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UN'ARCA IN RIVA AL MARE IL BOSCO DI POLICORO

La storia della pianura alluvionale del Metapontino è legata in modo inscindibile a quella geologica del territorio lucano e dei relativi fenomeni fisici: così come alla storia dell'insediamento antropico: dalle prime stazioni commerciali dei mercanti del Mediterraneo alla persistenza di popolazioni autoctone, alla colonizzazione ellenica, alla conquista romana.
Il torbido Siri (Sinni) e gli altri fiumi, l'Aciris (Agri), il Cavone, il Basento, il Bradano hanno colmata la pianura di sabbia, di pietre e di argilla, erose alla montagna.
Le acque dei fiumi, placatesi nella piana della Siritide, hanno inseminato la terra; gli alberi, con le loro radici e con le loro foglie, si sono eretti a custodi di un vasto territorio di confine tra terra e mare.
Gli alberi hanno fiancheggiato il fiume e nella pianura si è esteso il bosco, con stagni, rigagnoli, pozze profonde, fornendo alimento agli animali, sosta e nido agli uccelli, casa agli insetti, terra ed acqua agli uomini.
Dopo le prime colonizzazioni e bonifiche tentate dai Greci e proseguite in periodo romano, furono i monaci basiliani a coltivare terre e boschi.
Con il periodo feudale sopraggiunsero l'impaludamento delle terre. l'abbandono della "città di Policoro" e del cenobio basiliano.
Attorno ai primi del Cinquecento Leandro Alberti descrive "i vestigi di Pelicore rovinato" annotando l'esistenza di una "Rocchetta" dove "solevano soggiornare le guardie poste dai Signori del paese" (1) a difesa dai saccheggi e dagli incendi di ladroni e pirati.
Una pianta del 1589 del feudo di Policoro (appartenente all'epoca al principe di Bisignano), redatta da Cola Francesco Chiarito, compassatore di Castellaneta, documenta, tra l'altro, l'estensione del feudo, la natura del terreno e la superficie del bosco pantano: ''1e matine maculate di siepi, le sterpine piene di rovi, il pantano fitto di boscaglia con piccole aree coltivate a cotone o bammacia e l'Isca priva di vegetazione intestante" (2).
In questa pianta è segnalato anche il bosco "revolta" di Montalbano e la presenza, nel pantano, di un mulino e di due torri costiere (3) mentre un'altra torre (con ogni probabilità la Rocchetta segnalata dall'Alberti) corrispondeva al sito della distrutta Eraclea.
Le terre di Policoro, possedute nel tempo da diversi feudatari, ritornarono nel possesso dei Borboni quando la Compagnia di Gesù, che le amministrava, fu espulsa dal Regno delle Due Sicilie (1772).
Posto all'asta, dopo l'affidamento alla Reale Azienda dell'Educazione, il feudo con il castello (4) venne prima acquistato da Maria Grimaldi, principessa di Gerace (1772), per poi passare attraverso successive vendite nelle mani del conte Nicola Serra (1868) e quindi del barone Luigi Berlingieri di Crotone (1893), il cui nipote, Giulio, lo possedette sino all'esproprio delle terre operato dall'Ente di Riforma Agraria e Fondiaria (1950).
Alla foresta di Policoro, collocata sulla riva del mare, dedicarono la loro attenzione ed il loro interesse numerosi visitatori e viaggiatori stranieri (5).
Tra i primi lo scrittore francese Richard de Saint Non, il quale, insieme alla sua équipe di disegnatori, ritrasse il castello ed i dintorni di Policoro definendo il bosco (1781 1786), con tono neoclassico comune ai disegni dei Voyages pittoresques, "una foresta sacra.., popolata da una folla pacifica di animali e di ogni specie di selvaggina” (6): cinghiali, daini, cervi, caprioli, martore e scoiattoli.
Anche il viaggiatore inglese Richard Keppel Craven visitò (1821) il bosco di Policoro restando impressionato dalla presenza di alberi appartenenti a climi più freddi e nordici e dal fitto ed intricato sottobosco in cui gorgheggiavano una grande quantità di uccelli mentre "il fruscìo del capriolo spaventato ed il muggito delle grandi mandrie che pascolavano nelle radure aperte" creavano "uno scenario silvano" (7) non osservabile altrove.
