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DUE FRANCESI AD ACERENZA

Sin dai primi anni del Seicento i viaggi rappresentarono per i giovani aristocratici d'Europa, soprattutto anglosassoni, il naturale completamento degli studi intrapresi ed una delle modalità attraverso cui era possibile compiere incontri ed esperienze di vita.
L'età ritenuta più idonea nel porsi in viaggio si aggirava fra i diciotto ed i ventidue anni.
La durata del soggiorno nei paesi stranieri dipendeva dalle disponibilità economiche del viaggiatore, che spesso aveva al suo seguito servitori, disegnatori, cuochi, musici ed un cicerone.
Vi era la consuetudine di registrare osservazioni ed impressioni in diari da cui ancora oggi è possibile ricavare preziose informazioni.
Per designare questo tipo di viaggio venne coniato il temine "Gran Tour". il percorso per quanti giungevano in Italia via mare iniziava da Genova o da Torino, per chi attraversava le Alpi, per poi proseguire per Firenze e dintorni e quindi verso Roma e Napoli, città quest'ultima inserita nell'itinerario usuale del "tour", soprattutto dopo la scoperta dei resti delle città di Ercolano e Pompei, sepolte sotto le ceneri dell'eruzione vesuviana del 79 d.C.
L' avvenuto restauro dei templi di Paestum (1781) offriva al viaggiatore la possibilità di incontrare il mondo della Grecia classica. Possiamo affermare, con Cesare De Seta, che il momento più felice di sintesi della tradizione del "Grand Tour" e di quella delle campagne archeologiche, è rappresentato dal Voyage pittoresque nel regno delle Due Sicilie ideato nella seconda metà del secolo XVIII da Jean Baptiste Claude Richard, abate di Saint-Non, e redatto in prima stesura dal barone Dominique Vivant-Denon, incaricato di affari del re di Francia alla corte di Napoli.
Tale pubblicazione, corredata da ben 558 immagini (di cui otto tavole sono riferite alla Basilicata) prodotte da oltre cinquanta artisti tra pittori ed architetti, risvegliò l'amore per le vedute antiche e nuove, le opere d'arte, gli scavi e le antichità di tutta l'Italia meridionale, nell'ambito di una estetica del "pittoresco" affidata alla natura dei luoghi.
Ma l'itinerario minore del "tour" aveva già i suoi puntuali estimatori, ricercatori e viaggiatori.
Possiamo annoverare diversi francesi che percorsero nell'Ottocento le province del regno, tra cui la Basilicata, al di là di ufficiali e truppe dell'esercito napoleonico e murattiano.
Fu nel mezzogiorno d'Italia, ad esempio, l'autore di studi sulla storia antica francese, Millin Aubin Louis, per ricercarvi monumenti del Medioevo, iscrizioni e vasi antichi, facendo eseguire numerosi disegni da artisti locali.
Nel 1825 giunse in Basilicata il duca Honoré Theodor Paul Joseph de Luynes, studioso di archeologia, per compiere studi e scavi su Metaponto ed il tempio delle "Tavole dei Paladini" (o come attualmente si dice Tavole Palatine), ritornandovi nel 1828 con l'architetto Jean Francois Debacq. Delineò, in una specifica pubblicazione, la storia antica della città fino alla sua distruzione a seguito della guerra annibalica, classificandone le monete e ricostruendone il tempio.
Nel 1839, dopo aver a lungo soggiornato nel Mezzogiorno, fu in Basilicata anche il professore di storia del liceo "Carlo Magno" di Parigi, Jean Louis Alphonse Huillard-Bréholles, accompagnato da Victor Baltrad, futuro progettista dei Mercati Generali parigini.
A questo storico dobbiamo, come è noto, non soltanto le ricerche sui monumenti della storia dei Normanni e sulla dinastia sveva dell'Italia meridionale, nella pubblicazione promossa dal duca de Luynes, ma anche i volumi della storia diplomatica di Federico II ed uno studio sulla vita di Pier delle Vigne, uno dei giuristi dell'Imperatore.
Dieci anni dopo percorse anche la Basilicata l'architetto francese Garnier Charles, progettista dell'Opera di Parigi, che fu a Napoli per disegnare i mausolei della casa d'Angiò. Le sue immagini dovevano servire per illustrare un lavoro sulla dinastia francese di Napoli che il duca de Luynes gli aveva commissionato, ma che non ebbe il piacere di intraprendere.
Primo fra i francesi giunti in Basilicata dopo l'unità d'Italia fu l'illustre archeologo Palustre De Montifaut Léon. Dalla Puglia si spinse sino a Venosa, nel marzo del 1867, memore dell'universale poesia di Orazio e dei luoghi natii del poeta, la cui biografia contrappose a quella del re normanno Roberto il Guiscardo.
Immagini della terra lucana ritraenti l'incompiuta abbazia della Santissima Trinità di Venosa, le catacombe ebraiche poste nei pressi della omonima cittadina romana, l'abbazia di San Michele Arcangelo con i due laghi di Monticchio sono contenute nell'opera divulgativa "L'Italie illustrée" (1877) del francese Jules Gourdault.
Semplici cenni alla tomba venosina di Roberto il Guiscardo si trovano, invece, nell'opera dello scrittore e giornalista francese, di origine spagnola, Charles Yarte. Si può dire, pertanto, che l'attenzione prevalente dei viaggiatori e degli studiosi francesi, dopo l'interesse per Metaponto e la Magna Grecia, si sia appuntata in Basilicata soprattutto sulla regione del Vulture, in cui andavano scoprendo filoni importanti di una storia medievale che li riguardava da vicino.
