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Feste Storico-Religiose - la Basilicata nel Mondo (1924-1927)

COSTUMI E TRADIZIONI LUCANE

UNA FESTA STORICO-RELIGIOSA A MELFI

Con un rarissimo lusso di fuochi e di batterie sono state solennizzate a Melfì, anche quest’anno, due feste di sapore spiccatamente locale, che riescono, entrambe, ad allacciare gli usi ed i costumi del nostro popolo ad alcune fra le sue tradizioni più significative.

La prima in onore dello Spirito Santo cade il giorno della Pentecoste. Di essa ci occupiamo in questo numero per dire delle sue origini storiche. Dell’altra, ci occuperemo nel prossimo numero per riferirci in modo particolare alla significazione allegorica di una curiosa costumanza — lo scaricavascio — che si pratica da moltissimi anni precisamente durante la festa di S. Antonio.

L’origine della festa dello Spirito Santo, e di tutto il complesso di manifestazioni caratteristiche, alcune perfino grottesche, che si celebra a Melfi il giorno della Pentecoste, risale al 1528, epoca in cui Lautrec, generale di Francesco I di Francia, cinse d’assedio l’antica città normanna.

La leggenda, che si adatta verosimilmente ad episodi storici documentati, narra che, per sfuggire ai rigori di quell’assedio, alcune centinaia di melfitani andarono a rifugiarsi in uno dei più remoti recessi del Vulture, precisamente presso l’antico Santuario dello Spirito Santo. E quando, rioccupata la città dagli spagnuoli comandati dal grande capitano Cordova, i profughi vi fecero ritorno, il loro ingresso ebbe una pompa trionfale: spari di archibugi e suoni di trombe si confusero alle grida festanti dei ritornati che, in giro per le vie di Melfi, portarono ciascuno sventolando un ramo verdeggiante di castagno...

Questa festa che è, appunto, intitolata allo Spirito Santo, la cui Pia immagine viene portata in processione dal Santuario boschivo alla città, si perpetua di anno in anno. Fino al 1882 era permesso a tutti di sparare i fucili lungo il percorso e di fare salve entro la città, ma le numerose disgrazie accidentali che si ebbero a deplorare fecero abolire questa fragorosa costumanza.

La festa sembra che abbia un significato di scherno per fuggiaschi che, dopo essere scappati poco coraggiosamente all’avanzarsi del nemico, vollero, rientrando in città, circondarsi di gloria e di clamore.

Di caratteristico e di tradizionale — poiché tutto scompare nel corso incessante del tempo — di questa festa, che tanti grati ricordi desta nella mente dei nostri vecchi, non restano, ora, che la processione notturna lungo le vie anguste del Vulture; le stonature assordanti delle trombe di creta che i monelli comperano per pochi soldi alle fornaci di Guantario o di Pantaleo; la sfilata interminabile dei rami verdeggianti di castagno, lo sparo di bombe - carta e le valcate del generalissimo... Alessandro ultimo, una specie di Mannaggialarocca che ha pur egli la sua storia e la sua poco illustre dinastia.

Il generalissimo dello Spirito Santo, che i monelli vedono nei loro sogni innocenti circonfuso di mille glorie e di mille trionfi, è indiscutibilmente la significazione più tipica dello spirito mordace con cui i melfitani che rimasero in città, per resistere combattendo all’assedio, vollero colpire i fuggiaschi.

La sua origine risale indiscutibilmente all’epoca in cui si celebrò la prima volta la festa burlesca.

Della sua immaginifica dinastia si ricordano, in discendenza, i famosi Leccesi venuti a Melfi al principio del secolo scorso e che si assunsero volontariamente il ruolo ultraonorifico di generalissimi dello Spirito Santo, mantenendolo degnamente per moltissimi anni: i fratelli Locuratolo; Alessandro Mignone, meglio conosciuto al suo tempo col nomignolo di scanzone; Alessandro Santangelo detto scianniello, cui seguì per legittimo diritto ereditario il figlio Michele, famoso quest'ultimo anche per le sue esibizioni carnevalesche e per la vendita delle prime ciliege che annunziava al pubblico col grido suggestivo «Chiagnit’ piccirill ca je nzuta la cirasella »; Silvestro Morimando, cui è succeduto l’attuale... Alessandro ultimo che, nel suo pretenzioso portamento ultra marziale di generalissimo.., antichissimo stile — cappello a feluca, calzoni bianchi, stivali da guardiacaccia, giubba da musicante in grande uniforme su cui pesano alcuni chilogramma di medaglie sacre e profane coniate in metalli — che variano dallo zinco puro all’ottone vecchio — dimentica volentieri il suo ordinario e non del certo nobile mestiere di... accalappiacani.

Con la consuetudine fragorosa degli spari e delle salve sono pure scomparse le allegre gite notturne — oggi, coi tempi pesanti e preoccupanti che si attraversano, ben pochi trovano il tempo di dedicarsi a simili arcadiche esercitazioni del corpo, e dello spirito — e le gustose merende delle allegre comitive nelle suggestive vallate del Vulture maestoso. Sono pure pressoché scomparse le ricche piogge floreali lungo il corso della processione ; così come scomparso è 1’insolito fervore che, durante la settimana che precedeva la festa, prendeva come in una gioconda frenesia la intera cittadinanza, particolarmente i giovinetti che inseguivano a frotte gaie il tamburino Rasponi che accordava — ingegnoso precursore delle armonie astruse che fioriscono nei modernissimi jaz - band — il rullio del suo vecchio tamburo alle allegre... diversioni musicali del comicissimo e sfiatatissimo Ottavino Pescirutio.

Pure scomparsi sono il caratteristico palio di mussola e la maestosa cavalla bianca del Generalissimo. Così che questi, ai giorni nostri, è costretto ad appagare le sue velleità pseudo-guerriere caracollando un magro ronzinante e, qualche volta, adattandosi sul dorso di un umilissimo asinello per tradurre la parodia cavalleresca del simpatico eroe di Cervantes in quella del suo fedelissimo scudiero Sancio.

Così: quando non è addirittura costretto a farsela a piedi... con lo stomaco vuoto ed i calzari rotti.

Autore: A. CAUTELA - la Basilicata nel Mondo (1924-1927)

 

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