Anche il grande Francois Lenormant, professore di archeologia presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, rimase impressionato (1879 1882) dalla grandezza degli alberi del bosco di Policoro che scrisse : "contorcono i loro tronchi ed i loro rami in forme bizzarre" (8), mentre il narratore e saggista inglese George Gissing lo definì (1897): '''bosco incantato (9).
Un altro narratore e saggista inglese, Norman Douglas, ironizzando sullo smembramento e la bonifica delle terre che si prospettava ai primi del Novecento in Lucania e Calabria si chiedeva se fosse saggio per l'umanità sostituire alle risorse naturali "una campagna scientificamente irrigata per la coltivazione di pomodori" o altro, definendo il bosco di Policoro (1907): "una palude tropicale... un labirinto verdeggiante" (10) del tutto simile a qualche primitiva regione del globo terrestre.
Al montalbanese Prospero Rondinelli si deve, invece, una descrizione puntuale (1913) delle pratiche colturali agricole e silvo-pastorali nelle terre di Policoro, mentre il bosco pantano veniva definito "foltissimo ed esteso" (11).
Le terre dl Policoro erano però funestate precisava Rondinelli dalla malaria ed i poveri lavoratori "tra una pillola e l'altra di chinino" sognavano la futura bonifica.
Intorno al 1920 il tenimento di Policoro, facente parte del Comune di Montalbano Ionico, comprendeva 1.600 ettari di bosco e 110 ettari di stagni, all'interno dei 6.000 ettari circa che ne costituivano il territorio.
A partire dal 1931 il Consorzio di Metaponto intraprese le prime bonifiche idrauliche del territorio.
Il bosco dei pantani di Policoro restò ad esclusivo diritto di caccia del barone Berlingieri il quale concesse in fitto il resto dell'azienda alla società Padula e Soci di Moliterno. Con l'esproprio operato dalla riforma agraria le terre bonificate vennero assegnate ai contadini.
In dieci anni vennero tagliati circa 1.000 ettari di bosco del pantano soprano; al barone Berlingieri restò una piccola parte di bosco: quella detta mena cesarella (480 ettari circa) tra la ferrovia ed il mare (12).
Olmi, ontani, frassini, pioppi secolari caddero sotto i colpi dell'accetta e della motosega mentre gli ultimi caprioli e cinghiali fuggivano impauriti dalle macchie.
Poi vennero gli incendi (1957) e l'alluvione (1959) a distruggere il resto, nell'anno in cui Policoro divenne Comune autonomo (13).
Eppure il bosco di Policoro, proprio negli anni della sua maggiore perdita, era divenuto (1956 1958) luogo privilegiato di una notevole mole di ricerche coleotterologiche mentre un ispettore della forestale ne classificava le numerose specie arboree esistenti; segno di una diversa, anche se limitata, coscienza scientifica ed ecologica.
Le numerose ricerche coleotterologiche condotte negli anni, a partire dal 1956, hanno documentato infatti l'esistenza, nel bosco di Policoro, di 1.823 specie di coleotteri appartenenti a 81 famiglie, di cui 1.315 nuove per il bosco di Policoro e 527 nuove per la Lucania. Di queste ultime 527 specie, 33 specie risultano note soltanto in regioni settentrionali o isole: 20 specie sono nuove per l'Italia mentre 5 specie risultano nuove per la scienza.
La persistenza di molte specie di coleotteri dell'Europa settentrionale e centrale che hanno resistito alla distruzione dell'antico bosco di Policoro conferma l'ipotesi di origini relitte del bosco, isola temperata e mesofila all'interno della regione mediterranea, dove si sono conservate specie discese a queste latitudini durante le glaciazioni quaternarie ed a cui si accoppia la presenza di specie endemiche italiane di origine terziaria,
Insomma un vero e proprio laboratorio della coleotterofauna italiana, luogo di rifugio inoltre per numerosi invertebrati prima sconosciuti alla scienza e luogo di transito e di sosta per numerose specie di uccelli.
Un bosco igrofilo (14) posto a livello del mare, le cui caratteristiche si riscontrano solo in poche altre parti d'Italia; foresta Sabaudia, in provincia di Latina; San Rossore Migliarino, in provincia di Pisa insieme ad altre zone della Maremma toscana ed al Basco della Mesola, nel delta padano.
