INDICE

Avanti >>

.

Ponte sull'Agri (G. Racioppi)

SPINOSO


PONTE SULL’AGRI PRESSO A SPINOSO IN BASILICATA (1856)
Giacomo Racioppi

Se io fossi un vecchio carico di anni e di reumatismi, che seduto accanto al fuoco si consola dei suoi acciacchi presenti, lodando il buon vecchio tempo, quando i capelli ammazzolati si coprivano di una gentile reticella a colori, e due orologi pendevano a mostra dai taschini del panciotto ricamato; se io fossi un giovane, che imbizzarrisce a bistrattare il passato e a non vedere il presente che soffuso dei color della rosa e del pudor della viola, avrei un buon argomento alle declamazioni di ambe le età in questo ponte di vecchia architettura, che con curva ardimentosa cavalca l'Agri presso a Spinoso là in Basilicata.

Ma io non son giovine, né manco son vecchio; e in mezzo alle due età ho la pretenzione di cogliere il vero, il quale, come dice il proverbio, è posto nei mezzo, quando non è nascosto in fondo a un pozzo, come un antico filosofo pretendeva. E tutto infreddato qual sono, ma con un buon paio di occhiali inforcati, che mi permettono distendere la vista un buon tratto d’innanzi e d’intorno, vi dirò animosamente, che questo ponte vale la pena di essere visitato da chi per avventura, dopo conversato coi ciceroni di Pozzuoli o di Pompei, avesse voglia d’internarsi un po’. per il reame, a vedere qui e colà scene pittoresche di una bizzarra natura, costumi ruvidi sì ma originali e non fittizi, torri e castelli di tristi memorie su picchi di rupi inghirlandate, avanzi di vetuste città e di dissepolte necropoli ricordanti Oschi e Pelasgi, Greci e Romani, architetture originali tra lo stile trogloditico e il tartarico, e belle e buone pitture con altre di siffatte rarità. Ma bisogna affrettarsi; ché la marra del colono e la raspa della civiltà, il pennello dell'imbiancatore e il martello del muratore sono consociati a distruggere il passato per migliorare o vestire a moda il presente: e questo ponte sull’Agri nol troverà più il viaggiatore, che pensi affagottare il suo sacco da viaggio fra pochi altri anni, nei quali la ferrovia giungerà a Salerno, quindi ad Eboli, per poscia inviscerarsi nei nostri vergini monti.

Giacché questo Agri riottoso è indignato di sua lunga servitù al ponte e al suo cozzo insistente ora manifesto ora fraudolento, l’opera dell’uomo, che avea soggiogato la natura, pare venir meno, e cedere il campo scoraggiato alle scomposte e fiere forze di questa misteriosa e irrequieta matrona. Fra pochi altri anni, forse — che so? — fra pochi altri mesi, questa opera grandiosa sarà ingoiata dal tempo e dalle acque vincitrici, fuor non restando che qualche avanzo di pilone ad indicare ove fu esso.

Eppure questa massa di fabbrica sì grande, queste basi sì colossali e sì larghe, questa curva che ha dell’audacia davvero, fu opera di tempi barbari e inquieti, di popolazioni povere e miserabili, quasi disperse su incognito spazio, quali potevano essere in quei tempi di miseria e infelicità del secolo xv. Perciocché nella metà di questo secolo vi fu costruito, a spese dei due prossimi Comuni di Spinoso e Montemurro, e nello spazio incredibile di appena quattro anni! Quattro anni dal 1440 per deviare questo gagliardo volume di acqua, per scavar le fondamenta sino al sodo di questo mobile terreno di alluvione, per lastricare, quanta essa è di largo e di lungo, la corda di questa curva, connettere forse a grappe di ferro i lastroni squadrati, e su di essi posar massicci i colossali piloni, e munirli di contrafforti, e armar la difficile centina, e costruire a doppio ordine di cunei quest'ardita curva, che si allarga sull’acqua di ben 92 palmi e si eleva maestosa della metà.

L’Agri, che Strabone dice navigabile (forse intendendo di quel tratto che si allarga nelle pianure sui lidi dello Jonio in cui si scarica), ha cresciuto il volume delle acque in ragione delle grandi e sfrenate dissodazioni, cui da mezzo secolo si è data irrefrenata, e pure scusabile, la popolazione crescente. Queste cause crebbero l’impeto e il volume di ogni torrente, di ogni riviera del Reame, e di tutti i non pochi affluenti dell’Agri, e segnatamente di quel torrentaccio detto delle “Scorze”, che nato d’umile origine dal monte Raparo, scorre poco lungi il caseggiato dello Spinoso, e per breve corso scarica ghiaia ed acque temporalesche nell’Agri, non più che trenta passi su dal ponte in discorso. Ora i banchi di ciottoli e di ghiaia che esso vien deponendo alla sua foce, cresciuti sensibilmente da un 40 anni in qua, hanno spostato il natural corso del fiume; il quale s’incurva là dove riceve il torrente; sicché la corrente che prima si allineava pel mezzo del ponte, or pende a sinistra, e di tutte sue forze batte in fronte il pilone impiantato dalla parte di Montemurro. Ove per verità già pure pendeva il livello delle acque in tempo di piena; sicché l’Artefice (Mariano Milone di Cava de’ Tirreni) rafforzò di ali più larghe cotesto pilone di sinistra, e un occhiello vi aprì di sopra, onde le acque esuberanti nelle escrescenze invernali avessero potuto trovare più facile e sollecito scolo.

