente realizzati.
La chiesa era dotata di una schola cantorum, sopraelevata di circa 30 cm. rispetto al piano pavimentale, che si estendeva per la lunghezza dell'intero transetto e di una campata e mezza della navata centrale, probabilmente recintata da un parapetto marmoreo. Fin dal primo impianto la chiesa era dotata di una cripta a corridoio, di lunghezza più ridotta rispetto a quella medievale, in parte scavata nel terreno vergine ed in parte sfruttante il dislivello di quota dell'area presbiteriale, sopraelevata di circa 1 metro rispetto al piano di calpestio della chiesa.
La pavimentazione era costituita da mosaico nel deambulatorio absidale, in tutto il transetto, nella navata centrale e nella schola. Le navatelle erano invece pavimentate con mattoncini in cotto disposti a spina di pesce. All'esterno della soglia, rinvenuta per intero con tutti gli incassi di alloggiamento per il portale, un frammento di pavimento musivo lascia supporre l'esistenza di un nartece.
Lavori di sistemazione condotti in tempi recenti sul piazzale esterno hanno inoltre portato in luce alcune strutture che confermerebbero l'esistenza di un atrio antistante il nartece.
Questa seconda chiesa può essere datata alla fine del VI secolo, oltre che da una serie di confronti a livello di schema iconografico e di decorazione pavimentale, da una moneta di Tiberio II (578-582) rinvenuta nella preparazione del mosaico.

LA "CHIESA VECCHIA" NELL'ALTO MEDIOEVO

Nell'alto medioevo avanzato all'interno della chiesa furono ricavati alcuni ambienti, costruiti con tecnica molto rozza, cioè con pietre e ciottoli di forma irregolare legati da malta biancastra e coperti da intonaco molto friabile, in alcuni punti con tracce di decorazione. Essi erano collegati tra loro da passaggi e poggiavano direttamente sul pavimento a mosaico nei tratti ancora conservati, o sulla sua preparazione, che in alcuni punti presenta straterelli di cenere, o integrazioni di lacune, a sottolineare fasi di frequentazione e di rudimentali restauri. Allo stato attuale non è ancora possibile definirne la destinazione d'uso all'interno di uno spazio sacro e forse si potrebbe avanzare l'ipotesi di un collegamento con il primitivo monastero della SS. Trinità, che sembrerebbe già esistere nell'XI secolo, epoca in cui si possono collocare questi ambienti. Furono poi obliterati da strati di riempimento e di lavorazione relativi al rifacimento del pavimento della chiesa in età medievale, che ne determinò la rasatura ad una altezza uniforme.
In questa fase si può collocare anche la realizzazione di un cantiere per la fusione di una campana. È stata trovata ancora in situ l'anima in terreno argilloso, sulla quale fu effettuata la colatura del metallo. Poggiata su una fornace in mattoni, era alloggiata all'interno di una fossa che all'epoca (fine XI-inizi XII secolo) fu scavata distruggendo tutte le sottostanti strutture di età romana, e che subito dopo la colatura fu sigillata da un rozzo battuto di calce alla stessa quota di quello su cui poggiano gli ambienti sopra menzionati.
Sembra del tutto plausibile che il cantiere per la fusione della campana sia da mettere in relazione con la costruzione di due massicce strutture quadrangolari sui lati corti del nartece, addossate alla facciata paleo-cristiana, quasi certamente torri difensive, forse anche con funzione di torri campanarie; quella in corrispondenza della navata destra è stata obliterata dal progressivo avanzamento della facciata della chiesa, l'altra invece è stata rasata e risulta visibile solo in fondazione dall'esterno della chiesa in corrispondenza della navata sinistra.

