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CASTELLI E FORTIFICAZIONI ANGIOINI E ARAGONESI IN BASILICATA

Con la sconfitta e l'uccisione di Manfredi a Benevento (1266) e la decapitazione di Corradino a Napoli (1268) termina il breve, ma intenso dominio degli Svevi nel meridione d'Italia. I nuovi sovrani, gli Angioini, dovettero pensare innanzitutto all'organizzazione politico-amministrativa del vasto territorio ed alla ridefinizione del possesso feudale.
È risaputo che la fazione guelfa della nobiltà napoletana ricevette in premio un consistente numero di feudi, ma è altrettanto vero che al seguito di Carlo I d'Angiò venne gran parte dell'aristocrazia transalpina, la quale, con circa settecento assegnazioni feudali, si stabilì in tutte le province del regno, estromettendo di fatto le antiche famiglie rimaste fedeli agli Svevi (1).
Il lungo dominio francese, protrattosi fino al 1435, non deve far pensare ad un periodo di stabilità politica. Anzi, le continue minacce al neonato regno nell'ambito delle guerre di successione, indussero Carlo I d'Angiò a varare un programma di difesa dell'intero territorio, ordinando nel 1282 ai castellani di prestare molta cura alla manutenzione delle fortezze, pena la confisca dei beni (2) .
In alcuni casi il governo interveniva direttamente nella conduzione dei cantieri di restauro delle rocche ubicate in punti strategici.
In Basilicata è il castello di Melfi a beneficiare di tanta attenzione, con l'affidamento della direzione dei lavori ad un esperto del settore: il francese Pierre d'Angicourt (3) .
Anche nel sessantennio aragonese, dopo la tranquilla fase iniziale (1443-58) conclusasi con la morte di Alfonso il Magnanimo, le province napoletane furono sconvolte da due cruenti tentativi di ripristino dell'antico regime francese, con i feudatari meridionali schierati su entrambi i fronti in un clima di autentica guerra civile (4).
Le premesse finora esposte servono a schiarire le idee sull'importanza del sistema difensivo dell'intero territorio, tanto lungo le coste per prevenire attacchi dal mare, quanto nelle zone interne.
In Basilicata, come in altre province, l'architettura fortificata del periodo angioino è riconoscibile soprattutto nella tipologia delle torri, candidate a contrastare il progressivo perfezionamento delle macchine da guerra. Il muro di scarpa, separato dal corpo verticale della torre tramite un cordolo di demarcazione (redondone) preposto a creare maggiori difficoltà alla scalata da parte degli assalitori; le mensole (beccatelli) reggenti il coronamento d'archi, da cui, tramite le caditoie avveniva la difesa piombante; ed i merli, utilissimi per la difesa di fiancheggiamento, erano elementi largamente diffusi nei secoli XIII e XIV (5).
Nel Quattrocento, con l'avvento delle artiglierie, le strutture fortificate sono chiamate ad offrire una valida risposta al cosiddetto tiro radente. L'altezza delle torri viene perciò ridotta per esporre un bersaglio minore. Il redondone serve così a dividere a metà la base troncoconica ed il corpo cilindrico, e prosegue lungo tutte le cortine del castello (6).
Peculiarità tipiche dell'architettura castellare angioina, come l'intero apparato del coronamento, non svolgono più la loro originaria funzione difensiva, ma, anche se in forma esemplificata, vengono ugualmente realizzati per fini puramente decorativi (7).
Rocche e castelli, esistenti ancora in numerosissimi centri abitati, ma anche in zone rurali della Basilicata, hanno subìto nel corso dei secoli incisive trasformazioni mutando notevolmente il loro aspetto originario (8).
Già nel XVI secolo si eseguono un po' ovunque lavori atti a rendere le fabbriche più rispondenti alle esigenze legate all'abitabilità che non alla difesa.
Tuttavia, alcune opere realizzate nel periodo in esame in diversi luoghi della regione testimoniano ancora dell'importanza che quest'ultima riuscì a rivestire, innanzitutto in relazione alla sua posizione geografica al centro del regno.
Non vanno però trascurati aspetti di natura economico-politica, legati soprattutto alla presenza in Basilicata delle principali famiglie della nobiltà napoletana, che possedevano di svariate decine, tra città, terre e feudi disabitati.
L'excursus dei più importanti siti che custodiscono ancora oggi notevoli esempi di opere fortificate realizzate tra la seconda metà del XIII secolo e l'inizio del XVI, pur rimanendo - nell'intenzione di chi scrive - estraneo a pretese di completezza, potrebbe costituire la base di partenza per un itinerario lucano dei castelli e delle fortificazioni angioini ed aragonesi.

