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GIOVANNI SANTORO

E’ familiare alla nostra immaginazione la figura classica del giudice uomo : compassato e solenne, quasi statuariamente rigido nella ferma luce di un’olimpica calma, con nel viso qualcosa di grave e di sacerdotale. Nulla di tutto questo nell’avvocato generale presso la Corte di Cassazione di Roma.

Guizzante fascio di nervi, chiuso in poca carne , Giovanni Santoro par fatto apposta per negare nelle sue linee assenziali la physique durol del magistrato.

L’estrema mobilità della sua personcina esile, che cammina con passo rapido e leggiero, il lampeggiamento profondo dei suoi neri occhi vivacissimi, il tono metallico della sua parola precisa e tagliente, potrebbero far pensare a un uomo d’affari, o tutt’alpiù a un libero professionista, lanciato nel vortice della vita, non ad un uomo che sollevandosi al di sopra del gorgo delle passioni, si sia assunto il compito superumano di giudicare i propri simili e di comporre la ridda dei contrastanti interessi.

E difatti, la singolare rapidità della sua intuizione, la solida struttura del suo argomentare, il sistematico inquadrarsi dei concetti nella lucida trasparenza di uno stile agile e preciso, la facile spontaneità con cui si snoda la sua parola calda e avvincente avrebbero potuto fare di lui un avvocato principe o un acclamato maestro di cattedre universitarie. Ma il senso quasi religioso della vita, assorbito, specie per opera della madre, dall’ambiente familiare, la rigida impalcatura del suo mondo morale, 1’invincibile ripugnanza ad ogni forma di transazione lo portarono ad abbracciare il sacerdozio laico della magistratura.

Nato, sessantacinque anni or sono, in Tricarico, da ricca e distinta famiglia, compì i suoi studi in Napoli, dove conseguì con lode la laurea in giurisprudenza. La partecipazione ad un concorso, bandito durante il suo terzo anno universitario, sul tema: « La legislazione normanno-sveva, ed i suoi effetti nella legislazione italiana » con una pregevole memoria, premiata di medaglia d’argento, rivelò presto in lui le spiccate attitudini e sopratutto la viva passione per lo studio del diritto, che c­stituiscono la peculiarità più certa della forma mentis della nostra razza. I primi successi, anziché inorgoglirlo lo spronarono ad un lavoro più intenso. Convinto, al contrario di quel che pensano molti dei nostri giovani meridionali, che, per riuscire in qualsiasi campo, non bastino le sole forze naturali dell’ingegno, ma occorre anche la cultura, quella vera, la quale non si consegue se non con lo studio profondo ed assiduo, per due anni dopo la laurea continuò ininterrottamente a frequentare scuole e biblioteche, per completare i suoi studi di diritto. Poté, così, con serietà e tranquilla fiducia, resistendo alle sollecitazioni dei suoi professori che l'esortavano a darsi all’ insegnamento, affrontare il concorso per la magistratura.

Nominato uditore giudiziario nel dicembre 1884, aggiunto nell’88, giudice al tribunale d’Isernia nel ‘93, sostituto procuratore del Re presso il Tribunale di Napoli nel ‘98, sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo nel 1903, Giovanni Santoro lasciò sempre notevole traccia di sé, distinguendosi per l’austera dignità della vita, per 1’integrità del carattere, per l’acume della mente e per la vastità della dottrina.

Durante la permanenza a Napoli, tra gli altri gravi e importanti processi, gli venne affidato quello famoso per l'assassinio dei coniugi Cuocolo, svoltosi presso la Corte di Assise di Viterbo. Processo che, per la sua trama vasta e tenebrosa, sconfinava dai limiti di un semplice episodio giudiziario per assurgere all’ importanza di un fatto sociale, in cui affiorava tutto il marciume dei bassi fondi napoletani e si celebrava il trionfo di quella bassa ed alta camorra, che, purtroppo, ancora oggi aduggia, come inestirpabile piovra, la vita rumorosa ed apparentemente allegra di questo turgido cuore del Mezzogiorno, in quel lungo e movimentato dibattito, ricco di drammatici incidenti, il rappresentante della legge seppe, coraggiosamente ed impetuosamente, difendere i diritti sacri della vita e della civiltà. Alle insidie sottili ed ai vigorosi assalti. Ai numerosi e formidabili avversari, agguerriti nelle arti più consumate della dialettica e nei luccicori più abbaglianti della parola, egli oppose la sua calma sorridente, il suo garbo signorile, il sicuro dominio dell’intricata materia processuale, e quella sua pacata eloquenza, fatta di ordine e precisione, di sobrietà e chiarezza perspicua, da cui le parole, levigate e sonore, distintamente rimbalzano, come perle in coppa di cristallo; e assicurò alla giustizia un clamoroso trionfo.

