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AFFRESCHI DEL DUECENTO A TRICARICO

Nel panorama pittorico lucano del XIII secolo si distinguono, tra gli affreschi o lacerti attribuiti a quegli artisti più evoluti dagli stilemi bizantini, operanti nel corso del secolo soprattutto a Matera (1), i dipinti maldestramente staccati dal coro della chiesa di San Francesco a Tricarico, successivamente restaurati dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata e restituiti, nel 1982, all'Episcopio di Tricarico. Si tratta di una Crocifissione e di due Santi, dalla Grelle identificati come San Bartolomeo e San Giacomo Minore (2).
Gli affreschi sono delimitati da riquadri contornati di bianco impreziositi, in alto, da una cornice multicolore a denti di sega.
Il Crocifisso, monco dal petto in giù, si impone per l'espressionismo della figura: il volto tenebroso, circondato da un elegante nimbo crucesignato e ricadente sul petto, è disegnato da una mano incisiva, nervosa, che ne coglie il dolore e ne trasfigura i tratti. Gli occhi, dalle palpebre chiuse, sono evidenziati dall'ombreggiatura dell'arco sopraccigliare e dalle lunghe e folte sopracciglia nere, gli zigomi sono sporgenti e le guance, coperte dalla barba, incavate; dal naso aquilino ben delineato si dipartono i baffi sottili che poggiano sulle labbra, serrate mestamente all'ingiù, e si congiungono alla barbetta castana, leggermente appuntita sul mento. I capelli castani contrassegnati da striscioline nere ricadono ricciuti sulla spalla che forma un tuttuno con l'unico arto superstite inchiodato alla croce.
In alto, ai lati della croce, sono raffigurati, entro tondi, due angeli nimbati. Di quello di sinistra è visibile soltanto il viso delicato, dall'espressione assorta, quello di destra, vestito con il loros (3) imperiale, prega con i palmi delle mani aperti in segno di adorazione.
In basso a destra, si erge la figura di Maria Maddalena con le mani giunte in atteggiamento di preghiera, cui doveva corrispondere, a sinistra ove l'affresco è monco, la Madonna. La Maddalena, il cui viso è circondato da una semplice aureola contornata di bianco, è priva di velo sul capo e mostra i capelli castani, divisi al centro da una riga e terminanti in una treccia sul collo e sulle spalle, che scoprono un orecchio dal disegno perfetto. Il volto ovale, leggermente chino in direzione del Crocifisso, è contrassegnato da grandi occhi neri allungati verso l'esterno e da folte sopracciglia scure che si incurvano all'ingiù. Il naso è aquilino come quello del Cristo e le labbra sono minuscole e tondeggianti, a forma di cuore. L'abito della Donna, chiaro, presenta uno scollo appuntito delimitato da un bordino nero che ritorna obliquo sul busto ed è coperto, soltanto su una spalla, dal mantello rosso.
Il San Bartolomeo, raffigurato nel riquadro accanto alla Crocifissione con un libro finemente decorato e con mano benedicente, è una figura ieratica e frontale, ma si impone per il plasticismo turgido e vigoroso che plasmale forme: il volto gonfio, le mani piene, l'abito ampio. Il viso è circondato dall'aureola semplice, contornata di perline bianche, i capelli castani sono divisi da una riga centrale e arrivano fin sulle orecchie, gli occhi sono neri e del tutto simili, nel taglio, a quelli di Maria Maddalena, come anche le sopracciglia folte e arcuate. Il naso aquilino, segnato da una profonda lesione dell'affresco, è quasi attaccato alle labbra, piccole e tonde, su cui si innestano i baffetti sottili e lunghi fino al mento. Quest'ultimo è coperto da una barbetta castana, lunga e appuntita, che parte dalle guance piene. L'abito del Santo è di color ocra ed è coperto da un ampio mantello di color rosso mattone.
Il San Giacomo Minore è caratterizzato dai capelli neri, lunghi fino alle orecchie, con frangetta sulla fronte, da una barba nera e appuntita con baffi lunghi e curvi poggianti sulla stessa, dagli occhi castani accompagnati a sopracciglia dal disegno triangolare, da un naso aquilino, zigomi sporgenti e guance incavate. Con una mano è intento a benedire, mentre con l'altra regge un lungo bastone. La sua veste rossa è coperta da un ricco e sfarzoso mantello arabescato, di color giallo oro, che lo avvolge sulle spalle, ma lo fascia in vita, con una larga cintura dello stesso tessuto.
La temperie culturale della Crocifissione rimanda sicuramente a Pisa come ha già intravisto C. Muscolino (4) - e, in particolare, a Giunta Pisano: il segno nervoso, spezzato, le forti ombreggiature, la deformazione e la stilizzazione dei tratti anatomici del Cristo tricaricense ricordano da vicino le forzature espressionistiche dell'autore del Crocifisso nella chiesa di San Domenico a Bologna (metà XIII secolo circa), sebbene Anna Grelle abbia inserito gli affreschi di Tricarico nella cerchia del tarantino autore del frammento della Madonna della Bruna, oltre che della Madonna del Latte e del San Gregorio nella cripta di Santa Lucia alle Malve, fautore di un linguaggio già gotico, successivamente identificato, da Sabino Iusco, con Rinaldo da Taranto, il pittore delle scene del Giudizio Universale (inizi XIV secolo) sulla porta di Santa Maria del Casale presso Brindisi ed anche dei moderni SS. Pietro e Giacomo