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Vicende Storiche del Castello di Melfi - da -la Basilicata nel Mondo- (1924-1927)

Melfi è senza dubbio una delle più belle cittadine della Basilicata e giace in una località amenissima con magnifico orizzonte. E situata quasi al pendio di una collina sulla cui sommità si eleva maestoso ed imponente 1’antico e storico castello. Ottima l’aria, eccellenti le acque, abbondanti i viveri, attivo il commercio: una cittadina, insomma, abbastanza civile e progredita.

Lo sfondo è bellissimo, incantevole. La contrada melfese è una delle moltissime zone di Basi1icata che offre panorami superbi, i quali contrastano con il grigiore uniforme della terra lucana: colà tu non sai se più ammirare il verde degli ubertosi vigneti, o il poetico e solenne contorno del Vulture, che drizza al cielo la sua croce, o la distesa dei pascoli opimi e delle verdeggianti campagne, o le ignude cime dei dorsi appenninici che si perdono nel lontano orizzonte.

Il territorio di Melfi si stende fino alla valle dell’Ofanto, apportatore di malaria e di rovina, snodantesi nella grigia ed uniforme pianura di Puglia per poi gettare le sue acque torrenziali ed impetuose non molto lungi dalla città della Disfida. La cittadina è fornita di buoni edifici, fra i quali primeggia la cattedrale di accurata architettura, con il campanile elevato per volere di Ruggiero, figlio di Roberto Guiscardo, il quale lo dota di due smisurate campane. Un tempo Melfi ebbe parecchi monasteri, tra cui uno di monache chiariste, fondato — si dice — da S. Guglielmo.

Le opinioni degli storici sulle origini di Melfi sono varie e controverse. C’ è chi la crede fondata dai Romani, chi dai Greci e chi dai Normanni.

Vi è infine — e la notizia pare non abbia soverchio fondamento — chi la crede edificata dai Pugliesi sulle rovine dell’antica Molfa. Senza dubbio, però, nel 424 dopo Cristo, 1’imperatore Costantino, nel recarsi da Roma a Bisanzio, capitale dell’ impero d’Oriente, ebbe a soffrire una violentissima, e inaudita tempesta nell’Adriatico, per cui alcuni suoi vascelli naufragarono in prossimità della costa pugliese, e, se non tutti, la maggior parte degli scampati dal naufragio si rifugiarono nella località dove sorge Melfi, dimorandovi per lunghissimo tempo. Si decisero ad abbandonare quel luogo dopo che ebbero sofferto frequenti incursioni per rifugiarsi in vicinanza di Salerno: a quella sventurata gente errabonda si deve la fondazione di Amalfi, che poi in seguito doveva divenire — com’è noto — una delle più fiorenti repubbliche marinare dell’evo medio.

La povera cittadina lucana ebbe a soffrire le continue invasioni dei Goti; i Greci ne li scacciarono e vi si stabilirono definitivamente. Ma anche i Greci vissero in continue lotte e trepidazioni, poichè furono assaliti spesso dai Longobardi e varie volte dai Saraceni, i quali finalmente la conquistarono. Ai Saraceni la misera città fu strappata dall’imperatore Ludovico nell’876, ma quando questi ebbe fatto ritorno in Francia, i cupidi e scaltri predoni saraceni la riacquistarono insieme con varie altre terre e per lungo tempo la tennero commettendo ogni sorta di angherie e ruberie.

Ma, ahime!, la povera cittadina fu di nuovo preda dei Greci, poi tenuta dai Longobardi fino al 1018, anno in cui il famoso capitano longobardo Melo, che la governava, benché aiutato da alcuni pellegrini che non erano altro se non i primi Normanni capitati in Italia, fu sconfitto a Canne. (Cfr. 1’ Historia Normannorum di Amato e le Storie di Gregorio Appulo).

