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LA CATTEDRALE DI MELFI

Melfi Cathedral, dedicated to the Blessed Virgin, was bilt in 1153, to celebrate the agreement between King Roger II and the melfitana community. Erected in conformity with the dictates of the romanesque art, whose is excellent example the splendid campanile, suffered in the course of ages numerous alterations, both for the frequent earthquakes and for adapting, in the times, the church to the changing ideas of the sacrum and of the religion. The most important works were performed in the XVI century from the bishop Mario Rufino, building the Chorus and subsequent proportionning of the central transept, and in the XVIII century from the bishops Antonio Spinelli and Teodoro Basta, realizing a baroque church full of paintings, stuccos, altars of polycrome marbles and noble chapels.
After the ruinous earthquake in 1930 was indispensable the demolition of numerous chapels and the present reconstruction in order to obtain a better stability of the curch.

-Northmanni, Melo duce, ceperunt expugnare Apuliam-, questa frase della Cronica di Montecassino sancisce con la sua ineluttabilità l'avvio di una esperienza politica, sociale e civile che iniziata a Melfi nel 1042 giungerà a coinvolgere tutto il Mezzogiorno d'Italia nella creazione del Regno normanno di Sicilia. La conquista normanna, dopo il concilio di Melfi del 1059 con papa Niccolò II, riceverà il suggello dell'approvazione pontificia trasformandosi in guerra di liberazione delle terre meridionali e dall'influsso della chiesa greca di Costantinopoli e dell'occupazione saracena in Calabria e Sicilia.
La necessità di segnalare la presenza dell'autorità di Roma porta nell'arco di un secolo alla costruzione in Basilicata - ricordando il mantello di chiese di cui si ricopre la cristianità occidentale dopo l'anno Mille, nella visione di Rodolfo il Glabro - di molte cattedrali ed in particolare nella zona del Vulture a Melfi, Rapolla, Venosa e Irsina.
La prima citazione di una cattedrale in Melfi risale al 1067, allorché papa Alessandro II annuncia di aver celebrato un sinodo nella chiesa di San Pietro -quae est sedes episcopatus Melphiensis-. Nulla sappiamo sulla tipologia e sulla costruzione di questa chiesa. La dedica a San Pietro ci chiarisce l'essere la cattedra episcopale melfitana -directe subiecta- alla Santa Sede, e probabilmente la fondazione della diocesi è da ascriversi ai primi anni dell'XI secolo.
L'importanza di questa chiesa, che esiste come luogo di culto fino al XIX secolo ci è acclarata da un documento del 1388 in cui vengono elencati preziosi antifonari e codici longobardi conservati in essa (1).
La potenza dei duchi normanni esige, anche per i proficui e stretti rapporti instaurati con il Papato, come espressione visiva dell'autorità, luoghi di culto e cattedrali che ben esprimano la nuova realtà politica. La cattedrale così costruita, a noi non pervenuta, viene dedicata, in ossequio al trionfo del culto della Vergine in tutto l'Occidente medievale, alla Madre di Dio, come sappiamo da un documento del 1076 in cui, Roberto il Guiscardo, donando alla chiesa di Melfi, l'abbazia di San Giovanni Iliceto afferma che tale donazione è fatta -...ad honorem Dei eiusque Genitricis semper Virginis Marie in dedicationem Melphiensis ecclesie eiusdem scilicet Mariae- (2) .
La donazione viene incrementata negli anni successivi aggiungendovi i territori di Gaudiano e Salsola ed i redditi degli ebrei del bagno, ubicati con le loro abitazioni, nella Ralla delli Judei, proprio intorno all'antico Duomo di San Pietro.
Le guerre ed i torbidi seguiti alla morte dell'ultimo duca normanno, le invasioni dell'esercito imperiale e pontificio nel 1137, le distruzioni operate da Ruggero II per la definitiva affermazione della propria autorità regia, gli assedi a cui Melfi fu sottoposta in questo torno di anni, probabilmente furono causa di danni consistenti agli edifici religiosi, se fu avvertita l'esigenza di costruire una nuova Cattedrale, sempre dedicata alla Vergine Maria, ma che sancisse con la sua imponenza e con la sua presenza la realizzata pacificazione del regno e la concordia tra la civitas melfitana ed il re normanno.
La nuova costruzione, dotata di un imponente campanile, venne portata a termine nell'arco di alcuni anni ed aperta al culto nel 1153, così come ci viene ricordato da una lapide posta alla base del manufatto -Hoc opus Regium Regina Coeli comendet quod ex praecepto et salario invictissimi regis Rogerii et filii eius gloriosissimi Regis Wilelmi. Presul Rogerius cum fideli populo Melphiensi felici exito consumavit. Anno Domini MCLIII-.