Anche il tedesco Schulz Heinrich Wilhelm si era già soffermato sulle presenze medievali monumentali, architettoniche ed artistiche di quell'area confinante con la Puglia, supportando la propria ricerca (incompiuta e da altri predisposta per la stampa) con una nutrita documentazione d'archivio.
Lo Schulz, che si avvalse della collaborazione del pittore di Hannover, Anton Halmann, da lui conosciuto a Roma, e di quella dell'architetto siciliano Saverio Cavallari, per disegnare e rilevare le piante dei diversi monumenti, fu nel Vulture-Mellese e nell'Alto-Bradano nel 1837. Vi studiò i monumenti Normanni di Melfi, il castello ed il campanile della cattedrale, l'incompiuta abbazia della Santissima Trinità di Venosa ed il duomo di Acerenza, fornendo, per alcuni di questi monumenti, una inedita documentazione storica.
In questo quadro della letteratura odeporica riferita ai francesi giunti in Basilicata nel corso dell'Ottocento, occorre cronologicamente inserire i viaggi compiuti in terra lucana dall'archeologo di fama europea, Francois Lenormant, professore di archeologia presso la Biblioteca nazionale di Parigi, figlio del grande numismatico Charles.
Il Lenormant, definito dal suo bibliografo "lo studioso più fecondo ed universale dell'Ottocento", fu a Metaponto tre volte. Una prima volta vi giunse nel 1879, accompagnato dalla moglie Edith Belley, dalla nipote, dall' archeologo Felice Bernabei e dall' ispettore archeologo di Taranto, Luigi Viola. Una seconda volta vi fu nel 1881 con la nipote, quando era stato già pubblicato il primo volume della sua opera La Grande-Grèce, contenente, tra l'altro, i capitoli su Metaponto e su Siris. Vi ritornò una terza volta nel 1882, nel corso della sua permanenza nella regione lucana, accompagnato da Michele Lacava, ispettore regionale delle antichità, da Felice Bernabei e dal capitano del Genio francese, Marmier.
Nel delineare e tratteggiare la storia antica della città e quanto emergeva dagli scavi eseguiti dal Lacava già da cinque anni, il Lenormant contestualizza e raffronta i reperti ritrovati, soffermandosi sull'impianto originario della città.
Nei suoi scritti egli si fa partecipe ed attento osservatore della situazione economica e sociale di quell'area del Mezzogiorno dominata dal latifondo e dalla malaria, invocandone la riforma agraria e la bonifica, denunciando le misere condizioni di vita dei contadini e le feudali forme di conduzione e produzione agricola, sulla scia di una tradizione liberale che aveva già trovato esplicazione nei viaggi e nelle opere sul Mezzogiorno dell'italiano Leopoldo Franchetti.
Dal settembre all'ottobre del 1882 il Lenormant visitò in Basilicata Melfi, Rapolla, Venosa, Banzi, Acerenza, Pietragalla e Potenza. Da Metaponto si recò in treno in Calabria, rientrando poi di nuovo nel capoluogo lucano per inoltrarsi, per Picerno e Muro Lucano, nei territori dell'antica Lucania del Vallo di Diano (o di Teggiano) e del Cilento.
Quest'ultimo viaggio fu fatale al Lenormant. Sul finire dell'anno successivo, infatti, morì a Parigi, per il riacutizzarsi di una ferita alla gamba destra subita nel corso della battaglia combattuta a Parigi per la Bastiglia (1871).
Ebbe appena il tempo di scrivere il terzo volume de "La Grande-Grèce" e di stilare le note di viaggio di A travers l'Apulie et la Lucanie. Tali opere avevano un intento eminentemente divulgativo e miravano a far conoscere ad un più vasto pubblico le scoperte generali legate alla storia dell'ellenismo e del Medioevo, nella concreta rivisitazione dei luoghi, che furono il teatro di una grande storia.
Il capitolo su Acerenza contiene acute osservazioni, analisi socio-politiche, diverse informazioni archeologiche ed utili ricostruzioni della storia di quel centro.
La datazione cronologica e l'interpretazione storico-artistica proposta dal Lenormant per la cattedrale di Acerenza e per l'incompiuta abbazia della Trinità di Venosa, unitamente a quella del tedesco Schulz, vennero contestati negli studi e negli scritti dello storico d'arte Émile Bertaux che, negli anni compresi tra il 1893 ed il 1897, fu nel sud dell'Italia e nel Vulture per studiarvi i monumenti medievali, scrivendo poi sull'arte nell'Italia meridionale.
Il Bertaux dimostrò la presenza e l'influenza artistica francese nei monumenti medievali del Vulture, accanto a quella greca e bizantina, entrambe rivissute con spirito originale dalle maestranze locali. Quanto alle attribuzioni cronologiche da lui proposte per alcuni monumenti, sono superabili soltanto alla luce di recenti scoperte e studi, che riattualizzano così l'interesse ed il dibattito culturale attorno alla storia dell'arte medievale del Vulture-Melfese e di Acerenza.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1993"

Autore: Testo di Giuseppe Settembrino

 

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