IL COMPLESSO ABBAZIALE

Il complesso si colloca, come attestano alcune indicazioni riferite alla chiesa, all'interno del circuito murario di età romana, ma all'esterno di quello alto-medievale, ridimensionato rispetto a quello di epoca precedente.
La prima menzione del monastero della SS. Trinità, secondo la quale sarebbe stato fondato nel 942 dal principe Gisulfo, sicuramente inesatta nella sua formulazione, potrebbe però avere alle spalle del falsificatore settecentesco documenti autentici oggi perduti.
All'arrivo dei Normanni, comunque, intorno alla metà dell'XI secolo, occorreva una nuova fondazione o una rifondazione del monastero già esistente, come confermato da una bolla di Niccolò II del 1059: monasterium sancte Trinitatis de veteri civitate Venusia labore extructum a Drogone comite, restaurari ceptum...
Drogone divenne conte di Puglia nel 1046 dopo la morte di suo fratello Guglielmo Braccio-di-Ferro e morì nel 1051; una prima fase di lavori quindi dovette essere compiuta tra 1046 e 1051, ed una seconda fase di restauro o completamento di questi dovette essere portata avanti dall'abate Ingelberto, menzionato per l'ultima volta nel 1066, che nella bolla summenzionata si ricorda aver iniziato il restauro.
Inoltre sotto Roberto il Guiscardo, fratello e successore di Drogone, nel 1059 papa Niccolò II, a Melfi per il concilio, si recò personalmente a Venosa per consacrare la chiesa della SS. Trinità, che venne trasformata da cattedrale in chiesa abbaziale ed assoggettata direttamente alla Santa Sede come l'intera abbazia.
Il trasferimento delle spoglie dei fratelli deceduti nell'abbazia venosina, che assurgeva in tal modo a simbolico famedio della famiglia, deciso nel 1069 da Roberto il Guiscardo, segna un altro punto di riferimento nella storia dell'abbazia, che sotto l'abate normanno Berengario (1066-1094) raggiunse un ruolo di primaria importanza, confermato per tutto il XII sec. dalle numerose donazioni.
La distruzione della città di Venosa nel 1133 ad opera di Ruggero II come punizione per il sostegno dato al ribelle Tancredi di Conversano non comportò necessariamente danni all'abbazia, ma -forse per coincidenza- è proprio in quegli anni che Ruggero II, d'intesa con papa Innocenzo II, ordinò all'abate di Cava di inviare in tempi brevi 12 monaci ben esperti nel governo dell'abbazia e nell'osservanza della regola benedettina, in sostituzione dei monaci residenti, visto lo stato di decadenza del monastero.
La primazia raggiunta fu compromessa dal declino degli Altavilla; primo segnale in tal senso fu nel 1194 la perdita dell'autonomia del monastero e la sua sottomissione all'abbazia di Montecassino, voluta dall'imperatore Enrico VI.
Una bolla papale del 1236 decretò la deposizione dell'abbate Gregorio che aveva dissipato i beni dell'abbazia, ormai ridotta in stato di declino. Infine nel 1297 il cenobio benedettino fu soppresso da papa Bonifacio VIII e concesso all'Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Gerusalemme.
Questo il quadro di riferimento storico entro cui muoversi. Prima però di passare all'esposizione delle fasi medievali della chiesa, esaminiamo brevemente quanto oggi è visibile del complesso abbaziale, anche se non indagato archeologicamente.
La Foresteria presenta il piano terra aperto su tutti i lati, similmente alla laubia di origine longobarda ed il piano superiore articolato in tre sale ed una cappella. Per essa è stata attribuita la primitiva impostazione ad epoca longobarda, collegandola alla fondazione del primo cenobio. L'edificio ha subito però numerosi rimaneggiamenti e restauri che hanno alterato la struttura originaria, soprattutto ad opera dei Gerosolimitani (XIII-XIV sec.) e successivamente a seguito dei terremoti del 1851 e del 1930. Attualmente l'edificio presenta un piano terra porticato, con possenti volte e grandi arconi; secondo un'ipotesi recentemente avanzata la Foresteria nella sua prima fase costruttiva, attribuita a Roberto il Guiscardo, sarebbe stata utilizzata come residenza ufficiale degli Altavilla nel periodo in cui si recavano in visita all'abbazia.
Una scalinata, originariamente esterna ed oggi incorporata nell'atrio della chiesa, conduce al piano superiore dove si apre una cappella romanica a croce greca contratta, inserita in un ambiente rettangolare e coperta da una cupola innalzata su una base poligonale di 12 lati. I saloni si aprono all'esterno con monofore, bifore ed una trifora.