Lateralmente alla precedente un'altra iscrizione ci tramanda il nome del costruttore -Regi Rogerio Noslo Remerii fecit hoc. Anno ab incarnatione Domini Nostri Jesus Christi MCLIII-.
Per la costruzione vengono utilizzate in abbondanza spolia e pietre provenienti dalle numerose ville romane sparse nella zona, quale la lapide mortuaria di Quinto Sedeciano Rufino, sul lato ovest, o l'iscrizione del primipilo della gens Horatia sul lato est. Eretto a base quadrata, con un'altezza di ml. 50 ed un perimetro di ml. 37, il campanile spicca oltre il tetto dell'adiacente chiesa perfettamente visibile da tutti i dintorni, costituendo il naturale corrispettivo religioso della potente mole laica del Castello. Tutto l'edificio è vivacizzato cromaticamente da festoni marcapiano di pietre laviche nere grigie e bianche, da finestre bifore contrassegnate da identica decorazione, e nell'ultimo piano da due leoni, simbolo del potere dei re normanni, realizzati in pietra nera contrastante con le pietre grigie della facciata. L'effigie del re degli animali viene ripresa all'altezza del primo marcapiano dove sono inserite protomi leonine, provenienti probabilmente da anfiteatri romani della zona, esprimenti la presenza e l'importanza di questo animale in un immaginario medievale che partendo dalle affermazioni naturalistiche di Plinio il Vecchio, sulla clemenza del leone verso chi lo supplica, giunge all'equiparazione nei diversi bestiari della figura del Cristo e del leone.
L'importanza del campanile nella vita sociale e collettiva della società normanna del XII secolo, non solo melfitana, ma di tutto il contado gravitante intorno alla città, ci è confermata da un documento del 1175, redatto nella valle di Vitalba, in cui la misura di un terreno è fatta avendo come campione l'unità di misura effigiata sul campanile della Chiesa di Melfi.
Negli anni successivi, molto probabilmente in epoca sveva, il campanile viene arricchito all'ultimo piano di una corona di merli ghibellini che scompaiono dopo il terremoto del 1851.
La cella campanaria, posta all'ultimo piano, impreziosita sino al secolo scorso da campane del XIII secolo, spiccava fra queste quella fatta fondere dal vescovo Sinibaldo nel 1289, è oggi provvista di tre campane azionate elettricamente e di recente fattura.
La fusione e la continua osmosi fra chiesa e società è sottolineata nei secoli successivi da tutta una serie di eventi o fatti indicativi di tale stato di cose, così nel 1289 viene stipulata nel suo coro l'accordo fra il vescovo ed i sacerdoti in ordine agli alimenti spettanti nei vari periodi dell'anno ai membri del Capitolo o del collegio dei Canonici; al sostentamento della chiesa melfitana si provvede dai re angioini donando ai vescovi la decima dei jura bajulationis Melphie, mentre in occasione dell'assalto del Lautrec del 1528 i cittadini si rifugeranno proprio nella cattedrale per evitare la furia omicida dei soldati, per giungere infine al 1532 allorché proprio fra quelle mura verrà prestato il giuramento di fedeltà ad Andrea Doria nuovo feudatario del paese.
Della chiesa ruggeriana non è rimasto molto tranne l'impianto di base della costruzione. Nel corso dei secoli l'edificio originario subisce dei continui rifacimenti e riattamenti e per i numerosi eventi sismici e per la necessità di adeguare il manufatto ai mutamenti della spiritualità e della religiosità.
Lo scorrere degli anni vedrà alternarsi e susseguirsi normali interventi di manutenzione ad altri di ripensamento e ristrutturazione dell'edificio, così lavori vengono eseguiti sul campanile nel 1290 in occasione dell'installazione di una nuova campana -ad laudem Dei, et beatae Virginis Mariae contra aeris tempestates-, mentre nel 1373 Francesco di Stasio Portinari lascia nel suo testamento -... pro reparatione maioris ecclesie Melphiensis quindecim tarenos-, e ancora il vescovo Matteo Brumano in una relazione del 1592 afferma -....(nella chiesa) adsunt cappella, sive altaria xviij, habet praeterea sacristiam cum uno altari, et cum calicibus et paramentis mediocriter ornatam, sed non habet crucem argenteam neque candelabra argentea- a sottolineare l'incongruenza di scelte che avevano privilegiato il manufatto edilizio rispetto agli apparati religiosi, mentre nel 1606 il vescovo Placido della Marra sottolinea la necessità di continue manutenzioni -... ut ad debitum decorem brevi eam reduci posset-, ed il vescovo Diodato Scaglia rivendica a se il merito di aver dotato la Chiesa e la sacrestia di -... congruentibus vestibus, pretiosis paramentis auro contextis, caeterisque sacris suppellectilibus satis abundans- specificando in seguito di aver provveduto all'acquisto di suppellettili più consone ai tempi -... ea tamen auxi atque iuxta moderni temporis usum adaptavi-. Negli anni successivi il vescovo Luigi Branciforte rivendica il merito di aver creato il primo nucleo della cappella del Santissimo Sacramento e di aver dato sistemazione all'icona bizantina -... imaginem Deiparae in ara maxima collocata et in alio separato sacello nostris sumptibus aureo ornatu collocavimus. Sanctissimum ibidem sacramentum prope sacrarium, in quo ob frequentiam Ecclesiasticorum in eundo et redeundo, non debito honore venerabatur, in alio sacello remotiori, a parte Evangelii, eleganti pictura accomodavimus-(3).