Così Melfi fu ancora una volta tenuta dai Greci, che dovettero cederla insieme con Lavello, Venosa ed Ascoli Satriano ai prodi cavalieri normanni provenienti dal paese delle nevi e delle sagre (1940). Nel successivo anno 1041 a Melfi si riunirono i principali cavalieri normanni, tra cui Rainulfo, conte di Aversa, e Guglielmo d’Altavilla, figlio di Tancredi, per dividersi le terre pugliesi; si stabilì da essi che Melfi sarebbe stata la loro sede e territorio comune a tutti. Non sorge essa infatti al limite del dorsale appenninico e non domina l’Apulia attraverso una fuga di amene e verdi colline e di pingui vallate? Melfi fu cinta di mura e di fortificazioni poiché stette ancora per moltissimo tempo sotto i Normanni. Roberto Guiscardo, detto Braccio di Ferro, la ingrandì notevolmente e l’abbellì; fece costruire nel 1043 il grandioso e potente castello, segno di forza e di dominio sulla città asservita e sulle circostanti contrade. Sotto Roberto Guiscardo, Melfi divenne sede vescovile e la mensa fu arricchita di notevoli rendite dal principe Ruggiero, figlio di Roberto.

Nell’anno 1059, il papa Nicolò II si recò nella capitale del nascente dominio normanno con cento vescovi a confermare al Guiscardo il dominio delle terre conquistate, investendolo del titolo di duca di Puglia e di Calabria, e dall’altra parte ricevendo da Roberto il giuramento di fedeltà, impegnandosi a pagare un tributo e a fornire truppe. Papa Nicolò II vi tenne un Concilio, nel quale si discusse della elezione del Pontefice.

Secondo il Protospada a Melfi nel 1089 si indisse un importante Sinodo di tutti i vescovi di Puglia e di Calabria, al quale Sinodo intervenne il principe Ruggiero con i suoi Baroni. Nell’anno 1091, il papa Urbano IV tenne un altro Concilio nel quale ricevette dal principe Ruggiero il giuramento di fedeltà, si discusse della riforma dei costumi e si conchiuse la lega per la nuova crociata.

La cittadina appartenne a Ruggiero III, comandante di Sicilia, ma per istigazione di papa Onorio II, si ribellò. Il papa si alleò a vari Baroni del Napoletano e con essi mosse guerra a Ruggiero, colpevole questi, di fronte all’autorità del Pontefice, di essersi appropriato del titolo di duca di Puglia senza il di lui consenso e la relativa investitura. Melfi ed altre città pugliesi furono sottomesse e trattate molto severamente. Nel 1129, Ruggiero, con un gran numero di armati, sottomise anche la città di Troia e in Melfi tenne un parlamento di tutti i Baroni pugliesi: si decise, ad istanza di papa Onorio, di attaccare i Longobardi di Benevento i cui possedimenti furono devastati. Fu in quell’epoca che Ruggiero fondò un reame unico dell’isola di Sicilia col Napoletano, con capitale Palermo, ove risiedette.

Nel 1133, Melfi ed altre città di Puglia gli si ribellarono di bel nuovo: il re Ruggiero venne dalla Sicilia con un poderoso esercito e menò strage dei rivoltosi di Melfi, di Troia e di Montepeloso, incendiandone le case.

Nell’anno 1137, chiamato dal papa Innocenzo III, scese in Italia 1’imperatore Lotario con un formidabile esercito e ben presto s’impadronì di Melfi e di tutta la Puglia, che rimase per brevissimo tempo sotto il suo dominio (1139), finché il re Ruggiero la riconquistò, creandone duca il primogenito principe Ruggiero, il quale, premorto al padre, lasciò un figlio naturale chiamato Tancredi, che fu poi Re delle Due Sicilie.

Nulla accadde di notevole sotto il regno di Guglielmo I detto il Malo; invece durante il regno di Guglielmo II il Buono 1’imperatore Federico Barbarossa, insieme ai Genovesi, devastò le Puglie.