MELFI

La cinta muraria che in epoca normanna delimitava l'area corrispondente all'attuale centro storico venne restaurata da Federico II di Svevia (9).
A partire dal 1416 la città, assegnata da Giovanna II d'Angiò a Sergianni Caracciolo, diventa il centro amministrativo dell'omonimo stato feudale, esteso su un vastissimo territorio che da Candela, procedendo verso Sud, inglobava l'intera regione del Vulture giungendo fino ad Avigliano (10).
I Caracciolo pongono grande attenzione all'aspetto urbanistico della città, specie dopo il terremoto del 1456 (11). Tra le iniziative dei duchi Giovanni II e Troiano II emerge il restauro della murazione urbana, la quale viene a saldarsi con la cinta del castello, e di cui è ancora esistente una torre quattrocentesca a sinistra della medievale Porta Venosina.

LAVELLO

Fatto edificare molto probabilmente dal conte normanno Umfredo, e classificato come domus negli Statuta Officiorum federiciani (1241-46) (12) , assurge al rango di castrum nel successivo periodo angioino.
Nel 1298 Carlo II d'Angiò ordinò l'incendio della città con il conseguente danneggiamento delle opere di difesa (13) .
L'aspetto odierno del castello evidenzia le trasformazioni tardo-quattrocentesche volute dalla famiglia Del Balzo-Orsini, di cui si conserva lo stemma (14) sul portale durazzesco d'ingresso, collegato alla strada adiacente da una rampa, indispensabile per il superamento del dislivello di circa tre metri.
Nel cortile vi è un pozzo recante lo stemma gentilizio dei Del Tufo, feudatari di Lavello per tutto il corso del XVI secolo (15), ed elementi tipici dell'architettura meridionale del periodo a cavallo tra Quattro e Cinquecento, riconoscibili nella loggetta a due archi ribassati separati da un pilastrino a pianta ottagonale, che si rifà al cortile del palazzo napoletano di Antonello Petrucci.
Il carattere difensivo, espresso in particolare dalle torri, non sembra essere stato interessato da interventi di consolidamento in epoca successiva a quella normanno-sveva, come si evince dalle dimensioni di una semitorre a sinistra della cortina principale, denominata Torre normanna.

VENOSA

È il castello lucano che meglio racchiude i canoni dell'architettura castellare del periodo aragonese.
Fatto edificare a partire dal 1470 dal duca Pirro Del Balzo, il manufatto, unitamente alla nuova cattedrale dedicata a S. Andrea, rappresenta la punta avanzata di un processo di trasformazione allargato all'intero perimetro urbano
(16) .
L'area sulla quale sorse il castello era occupata dall'antica cattedrale di S. Felice e da numerose altre costruzioni civili e religiose, per le quali si rese necessaria la demolizione.
L'impianto tipologico a pianta quadrata, con torri cilindriche agli angoli (17) che si elevano dalle controtorri scarpate, i rivellini ed il profondo fossato, denotano inequivocabilmente la derivazione dal modello napoletano di Castelnuovo, a cui si ispireranno pure le aggiunte successive, come il loggiato cinquecentesco del cortile.
L'elegante arco marmoreo in stile ionico-mormandeo all'interno di un salone ed altri elementi rinascimentali, simboleggiano le esigenze dei nuovi signori, i Gesualdo, i quali ne fecero innanzitutto una lussuosa residenza ed il luogo di importanti incontri culturali.