Minore nella cripta di San Giovanni in Monterrone a Matera. In realtà, Sabino Iusco intravede nella Crocifissione di Tricarico, che per lui risale all'inizio del '300, l'eco di "fatti assisiati" che ritornano, in pieno XIV secolo, pure nella Crocifissione presente nella chiesa rupestre di San Nicola dei Greci, sempre a Matera. Effettivamente il Crocifisso di Tricarico presenta strette affinità stilistiche con uno dei primi che Cimabue affrescò nella chiesa di San Domenico ad Arezzo, mutuando i modi e le forme di Giunta Pisano e Coppo di Marcovaldo, nel tentativo ultimo di forzare gli stilemi bizantini, dopodichè negli altri Crocifissi (quello della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi e quello dipinto per l'altare maggiore della chiesa di Santa Croce a Firenze) la maniera di Cimabue si evolverà verso forme più plastiche e sciolte dove prevarrà non già l'astrazione e la stilizzazione formale, ma la pienezza e la corporeità fisica, presupposti basilari dell'arte di Giotto. Quali furono le vie attraverso le quali il locale frescante del convento di San Francesco a Tricarico venne a conoscenza delle opere di Giunta Pisano o addirittura di Cimabue lo ignoriamo, è certo tuttavia che gli influssi toscani che informano quest'opera sono estranei ad altri affreschi lucani coevi e si scorgono più maturi, se vogliamo, diversi decenni dopo nella Crocifissione della cappella ipogea di San Francesco ad Irsina (1370-1373), secondo la Nugent affrescata da artisti meridionali che hanno avuto rapporti, oltre che con modelli di scuola toscana, con altri di scuola romana e, soprattutto, con esemplari d'arte nordica. L'affresco irsiniano, nel travaso dal linearismo bizantino a quello gotico, fonde infatti gli influssi senesi, giotteschi e pisani con uno stile dal sapore oltremontano, dato soprattutto dal rilassamento e dalla muscolosità del corpo di Cristo.
Facendo un passo indietro, la Crocifissione di San Nicola dei Greci (metà XIV secolo), che si dispiega su un tabellone tripartito all'interno dell'abside presenta il Crocifisso, dal corpo contorto e dal viso trasfigurato, reclinato sulla spalla sinistra, accompagnato alle figure della Madonna e di San Giovanni Battista ai piedi della Croce. Di Maria sono visibili parte del volto nimbato, coperto da un velo decorato da un fiore sulla fronte, e la sagoma del corpo avvolto nella veste azzurra e nell'ampio mantello rosso a pieghe; di San Giovanni è leggibile l'intera figura, dall'acconciatura dei capelli castani raccolti in una treccia ricadente sulle spalle - simile a quella della Maddalena di Tricarico - al volto mesto, alla veste dalle pieghe e dai drappeggi multipli fino ai piedi nudi, poggianti su una piattaforma bianca bidimensionale, del tutto priva di intenzione prospettica, a cui corrisponde, in alto, uno pseudo-trapezio bianco raffigurante il cielo. Il Santo con la sinistra impugna il rotolo del Vangelo e con la destra tocca il proprio volto i cui tratti calligrafici richiamano con prepotenza la Maddalena di Tricarico: gli occhi grandi che si prolungano, con un tratto nero, verso l'esterno, la forma delle sopracciglia, i capelli intrecciati, il panneggio elaborato che, invero, nel Battista di San Nicola dei Greci appare più stilizzato, nelle pieghe seghettate dell'abito azzurro e del manto rosa e nell'insistente profilo scuro delle circonvoluzioni e dei drappeggi. Gioco di linee che ritorna nel perizoma bianco del Cristo, contrassegnato da una banda nera e da un groviglio di tessuto sull'addome dilatato che si risolve in due drappeggi sulle cosce.
Tutto il corpo del Crocifisso è segnato da pennellate oscure che, in funzione pseudoplastica, intendono evidenziarne la muscolatura, gli arti, i contorni; mentre il viso, ricadente sul petto, mostra il ghigno della sofferenza, siglato dagli occhi e dalle labbra serrate e dalle sopracciglia aggrottate.
Secondo Sabino lusco l'opera, oltre a "denunciare risentimenti, sia pur tardivi, di fatti assisiati ...rimanda a persistenze di stilemi bizantino-orientali, assimilati in pieno '300 da un pittore di estrazione popolare, che affida ai simboli del sole e della luna, nei due dischetti laterali alla croce, profili barbuti e caricaturali ed un terzo, ispido e sarcastico, lo pone nel soppedaneo a sostituire il tradizionale teschio di Adamo. Infine, per ingenua spinta devozionale, fa sbocciare, fra il Cristo e i dolenti, Giovanni e Maria, tre gigli per parte". In realtà, i simboli caricaturali del sole e della luna racchiusi in dischetti tondi rappresentano un motivo iconografico - secondo Alba Medea d'ispirazione classica - che ritorna in un'altra Crocifissione dei principi del Trecento, quella di S. Antuono ad Oppido Lucano ove appaiono anche quattro stelle stilizzate disposte simmetricamente in tondi, nella fascia blu, dietro il Crocifisso.
Questi rimandi continui nell'arte pittorica della Basilicata, pur da un luogo ad un altro, da un'epoca ad un'altra, denotano una circolazione di idee e pittori che, nell'ambito di una cultura artistica, da sempre ritenuta ritardataria e provinciale, offre prodotti di grande originalità, frutto di una rielaborazione propria di influssi e provocazioni esterne, giunte sin qui attraverso vie ancora ignote.

