INDICE

Avanti >>

.

PITTURE RUPESTRI DELLA CHIESA DI S. MARGHERITA A MELFI

In S. Margherita's church in Melfi a series of paintings made between the end of XIII century and the beginning of the following one, gives evidence of a huge variety of trends.
Some images reproduce Bizantin e figures belonging to the Southern rocky painting, others show influences of the Western miniaturistic painting.
It is possible to compare the paintings of the chapel of Melfi with those of several Western geographical areas; there are, indeed, paintings connected to some trends which are repre-sentative of both Holy Land and Catalogna, and Italy, including Campania, Puglia and the area of Matera.

Si deve tener presente che il Vulture, posto al confine tra Lucania longobardica, Lucania bizantina e Katapanato pugliese, oscillò sempre in un equilibrio assai instabile, proprio per la sua particolare situazione geografica, tra l'influenza amministrativa ed economica ora salernitana ora bizantina. Inoltre i Normanni -e si pensi alla politica religiosa di appoggio alla Chiesa occidentale da loro perseguita- partirono proprio da Melfi, occupata sin dal 1041, per la conquista dell'Italia meridionale.
Quanto alle testimonianze artistiche, queste presentano una duplicità di interpretazione, dove i due poli del problema, Oriente ed Occidente, coesistono e si sovrappongono.
Nella chiesa rupestre di S. Margherita presso Melfi, ad esempio, che pure è la più organica dal punto di vista strutturale delle numerose cripte della zona del Vulture, si può rilevare nella decorazione parietale una molteplicità di orientamenti culturali tali da rendere questo ciclo di affreschi un -campione- significativo della situazione artistica dell'alta Basilicata tra Duecento e Trecento.
Gli affreschi ricoprono tutte le pareti, tranne le cappelle vicine alla zona absidale. I santi che compaiono nei vari riquadri non appartengono ad un'unica tradizione culturale, ma si mescolano santi di origine orientale ed occidentale.
Il culto del S. Michele - raffigurato in due zone distinte della cripta - era assai diffuso in questa zona, come dimostra la presenza dell'abbazia a lui dedicata a Monticchio, sulle pendici opposte del Vulture. Le due figure del S. Michele sono iconograficamente simili e rimandano a consueti stilemi bizantini.
La Madonna con bambino - posta nella prima cappella a sinistra della cripta - ha un aspetto tanto ampio e compatto, da sembrare quasi soffocata nei ristretti limiti del riquadro. Sottolinea questa impressione di soli-dità anche la forma rotonda del volto della Vergine, innestato sul busto quasi sen-za soluzione di continuità, dal momento che il collo si riduce ad un accenno minimo. Si tratta di un linguaggio, pur nell'adozione di alcuni modi bizantini assai diffusi, che non soltanto è lontano da quello della più raffinata Madonna in trono della vicina cripta di S. Lucia sempre a Melfi, ma che non trova precisi termini di confronto con altri esempi della pittura rupestre pugliese e lucana: l'accentuata volumetria, la ricerca di modi espressivamente significativi, certe cadenze dialettali farebbero pensare a lontani ricordi campani, la cui infiltrazione nel Vulture po-trebbe essere stata favorita dai rapporti politici ed economici tra le due zone.
Il S. Giovanni Battista e il Cristo in trono, caratterizzati dalle sinuose lumeggiature rossastre delle guance e dalle grosse linee scure distanziate dei capelli, si avvicinano ad una tipologia presente in area materana: si veda, ad esempio, il S. Giovanni minore nella cripta di S. Giovanni in Monterrone a Matera, datato tra la fine del XIII sec. e l'inizio del XIV.
Il S. Basilio in abito epi-scopale - raffigurato nell'intradosso dell'arcone absidale - è identico non solo iconograficamente, ma anche stilisticamente ad un S. Basilio della cripta di S. Vito Vecchio a Gravina. Il Weitz-mann (1) confronta l'affresco di Gravina con la produzione di un pittore individuato come -the Master of the Knights Templars- e giunge ad identificare questo maestro come di origine italiana meridionale e a datare la sua opera intorno al 1280.