Da sottolineare il particolare interesse della parete su cui poggia la scalinata, che in origine costituiva la parete di facciata del complesso ed attraverso tre grandi arconi comunicava con l'atrio, che sarebbe stato concepito per ospitare i sepolcri ducali, secondo un uso di tradizione carolingia, ancora vivo in periodo romanico; a questo scopo sarebbe stato progettato un portico ad arcate con loggetta soprastante. Successivamente, con la costruzione della scala di accesso alla cappella, oltre ad essere occultati due dei tre arconi, è stata tompagnata la galleria al primo piano. Essa si apriva sull'atrio con una loggetta di nove archetti a tutto sesto su colonnine ioniche, poggianti su una fascia ornamentale arricchita da bestiari intervallati a triglifi.
In essa sono indifferentemente messi in opera pezzi romani di reimpiego e decorazioni architettoniche realizzate ex novo, copiando modelli antichi. Dai documenti apprendiamo, come già ricordato, che Drogone di Altavilla, ottenuta nel 1042 Venosa a seguito della divisione delle terre meridionali, promosse alcuni restauri della Trinità, arricchendola di numerose donazioni. I lavori da lui iniziati furono completati dopo la sua morte (1051), dall'abate Ingilberto.
Le notizie in realtà non si riferiscono alla chiesa, ma al monastero, per il quale lo scavo, come già sottolineato, non ha fornito indicazioni esaurienti. Il conseguimento, però, di riferimenti cronologici fissi per l'impianto ecclesiale, consente oggi di avanzare delle ipotesi non più esclusivamente sulla base di confronti iconografici e stilistici.
Tra la fine dell'XI e gli inizi del XII secolo, in pieno dominio normanno, sembra collocarsi il restauro della chiesa con il prolungamento della navata centrale per l'ampiezza di due campate e la realizzazione di un nuovo pavimento, circa 60 cm. più in alto, con un tessellato policromo a motivi geometrici, confrontabile con altri pavimenti della vicina Puglia, tutti datati all'XI secolo.
Conclusosi con la morte del Guiscardo il periodo di massima ricchezza dovuto alla protezione dei Normanni, l'abbazia visse ancora una stagione felice per tutto il XII secolo con i grandi abati benedettini. Cominciò così a prendere forma il grandioso progetto di costruzione di quella che sarà poi universalmente nota come l'Incompiuta, che quasi certamente prevedeva in fase finale l'abbattimento della "chiesa vecchia". Il lavoro procedette in varie fasi fino ad interrompersi definitivamente.
Giunse così il momento di rimettere mano alla chiesa esistente, probabilmente anche in condizioni statiche non rassicuranti: iniziò allora una lunga stagione di restauri che, tra il periodo svevo ed angioino, mutarono completamente la spazialità interna dell'edificio.
Nella navata centrale furono inseriti grossi arconi trasversali e corrispondenti archi di controspinta nelle navatelle. La quota si innalzò di circa 20 cm. e un nuovo pavimento in mattoni di cotto venne poggiato direttamente sull'opus tessellatum, così come i pilastri delle navatelle. In questa stessa fase venne prolungata, per la larghezza dell'intera chiesa, la cripta già esistente: fu variata la copertura con la creazione di volte su pilastri e furono realizzate ex novo le due scale di accesso laterali aperte sul fondo delle navatelle. La cripta fu pavimentata con gli stessi mattoni usati nella chiesa.
Nuovi interventi di restauro e modifiche si verificarono dopo il passaggio nel 1297 dell'Abbazia dai Benedettini ai Cavalieri Ospedalieri di S. Giovanni in Gerusalemme, per volere di Bonifacio VIII.
A questa fase sembra riferirsi il nuovo assetto del presbiterio, con la realizzazione dei due arconi a sesto acuto nel transetto, i cui piedritti, poggiando direttamente sul pavimento della cripta, provocarono lo sfondamento della copertura e, probabilmente, la sua parziale o totale uscita fuor d'uso.
I rifacimenti di questa fase sembrano suggellati dalla realizzazione del portale interno attraverso il quale si accede alla vera e propria chiesa, firmato dal magister Palmerius e datato al 1287.
Tra il 1550 e gli inizi del XVII secolo i balì Ardicino Gorizio Barba, Antonio Peletta e Girolamo Alliata promossero una serie di restauri inerenti soprattutto la costruzione di cappelle e altari nelle navatelle e la nuova sistemazione del sepolcro del Guiscardo e dei suoi fratelli.
Alla fine del XVIII secolo il frate Erberto Mirelli progettò un più ampio restauro in forme barocche con ricostruzione del presbiterio.
Dopo il terremoto del 1851 furono rinforzati i muri della navata laterale sinistra con contrafforti esterni.
In questa forma, con inevitabili rimaneggiamenti e restauri, la chiesa è giunta fino ai giorni nostri.