Ciò che resta dell'antica foresta di Policoro (circa 680 ettari) è rappresentata oggi dalle formazioni relitte poste lungo l'argine sinistro del fiume Sinni (circa 160 ettari) con nuclei sparsi di alberi formati in prevalenza da pioppo bianco, olmo campestre, frassino oxicarpa, ontano nero e salice bianco inquinati da specie estranee come l'alianto la robinia ed i pioppi euroamericani.
Una superficie, questa, impoverita in modo continuo da prelievi abusivi, ridottasi notevolmente in seguito al dissodamento operato.
La seconda fascia boscata, compresa tra il cordone dunale e la linea della ferrovia Taranto Reggio Calabria, si estende su circa 500 ettari e risulta quella maggiormente conservatasi rispetto al bosco originario.
Lo stato arboreo di questa parte di bosco è data da fustaie di pioppo bianco, frassino oxicarpa, olmo campestre, ontano nero e salice bianco.
Verso il cordone dunale e verso la zona detta "giumenteria" tale formazione arbustiva si dirada in gruppi di piante sparse di pioppo, ontano, salice, risultato più raro in questa zona il frassino, mentre nelle depressioni si mescolano canna di palude, lentisco, ginestra e giunco.
Lungo il cordone dunale sono insediati invece ginepro, ginestra, lentisco, mirto, rosmarino, la caratteristica bassa macchia mediterranea arricchita da agave americana.
A monte della SS. 106, tra i Km 452 e 453, sono localizzati inoltre 20 ettari di bosco di proprietà dell'Esab, affidati in gestione all'Università degli Studi di Bari.
Qui, nonostante l'incendio (1981) che ne ha distrutto altri 30 ettari, sono ancora presenti esemplari plurisecolari di cerri, farnie e frassini, insieme a diverse vecchie ceppaie di alloro.
Altre parte di territorio prima occupata dal vecchio bosco "rivolta" di Rotondella (oggi letteralmente annientato, che aveva caratteristiche simili al bosco di Policoro) era collocata sull'argine destro del fiume Sinni.
Su questo lato del fiume sussistono ancora emergenze ambientali particolarmente interessanti, come il fragmiteto insediatosi nell'ultimo meandro del tratto destro del fiume Sinni ed il laghetto salmastro di circa 1 ettaro (profondo 2 3 metri circa), un residuo di foce, sulle cui sponde sorge un vigoroso salicornieto; così come un tratto di costa intatto lungo cui si svolgono evidenti fenomeni di erosione marina.
Aree queste ancora da recuperare ad una tutela attiva e da individuare in riserva unitamente all'area di foce, al litorale ed alla zona di mare antistante all'intero litorale che fiancheggia il bosco per la istituzione di una riserva marina o quanto meno di tutela biologica.
La varietà ambientale del bosco (nonostante l’abbassamento della falda freatica e la drastica riduzione della portata del fiume Sinni dopo la costruzione della diga di Monte Cotugno) è data anche dalle aree palustri stabilmente impaludate nelle depressioni: da pozze retrodunali e dagli stessi canali di bonifica (purtroppo cementificati) che lo attraversano. Ciò offre luoghi adatti alla sosta ed al transito di numerose specie di uccelli.
Le ricerche faunistiche svolte sinora hanno portato alla segnalazione di ben 170 specie nel corso degli anni. Si va da mammiferi come il moscardino al riccio. ai topiragno, alla lepre; del tutto scomparso è l'istrice ed il lupo mentre sino ad epoca recente era segnalato la lontra. Ancora rare vi sono la volpe, il tasso, la martora e la faina, così come risulta scomparso il gatto selvatico e, tra gli ungulati, lo stesso cinghiale, il capriolo. il cervo ed il daino.
Per quanto riguarda i mammiferi marini è attestata da O. Chiaradia la frequenza alla foce del Sinní (probabile luogo di ovodeposizione) della tartaruga marina. Tale fatto basterebbe a giustificare, da solo, la necessità della istituzione di una riserva marina. V'è di più: una tartaruga liuto (fotografata da O. Chiaradia) si è impigliata nelle vicinanze della foce del Sinni nella rete di alcuni pescatori durante questa estate (1989).