Il confronto fatto dal Weitzmann può essere ora allargato -non nel senso di attribuzione alla stessa mano, ma soltanto come indicazione cronologica e come appartenenza ad uno stesso orientamento culturale - anche all'affresco melfitano di S. Basilio, tanto più che nel vicino S. Nicola - sull'archivolto absidale - compaiono altri elementi che sono caratteristici sempre delle icone del Regno dei Crociati analizzate dal critico tedesco. Il S. Nicola è inscritto in un'edicola dipinta, formata da un'arcata decorata a palmette e retta da colonnine esili e capitelli ornati, e il manto del santo è cosparso di quella decorazione a puntini disposti a grappolo, che è quasi una sigla del Maestro dell'Ordine dei Templari.
Tra gli affreschi della parete di fondo della cappella absidale, nel S. Pietro si evidenziano formule iconografiche e stilemi bizantini, ma ormai ripetuti come puri manierismi e con mano a volte goffa: si vedano il panneggio mosso e concitato, le grandi orecchie e le ciocche dei capelli trattati in maniera sommaria, lontana dai modelli più raffinati ancora ricordati nel bell'esempio del S. Pietro della cripta di S. Margherita a Mottola.
Una mano ancora una volta popolareggiante si rileva nel Cristo Pantocratore della volta della cappella absidale, caratterizzato dalle forme gonfie del busto e del volto, dalla bocca con le labbra stirate e il naso informe.
Nell'affresco di S. Margherita, posto al di sopra dell'altare principale, e in quello di S. Lucia e S. Caterina - sulla piccola parete che divide le due cappelle di sinistra - si innestano alcune suggestioni di gusto nordico su un tessuto formale e tematico sostanzialmente orientale (iconicità e stilizzazione delle figure appiattite, ricca decorazione delle vesti con motivi cerchiati, secondo modi già largamente diffusi nella pittura rupestre meridionale). I volti delle due sante tendono ora a diventare di un ovale aguzzo e le manche allungate di S. Caterina si fanno a punta, come in una identica figura di S. Marina, dallo stesso abito regale, in S. Lucia alla Gravina di Matera. L'acconciatura di S. Margherita, inoltre, trova termini di confronto solo nella moda che si diffuse in Francia dal XII sec. in poi.
Una chiara impronta gotica è individuabile anche nelle esili figurette a volte quasi nastriformi delle Storie di S. Margherita disposte in due fasce laterali attorno alla santa raffigurata al di sopra dell'altare centrale; ed a questa componente d'oltralpe si intrecciano elementi di assai probabile de-rivazione miniaturistica, quali la trattazione scattante e rapida della forma e la vivacità narrativa con forti accenti dialettali che anima la patina bizantina degli episodi della vita della Santa. Tali elementi sono ri-scontrabili anche in un gruppo di opere pugliesi della seconda metà del XIII sec., già accostate ai prodotti miniati manfrediani e ad alcuni rotoli tardi come l'Exultet II di Troia (2) . Una datazione delle Storiette melfitane più precisamente alla fine del '200 è del resto confermata dalle strette affinità tra queste figure riassunte nella sola linea di contorno e le identiche soluzioni grafiche dei personaggi delle Storie di S. Lucia nell'omonima cripta sempre nei pressi di Melfi, datate da un'iscrizione al 1292.
Nelle scene della vita di S. Margherita alla sommarietà dell'esecuzione e alla ingenuità compositiva si affiancano, comunque, soluzioni inconsuete rispetto alle opere prima citate, come lo scorcio interessante degli angeli dell'ultimo riquadro ed alcune forzature che potrebbero quasi definirsi espressioniste (si vedano le due guardie dalle bocche aperte e dagli occhi spalancati del secondo scomparto di sinistra) e che non sono comuni neppure nelle raffigurazioni delle cripte meridionali.
Influssi ormai consapevolmente occidentali, anche se con la consueta presentazione iconica delle figure, caratterizzano il gruppo delle due Sante - di cui una è S. Orsola- raffigurate sulla parete sinistra della cappella principale, che pertanto possono essere datate ad un momento inoltrato del '300. Il Manto di S. Orsola crea un goticissimo nodo di pieghe falcate ed entrambe le sante si svincolano dalla rigida frontalità bizantina nel movimento delle teste viste di trequarti e dotate di notevole senso plastico, soprattutto nella martire di destra, dai lineamenti minutamente descritti.
Elementi ancor più nuovi e di diversa estrazione culturale compaiono nelle scene dei tre Martiri - di S. Andrea, S. Stefano e S. Lorenzo - poste sulle pareti di sinistra della cripta. Tali scene vengono così ad assumere, tra i vari affreschi, una posizione cardine nello sviluppo - da non intendersi cronologicamente - di un linguaggio che si spoglia gradualmente delle reminiscenze bizantine e che sfocia nel Contrasto dei vivi e dei morti, il momento più maturo e consapevole di questa ricerca.