Promosso consigliere della Corte di Cassazione di Roma nel 1913, e poi avvocato generale presso la stessa Corte, nel febbraio 1922, il magistrato, che aveva consacrato tutta l’attività del suo passato alla pratica penale, destò la pubblica ammirazione per la profonda conoscenza del diritto civile e amministrativo e sopratutto per il sicuro intuito nella risoluzione di questioni gravi e delicate. Rarissimo leggere, nelle riviste di giurisprudenza, sentenze del Supremo Collegio di Roma difformi dalle conclusioni dell avv. generale Santoro.

Eppure quest’uomo, che ha al suo servizio un bagaglio così solido di cultura giuridica, inquadrata in un raro equilibrio e ravvivata da un mirabile intuito e un involucro formale così lucido e schietto nella sagoma semplice della sua classica austerità, ha scritto pochissimo. Di lui non conosco che un saggio: “Limiti legali dell’esenzione da tassa di bollo e registro degli atti dei giudizi tra istituti di assicurazione per infortuni degli operai sul lavoro e gli esercenti imprese, industrie e costruzioni » (Giur. Ital. 1910), che dimostra come il suo ingegno duttile sia capace di portare un contributo efficace anche a problemi giuridici specialissimi d’indole tributaria; e uno scritto su « La riforma del codice di procedura penale in Italia ed i primi lavori preparatori del nuovo codice », pubblicato nella seconda parte della Enciclopedia del diritto penale italiano in seguito ad invito di Enrico Pessina, che l’ebbe discepolo carissimo: scritto ricco di osservazioni acute e di geniali intuizioni, che ci dà la misura della vasta preparazione scientifica e dell’alto senno pratico di quest’uomo, che onora veramente la magistratura italiana.

Ma, se Giovanni Santoro scrisse poco, gli è perché ne fu impedito dallo scrupolo della sua coscienza, che non gli permise di sottrar tempo alle sue ordinarie occupazioni di magistrato, cui si dedicò sempre con una intensità e un fervore veramente eccezionali, e sopratutto dall’altissimo concetto, ch’egli sempre ebbe dell’attività scientifica posta in relazione con la sua proverbiale modestia: esempio da additare alla folla dei leguleiuzzi, che si affannano a imbrattare carta su giornali e riviste con l’unico effetto di destare pietosi sbadigli nei malcapitati lettori. I suoi titoli scientifici sono le sue requisitorie e le sue sentenze, alcune delle quali possono trovar degno posto accanto alle più belle decisioni dell’antica gloriosa magistratura napoletana.

In nota a sentenza della Corte di Cassazione, 18 agosto 1914, da lui redatta, nella quale fu affermato esser principio di ragion giuridica universale che le garanzie di libertà, in qualsiasi forma costituite, non possono essere sospese se non per espressa disposizione di legge, la direzione della Rivista di diritto e procedura penale (vol. V. parte 11) scrisse : « Ecco una bella sentenza, che fa onore al Supremo Collegio... Come talora il nostro dovere di annotatori ci trae a manifestare del malcontento per certe sentenze della Cassazione, altrettanto ora siamo lieti di segnalare questa mirabile sentenza, che merita pieno plauso. »