Or l’urto continuato per mezzo secolo di tanto volume di acque che produsse mai? Dapprima la correntia spezzò e portò via l’ala sottocorrente del pilone di sinistra; la quale perché cedé la prima all’impeto non diretto, è d’uopo credere, che non avesse avuto le fondamenta così fonde quanto il pilone stesso. Il quale da tal mancanza sfiancato non poté più lungamente sostener saldo il cozzo infuriato delle acque; che forse hanno potuto altresì scoprire e sconnettere qualche pezzo delle generali fondamenta, che con vocabolo tecnico dicono “platea”. Così l’acqua si aprì un varco al fondamento, l’incavò o l’ammorbidì per modo che la pila, inchinandosi alla gravità della sua massa, mostrò nel 1849 qualche pelo o lesione verticale. E l’acqua continuando il segreto lavorio interno, e la corrente arietando il pilone, questo ebbe a risentire un crollo rilevante; perciocché, è già un anno, se ne scorse sensibile il contraccolpo nel fendersi trasversale a due lati opposti il segmento dell’arco.

Pure il traffico non ne fu arrestato: ma sbigottì i chiaroveggenti e le Amministrazioni dei due Comuni di Spinoso e Montemurro; che fecero istanza per restauri necessari e per le spese occorrenti. Fu fatta perizia di arte di sprofondar l’alveo dei fiume alla sua destra, affinché incanalandosi lungo il pilone dello Spinoso, restasse allo scoperto il minacciato: al quale si sarebbero potuti fare i restauri convenienti, che l’arte credeva indovinare, ma che si sarebbero dettati di sicuro dopo l’acqua deviata. E nel settembre trascorso fu aperto l’alveo e incanalatovi il fiume: ma piogge sopravvenienti crebbero siffattamente il volume delle acque, che tutta la nuova opera fu subissata, e la corrente urtò come prima al combattuto pilone. Poscia le ultime piogge diluviali (che tanto danno han recato in tutto il regno) crebbero la piena delle acque sì forte, che al furioso urto dei cavalloni incolleriti e spumeggianti, nonché al cedere del terreno fondamentale, il pilone strapiombando aprì le lesioni in orribili spaccature, metà di un parapetto ruinò di un tratto, l’arco di un sesto dilatato si è stretto ad acuto, e l’ala sopracorrente spezzata in frantumi ha come aperta larga una breccia al nemico elemento. Ed ora è tal rischio porre il pie’ su questo lacero cadavere, qual sarebbe il mettersi dentro alle acque impetuose.

Si riprenderanno non so che lavori alla state ventura, se alle continue, più che periodiche escrescenze invernali, sarà per restare in piedi questa ruinosa costruzione. Dubbio intanto è il successo, ma non è dubbio che l'Agri scuoterà il suo giogo, l’unico giogo stabile e di pietre cementate, che lo cavalca, per le 60 miglia dell’irregolare suo corso. Il traffico invernale della Provincia sarà, come gli è già, interrotto; gl’interessi economici di ottanta e più migliaia di anime, sparse in molti paesi di quella comarca, risentiranno maggiore o minor nocumento; e Spinoso, bel paesetto d’intorno a tremila abitanti, resterà come staccato da Montemurro, ove è la sede principale delle sue quotidiane relazioni economiche e legali.

Tempo verrà, quando porti sicuri e commerciali si apriranno nelle ora spopolate spiagge; e strade carreggiabili e ferrate legheranno ogni umano abitacolo in una rete di fratellevoli commerci; quando questi, che son paeselli ignorati, diverranno un bel dì città popolose e rinomate per insigni manifatture e commerci operosi: allora su questi fiumi riottosi e indomati si sospenderanno sicuri i ponti di ferro, e questo Agri dalle bionde acque vedrà ai suoi lati correre strade e marciapiedi dall’umana industria livellate e popolate.

Allora gl'ipocondriaci “turisti” potranno visitare a diporto queste comode rive. Che, se esse non saranno le “Rive del Reno”, da’ bagni, da’ giuochi, da’ vini così famosi, pure offriranno di che soddisfare alla curiosità discreta del geologo o dell’economista, dell’archeologo o del paesista; né mancheranno di ora ignorata squisitezza gl’indigeni prodotti alle mense degli Apicii, che ne saran soddisfatti. Ma quando verrà questo tempo incantato? E qual sistema di cucina, nostrana o forestiera, preparerà cotesti intingoli al palato de’ ghiotti? Deus aliquis videbit: io non lo so.

Or ritorno al presente; e poiché non posso augurare ancor lunga esistenza a questa troppo inferma e lacera mole, auguro in quella vece ai posteri nostri tanta forza e buona voglia, tanto vigore e possibilità quante ne ebbero i nostri vecchi antenati ad innalzare in pochi anni questa che già fu così semplice e bella ed ardita costruzione.

Autore: DA « POLIORAMA PITTORESCO », NAPOLI 1856

 

[ Home ]  [Scrivici]