L' INCOMPIUTA

Costruita perfettamente in asse con la c.d. chiesa vecchia, costituisce uno dei più affascinanti episodi di "non finito" nella storia dell'architettura italiana, il cui fascino maggiore è dato, oltre che dalla mancata compiutezza, dal riutilizzo nei paramenti murari di numerosissimi frammenti romani ed ebraici, che rendono questa chiesa una sorta di album da sfogliare, pietra dopo pietra, per rileggere la storia dei monumenti in disuso al momento della sua costruzione.
Nel progetto iniziale doveva essere un impianto a tre navate, con ampio transetto sporgente e profondo capocroce concluso da tre cappellette radiali. Uno dei problemi da sempre oggetto di discussione, oltre ai motivi che determinarono l'interruzione della sua costruzione, è senza dubbio la sua cronologia, sulla quale sono state avanzate le ipotesi più disparate. Due le teorie principali: la prima assegnerebbe l'Incompiuta all'età di Roberto il Guiscardo, in stretto rapporto con l'arrivo di una comunità di monaci dall'abbazia di Sain-Evroul in Normandia e quindi con una derivazione francese diretta; la seconda ne vedrebbe il collegamento con il passaggio nel 1297 ai cavalieri di S. Giovanni e quindi con una derivazione da modelli francesi mediata attraverso la seconda ondata normanna di Sicilia.
Il raffronto continuo con la Francia è suggerito da questo tipo di struttura, con un profondo coro, cappelle radiali e deambulatorio, che si diffonde nella Francia meridionale e soprattutto nella Borgogna, nelle aree delle chiese di pellegrinaggio, con una diretta dipendenza da Cluny.
Più che pensare a maestranze venute da lontano, sembra più plausibile supporre che il disegno generale fosse importato, forse per mezzo di un architetto o protomagister e che la progettazione di dettaglio e l'esecuzione fossero affidate a maestranze locali che utilizzavano materiali a disposizione sul posto. A conferma di ciò basterà esaminare le cattedrali della vicina Acerenza e quella di Aversa, tanto simili nell'impostazione, ma così differenziate nell'esecuzione, a seconda delle esigenze locali. Non si può dimenticare che la possibilità a Venosa di reimpiegare materiale già pronto per l'uso, proveniente dal vicino Anfiteatro e da altri monumenti romani, deve in qualche modo aver condizionato il progetto iniziale.
Ed anche le decorazioni realizzate ex novo sembrano ispirarsi ad un linguaggio provinciale, che trova confronti nei cantieri attivi in periodo romanico nella vicina Puglia e non certo in Francia.
Allo stato attuale delle conoscenze, sappiamo che di questo edificio, cresciuto alle spalle di una chiesa preesistente, dapprima si impiantarono tutto il perimetro esterno, ed i sostegni della parte strutturalmente più complessa, cioè il capocroce; in seguito furono aggiunti altri elementi architettonici, come il filare di pilastri polistili realizzato -sembrerebbe alla fine del XII secolo- solo sul lato destro, senza mai più predisporre il pendant. Successivamente furono aggiunti il portale con ricca decorazione lungo il fianco destro (XIV secolo) ed il grande campanile a vela (XVI se-colo).


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999"

Autore: Testo di Mariarosaria Salvatore

 

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