Nel 1190, la Puglia si ribellò a re Tancredi e Melfi fu sottomessa, dopo che scorse molto sangue cittadino, per opera di Federico, conte di Acerra, il quale combatteva sotto le insegne di Tancredi. Tre anni dopo, nel 1193, 1’imperatore Enrico VI, figlio di Barbarossa, la conquistò insieme con altre città pugliesi, ma nel 1196 si ribellò all’autorità imperiale. Fu di nuovo conquistata nel 1199 dall’esercito dell’imperatore Federico Il di Svevia, che, essendo ancora giovane, si trovava sotto la tutela del papa Innocenzo III. Federico di Svevia, il grande imperatore guerriero e giurista, mecenate e poeta, giunse a Melfi con la sua corte, con le canzoni di amore e con il ritmo delle ballate. Tra le mura del castello di Melfi, ingentilite dal soffio dell’arte, si discussero e si divulgarono le famosissime Consiitution es Melphitanae, le quali sono senza dubbio il maggiore documento dell’opera di sovrano e di giurista di Federico II, vero modello di saggezza e di civiltà. In esse il diritto normanno e quello germanico si fondono per assumere aspetto e forma nuova. Un altro parlamento Federico tenne a Melfi nel dicembre 1254, nel quale si decise di gravare le Puglie di forti tasse.

Nel castello di Melfi nacque da Bianca Lancia, sorella di Manfredi Lancia, da Federico condotta incinta colà, il bastardo Manfredi, che l’imperatore amò sopra tutti. Nell’anno 1254, le Puglie si diedero a Manfredi, il quale fece avvelenare a Melfi in un banchetto il principe Federico, nipote di Federico II, venuto a visitarlo. Manfredi doveva poi perire nella battaglia di Benevento e Corradino, sceso in Italia quasi imberbe, doveva ascendere il patibolo nella piazza del Mercato a Napoli. Successe così al dominio svevo quello angioino.

Nessun avvenimento degno d’importanza si svolse a Melfi sotto il regno di Carlo di Angiò. Durante il regno di Carlo II il Zoppo si tenne un altro parlamento (1286) da Roberto, conte di Artois, fratello del Re di Francia e Balio del Regno, e da Carlo Martello, figlio primogenito del re, che si trovava prigioniero in Ispagna.

Nel 1347, Melfi, per intercessione di papa Clemente VI, grande cultore di lettere e di arti, protettore dell’immortale cantore di Laura, e di Giovanni Villani, il quale pontefice acquistò Avignone dalla regina Giovanna I, fu ceduta in dono dalla detta regina di Napoli a Niccolò Acciajuoli, gran Siniscalco del Regno di Napoli, sotto il titolo di conte. Sotto la signoria dell’Acciajuoli, Melfi patì un assedio, che durò ben sette mesi, per opera delle milizie di Ludovico, re d’Ungheria, sceso in Italia per vendicare il fratello Andrea d’Ungheria, fatto strangolare dalla perversa e depravata regina Giovanna, sua moglie, nel castello di Aversa. Giovanna passò a seconde nozze con Luigi, principe di Taranto, suo cugino, per opera dell’Acciajuoli, ma la luna di miele ebbe breve durata per l’arrivo di Ludovico. Il Gregorio narra che la marcia di Ludovico offriva uno spettacolo terrificante: l’esercito era preceduto da uno stendardo avente una spada di argento in campo nero.

Giovanna, che non poteva stare senza marito, sposò in terze nozze Giacomo di Maiorca, un aragonese, che morì presto; in quarte nozze sposò il tedesco Ottone di Brunswik, ma poi pagò il fio di tutte le sue scelleratezze, poiché da Carlo di Durazzo fu fatta rinchiudere nel castello di Muro Lucano, ove, secondo alcuni storici, fu soffocata tra i guanciali. Secondo altri, tra cui lo Schipa, Giovanna fu strozzata o avvelenata nel castello di S. Felice a Napoli.

E pare sia questa la verità, perché la regina fu seppellita nella chiesa di Santa Chiara, a Napoli, e le fu dedicato il seguente epitaffio:

INCLYTA PARTHENOPES JACET HIC REGINA JOHANNA
PRIMA, PRIUS FELIX, MOX MISERANDA NIMIS,
QUAM CAROLUS GENITAM MULCTAVIT CAROLUS ALTER,
SUA MORTE ILLA VISUM SUSTULIT ANTE SUUM.