Nel Martirio di S. Andrea il santo, con una grande barba irsuta sproporzionata rispetto alle dimensioni del corpo, è legato al tronco di un albero da due carnefici, la cui mobilità nei gesti (posizione a trequarti del corpo) e nei particolari descrittivi (gambe arcuate, cappuccio a punta) contrasta con la durezza legnosa del martire. Interessante è l'effetto cromatico, tra i più belli degli affreschi della cripta, per la nettezza dei colori piatti e senza ombreggiature e soprattutto per il contrasto tra le tinte assai cariche del fondo (diviso in due precise zone: nero e giallo ocra) e degli aguzzini (rosso mattone delle tuniche, nero delle calze) e il bianco uniforme e luminoso della corta tunica di Andrea.
L'iconografia della scena è estranea all'arte italiana del tempo e risulta vicinissima a miniature germaniche del XIII sec., ad esempio il Martirio di S. Andrea presente al foglio 126 (verso) del Codice Vat. Ross. n. 181. Diffusa, invece, in area italiana, sia nella pittura monumentale sia in quella miniata, è la scena del S. Lorenzo arso su una graticola, anche se inconsueta rispetto a questa iconografia e non chiaramente identificabile è, nel riquadro melfitano, la figura del vecchio che, con il capo rivolto verso il sovrano incoronato - probabilmente l'imperatore Valeriano che ordinò il martirio - accenna con la mano destra al santo.
Complessa è l'interpretazione del tema del Contrasto dei vivi e dei morti - la denominazione di -Trionfo della morte- usata da alcuni critici è più esatta se riferita alle versioni tarde di questo motivo- che, nell'iconografia presente a Melfi, compare anche in area abruzzese (affresco nell'abside più an-tica del Duomo di Atri, decennio 1240-1250) e laziale (a Poggio Mirteto e a Montefiascone, inizio del '300), pur con alcune varianti all'interno dello schema generale.
Quanto all'origine del tema, esso è da rintracciarsi in area buddistico-persiano-islamica e la sua diffusione fu mediata in ambiente italiano o dai francescani, che avevano un loro centro a Pechino -secondo le conclusioni del Baltrusaitis (3)- o, come dimostra ampiamente il Bologna(4) , dai rapporti tra la corte di Federico II e il mondo culturale arabo, anche con quel movimento ascetico musulmano cosiddetto -sufita-, in cui confluirono specifici elementi buddisti.
Importante è sottolineare che, quando questo tema di origine orientale si diffuse nella pittura dell'Occidente - e le sue prime redazioni sono realizzate in zone sottoposte al potere politico svevo- comparve in un'accezione particolare: al momento di riflessione mistica si unisce un'indagine obiet-tiva degli scheletri e dei vivi, indagine che denuncia quello spirito realistico, quel senso positivo della vita propri degli ambienti federiciani.
Per il gruppo di affreschi di Melfi dei Martirii e del Contrasto, il Bologna propone tutta una serie di confronti con affreschi duecenteschi della Spagna del nord. Giungendo a postulare un diretto intervento nella cripta di un -maestro non solo informato delle cose di Catalogna e di Maiorca, ma formatosi in quelle terre poco dopo la metà del sec. XIII-, il critico specifica: -non v'è chi non vede come una simile conclusione sia resa possibile solo dai viaggi catalani di Carlo lo Zoppo, in quale dunque poté portare con sé dai luoghi della sua prigionia addirittura le persone fisiche i maestri che l'avevano nteressato. In ogni caso, e vie che menarono al Principato i Salerno da Barcellona, da Palma di Maiorca, da Perpignano erano ben aperte verso il 1285-90 e questa del 1290 mi pare la data più giusta per gli affreschi di Melfi.-(5).
La datazione sostenuta dal Bologna è formulata forse in maniera troppo categorica, ma è comunque indicativa, anche se probabilmente l'esecuzione di questi affreschi potrebbe spostarsi all'inizio del XIV sec., quando, come lo stesso studioso nota, i rapporti tra il Vulture e la Catalogna si fecero più stretti e specifici rispetto al momento della prigionia di Carlo lo Zoppo: si pensi ai larghi favori concessi alla diocesi di Rapolla dalla regina Sancia (nata a Palma di Maiorca e presente a Napoli dal 1304) e soprattutto all'assunzione, all'inizio del '300, di due catalani nelle cariche di Vescovo di Rapolla e di Abate del Monastero di S. Michele a Monticchio.