Della chiesa originale resta l'impostazione di un edificio ibrido fra pianta a croce greca e croce latina, diviso in tre navate, con cappelle minori su entrambi i lati sporgenti dal corpo quasi a voler realizzare altre due navate che longitudinalmente si arrestavano all'altezza della crociera centrale reggente il tamburo del transetto. Molto probabilmente le cappelle laterali furono aggiunte al corpo dell'edificio in un secondo momento, fra il 1300 ed il 1500 allorché si sviluppa il senso ed il concetto della sepoltura privata familiare. L'ipotesi della costruzione basso medievale delle cappelle è corroborata dal fatto che le famiglie titolari - Pascuccio, Silvio, Di Stana, Carbonara - risultano o già scomparse dalla collettività melfitana nel XVI secolo o non avere più membri ricoprenti importanti incarichi pubblici laici od ecclesiastici.
Attualmente le dette cappelle, dopo il sisma del 1930, per motivi di stabilità, sono state abbattute o murate. Con questa operazione di consolidamento, le cappelle sul lato sinistro sporgevano dal corpo dell'edificio occultando i piani più bassi del campanile, si è accentuata la pianta a croce latina dell'immobile. Le cappelle laterali culminavano nella vecchia disposizione della chiesa sul lato sinistro con la cappella della Madonna di Costantinopoli e sul lato destro con la Cappella della Madonna del Rosario, a voler sottolineare, pur nella diversità del culto tributato ai vari aspetti della Vergine, l'unitarietà di una consacrazione e di un rapporto preferenziale fra collettività melfitana e Madre di Dio.
Delle vecchie cappelle resta attualmente la sola icona della Madonna di Costantinopoli, raffigurata secondo moduli pittorici di derivazione bizantina, pesantemente ritoccata agli inizi del '900, patronato della famiglia Bocdam di origine albanese insediatasi in Melfi alla metà del XV secolo, rappresentazione visiva della perfetta integrazione avvenuta fra abitanti autoctoni e nuove etnie.
Nel XVI secolo con i vescovi Rufino, Mario ed Alessandro, vengono compiuti ulteriori lavori di ristrutturazione che riguardano tutto l'edificio e di cui nel 1562 viene redatto un inventario:(4)
-In primis la ditta ecclesia è inchiancata de petre de taglio cioè una partita et lo resto mastricata con lo ordine delle sepulture de l'una banda et l'altra con li bodali delle sepulture de petre de taglio, una fonte de petra bianca gentile allo intrar della Ecclesia et l'altra fonte de lo Santo Battismo.
Lo altare maggiore reparato et posto in alto sopra li gradi de petra bianca con le colonne antique et cappello sopra dette colonne de marmoro, con una cona con le colonnette poste de oro, et soi quatri ...
Item nce appare la tribuna nuovamente fatta di retro detto altare ad lamia con lo choro nuovo con lo millesimo - e se dice 1557 - con tavole de nuce lavorate, fatto similmente in tempo de ditto Rev.mo Mons. Mario ... quale coro et dette segge de numero 74.
Item nge sonno duj archi grandi con le arme de casa Rufina fatti similmente in tempo de Monsignore Mario ...
Item in ditta Ecclesia sonno nelli soi lati tridici cappelle tutte ben provviste et ornate de panni de altare, tovaglie, campanelli et altre cose necessarie dove se celebrano le divine messe.
Item in ditta Ecclesia nge uno organo grande quale fo comprato ducati quattrocento et sessanta ducati per la conduttura.
Item una sacristia grande lamiata fatta in tempo de ditto Mons. Alessandro con preparatione de calce de farci uno paviglione grande.