Nella stessa rivista il Tuozzi, Professore all'Università di Padova, in nota a sentenza, 18 giugno 1914, della Corte di Cassazione, estensore Santoro, così si esprime : « chiunque leggerà questa sentenza del Supremo Collegio avrà a compiacersene e a lodarla sotto un doppio aspetto : a) Come le molteplici questioni di fatto e di diritto, emerse dagli atti e dal pubblico dibattimento, svoltosi dinanzi la Corte d’Assise di Firenze, prospettate indi con svariati motivi di ricorso, siano state con vera maestria giuridica riassunte, esaminate e risolute in tutti i molteplici riflessi della nostra legislazione, riguardanti i rapporti di filiazione e implicanti complessivamente norme di diritto civile, penale e procedurale, tutte queste convergenti stranamente su di un fatto delittuoso grave e ributtante; b) come tutti i diversi punti controversi, niuno pretermesso, siano stati precisati e giudicati con forma chiara e ordinata, così da far luogo ad una sentenza, la quale nel tempo stesso appalesa la sicurezza giuridica in colui che l’ha distesa e la specialità di contenere tante parole, quante sono le idee in essa espresse.

Questo abbiamo voluto dire non per fare inutile elogio alla sapienza del Supremo Collegio, ma per rinfrancarci l’animo dalle non liete circostanze, in cui ci tocca pur di dissentire dai supremi responsi ». (Riv. di diritto e proc. pen. Vol VI, 1915, pag. 5).

Basta scorrere dal 1913 al 1922 « La giurisprudenza italiana » «I l foro italiano » « La rivista di diritto e procedura penale », « La giustizia penale » per imbattersi nelle numerose note di elogio che accompagnano le più importanti sentenze, delle quali fu estensore Giovanni Santoro, quando era consigliere della Corte di Cassazione.

La notorietà della sua dottrina e del suo acume, e sopratutto della fierezza e fermezza del suo carattere, tetragono ad ogni influenza, gli valse la nomina dal Consiglio dei ministri a rappresentante dei pubblico Ministero presso il Senato, costituito in alta corte di giustizia. nel processo per il fallimento della Banca Italiana di Sconto, nota, infatti, la severa requisitoria, scritta dall’avv. generale Santoro, contro gl’imputati, ex - amministratori della Banca Italiana di Sconto, tra i quali quattro senatori del Regno. La Commissione permanente di istruzione presso l’alta corte pronunziò sentenza di rinvio a giudizio di molti degli imputati. Ma, poiché il rinvio non era per tutti i reati, per i quali era stata sostenuta l'accusa, il rappresentante la legge produsse opposizione, che fu accolta dalla stessa commissione permanente di accusa. All’inizio della discussione, i difensori degl’imputati, proponendo questioni gravissime, tentarono di strozzare il giudizio ma l’Avvocato generale resistette energicamente e il Senato lo seguì. Com’è noto, il dibattimento fu poi sospeso per avere l’alta corte disposto una perizia, che è tuttora in corso.

Nella solenne cerimonia d’ inaugurazione della Cassazione unica, in seguito alla decretata soppressione delle cassazioni territoriali, svoltasi il 3 gennaio di quest’anno, alla presenza di tutti i membri del governo, pronunzio un mirabile discorso, tutto pervaso, nella densità del contenuto e nella nobiltà della forma, da un vibrante palpito d’amor di Patria.

Poiché in Giovanni Santoro le doti predare del giurista e del magistrato s’innestano in un’alta squisita coscienza civica. Alla guerra contro l’Austria, che fu il sogno continuo della sua giovinezza, egli diede un largo contributo del suo più puro sangue. Dei suoi due figli, partiti in guerra come ufficiali, il secondo, Enrico, vivacissimo giovinetto, cadde a Colbricon ed ora è sepolto nel Cimitero militare di S. Martino di Castrozza. Il primo, Giuseppe, sottotenente di Artiglieria in servizio di aviazione, dopo d’essere stato gravemente ferito da granata ad una gamba, quando le cicatrici non eran chiuse, volle tornare sul campo dell’onore per essere il primo a lanciare dal suo areoplano, su Trento, la notizia della vittoria ed ora, col petto fregiato di due medaglie d’argento, s’appresta come capitano di aviazione a più alti e gloriosi voli.

Or tutto ciò fa sì che a Giovanni Santoro, a questo nobile e schietto esemplare umano, squisitamente foggiato nella tempra adamantina di un carattere austero, in cui i riflessi vividi di una mente eletta armonicamente si fondono con i palpiti puri d’un cuore di rara nobiltà, la Basilicata guardi come ad uno dei suoi figli più cari.

 

G. BR.

Testo tratto da: "la Basilicata nel Mondo" (1924 - 1927)

 

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