ATELLA

Fondata da Giovanni d'Angiò nel primo trentennio del XIV secolo 18 , la cittadina si distingue dagli altri centri abitati limitrofi per il suo impianto urbano quadrangolare, un tempo cinto da mura intervallate da torri, e difeso da un castello di cui si conservano i resti. L'unica delle quattro torri del castello, ancora esistente, ha forma cilindrica con base scarpata (19).
Il sistema difensivo dovette subire consistenti rimaneggiamenti dopo la distruzione della città provocata dal terremoto del 1456. In questa veste il sistema difensivo di Atella oppose una valida resistenza all'assedio dell'esercito francese sceso in Italia al seguito di Carlo VIII nel 1496 (20).

RUVO DEL MONTE

La torre angioina ed i pochi resti di mura sono ciò che rimane dell'antico castello dei signori Gesualdo, distrutto e dato alle fiamme assieme all'intero abitato dal capitano di ventura Antonio Caldora nel 1435, con l'intento di punire Antonello Gesualdo, colpevole di aver parteggiato per la fazione aragonese.
Il borgo aveva già conosciuto, nel 1348, la furia distruttrice degli eserciti di re Luigi d'Ungheria nell'ambito delle guerre di successione al trono di Napoli (21).
Il grosso torrione conserva ancora la serie di beccatelli disposti in triplice fila.

POTENZA

La murazione urbana normanno-sveva, gravemente danneggiata in seguito alla repressione angioina (1268), ebbe il colpo di grazia col terremoto del 1273. Subito dopo questo evento, il nuovo governo, con delle agevolazioni fiscali ai cittadini, intese promuovere la ricostruzione e l'ampliamento del perimetro fortificato, lavori che si protrassero fino alla metà del Trecento (22).
Dopo un periodo di stasi, le vicende urbanistiche della città ripresero all'indomani dell'insediamento della monarchia aragonese, nel 1445, grazie al conte Innico De Guevara, il quale volle privilegiare innanzitutto l'aspetto difensivo.
Notizie documentate di interventi sulle opere di fortificazione, risalenti al 1471, vanno invece poste in relazione con la fase di ultimazione dei lavori di riparazione a seguito dei danni prodotti dal terremoto del 1456 (23).
Le poche torri ancora esistenti si presentano parzialmente inglobate nelle cortine di edifici adibiti ad abitazioni. L'unica torre isolata, è quanto rimane dell'antico castello, abbandonato sin dalla metà del XV secolo, e - dopo varie trasformazioni - demolito negli anni '60, edificando sull'area dismessa un moderno edificio scolastico (24).

PICERNO

Delle due torri cilindriche presenti nel nucleo antico, quella denominata Torre medievale, di origine normanna, è stata rimaneggiata nei secoli XIII-XV come evidenziato dal basamento a scarpa (periodo angioino), visibile solo in parte a causa del parziale interramento, e dal muro di controscarpa a quattro torrette angolari (periodo aragonese), inglobate poi nell'edilizia civile (25).

BRIENZA

Nonostante lo stato di avanzato degrado, il nucleo medievale dominato dal castello e cinto da mura, è da considerarsi l'esempio più interessante di borgo fortificato ancora esistente in Basilicata.
Largamente rimaneggiato dai Caracciolo, i quali, a partire dal 1438 esercitarono per secoli il loro dominio sulla città, la fortezza conserva un mastio angioino che si eleva da un vertice dell'impianto triangolare, e, dello stesso periodo, una semitorre circolare interrompente a metà la lunga cortina muraria (26) .

MARSICO NUOVO

Un grosso torrione cilindrico con muro di scarpa, appartenente un tempo alla murazione urbana o allo stesso castello feudale, è stato poi inglobato nell'impianto della cattedrale dedicata a S. Giorgio ed alla Beata Vergine, divenendone l'abside. Presenta segni evidenti di un intervento quattrocentesco.

EPISCOPIA

Il castello viene fatto risalire al XVI secolo 27 , ma è bene in vista una tipica torre angioina ormai cadente, a denunciare la preesistenza di una roccaforte medievale.