Item intro detta Ecclesia nge è la Cappella del S.mo Corpo de Cristo quale sta bene reparata con doe cappelle de velluto nigro, et una de velluto verde et uno pallio de velluto carmosino con francie de oro et de seta carmosina et uno altro pallio de damasco frangiato con sei panni de altare...-
Il pregevole coro ligneo su due file di stalli è realizzato da Mastro Giorgio Albanese, come ci informa in una lettera il vescovo Mario Rufino, il cui stemma gentilizio è scolpito a rilievo sul trono vescovile, che scomparta simmetricamente l'ordine dei sedili, sovrastati sul lato destro da una citazione della prima Lettera ai Corinzi di San Paolo -Nam si orem lingua, mens autem mea sine fructu. Quid ergo? Orabo spiritu, orabo et mente: Psallam spiritu, psallam et mente-, sul lato sinistro da una citazione del biblico salmo 46 -Psallite deo nostro, Psallite. Psallite. Regi nostro psallite. Quoniam Rex omnis terrae Deus. Psallite sapienter-. I singoli stalli sono separati fra loro da braccioli e poggiamano a forma di testa di grifo, animale simbolicamente rappresentante la duplice natura divina ed umana di Cristo.
Nella sacrestia di nuova costruzione, accanto al coro, il vescovo Mario Rufino fece realizzare lungo tutte le pareti un rivestimento di armadi in noce, forniti in basso di una cassapanca, in numero di ventisei, corrispondenti al numero dei ventidue membri del Capitolo e delle quattro dignità, Cantore, Primicerio, Tesoriere e Vicecantore. Sulla parete di fondo a dividere la sequenza degli armadi vi è un grande bancone, supportante un armadio archivio, con portelli centrali e laterali, in cui venivano conservati i documenti riguardanti la vita e l'attività del Capitolo. Al centro della stanza un grande bancone rettangolare dotato di cassetti e pannelli in cui venivano riposti gli indumenti e le vesti necessarie per l'officiatura dei servizi religiosi.
Nella sacrestia si tenevano le riunioni convocate, ad sonum campanelli, del Capitolo e dei Presbiteri aspiranti all'ammissione, i cui servizi erano registrati su un'apposita tabella della Puntatura - ad ogni servizio prestato corrispondeva un certo numero di punti, non si veniva ammessi se negli otto anni di servizio non si fossero accumulati un minimo di punti - mentre il coro era riservato alle riunioni in cui era prevista la presenza del Vescovo.
La ricchezza e sontuosità di esecuzione dei lavori eseguiti vengono confermati dai pallii o arazzi utilizzati per rivestire le pareti della cappella del Santissimo e dalla dotazione di stoffe e panni di altare di cui la stessa cappella è fornita. Il rapporto ed il legame creato con la collettività melfitana viene ampiamente evidenziato, negli anni successivi, dalle continue donazioni e lasciti testamentari effettuati a favore della cappella - giungerà nel corso di alcuni secoli a disporre di un patrimonio immobiliare notevole - che non essendo riservata ad una singola famiglia era di fatto disponibile per la sepoltura di qualsiasi individuo.
I lavori investono la stessa torre campanaria di cui viene rifatta parte della decorazione cromatica di pietre laviche verdi, grigie e bianche decorative dei diversi piani -Item allo campanile nge è posto nel presente anno uno travo grosso per le campane et lo cappello de detto Campanile et reparato in tempo de detto Mons. Mario con li mattuni novi colorati de verde et mergoli de intorno detto campanile nel quale sono octo campane-.
Viene ristrutturata ed adeguata alle nuove esigenze anche la residenza del vescovo per la cui utilità e comodità vengono realizzati un giardino ed una cisterna per l'approvigionamento d'acqua -item allo Palazzo nge ha fatto una cisterna grande et uno giardino murato intorno in tempo de ditto Mons Mario...- dando corpo ad un edificio notevole di cui i contemporanei celebrano la grandezza
-Ha un palazzo assai superbo e non vi è forse altro vescovo in regno che ne goda uno pari-.
Alla fine del XVII secolo il tremendo terremoto del 1694 provoca danni enormi alle strutture dell'edificio tanto da rendere necessari nei decenni successivi dapprima dei semplici lavori di riparazione e consolidamento, indi, con l'arrivo del vescovo Antonio Spinelli un totale ripensamento per adeguare la chiesa alle nuove esigenze della spiritualità barocca e della riforma cattolica, e l'episcopio alle nuove esigenze di affermazione del sacro e del religioso nella società attraverso la proiezione di un'immagine di fastosità e potere.
I primi lavori vengono eseguiti al volgere del secolo ristrutturando, nel 1700, l'altare della Madonna del Rosario, che - edificato dal vescovo Alessandro Rufino verso il 1563 ed abbellito da una statua della Vergine vestita di preziose stoffe - viene arricchito con stucchi, marmi e colonne tortili.