Note

1 Rinaldo da Taranto, autore del frammento della Bruna, staccato da una parete della cattedrale materana e della Galattotrophousa e del San Gregorio in Santa Lucia alle Malve, 2. Maestro della Madonna della Croce autore della Kyriotissa nelle due cripte della Madonna della Croce e delle Tre Porte, dell'arcangelo Michele e della testa di Santo nella chiesa di Santa Lucia alle Malve, 3. frescante dei SS. Pietro e Giacomo Minore in San Giovanni in Monterrone, 4. Maestro della Santa Barbara e del San Pantaleone in San Nicola dei Greci e, infine, 5. autore dei due Santi adiacenti a Sant'Andrea nella cripta di San Giovanni in Monterrone;

2 In origine faceva parte degli affreschi anche una Madonna in Trono con Bambino, totalmente illeggibile perché monca del volto e del busto;

3 Il loros è l'abito dei dignitari della corte di Bisanzio;

4 C. Muscolino, Tricarico, affreschi dei convento di San Francesco di Assisi, in "Insediamenti francescani in Basilicata", Ediz. Ministero Beni Culturali e Ambientali, 1988.

Bibliografia

M. NUGENT, Affreschi del Trecento nella cripta di San Francesco ad Irsina, Bergamo, 1933;
A. MEDEA, Resti di un ciclo evangelico, affreschi della cripta di Sant'Antuono ad Oppido Lucano, in "Archivio Storico per la Calabria e la Lucania", 1962;
A. RIZZI, Per una storiografia della Basilicata, in "Napoli Nobilissima", voi. V, fasc. V-VI, 1966;
A. GRELLE, Arte in Basilicata, Catalogo della Mostra, Roma, 1981;
C. MUSCOLINO, Tricarico, gli affreschi della chiesa di San Francesco d'Assisi, in " Insediamenti francescani in Basilicata", Ediz. Ministero Beni Culturali e Ambientali, 1988;
S. IUSCO, Note sugli affreschi delle chiese rupestri di Matera, in "II turismo possibile"- Basilicata Regione Notizie, a cura dell'Ufficio Stampa del Consiglio Regionale di Basilicata, n. 3-4, 1997.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999"

Autore: Rosa Villani

 

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