Tra gli uccelli (170 specie accertate dal naturalista G. Gobbi e 70 specie fotografate e schedate da O. Chiaradia e G. Settembrino in una ricerca ancora in progresso) si segnalano tra gli altri: marangone dal ciuffo, garzetta, sgarza ciuffetto, airone cinerino, nitticora, mignattaio, spatola, cicogna bianca e cicogna nera, volpoca, moriglione, fistione turco, oca selvatica, falco pescatore, falco di palude, gru, pavoncella, piviere dorato, pivieressa, corriere grosso, fratino, chiurlo, pittima reale, giro giro boschereccio, pantano, totano moro, avocetta, cavaliere d'Italia ed il rarissimo occhione del Senegal, avvistato per la seconda volta in Europa da G. Gobbi nel 1976. E tanti altri ancora tra cui; martin pescatore e merlo acquaiolo.
Tra i rettili: orbettino, biacco, biscia dal collare, biscia tassellata oltre a testuggine d'acqua. Tra gli anfibi: rana verde e ululone dal ventre giallo oltre al tritone italiano, specie endemica dell'Italia meridionale.
Tra i pesci: gattuccio, acciughe, alacce e sgombri oltre a cefali, anguilla, alosa, latterino, cavedano ed altri.
Tra i coleotteri: Dyschirius strumosus, Fr.; Acinopus ammophilus, Dej. (di origine pontica): Erichsonius subopacus, Hoch. (specie cieli Europa orientale ed Asia Minore); Stenus solutus, Er. (penetrata nell'estremo sud della penisola durante le glaciazioni quaternarie); Ampedus quadrisignatus, Gyll. (specie nuova per la fauno italiana nota di Croazia); Lampra solieri, Cast.; Capnodis millaris, Klug_ (il più grande buprestide italiano); Driops striatellus, Fair & Bris., presente per l'Italia solo a Policoro così come Gryptofagus gonzalezi, Otero & Angelini, mentre Atomaria slavoníca, Johns, risulta nuova per la fauna Italiana insieme a Corticaria pingiti, Lohse e Rhopalodonfus novorissicus, Reitt,; Notoxus miles, Schrnidt; Anthicus gracilior Ab.
Una specie nuova per l'Europa risulta Xyletinus pectíniferus, Fairm.
Una specie nota solo del bosco di Policoro è Pseudomeira moríanii Pes.; mentre Poraxyonix gobbii, Col., era noto solo dell'Africa settentrionale.
Tante altre sono le specie che qui è impossibile enumerare nel dettaglio e per le quali si rinvia a specifiche pubblicazioni scientifiche e riepilogative, dal momento che il 20% della coleotterofauna italiana è presente nel bosco di Policoro.
Molto nutrita anche la presenza di macrolepidotterofauna nel bosco di Policoro, malgrado l’assenza di ricerche sistematiche lamentato in sede scientifica.
Così la Nola squalida, Stdgr., segnalata in poche regioni mediterranee dell'Asia centrale e dell'India, è stato rinvenuta in Italia solo nel bosco dl Policoro. Altre specie sono presenti solo a Policoro o in pochissimi altri luoghi d'Italia e d'Europa; così: Pelosia muscerda, Hfn,; Pelosia obtusia, H, S.; Notodonta tiefi, Bartel; Gastropacha populifolia, Esp,; Craniophora pontica, Stdgr.
Vi è da considerare ancora che la lepidotterofauna del bosco di Policoro è unica nel suo genere nell'Italia meridionale e presento un complesso di rarità faunistiche e zoogeografiche.
Da tutto ciò discende l'importanza della salvaguardia e della difesa di un patrimonio ambientale e scientifico unico nel suo genere in Italia ed in Europa. Il passaggio obbligato per la salvaguardia, difesa e restauro del vecchio bosco di Policoro, al di là della semplice individuazione quale area protetta, la cui superficie occorre ancora estendere contribuendo a ricostruire il vecchio ecosistema, è una diversa politica dell'Ente pubblico, che recuperi una equilibrata gestione dei territorio con l’istituzione di parchi, riserve ed aree protette e realizzi una seria azione di salvaguardia, tutela e restauro ambientale.