Negli anni successivi si provvede a ricostruire tutta la chiesa sottoponendo il tempio ad una radicale revisione. I lavori finanziati con fondi personali del vescovo Antonio Maria Spinelli durano circa un decennio e portano alla costruzione dell'attuale edificio in cui della precedente realtà sono conservati il prestigioso campanile, gli archi in pietra viva del transetto e del tamburo della cupola ottagonale, e lo schema laterale delle cappelle gentilizie. La chiesa viene adeguata ai canoni della religiosità barocca realizzando un profluvio di stucchi, colonne tortili, marmi, decorazioni, tele ed affreschi tese alla glorificazione del Signore attraverso la celebrazione delle storie bibliche e delle storie dei santi, ed all'affermazione dei fasti della Chiesa trionfante (5) .
La navata centrale viene totalmente rifatta creando un soffitto a cassettoni con intarsi e sbalzi in legno decorato e colorato con oro -chimiento- ossia la miscela di piombo ed arsenico con cui le maestranze napoletane del '600 e '700 creavano l'effetto pittorico dell'oro. All'ultimo pilastro della navata, rivolto verso l'interno, viene ancorato un pulpito in legno dorato con cuspide sorretta da due angeli, mentre i pannelli di base sono decorati lateralmente con vasi e fiori dorati, ed al centro l'acronimo A.S.V.D.M. (Antonio Spinelli vescovo di Melfi) realizzato intrecciando le varie iniziali. La base del pulpito porta le sculture lignee dorate dei simboli dei quattro evangelisti, angelo per Matteo, leone per Marco, aquila per Giovanni e toro per Luca. Immediatamente al di sotto del soffitto il pittore Andrea Miglionico, uno dei pittori più interessanti della scuola seicentesca napoletana, realizza otto tele con storie bibliche: Mosé strappa la corona al faraone, Punizione di Core, Adorazione del vitello d'oro, Rientro degli esploratori da Canaan, Gli Israeliti assaliti da serpenti velenosi, Gioele uccide Sisara, Mosé fa scaturire l'acqua dalla roccia, Giuditta decapita Oloferne, mentre ad un livello inferiore, immediatamente sopra i pilastri, vi sono i ritratti realizzati, presumibilmente all'epoca del vescovo Teodoro Basta, metà del '700, dei pontefici che hanno tenuto i concili a Melfi: Niccolo II nel 1059, Alessandro II nel 1067, Urbano II nel 1089, Pasquale II nel 1101 ed Innocenzo II nel 1137.
Nella navata destra si succedevano originariamente dall'ingresso verso l'altare la cappella di san Gregorio, ora trasformata in ufficio parrocchiale, la cappella di san Giovanni Battista ed Evangelista, ora trasformata in battistero e dotata di un notevole fonte battesimale in granito rosso con sportelli in legno intarsiato riproducenti il battesimo di Cristo, cappella della madonna di Nazareth in cui su un altare settecentesco di marmi policromi è conservata la miracolosa icona bizantina, a cui il vescovo Mondilla Orsini nel 1727 attribuisce una sua inspiegabile guarigione, cappella della Vestizione abbellita di un trono ligneo nero filettato in oro ed infine cappella del Santissimo Sacramento. Nata originariamente come cappella dell'Immacolata, la cui statua lignea era conservata nella nicchia centrale, venne rivestita con tipico gusto settecentesco di stucchi e marmi policromi e solo nel 1906, grazie ai lavori effettuati da Mons. Camassa venne riportato alla luce il pregevole rinascimentale arco d'ingresso.
Sulla volta è affrescata una Vergine con ostensorio, avente ai propri piedi una colomba, raffigurazione dello Spirito Santo, e sul capo lo stemma dello Spinelli, mentre le pareti sono decorate con pannelli lignei, stucchi e volute. Nella cappella, indice di un diverso rapporto creato col potere laico sono presenti le tombe di Nicola Maria Gamba, governatore di Melfi per conto dei Doria negli anni 1746-1748, e di Carlo Luigi Cella figlio ventunenne di Francesco Cella, governatore negli anni 1763-1768. Le due tumulazioni ci rendono edotti del superamento con i vescovi Della Gatta e Basta di tutte le controversie che per secoli avevano contrapposto il potere religioso e civile in Melfi.
Accanto alla cappella vi è l'altare di Santo Alessandro, il cui corpo, portato in Melfi dal vescovo Diodato Scaglia, nel 1626, è stato racchiuso in un busto ligneo ed esposto con molte altre reliquie di santi, un cui primo inventario completo troviamo negli atti del Sinodo del vescovo Mondilla Orsini nel 1726.