S. SEVERINO LUCANO

Di un torrione angioino a base scarpata, appartenente all'antico castello, vi è traccia in una fotografia del 1900 28 che lo ritrae già in evidente stato di degrado.

CHIAROMONTE

Roccaforte della famiglia Sanseverino, il centro conserva i resti del castello feudale e della murazione urbana, risalenti a varie epoche.
Nel palazzo Di Giura, che occupa parte dell'area del castello, è inglobata una possente torre circolare merlata di probabile derivazione angioina (29).

BERNALDA

L'edificazione del castello viene posta in relazione alla fondazione della città ad opera di Bernardino De Bernaudo nel 1470, quattro anni dopo la distruzione della vicina Camarda causata da un terremoto (30).
La lettura tipologica e stilistica del monumento, rivela la presenza di elementi ascrivibili all'età angioina, come le due torri cilindriche a base troncoconica, inducendo ad ipotizzare l'esistenza di un precedente fortilizio al momento dell'intervento quattrocentesco (31).

MATERA

Ubicato -extra moenia- sulla collina Montagny, il castello fu commissionato dal conte Giovanni Tramontano durante il suo breve dominio sulla città, che si svolse tra il 1497 ed il 1514. Rimasto incompiuto dopo la morte del feudatario, le parti realizzate sono comunque sufficienti a far notare chiarissime affinità con l'architettura militare tardo-aragonese dell'area napoletana, leggibili nel grande torrione centrale e nelle due torri laterali, di minori dimensioni, aventi tutte dei muri di controscarpa e terminanti con coronamento d'archi, che poggia su mensole, privo di merlatura (32).

MIGLIONICO

Il castello del Malconsiglio (così denominato per aver ospitato nel 1485 i baroni filo-francesi, radunati da Girolamo Sanseverino per congiurare contro il re Ferrante d'Aragona) è ubicato all'esterno del primo nucleo urbano, in posizione strategica dominante la direttrice viaria Miglionico-Grottole-Tricarico.
La sua edificazione, databile ai primi decenni del XIV secolo, si deve ai Sanseverino (33). Allo stesso periodo risale l'ampliamento fortificato dell'intera città, di cui sono ancora evidenti cospicui resti di murazione e numerose torri, alcune delle quali parzialmente inglobate nell'edilizia civile dei secoli successivi.
L'impianto originario del castello era inscritto in un quadrato, con torri cilindriche nei quattro angoli e a pianta quadrata a metà di ogni lato (34). Il perimetro era edificato su tre lati, mentre il quarto, rivolto verso l'abitato, era molto probabilmente delimitato da un muro di cinta contenente l'ingresso, successivamente demolito, nell'ambito di un progetto di ampliamento alterante le forme simmetriche originarie (35).

S. MAURO FORTE

La rocca normanno-sveva dominava il primo insediamento urbano. Demolita nei primi decenni del XVI secolo, conserva solo il poderoso mastio con triplice fila di beccatelli, frutto di un rimaneggiamento di epoca angioina. La rimanente area di risulta è occupata, a partire dal 1533, dalla nuova chiesa parrocchiale ultimata verso la fine di quel secolo (36).

CIRIGLIANO

Sono evidenti le tracce delle antiche mura, con alcune torri incorporate nelle fabbriche successive. Il palazzo feudale ha una torre a base ovale, conservante ancora l'intera sequenza di beccatelli. Scomparsa è invece l'archeggiatura di coronamento (37).

TRICARICO

Il mastodontico torrione cilindrico, alto circa ventisette metri, è la trasformazione avvenuta nel periodo angioino di una preesistente torre del castello normanno, edificato intorno al 1070 da Roberto il Guiscardo e ceduto sin dal 1340 al convento napoletano di S. Chiara (38).
Sotto il profilo stilistico, oltre che per le imponenti dimensioni, ricorda il mastio del castello Gaetani a Fondi (LT), rispetto al quale ha in più il coronamento di archi che sovrasta i beccatelli disposti in triplice fila, aggiunto forse in epoca aragonese (39).
A partire dal 1605, anno in cui fu realizzata la prima veduta prospettica di Tricarico (40), la torre costituisce l'elemento predominante dello scenario urbano in tutte le raffigurazioni della città.