Il bosco di Policoro (15), un'arca in riva al mare, appartiene non solo a chi oggi ne possiede le particelle catastali bensì al patrimonio dell'umanità e della scienza.
È necessario far presto per preservare per noi stessi e le generazioni future un tesoro naturale sempre di più depauperato, attaccato e falcidiato.

Note

1) Leandro Alberti, Descittione di tutta l'Italia, Stomperi Altobello Silicato, Venezia, 1558 (ristampa).
2) Gregorio Angelini (a cura di), f. disegno dei territorio. istituzioni e cartografia in Basilicata 1500 7800, Ed. Laterza, Bari. 1988.
3) Roberto Perrone Antonio Saracino, Lago Salinella Torre Mattoni, i valori naturalistici, Basilicata regione Notizie, n. 5/1989, Arti grafiche Finiguerra, Lavello (PZ).
4) Mario Tommaselli (a cura di), Masserie fortificate del materano, De Luca editore, Roma, 1986.
5) Atanasio Mozzillo, Viaggiatori stranieri nel Sud, edizioni di Comunità. 1 ed. 1964, 2 ed. 1982.
6) Richard de Saint Non, Voyage pittoresque ou descrip-tion des Royames de Naples et de Sicile, 5 voll. Delofosse, Imprimerle de Clausière, Parigi. 1781-1786.
7) Crover. Richard Keppel. A tour through the southern provinces of the Kingdom of Naples which is subjoined o steche of the immediate circumstances attending the late revolution, Rodwel and Martin, Londra, 182 i ;
8) Francois Lenormant, La Gronde Grèce; paysages et historie littoral de la mer Italienne, A. Levi, Libraire Editeur, 3 voll., Parigi, 1881; A traver l'Apulie et la Lucanie, 2 voll., Parigi, 1883.
9) George Gissing. By the Ionian sea, notes of a rupie in southern Italy Londra, 1892.
10) Norman Douglos, Old Calabria, Londra,1915.
11) Prospero Rondinelli, Montalbano ionico ed i suoi dintorni. Memorie storiche e topografiche, Stab. Angelo Ladeserta. Taranto, 1913.
12) Maria Teresa Costanza, Il bosco di Policoro dal Settecento alla Riforma Fondiaria, Monti e Boschi, 3. 1985.
13) Nicola Buccaro, Policoro antico e moderno, Stampa Grafico Sud, Policoro (Mt), 1989.
14) Per una esauriente panoramica delle ricerche relative ai diversi settori cfr. AA.VV., Il bosco di Policoro nei quadro delle aree protette della regione Basilicata, Documentazione regione, n 6 7/1988. Tip. Alfagrafica Volonnino, Lavello (Pz). che riporta anche gli atti dei convegno promosso dalla Lega per l’ambiente e dal WWF insieme all'Università degli Studi di Basilicata per la salvaguardia del bosco di Policoro. Dopo il convegno la Regione Basilicata ha provveduto ad emanare un nuovo decreto di individuazione di area protetta regionale per una superficie boschiva pari a 480 ettari, essendo stato il primo decreto annullato dal Tar di Basilicata. Sulla base di un ordine dei giorno votato all'unanimità dei Consiglio regionale di Basilicata la Giunta regionale ha provveduto a nominare (Del. Giunta reg. 10/10/1989 n. 4963 "Costituzione Commissione di valutazione Bosco Pantano di Policoro'') una commissione per la valutazione del bosco al fine di avviare una trattativa con privati per l'acquisizione al patrimonio pubblico della parte di bosco da questi posseduta. In questo senso è stata presentata anche dai consiglieri regionali dei P.S.I. Franco Adamo e Antonio Bianco la proposta di legge 203/1987 relativa alla istituzione ed acquisizione della riserva naturale regionale Bosco Pantano di Policoro, in Gruppo consiliare PSI Regione Basilicata, Per una politica dell'ambiente, Tip. Alfagrafica Volonnino, Lavello, 1988.
15) G. Settembrino, Policoro, Gli anelli del bosco, (con foto di Ottavio Chiaradia), Ed. Lega per l'Ambiente e WWF, Bmg, Matera, 1988.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1990

Autore: Giuseppe Settembrino

 

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