La necessità della presenza effettiva di tanti segni della divinità e santità, della moltiplicazione delle reliquie dei santi, invocati per la tutela e difesa della città in cui sono conservate, porta il vescovo Pasquale Teodoro Basta, nel 1752, a prelevare dalle catacombe di Santa Priscilla in Roma, il corpo di san Teodoro ed a trasferirlo in Melfi, -Retroscrip tam urnam ligneam ex anteriori parte cristallis compactam, et deauratam, continentem sacrum corpus Sancti Theodori Martirj, forma stonologica compositam, ac inductam cum vaso vitreo sanguine asperso, ad Nos ex urne transmissa, funiculo serico seu vitta rubri coloris in forma crucis diagonalis seu trasversalis bene colligata... reverenter collocavimus et portis ligneis cum duobus seris et clavibus clausimus, presentis etiam Ill.mo ac Rev.mo D.no Nicolao Amato, Ep.o Laquedonia, plerisque de Clero cum ingenti Populo- (6) . Il corpo del taumaturgo viene inumato in una nicchia scavata nella parte posteriore del nuovo altare - policromo di marmi, ricco di volute e putti fatto erigere, alla bisogna nello stesso anno, dal vescovo
Basta - elevato su quattro gradini con al centro un paliotto con grata di marmo attraverso cui è possibile vedere il corpo del Santo.
L'altare delimita con la sua mole la parte settentrionale del presbiterio, chiuso tutto intorno da una balaustra di marmi policromi e colonnine riportanti lo stemma dello Spinelli, ed isola tangibilmente un ideale sancta sanctorum a cui possono avere accesso i soli chierici, come ci ricorda una pronuncia della Camera Apostolica con il breve -non habet locus in presbiterio-, in cui si vietava ai governatori dei Doria il diritto di avere una sedia od un inginocchiatoio nell'area riservata alla celebrazione del sacrificio della messa (7) . All'interno dell'area Mons. Spinelli edifica il trono episcopale, sormontato da una tiara con delle gemme e con il suo stemma scolpito a bassorilievo.
Tutto nella nuova chiesa deve contribuire non solo a celebrare la gloria divina, ma meravigliando e stupendo il devoto a consacrare l'autorità, la potenza e la gloria della chiesa terrena.
Rientra in questa prospettiva la sostituzione del vecchio organo con uno nuovo a canne azionate da mantici manuali, la cui mole chiude in alto, alle spalle e sopra l'altare, la prospettiva della navata centrale. Il trionfo visivo viene sottolineato ricoprendo lo strumento con stucchi e dorature portanti al centro lo stemma della famiglia Spinelli. Allo stato attuale della ricerca, non sappiamo il nome del costruttore né la data o l'epoca precisa dell'installazione, sappiamo però che lo Spinelli, particolarmente orgoglioso di tale realizzazione, approssimandosi alla morte volle che la manutenzione dello strumento avesse fra i suoi responsabili, perennemente, il Mag.co Giuseppe Antonio Binda, valletto di camera durante tutto il suo cursus honorum, ed i discendenti di questi. Il rispetto di tale volontà è riaffermata nei secoli successivi, se nel 1849 la perizia dei lavori necessari alla ristrutturazione e restauro dello strumento è firmata dall'organista Don Giuseppe Antonio Binda, omonimo dell'amministratore settecentesco.
Il soffitto del coro e dell'organo vengono affrescati sempre dal Miglionico con quattro trionfi in altrettanti scomparti separati fra loro da figure di angeli, Il trionfo di San Gennaro, patrono del Regno di Napoli, Il trionfo dell'Assunta cui è dedicata la chiesa, il Trionfo di Sant'Antonio di Padova, oggetto di particolare venerazione nel paese, ed il Trionfo di Sant'Alessandro patrono del paese.
La navata sinistra aveva anticamente le cappelle delle famiglie Silvio, Carbonara e Di Stana tutte abbattute nel corso dei secoli per una migliore fruizione e staticità dell'immobile.
Durante attenti lavori eseguiti nel 1906 dal vescovo Camassa nella cappella della famiglia Silvio vennero alla luce alcuni affreschi rappresentanti l'Addolorata e San Giovanni Battista, coperto in parte dalla figura di San Francesco eseguita però soltanto, come risulta da documenti di archivio, nel XVII secolo.
