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IL RESTAURO DI UN INEDITO PIETRAFESA

Il contributo che le varie discipline scientifiche possono mettere a disposizione per una più completa conoscenza delle opere d'arte, per quanto si riferisce soprattutto ai materiali e al loro "status", che è atto di conoscenza indispensabile per il loro restauro, si è andato notevolmente accrescendo in questi ultimi anni.
Oggi, certe indagini preliminari a molti delicati interventi di restauro non possono prescindere dall'utilizzare impostazioni e metodi propri della scienza. Nuovi materiali, nuove tecnologie, ausili scentifici ed informatici: un ricco fermento di novità hanno interessato e modificato negli anni recenti il mondo del restauro e della conservazione del patrimonio culturale. L’essenza di questa trasformazione sta, infatti, prioritariamente nel coinvolgimento di competenze, conoscenze, culture originariamente lontane da questo contesto: quelle scentifiche, ad esempio. Laddove il restauro riesce a promuovere interazioni strette tra discipline in apparenza distanti, come la chimica e la storia dell'arte, per citarne due, si configura in maniera palese come un substrato in cui formazioni culturali diverse trovano l'opportunità di fondersi e probabilmente di rigenerarsi.
Il Centro di Ricerca e Restauri, che fa propri questi indirizzi metodologici, ha di recente restaurato un dipinto su tela, in pessime condizioni conservative (h. 188,5 cm. largh. 183,5 cm.), raffigurante "La Natività", collocato nella chiesa matrice San Nicola in Picerno, attribuito, dopo il restauro, a Giovanni De Gregorio detto il Pietrafesa (Satriano di Lucania 1579-80, Pignola, 1656). Le anomalie che l'opera presentava erano di tipo strutturale e sono state oggetto di lunga riflessione e studio. Il problema era di ordine tecnico, storico ed estetico: tecnico poiché si trattava di correggere borse, avvallamenti e tagli; storico perché si trattava di riconsegnare alla storia un'opera quanto più vicina al suo stato originario; estetico poiché si trattava di ridare dignità ad un'opera dimenticata. La necessità di ricollocare su idoneo supporto l'opera composta da vari tipi di tela cucite tra di loro sistema sovente utilizzato dal Pietrafesa e la tecnica pittorica utilizzata posero il problema primario della scelta del tipo di foderatura e dei tipi adesivi più idonei da impiegare nonché l'obbligo di indagini polimetodologiche per l'individuazione dei vari strati componenti l'opera, che si presentava in evidente stato di degrado e poco leggibile.
Già in fase diagnostica apparve evidente che il restauro non si sarebbe dovuto limitare ad un semplice intervento conservativo teso ad arrestare il degrado dell'opera. Le variazioni termoigrometriche avevano causato il degrado anche della pellicola pittorica, a sèguito di crettature e deformazioni venutesi a creare per difetti di adesione tra la pellicola stessa e il substrato, con evidenti lacune conseguenti cadute e perdite di colore. L'indagine polimetodologica è stata eseguita su vari campioni prelevati dal dipinto, allo scopo di individuare la successione degli strati pittorici e di riconoscere la natura dei leganti presenti.
Di seguito vengono riportati i risultati del campione "A" la cui stratigrafia può essere così schematizzata:
strato di preparazione di colore di insieme bruno scuro nerastro nella porzione superficiale, a base di carbonati, minori solfati e silicati e con sostanze proteiche e, probabilmente, anche oleose;
strato pittorico di colore di insieme grigiastro a base di carbonati e sostanze oleose;
strato pittorico di colore di insieme rosa chiaro a base di carbonati e sostanze oleose;
strato pittorico di colore di insieme rosa con una tenue sfumatura aranciata, a base di carbonati e sostanze oleose;
strato di vernice apparentemente di colore bruno ambrato a base di una resina naturale, Dammar.
Anche se per formazione professionale, tradizione ed esperienza si è portati a scegliere per le opere antiche sistemi di restauro tradizionali, è giusto da parte di chi persegue con attenzione una ricerca di interventi sempre più razionali per la conservazione, rivolgersi, in casi specifici come questo, all'uso di prodotti innovativi che rispondano con maggiore efficienza alle particolari esigenze richieste. Per questa tela risultò evidente che i tradizionali metodi di restauro non sarebbero stati sufficienti, da soli, a risolvere la particolarità del caso. Era quindi necessario aprirsi ad un intervento che, unendo nuove metodologie a tecniche tradizionali, rappresentasse un momento di verifica della compatibilità di materiali naturali e sintetici, portando al corretto conseguimento degli scopi prefissi: incollaggio di un nuovo supporto (foderatura) con uso di collante compatibile con tre diverse tele originarie (tela patta di lino, tela pattina di lino, tela di canapa) e che desse sufficiente garanzia anche di fluidità e penetrabilità in tutti gli strati del dipinto, per favorirne un buon consolidamento, senza creare differenze di tensione all'interno.