Note

1 L. SANTORO, Castelli angioini e aragonesi nel Regno di Napoli, Milano 1982, p. 15;
2 Ivi, p. 17;
3 Ivi, p. 54. Un approfondimento di questo intervento è in R. CORRADO, Il giglio e la pietra serena. Il cantiere del castello di Melfi in epoca angioina (1269-1284), in -Tarsia-, a. X-XI, n. 20, dicembre 1996-gennaio 1997, pp. 33-47;
4 Ivi, pp. 22-30. Relativamente alla Basilicata, si veda G. VITALE, Le rivolte di Giovanni Caracciolo duca di Melfi e di Giacomo Caracciolo conte di Avellino contro Ferrante I d'Aragona, in -Arch. Stor. per le Prov. Napoletane-, II serie, V-VI, vol. XII, 1966-67;
5 Ivi, pp. 89-93. Di notevole interesse è anche R. DE VITA (a cura di), Castelli, torri ed opere fortificate di Puglia, Milano 1982. Altri significativi aspetti dell'architettura castellare con particolare riferimento ad esempi lucani sono in A. PELLETTIERI, N. MASINI (a cura di), Città Cattedrali e Castelli in età normanno-sveva: storia territorio e tecnica di rilevamento, in -Tarsia-, a. X, n. 19 (numero speciale), maggio 1996;
6 Ivi, pp. 128-131. Si vedano anche R. PANE, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, vol. II, Milano 1977, pp. 7-33 e 197-240, e M. ROSI, Architettura meridionale del rinascimento, Napoli 1983, pp. 51-57;
7 Ibidem;
8 Un esaustivo excursus storico sulle trasformazioni delle fortificazioni è in L. SANTORO, Le trasformazioni e l'abbandono delle opere difensive in Basilicata, in -Napoli Nobilissima-, vol. XXXIII, fasc. I-II, gennaio-aprile 1994, pp. 27-51;
9 P. MASCILLI MIGLIORINI, Melfi, in Città da scoprire-Guida ai centri minori, a cura del TCI, vol. III, S. Donato Milanese 1985, pp. 212-214;
10 L'esatta definizione dello stato di Melfi dal XV al XVII secolo è in F. MANFREDI, Avigliano tra Medioevo ed età moderna. Storia feudale e sviluppo urbano, Potenza 1995, tav. 1;
11 Giovanni II fa sostituire la lapide posta sulla Porta Venosina in ricordo dei restauri promossi da Federico II. Cfr. P. MASCILLI MIGLIORINI, op. cit., p. 213;
12 P. RESCIO, L'archeologia dei castelli della Basilicata, in -Basilicata Regione-, a. X, n. 5 (1997), p. 117;
13 AA.VV., Calabria e Lucania. I centri storici, Cinisello Balsamo 1991, p. 266;
14 P. RESCIO, op. cit., p. 117;
15 E. NAVAZIO, M. TARTAGLIA, Itinerario storico nel Vulture-Melfese, Lavello 1992, pp. 52-54, in Il turismo educativo, a cura della Comunità Montana del Vulture, vol. III;
16 E. MASIELLO, Venosa. Storia Città Architettura, Lavello 1994, pp. 271-274;
17 L. SANTORO, Castelli angioini e aragonesi, cit., p. 234. L'autore sostiene che due delle quattro torri riflettono i caratteri del periodo angioino, che si evidenziano nel motivo dei beccatelli reggenti il coronamento (quest'ultimo ormai scomparso), avanzando perciò l'ipotesi di una loro preesistenza al momento dell'edificazione quattrocentesca;
18 A. PELLETTIERI, Dai Casali della Valle di Vitalba alla nascita della Terra di Atella: territorio, storia feudale, sviluppo urbano tra Medioevo ed età moderna, in AA.VV., Dal Casale alla Terra di Atella, Lavello 1996, p. 29;
19 L. SANTORO, op. cit., p. 112;