Nella cappella adiacente delimitata da un arcosolio viene ospitato subito dopo Pasqua, e fino alla festa della Trinità un pregevole crocifisso proveniente dal soppresso locale Convento di Ognissanti, passato nel convento dei Cappuccini e fulcro dopo questa traslazione di una duplice processione penitenziale sull'itinerario dalla Cattedrale al monte Tabor o colle dei Cappuccini. Le antiche cappelle Di Stana e Pascuccio, o dello Spirito Santo, vengono abbattute dopo il terremoto del 1930, in un'ottica di sicurezza di tutto il manufatto e di migliore visibilità del campanile. Sulla porta laterale, realizzata probabilmente all'epoca dei Caracciolo, feudatari di Melfi, dal 1416 al 1528, come attesta il simbolo del giglio in pietra bianca alla base degli stipiti, vengono affisse, due formelle - angelo annunciante e reggente un giglio, all'esterno, e Vergine Annuziata, con libro e colomba, all'interno - provenienti dal vicino caduto Convento di Sant'Agostino.
Su ambedue le navate vi sono lapidi commemorative di fatti od eventi verificatisi fra le mura del tempio, o di uomini che hanno ben meritato, così a sinistra troviamo le lapidi dei vescovi Giacomo Raimondo (Aprile 1644-Agosto 1644), Luca Antonio Gatta (1737-1747) e Pasquale Teodoro Basta (1748-1765), mentre sulla destra abbiamo le lapidi commemorative dei lavori fatti eseguire dai vescovi Camassa nel 1906, Petroni nel 1938 e la lapide con cui si ricorda il riconoscimento di Basilica minore alla Cattedrale di Melfi, nel 1958, da parte di papa Pio XII.
All'inizio delle due navate abbiamo sul lato sinistro la raffigurazione su tela del martirio di santo Alessandro; sul lato destro il Martirio di San Bartolomeo, richiama il vincolo verso un santo taumaturgo nei confronti delle epidemie, ed il cui culto era talmente sentito nel paese da fargli intitolare il monastero, di patronato civico, delle locali Clarisse, unendo idealmente le figure ed i destini dell'antico e nuovo patrono della città, mentre la porta centrale è sovrastata da una grande rappresentazione dell'Ultima Cena.
Lo Spinelli provvede anche alla ristrutturazione dell'Episcopio, quale era stato realizzato nel XVI secolo dal vescovo Rufino, avviando dei lavori che verranno portati a termine solo dal successivo vescovo Basta, nel 1756, come ci avverte la lapide posta sull'ingresso centrale dell'edificio. Grazie ai lavori eseguiti, nell'arco di un trentennio, dai mastri Agostino Bonacera e Antonio Preziuso, viene realizzato un maestoso edificio prospiciente con la sua mole sull'intera piazza, il cui ingresso principale porticato con due semplici colonne, sostituisce il piccolo collegamento murario esistente nel vecchio immobile fra il corpo della Cattedrale e l'Episcopio. Tale collegamento viene ulteriormente monumentalizzato con la creazione di un vasto cortile interno da cui attraverso un barocco e scenografico scalone si accede agli appartamenti vescovili. Salendo lo scalone sul lato sinistro vengono realizzati, ad opera del vescovo Basta, gli ambienti di rappresentanza ossia un grande salone in cui sono raffigurati su una cornice corrente tutto intorno gli stemmi dei vescovi succedutisi sulla cattedra vescovile di Melfi. Ogni stemma è corredato di un cartiglio con alcune sommarie notizie - ispirate o tratte dall'opera -Italia Sacra- pubblicata dall'Ughelli in quel torno di tempo - sulla figura del presule. Segue un più piccolo salone in cui sono raffigurati gli stemmi dei vescovi di Rapolla prima dell'unione delle due diocesi, 1528, nella figura del vescovo fiorentino Giannotto Pucci. Seguono altre sale decorate con storie bibliche e figure allegoriche delle virtù cardinali e teologali sfocianti in altri due ambienti notevoli: il primo è la cappella privata dei vescovi, realizzata dal vescovo Mondilla Orsini nel 1725 ed inaugurata il 10 Agosto dello stesso anno a sancire il legame con la collettività melfitana che, nella festività di San Lorenzo, eleggeva ogni anno il proprio sindaco. Il secondo è la sala del trono eseguita all'epoca dello Spinelli, come attesta un cartiglio con la data 1720, e caratterizzata da un intensa e pesante decorazione di cariatidi e telamoni e la raffigurazione di un corteo di vescovi, diversamente atteggiati. Nella sala è custodito il trono in legno finemente intarsiato e lavorato fatto eseguire sempre dallo Spinelli come ci conferma l'aquila che lo decora.