I vari interventi sono stati impostati a partire da un principio basilare: al di là di distinzioni valide a livello di critica d'arte tutte le opere, contemporanee o meno, devono essere considerate nella loro individualità. Di conseguenza, ricercando i criteri per affrontare il restauro, nel rispetto delle esigenze di opere ognuna diversa dall'altra per concezione e modi di realizzazione, si è giunti alla conclusione che metodologie e materiali impiegati per le opere contemporanee meritano una maggiore considerazione anche per il restauro delle opere di epoche diverse.
Nel caso specifico, vista la disponibilità del tavolo per termocollaggio sottovuoto si è progettato ed eseguito un intervento, in base alle esperienze nel restauro dei dipinti contemporanei, con il sistema dell'ing. Gustav Bergerdi New York.
Esaminata la stratigrafia delle analisi effettuate e riconosciuti gli strati di deposito (sporco e vernice ossidata) sono stati asportati con una miscela di solventi (3 A), utilizzata ad impacco con veline di carta giapponese. L’operazione è stata controllata con la fluorescenza UV e, così facendo, si è recuperata la cromìa originale, ridando dignità ad un'opera da tempo dimenticata.
Le fonti letterarie da cui prende spunto l'autore per la realizzazione dell'opera sono il Vangelo di Luca: "(...) c'erano dei pastori che pernottavano nei campi e di notte montavano la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore apparve loro e la gloria del Signore li circonfuse di luce (...)" (Luca 2, 8 13); e l'apocrifo libro di Pseudo Matteo dell'ottavo secolo: "(...) l'angelo ordinò di fermare il giumento, essendo giunto il tempo di partorire; comandò poi alla beata Maria di discendere dall'animale e di entrare in una grotta sotto una caverna nella quale non entrava mai la luce (...) Entrata in essa la beata Maria, tutta si illuminò di uno splendore quasi fosse l'ora sesta del giorno. La luce divina illuminò la grotta. (...) Ivi generò un maschio circondata da angeli (...) quando nato lo adorarono dicendo GLORIA A DIO NEL PIÙ ALTO DEI CIELI E PACE IN TERRA AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ (...) Era infatti arrivata la nascita del Signore (...) depose il fanciullo in una mangiatoia, e il bue e l'asino l’adorarono. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Isaia. (...)" (Pseudo Matteo 13, 1 7). (1)
Una diversa lettura, che va alla ricerca dello schema compositivo, è in quest'opera altrettanto interessante. Infatti l'autore, dividendo l'opera in due parti uguali con una linea di costruzione congiunge verticalmente l'occhio sx dell'Eterno, l'occhio sx dello Spirito Santo e l'occhio sx di Gesù Bambino. Dio Uno e Trino che con profondo amore sceglie di farsi uomo e scende tra gli uomini come il più umile di essi. Questo modulo, un triangolo i cui vertici corrispondono agli occhi dei personaggi, è lo schema usato da Giovanni De Gregorio nella costruzione dei dipinti della "Madonna delle Grazie e i Santi Onofrio e Carlo Borromeo" nella chiesa Santo Stefano a Sala Consilina, della "Madonna del Rosario" nella chiesa Santa Maria Assunta di Albano di Lucania, della "Madonna di Costantinopoli" nella chiesa dell'ex Convento dei Cappuccini a Polla, ecc. Più che con l’"Eterno", raffigurato nel Polittico di Piaggine e con l’"Eterno" nella pala d'altare di S. Croce a Moliterno, è interessante il confronto tra I’"Eterno" della "Natività" di Picerno e quello inserito nella cimasa del polittico dedicato alla "Madonna del Rosario" di Sicignano degli Alburni.
Il confronto è sorprendente: le due figure sono perfettamente sovrapponibili e lasciano pensare all'uso di disegni e cartoni che l'artista utilizza più volte, apportando, in corso d'opera, piccole varianti.
Un'ulteriore valutazione stilistica riguarda le tipologie degli angeli laterali dalle vesti eleganti e ridondanti, nella cui raffigurazione l'artista sfoggia le sue indubbie qualità di disegnatore. Gli effetti cromatici sono utilizzati per accentuare le volumetrie e particolare attenzione è dedicata all'uso della luce e ai chiaroscuri in sintonia con le sollecitazioni che la nuova pittura imponeva, cui il Pietrafesa, nella fase della sua maturità, cercava di adeguarsi. La scoperta della data, 1641, giustifica l'attribuzione critica del dipinto raffigurante la "Natività" al de Gregorio.

Note

1 L. MORALDI (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento, Milano 1990, pp. 215 216 217.

Bibliografia

S. SACCONE (a cura di), Petrafisianus pingebat. Opere di Giovanni de Gregorio 16081653, Napoli 1993;
G. HEDLEY, C. VILLERS, pubblicazione del Meeting ICOMCC, Copenaghen 1994

tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie", 1998

Autore: GIUSEPPE MARINELLI

 

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