Caduta Melfi, dopo una strenua ed eroica difesa, sotto il dominio di Ludovico d’Ungheria, questi dette la rilasciata città in signoria ad un tedesco, dal cognome di belva — Corrado Wolf — che la tenne per due anni.

Nel 1392, il re Ladislao ne fece un dono a Goffredo Marzano con titolo comitale. Nel 1422, Melfi, insieme con altre signorie, fu donata dalla regina Giovanna II, corrotta e lasciva moglie di Giacomo Borbone, paragonata da taluni a Cleopatra, al suo amante Ser Giacomo Caracciolo, Gran Siniscalco, il quale fu fatto uccidere dalla regina perché, avendole questi chiesto per il proprio figlio molti feudi e il ducato di Salerno tolto ai Colonna, ed avendoglieli essa rifiutati, la schiaffeggiò.

Signore di Melfi col titolo di duca fu poi il. figlio di Gianni Troiano, e così per oltre un secolo la cittadina lucana fu sotto il dominio dei Caracciolo fino a che il duca Giovanni Caracciolo si ribellò all’imperatore Carlo V, il quale, sceso in Italia per la conquista di Napoli, tolse Melfi alla famiglia Caracciolo per donarla al celebre ammiraglio Andrea Doria, vincitore dei Francesi e dei Turchi e repressore feroce della congiura dei Fieschi e dei Cybo. Essendosi la città opposta al famoso e terribile Lautrec de Foy, capitano di Francesco I, fu saccheggiata e quasi distrutta (vi furono ben 18 mila uccisi) dai soldati del feroce capitano. Fu in seguito a questo sanguinosissimo episodio che 1’imperatore Carlo V le diede il nome di fedele.

E così da quell’epoca il severo e maestoso castello normanno è stato sempre, senza interruzione, proprietà della famiglia Doria. Avvenimenti degni d’importanza storica, si svolsero più tra le possenti mura del castello di Melfi, del famoso fortilizio edificato da Roberto Guiscardo per dominare quelle contrade. L’edificio, che una volta, e per vari secoli, aveva accolto le milizie di principi stranieri o le soldatesche mercenarie di signori italiani con investitura di stranieri, quel castello che assistette muto a scene di orrore e di sangue ed entro le cui mura echeggiarono voci di papi e di imperatori, sotto le cui volte si svolsero tremende scene di odio e fiorirono idilli delicati, cominciò a poco a poco a minacciare di rovina sotto l'azione lentamente distruttrice del tempo, ottimo alleato delle vicende atmosferiche.

La sede dei prodi cavalieri normanni, la sede prediletta del grande imperatore giurista e guerriero, il castello entro le cui mura echeggiarono le prime ballate e le prime canzoni di amore in volgare, le delicate canzoni dei poeti della scuola siciliana accompagnate dal dolce suono dei liuti e delle mandole, divenne una dimora pacifica e tranquilla.

Assistette tranquillo il fortilizio normanno, divenuto pacifica sede, allo svolgersi di numerosi altri storici eventi, assistette all’alternarsi di vicende poco liete per la nostra Patria poiché continuarono a susseguirsi le dominazioni straniere.

Nel 1831, ospitò il re Ferdinando II di Borbone, e forse le muraglie, una volta poderose, fremettero di gioia assistendo alla riscossa nazionale della metà del secolo scorso, quando le schiere garibaldine sbaragliarono le milizie, che inutilmente tentarono di resistere, all’ombra del bianco e declinante vessillo gigliato del Borbone, alla gloriosa marcia garibaldina da Marsala al Faro e da Reggio al Volturno.

E così il castello normanno domina ancora Melfi e le valli sottostanti, non più come segnacolo di sfida e di guerra, ma come testimone tranquillo del lavoro dei campi e delle vigne, per cui negli appartamenti abbandonati, una volta imperiali, si accumula il frumento e nelle segrete invecchia il buon vino della fertile regione dominata dal bel Vulture.

Autore: FRANCESCO IASILLI - da -la Basilicata nel Mondo- (1924-1927)

 

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