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QUEI CONTADINI ASPETTANO ANCORA

Nel libro “Cristo si è fermato a Eboli” gli uomini di Aliano si autodefinivano così: “Noi non siamo cristiani ma bestie da soma… il mondo è al di là dell’orizzonte” – Dicevano: “Chi mi dà pane lo chiamo padre”. Oggi il lavoro c’è, molte cose sono cambiate – Ma “lo Stato resta tiranno” – “Non vogliamo assistenzialismo”.

Aliano (Matera) – Qui, nel paese dove Carlo Levi soggiornò, al confino politico, cinquanta anni fa, Cristo non è ancora arrivato, o meglio, come dice il sindaco Centola, “sta per arrivare”. E’ ancora fermo ad Eboli e i contadini della Lucania continuano a ripetere, sulla scia delle generazioni: “Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, ma bestie, bestie da soma, anzi noi dobbiamo subire il mondo dei cristiani, che sono al di là dell’orizzonte”.
Cristo si è fermato ai confini della Campania con le terre aride della Lucania, non è andato più avanti, come non proseguirono nei loro viaggi i romani e i greci. Eboli era l’ultima stazione ferroviaria e di lì si scendeva nelle valli del Basento e dell’Agri a dorso di mulo.
E’ proprio vero che ad Aliano le seicento famiglie che vi abitano sono ancora nel medioevo cupo dell’abbandono, dell’indifferenza del potere pubblico?
Siamo saliti sui calanchi in cima ad un paesaggio lunare, dove “buchi, coni, case fatiscenti, strade dissestate” come lo definì Levi, sono tutt’uno di una secolare geometria della precarietà: “è questo un viaggio al principio del Tempo, la scoperta della civiltà contadina, fuori della Storia e della Ragione progressiva. Da ogni parte precipizi di argilla bianca, le case sono librate come nell’aria”.
In che modo possiamo rivisitare il “Cristo si è fermato ad Eboli”? Aliano pare proprio immutata, ferma nel Tempo e quel qualcosa che si muove avviene con una lentezza esasperata. Eppure c’è, esiste questo “qualcosa” e sono i giovani che hanno costituito le cooperative, l’amministrazione che ha redatto un piano regolatore, una nuova volontà di partecipare alla spartizione dei grandi beni di consumo che i mass media promettono giorno e notte. Sempre in lotta, però, con i potenti di Matera e Potenza.
Ai tempi di Levi c’era il podestà, il maestro Luigi Magalone, il più giovane e il più fascista fra i podestà della provincia, un giovanotto alto, grosso e grasso, con un ciuffo di capelli neri e unti. Ora c’è Giuseppe Centola, un medico democristiano, che parla di programmazione e progettazione, di irrigazione d’avanguardia, di contatti più frequenti con il potere. “Prima arrivava la manna e andava divisa, ora siamo noi a proporre ciò che si deve fare”. Magalone – come lo ricordano i vecchi – portava gli stivaloni, un paio di brache a quadretti da cavallerizzo, giocherellava con il frustino. Centola, invece, viaggia in macchina, si sposta tra Potenza e Aliano con rapidità, bussa alle porte di deputati e burocrati, ha messo il citofono sulla porta di casa.
Dice ancora: “Qui non c’è mai stata una borghesia, la classe dirigente di oggi è formata dai figli dei contadini del tempo di Levi, ci sono persino due giovani ingegneri che ci aiutano ad uscire dalle secche di un passato che vogliamo dimenticare”.
Levi è diventato, a poco a poco, una figura ingombrante, che incombe su Aliano, dove arrivano i turisti richiamati dal suo nome e vogliono vedere la sua casa, cadente, alla periferia del paese, le stalle in cui vivevano i contadini, toccare con mano le tradizioni che si perpetuano, con cocciutaggine, chiedono di fotografare il famoso “osso del Sud”, una immagine storica di una miseria endemica, ma d’altri tempi.
E’ cambiato pure il prete, quel don Giuseppe Trajella che inseguiva i bambini, con lo sguardo corrucciato e brandendo il bastone. Gridava: “Maledetti, eretici, scomunicati, è questo un paese senza grazia di Dio. Vengono in chiesa per giocare. E se non vengono, la messa la dico ai banchi”.
“Don Giuseppe” – scrive Levi – “non era amato da nessuno e il podestà Magagnino esprimeva su di lui un severo giudizio: “E’ una profanazione della casa di Dio, una disgrazia per il paese”. Il prete abitava con la madre in uno stanzone, una specie di spelonca, in un vicoletto buio, ed al fondo del camerone c’erano due lettini gemelli, in terra un gran mucchio di libri e sui libri le galline.