* * *
Gli elementi desunti dall'analisi delle singole raffi-gurazioni della chiesa di S. Margherita non permettono né di giungere a risposte definitive circa la datazione degli affreschi né di distinguere una base stilistica unitaria o comunque un gusto nettamente predominante; confermano anzi la pluralità di indirizzi e la fluidità di attribuzione cronologica di questo filone della pittura meridionale.
Si possono a grosse linee individuare due direttrici di fondo: una sostanziale adesione a modi di origine orientale con evidente carattere -ripetitivo- e l'acquisizione di elementi di rinnovamento in senso occidentale, sviluppatisi o dall'interno - con trasposizioni popolareggianti delle formule bizantine, che ne risultano così vivificate- o, in maniera più sensibile, sotto l'influsso di esperienze della pittura subdiviale romanica e gotica.
Questo schema generale, però, si sfaccetta poi in una casistica abbastanza varia e minuta: raffigurazioni che, a parte la qualità dell'esecu-zione, conservano in maniera più pura gli schemi bizantini ed altri che su questa struttura orientale innestano segni, sia pur non determinanti per la configurazione globale dell'immagine, di gusto nordico; si distinguono ancora affreschi, che senza alcun dubbio sono dovuti a stanchi artefici locali - il Panto-cratore o il S. Pietro ad esempio - ed altri collegati a correnti figurative di più vasto raggio, dalla Terra Santa alla Catalogna ed all'arte sveva.
Si tratta di un quadro assai articolato, reso ancor più complesso nella cripta melfitana rispetto alle pit-ture rupestri di altre regioni meridionali, dal confluire, come si è visto, di suggestioni campane da una parte, pugliesi e materane dall'altra. Inesatta sarebbe quindi un'analisi che non sottolineasse come nel Vulture il precoce apporto occidentale sia stato decisivo per l'impostazione di alcuni episodi figurativi nuovi, ma sarebbe altrettanto antistorico - anche sulla base dei dati toponomastici della zona - sminuire la vastità dell'incidenza orientale nell'area melfitana o eliminare ogni problema critico rispetto alle manifestazioni artistiche della cripta più vicine al gusto orientale, definendole solo come -opere pugliesi ritardatarie e dal consueto accento bizantineggiante.-(6).
Al di là di queste annotazioni generali, non è possibile però indicare, tra le varie soluzioni adottate in S. Margherita, una successione cronologica che indichi uno sviluppo lineare e univoco dalle formule bizantine verso esiti occidentali; le datazioni proposte in via di ipotesi per raffigurazioni così diverse fra loro, come il S. Giovanni Battista e il Cristo in trono, S. Basilio e S. Nicola, le Storie di S. Mar-gherita ed infine il gruppo dei Martirii e del Contrasto, sembrano indicare anzi una compresenza di entrambe le due forme di cultura fondamentali testimoniate nella chiesa di S. Margherita, più o meno -sfalsate- in un arco di tempo non precisabile tra gli ultimi decenni del XIII sec. e l'inizio del successivo.
Questa visione riassuntiva del clima artistico docu-mentato nel Vulture porta quindi a sfatare il concetto di un'arte ipogea del tutto conservatrice e chiusa in se stessa ed inoltre, specificatamente per la zona dell'alta Basilicata, a sottoporre a revisione -sulla base delle relazioni iconografiche e stilistiche istituite tra le figurazioni melfitane e quelle del Materano e della Puglia - la tesi di una posizione isolata delle cripte vulturine, quasi -genere a sé- nel contesto delle chiese rupestri meridionali.

Note

* Per accordo con l'autore, si ripubblica, in forma ridotta, un articolo già pubblicato in -Mélanges de l'Ecole Française de Roma. Moyen Age, Temps Modernes-, t. 85, 1973, pp. 547-585.
1) K. WEITZMANN, Icon Painting in the Crusader Kingdom, in -Dumbarton Oaks Papers-, 20 (1966), pp. 51-83.
2) Cfr. Mostra dell'Arte in Puglia dal Tardo Antico al Rococò, catalogo della mostra, a cura di M. D'Elia, Pinacoteca Provinciale, Bari, 1964, pp. 26-28, figg. 30-31.
3) J. BALTRUSAITIS, Le Moyen-Age fantastique. Antiquités et exotisme dans l'Art Gothique, Paris,1955, p. 247.
4) F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, e un riesame dell'arte nell'età federiciana, Roma, 1969, pp. 44-47.
5) IBIDEM, p. 62.
6) IBIDEM, p. 61.

Autore: Testo di Pia Vivarelli - tratto da -BASILICATA REGIONE Notizie, 1999

 

[ Home ]  [Scrivici]