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CRISTO SI E FERMATO A EBOLI

Cercare di commentare un opera di Carlo Levi, scrittore di fama internazionale,mi sembra un impresa piuttosto ardua, ma nella mia limitatezza cercherò di esprimere il mio pensiero.
Carlo Levi nato a Torino nel 1902 e morto a Roma nel 1975. Autore contemporaneo, scrittore, pittore e poeta. Di estrazione ebraica ,l’artista da sempre a nutrito profondi interessi sociali e umani.
Laureatosi in medicina non esercitò mai la sua professione. Per la sua attività antifascista, scontò due anni di esilio in uno sperduto paese della Lucania.
Non è facile oggi nell’era della continua evoluzione comprendere e apprezzare la grandezza di questa opera. Il romanzo purtroppo oggi da una parte della popolazione è ritenuto offensivo e dispregiativo. Certamente non rispecchia la volontà dell’autore. Leggendo il libro ho potuto apprezzare con quanto fervoroso coinvolgimento abbia voluto presentare la realtà che, in quei tempi esisteva nel meridione.
Mise in luce, povertà, isolamento, abbandono delle istituzioni, tradizioni leggende e i sentimenti genuini della gente umile, tanto da esserne affettivamente coinvolto e divenirne parte integrante.
Carlo Levi vissuto in una città del nord, notoriamente ricca e industrializzata, ignorava questa dura realtà fino al suo arrivo a Eboli, città della Campania in provincia di Salerno. Lì, ebbe impressione
che la civiltà si fosse fermata. Civiltà che in modo metaforico l’autore aveva chiamato Cristo e quindi il titolo: “ CRISTO SI è FERMATO A EBOLI”.
Nato da famiglia agiata, pur essendosi laureato in medicina non volle mai esercitare la sua professione. Amava la pittura con notevole successo. Ma egli rivelava presto, più larghi interessi
Politico - culturali Attivista e antifascista fu arrestato e mandato al confino.
L’arrivo in quel piccolo sperduto paese del sud, fu piuttosto traumatico. Dal contrasto psicologico del mondo interiore dell’ autore a quella dura realtà lucana lo aveva letteralmente scioccato. Per questo Carlo Levi scrisse il suo libro, con spirito critico ma con profondo sentimento e poesia.
Il trasferimento a Galiano, Carlo Levi inizialmente non lo aveva gradito. Con molto rammarico fu costretto a lasciare il paese di Grassano , dove aveva imparato a conoscere la Lucania.
Lo definì: una piccola Gerusalemme su un alto colle desolato,dove predominanti erano i colori del bianco e del grigio e le case erano esposte alla continua battuta del vento. L’occhio poteva spaziare nei paesi distanti, ciascuno in vetta al suo colle, senza alberi e vegetazione.Un mare di terra bianca e di grotte, rifugio dei briganti in tempi remoti.
L’impatto con il nuovo paese fu molto duro per Levi, l’idea di dover soggiornare per un tempo indefinito, in quel paese sperduto e dimenticato lo sconvolse. Giunto ad Aliano fu alloggiato dalla cognata vedova del segretario comunale. Superato il primo momento d’imbarazzo cercò di avere dalla donna notizie sul paese e ne ebbe subito una parziale idea. Il cuore del paese era la piazza, un piccolo slargo che fungeva da salotto per i pochi signorotti del paese.
Le sue passeggiate erano limitate e sotto costante controllo, le era stato impedito di rivolgere la parola agli altri confinati. “Poco male!” disse: il professore, operai, robetta, gente di basso ceto! Al crepuscolo di ogni sera era solito passeggiare fino alla piazza, per rompere la monotonia della giornata, poteva scambiare qualche parola e ritirare qualche rara lettera. Sopportava a malapena quella gente borghese, boriosa e falsa e in compagnia del suo inseparabile cane barone rientrava frettolosamente a casa
La popolazione di Aliano lo accolse con molta stima e simpatia . Da quel primo incontro i contadini comprendono la profonda pietà, la comprensione che quel medico settentrionale aveva
per la povera gente. A lui tutti accorrevano per farsi curare. Avvertivano la sua grande umanità, e fiduciosamente lo chiamavano come medico e maestro perché possa insegnare loro a leggere e scrivere. Levi cercò di evitare di occuparsi dei malati, dichiarando la sua poca competenza , ma comprende che non può resistere a lungo alle loro supplichevoli preghiere.
Con il passare del tempo incominciò a conoscere e approfondire gli usi i costumi della gente umile. Scopre la magia, che i contadini considerano come mezzo di difesa contro i mali fisici e nello stesso tempo la coltivano come estrema illusione per dominare gli eventi. Attratto da quel mondo misterioso, scopre ancora meglio la disperazione contadina.
Contrastato dalla borghesia”classe moralmente degenerata,” si schiera completamente dalla parte dei poveri e dei deboli. Scopre una affascinante civiltà contadina e ne rimane profondamente e affettivamente coinvolto. Conosce una nuova dimensione dell’anima umana, quella finora a lui del tutto sconosciuta,del contadino meridionale, chiuso in un destino di miseria e di atavica rassegnazione, ma ricco di dignità interiore.