20 N. MASINI, L'impianto urbano di Atella nel Tardo medioevo, in AA.VV., Dal Casale alla Terra di Atella, cit.,p. 61;
21 E. NAVAZIO, M. TARTAGLIA, op. cit., pp. 160-161;
22 A. BUCCARO (a cura di), Potenza, in Le città nella storia d'Italia, Bari 1997, p. 26. Per un approfondimento dell'argomento si veda A. PELLETTIERI, Le mura di Potenza in età angioina, in -Tarsia-, a. IX, n. 16-17 (1995), pp. 21-31;
23 Ivi, pp. 40-42;
24 Ivi, p. 27 ed anche A. BORGHINI, Potenza...perché, Potenza 1984, p. 10;
25 A. CAPANO, Beni culturali a Picerno e nel suo territorio, Agropoli 1989, p. 34;
26 A. CAPANO, Beni culturali e storia a Brienza e nel suo territorio, Agropoli 1989, pp. 29-30;
27 AA.VV., Basilicata e Calabria, in Guida d'Italia del TCI, IV ed., S. Donato Milanese 1980, p. 362;
28 L. LUCCIONI, La Basilicata...com'era, Roma 1988, p. 30. La cartolina reca il timbro postale dell'8 settembre 1903;
29 AA.VV., Basilicata e Calabria, cit., p. 359;
30 R. FAGGELLA, Il castello di Bernalda, in -Basilicata Regione-, a. V, n. 1-2 (1992), pp. 75-76;
31 L. SANTORO, op. cit., pp. 234-235;
32 A. RESTUCCI, Matera, i Sassi, Moncalieri 1991, pp. 97-98 e L. SANTORO, op. cit., p. 235. Interessanti note sulle fortificazioni di Matera sono in C. FOTI, Ai margini della città murata. Gli insediamenti monastici di San Domenico e Santa Maria la Nova a Matera, Lavello 1996;
33 L. BUBBICO, F. CAPUTO, R. GIURA LONGO, Il Castello del Malconsiglio e il centro storico di Miglionico, Montescaglioso 1986, p. 65;
34 Tale schema è comune a molti castelli di Terrasanta e della Sicilia normanno-sveva (castello Ursino a Catania e castello Maniace a Siracusa), riconducibili a loro volta al castrum romano. Cfr. C. A. WILLEMSEN, Componenti della cultura Federiciana nella genesi dei castelli svevi, in R. DE VITA, op. cit., pp. 404-410;
35 L. BUBBICO, F. CAPUTO, R. GIURA LONGO, op. cit., p. 75;
36 AA.VV., Calabria e Lucania. I centri storici, cit., p. 312;
37 AA.VV., Basilicata e Calabria, cit., p. 315 ed anche L. SANTORO, op. cit., p. 112;
38 A. RESTUCCI, Tricarico, in Città da scoprire-Guida ai centri minori, cit., p. 203;
39 AA.VV., Calabria e Lucania. I centri storici, cit., p. 320;
40 La veduta prospettica acquerellata è contenuta nel terzo tomo dell'opera cartografica Theatrum Urbium praecipuarum mundi, edita a Colonia tra il 1572 ed il 1618 da George Braun e Franz Hogemberg, in cui vengono rappresentate 754 città. L'esatta datazione dell'incisione dell'unica città lucana (1605) è riconducibile al soggiorno a Colonia da parte del vescovo della diocesi tricaricese Ottavio Mirto Frangipane ed all'approfondimento dello studio degli stemmi delle famiglie riportati sulla veduta. Queste ed altre riflessioni sono esaustivamente esposte in N. BARBONE PUGLIESE, Pietro Antonio Ferro: cultura figurativa tridentina fra centro e periferia, in -Napoli Nobilissima-, vol. XXXV, fasc. V-VI, settembre-dicembre 1996, pp. 164-166.

Autore: Testo di Francesco Manfredi - tratto da BASILICATA REGIONE Notizie, 1998

 

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