L'esecuzione del lavoro richiese un notevole impegno finanziario della diocesi e dei vari vescovi succedutisi, se i lavori iniziati dallo Spinelli non erano ancora conclusi col vescovo Basta anzi a giudicare dai documenti pervenutici nel 1755 fu necessario richiedere l'autorizzazione della Santa Sede per contrarre un mutuo di circa 10.000 ducati, rivelatisi ben presto insufficienti se fu necessario negli anni seguenti contrarre altri due mutui di 3000 ducati. Dalle stime e perizie giurate conosciamo i nomi degli esecutori dei lavori, Domenico Bonacera e Nicola Marinario mastri muratori, i fratelli Felice e Libero Antonio Troisi mastri carpentieri, e sappiamo anche quale fosse la situazione e lo stato dei lavori -... il Palazzo Vescovile suddetto che è magnifico e di molta ampiezza, essendo stato di nuovo fabricato dal fu Mons. Spinelli non fu dal medesimo, prevenuto dalla morte, condotto a fine, si vede perciò in quello un quarto, o sia appartamento elevato fino al primo piano, le cui volte restano tuttavia scoverte, onde essendo esposte all'inclemenza del cielo, e particolarmente alla ne ve sono in pericolo di marcire... il portone maggiore parimente è rimasto imperfetto, mancandovi le colonne gli archi che devono essere di pietra lavorata e la ringhiera di ferro... vi manca poi affatto la cisterna... la sala maggiore pure ha bisogno del soffitto, o sia intempiatura, e del pavimento... il Palazzo poi, tanto al di fuori, quanto al di dentro, ne Cortili e nella Scala è rimasto alla rustica e sarebbe non solo decente ma anche utile e necessario di intonacarsi, a fine di conservare dall'inclemenza del cielo le pareti-(8) .
L'autorizzazione viene concessa, è possibile portare a termine i lavori per cui nell'arco di alcuni anni tra il 1754 ed il 1760 la costruzione avviata dallo Spinelli sotto l'attenta guida e vigilanza del vescovo Basta viene sollecitamente compiuta. Negli anni successivi si provvederà a sistemare gli arredi sacri e la dotazione di suppellettili ed utensili necessari alla vita non solo quotidiana ma anche e soprattutto culturale ed intellettuale dei sacerdoti melfitani. Nel 1756 vengono realizzate le cisterne per garantire l'approvigionamento dell'acqua. Nel 1765 viene organizzata e sistemata nelle nuove sale la notevole Biblioteca Vescovile, che avviata con un fondo librario pervenuto dalla eredità di Pompilio Cerrone, nel 1603, era stata incrementata con ulteriori cospicui acquisti fatti da librai napoletani e romani, e con donazioni e lasciti dei vari chierici. Nel 1778 vengono sistemate le collezioni di arredi sacri e degli argenti di cui la chiesa è ricca dettando da parte del vescovo de Vicariis un regolamento per la conservazione e tutela di tutto ciò che la chiesa melfitana aveva ricevuto dai fedeli od acquistato in proprio.
Contestualmente alle vicissitudini edilizie del manufatto si svolgevano le vicende sociali e religiose della chiesa di Melfi, per cui alla scansione temporale della realizzazione della struttura si accompagnava la scansione della costruzione spirituale della vita dei fedeli con la celebrazione di sinodi in cui vengono diffusi e portati ai laici quanto era stato deciso nel concilio di Trento o nei sinodi tenuti dai vari pontefici, così l'attività edilizia seicentesca è accompagnata dalla celebrazione dei sinodi del vescovo Lazzaro Carafino nel 1624, di Diodato Scaglia nel 1635, di Luigi Branciforte nel 1660 mentre la ricostruzione ad opera dello Spinelli è sanzionata dal Sinodo di Mondilla Orsini nel 1725, ad affermare coi fatti la necessità nella fabbrica di una società cristiana di un intervento edificatorio e materiale e spirituale.

Note

1) EUGENIO CIASCA, Terre comuni ed usi civici nel territorio di Melfi (1027-1738), Roma 1958.
2) GENNARO ARANEO, Notizie storiche della città di Melfi nell'antico reame di Napoli, Firenze, 1866, (rist, anast., Milano 1978).
3) Archivio segreto Vaticano, Relationes ad limina ecclesiae Melphiensis.
4) Archivio di Stato Potenza, Distretto di Melfi, I versamento, Notar Antonello Cassandra, fascio 58, c. 180r-180v.
5) MASSIMILIANO AMOROSO, La Basilica Cattedrale ed il Campanile di Melfi, Melfi, 1994.
6) Archivio di Stato Potenza, Distretto di Melfi, I versamento, Notar Michelangelo Bianco, fascio 1696, cc. 213r-214r.
7) PIER BATTISTA ARDOINI, Descrizione del Stato di Melfi, a cura di Enzo Navazio, Melfi, 1980.
8) Archivio Vescovile di Melfi, Fasci della Mensa Vescovile (ancora in fase di sistemazione e catalogazione)

Autore: Testo di Enzo Navazio - tratto da -BASILICATA REGIONE Notizie, 1999

 

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