L’attuale parroco, Pietro Dilenge, vive, invece, in una casa di cinque stanze, con i confort della modernità, dalla televisione a colori alla macchina da scrivere elettrica, pur se all’ingresso non mancano casse di pomodori. Ma è la domenica del “Ringraziamento” e i contadini hanno scaricato davanti alla porta pane, frutta, bottiglie di vino, nocciole.
Padre, cosa è cambiato ad Aliano in questi anni? “Un cambiamento c’è stato, la miseria non c’è più, contrariamente a quanto si pensa. Non siamo per nulla, come qualcuno ha fatto credere, una comunità assistita dallo Stato, dalle sue leggi, tutti hanno un reddito soddisfacente, molta gente lavora e non riposa, è cambiata anche la campagna, finalmente irrigata, i ragazzi vanno in pullman a studiare nei paesi dove ci sono le superiori. Certo, i vecchi contadini non hanno sepolto il loro passato di privazioni, la loro cultura è immutata e risparmiano come cinquanta anni fa”.
Quando usciamo dalla casa del prete incontriamo un carabiniere che, per prima cosa, ci dice: “Che ci fate da queste parti?” Niente, vorrei vedere se l’Aliano di oggi è ancora quella di Carlo Levi. “Ma no, non vede quante macchine ci sono?”. Come è diverso questo carabiniere da quello descritto da Levi: “… un bel giovane bruno, dai capelli impomatati, frettoloso e sprezzante, egli mi guarda in distanza come un delinquente da tenere a bada. Va dalla sua amica, una bella mafiosa, la confinata siciliana, una splendida creatura nera e rosa che nessuno vede mai perché tiene celato in casa il misero della sua bellezza”.
Comincia a piovere e dalla valle dell’Agri salgono gli ultimi somari. Aliano ne contava più di duecento, ora ne sono rimasti quindici. Anche questo è un segno di cambiamento. Il vecchio contadino, Felice, ha nella mano sinistra le redini e nella destra una cordicella che trattiene una capra, tutta nera, che sgambetta sull’asfalto.
“Voi siete forestiero, si sta meglio in città”. Forse,ma potrebbe essere anche il contrario. Ha conosciuto Levi? “Si, da bambino, ma non c’è rimasto più nessuno che gli è stato compagno”. Ci sono ancora le fattucchiere che lui ha descritto? “Solo una strega, c’è anche uno che si fa chiamare ‘dottore’, che fa le controfatture”. Felice ride, sferza il mulo e si allontana, avvolto nella foschia.
Aliano, paese affollato di fantasmi. Al bar Roma sopravvivono i ricordi. Si può bere il caffè? Certo. Ed è una donna a farlo. Levi ricordava sempre un ammonimento, fattogli dal podestà: “Lei è un giovanotto, non accetti nulla da una donna, né vino, né caffè, nulla da una donna. Tutte le faranno dei filtri, che sono pericolosi, li fanno con il sangue, sangue cata-meniale, disgustoso, ci mettono anche delle erbe, la magia popolare cura tutte le malattie, i vermi dei bambini si incantano per sola virtù di parole”. Ma il cronista sfida i filtri e beve un ottimo caffè, questa volta amaro. Non si sa mai.
Aliano è sempre stato paese di briganti, non feroci, e le loro ossa sono sul fondo dei calanchi. Un giovane, appoggiato ad un muro, parla di briganti, così come glieli hanno descritti vecchi del paese.
Prima sorride, poi diventa quanto mai serio: “Ci sono altre forme di brigantaggio, quelle moderne, che ci privano delle possibilità di lavoro. Siamo lontani dai centri di potere e qui gli onorevoli salgono soltanto per chiedere voti, ogni cinque anni”.
Riecheggiano le parole dello scrittore: “In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso”. Men che meno sotto forma di un lavoro per i ragazzi diplomati.
Vecchie e nuove generazioni si confrontano. I bambini di ieri, “con qualcosa dell’animale e qualcosa dell’uomo adulto, chiusi, con l’impenetrabilità del contadino, sdegnosa di impossibili confronti”, sono uguali a quelli di oggi? Pare proprio di no, anche se sono rimasti i soli ad affollare la chiesa. Sono tutti bombardati dai messaggi del consumismo, leggono le enciclopedie. Sanno tutto e di tutti. Anche questo è un segno che Cristo ha lasciato Eboli e cammina verso Aliano. Ma quando arriverà? “Quando lo Stato, ripetono i contadini, non sarà più tiranno ed assistenziale”. Una volta si diceva: “Chi mi dà pane lo chiamo papà”. Oggi il pane come un lavoro è un diritto. Ma, ad Aliano, forse bisogna ancora aspettare.


Adriano Baglivo , -Corriere della Sera-
del 28 novembre 1985

Autore: Adriano Baglivo

 

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