Sente l’isolamento e la lontananza dai suoi affetti e dalle sue radici e con la sua pittura,mette in risalto la totale assenza del verde. Per dipingere andava spesso nel piccolo cimitero del paese,forse per la buona posizione del luogo o in cerca di pace. Lo riteneva il luogo meno triste del paese. Spesso nei giorni di calura andava a rifugiarsi tramite una scaletta a pioli; nella buca appena preparata, per il prossimo morto, alla ricerca di un poco di fresco.
Queste strane abitudini, avevano allarmato i suoi custodi, tanto di essere costantemente controllato a vista.
Da lontano, aveva l illusione che esistesse un nuovo paese, ma che sotto il sole crudo del mattino, “ si dissolveva poi, nel grigio dei muri e della terra “. Mentre il colore del volto dei contadini era solo uno, quello stesso dei loro occhi tristi e dei loro vestiti, neri.
Viveva in un atmosfera quasi irreale, fra l’assenza dei colori e la magia. Con l’arrivo della prima
Pioggia e l’aria più fresca, il paesaggio non era rinverdito ed era rimasto identico nel suo squallore.
I giorni passavano lenti e in solitudine, curava i malati, dipingeva, scriveva e leggeva.
Cercava di tenersi lontano dagli intrighi e dalle passioni. L’unica compagnia era quella di Giulia
la sua domestica, che con le sue stregonerie e superstizioni, lo trascinava in un mondo fantastico di spiriti e animali. La Giulia le insegnava i filtri e gli incantesimi d’amore;formule magiche per incatenare i cuori. Giulia voleva incatenare anche il cuore di lui, sembra comunque che il filtro non abbia funzionato.
Dopo mesi di solitudine assoluta, aveva imparato ad amare tutto di Aliano,ma la lunga segregazione lo porta al distacco dai sensi, simile ad una specie di santità. La sua umanità lo avvicina sempre di più al mondo contadino, legato alla sofferenza e alla chiusura spirituale. Nota una nuova dimensione dell’anima umana, un mondo primitivo pieno di contraddizioni, un miscuglio di sacro e pagano e si immerge sempre più in questa dolorosa realtà. I contadini da sempre caparbi e diffidenti,avevano posto in lui tanta fiducia, non soltanto ricorrevano alle cure dei mali fisici ma soprattutto a quelli morali. Li sentiva spesso esprimersi con malinconica rassegnazione: “noi non siamo cristiani, non siamo considerati uomini, ma bestie,bestie da soma e dobbiamo subire il confronto degli altri cristiani che sono aldilà dell’orizzonte!”
Era veramente gente dimenticata dalla civiltà e dal progresso e Levi, nel suo libro “ Cristo si è fermato a Eboli”, a voluto denunciare alle istituzioni, questa grande ingiustizia.
L’opera di Levi resta estremamente coerente con il suo ideale di solidarietà umana. La forza del suo messaggio è pieno di cruda realtà e poesia. Nessuno di noi oggi, può negare che egli abbia contribuito attivamente ad affrontare più decisamente la questione meridionale.
Non riesce a sottrarsi alle sofferenze e all’inconciliabilità dei due mondi opposti; quello dei contadini, con la loro miseria e disperazione, in una eterna monotonia. E quella dei galantuomini ( i possidenti ).In realtà erano tutti poveri, perché chi non era bisognoso era nevrotico. Questi ultimi maledicevano la loro permanenza in un paese disgraziato, bersagliati dall’invidia e dal rancore atavico e istintivo.
I giorni passano lenti nella sua solitudine e i mesi si susseguirono con le stagioni, dal contatto quotidiano con l’ambiente contadino,Carlo Levi, con i suoi pennelli amava ritrarre la natura e la campagna. Lavorava e curava i malati, conosceva ogni rumore, ogni sussurro. Al tramonto, si appartava spesso ad ammirare i meravigliosi colori lucani. Lontano dagli affetti e chiuso in una estrema indifferenza, attendeva la fine del confino.
In un caldo e afoso mattino d’estate, all’ufficio postale del paese arrivò un telegramma, dove annunciava la liberazione del confinato. Tutti i signori del paese gli si fecero attorno per congratularsi per la libertà elargitagli. Quella gioia inattesa si trasformò in tristezza.
Inconsapevolmente cercava tutti i pretesti per trattenersi. Aveva dei malati che non poteva lasciarli,
delle pitture da finire e tante altre cose. I contadini venivano a trovarlo e lo pregavano di non partire. Resta con noi e ti faremo sindaco. Sposa Concetta ( una bella giovane del paese ) e non te ne andare più. - tu sei un cristiano bono - . Si congedò da tutti promettendo che sarebbe tornato.
Ritornò nella sua Torino, completamente cambiato. Quella civiltà non le apparteneva più, pensava con affettuosa angoscia a quella sua gente che aveva abbandonato.
Carlo Levi, continuò le sue battaglie socio- politiche, nel 1944 diresse “ La Nazione del Popolo”
Di Firenze. Nel 1945 era a Roma come direttore del giornale del partito d’Azione “ Italia libera “.
Scrisse per molti anni sulla “ LA STAMPA “di Torino. Con profondo affetto e grande passione, continuò a lottare per poter risolvere i gravissimi problemi dell’ Italia meridionale.
Il suo ultimo desiderio fu quello di essere seppellito, nella terra, che aveva tanto amato.

Autore: Virginia Grassi

 

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