IL
PRINCIPE MADRIGALISTA
Il 1994 è l'anno in cui ricorre il IV centenario della pubblicazione dei
primi due libri di Madrigali di Carlo Gesualdo da Venosa.
Il 1594 è un anno decisivo per il principe musicista. Giunto a Ferrara
alla corte del duca Alfonso II, per sposare in seconde nozze la nipote
Isabella D'Este, per la prima volta lui che aveva sempre sdegnato ogni
clamore ed aveva mostrato reticenze ad esporsi come compositore, decide
di pubblicare alcune opere. Ma i rituali del tempo consideravano poco
consono alla dignità principesca il cimentarsi in attività del genere.
Per questo motivo una prima raccolta di Madrigali fu resa nota con lo
pseudonomo di Giuseppe Pilonij, mentre i primi suoi due libri saranno
pubblicati a nome di musicisti del suo seguito e dedicati al loro
autore.
Quell'anno, inoltre, chiuderà un capitolo drammatico e segnerà una svolta
nella sua vita, tormentata da echi non ancora sopiti del duplice
omicidio, da commenti ed apprezzamenti sarcastici cui era oggetto il
Principe uxoricida.
Erano passati soltanto quattro anni dalla tragica notte del 16 ottobre
1590, in cui si consumò un eccidio. L'onore offeso, il tradimento della
moglie Maria D'Avalos con il duca d'Andria Fabrizio Carafa, spinse il
principe alla vendetta suffragata dalla morale del tempo, che "rispetto
ad una giustizia assente o il più delle volte impotente a riparare
offese ed ingiurie" riteneva la vendetta, un dovere.
Poi la fuga, non dalla legge bensì dal risentimento dei familiari degli
uccisi, prima nel castello del paese omonimo Gesualdo, poi a Napoli.
Trascorreranno anni di forzato isolamento, nei quali, i sensi di colpa, il
pentimento, l'espiazione, acuirono il suo stato di malessere, di
inquietudine, di malinconia.
La "malattia" fu il ricorrente alibi al quale ricorse per appartarsi in
una aristocratica privacy, popolata di tanti fantasmi. Quattro anni per
soffrire e tentare di dimenticare, prima di giungere in casa D'Este.
Alfonso II, nel matrimonio di Isabella col nipote del Cardinale Gesualdo,
cercava un'alleanza e un appoggio alla speranza di successione nel
Ducato di Ferrara del duca Cesare. Ferrara era sede della più esclusiva
accademia musicale. Musicisti, quali i fiamminghi Cipriano De Rore,
Jaches de Wert e Luzzasco Luzzaschi, futuro maestro di Frescobaldi,
fecero di questa città un santuario geloso di "Musica Reservata"; qui
Gesualdo riuscirà a mitigare il malessere psichico e la misantropia. Il
conte Fontanelli, diplomatico al servizio del duca Alfonso, ci ha
lasciato nelle sue lettere al duca, il ritratto più fedele del principe
"professore" che "galante e spesso cupo e in preda a improvvise
malinconie, non esitava a cantare i propri madrigali e suonava il liuto
e la chitarra spagnola".
A Ferrara compose il III e il IV libro di madrigali a cinque voci che
pubblicò come i precedenti, per i tipi privilegiati dello stampatore
ducale Vittorio Baldini. Passarono quindici anni dall'esperienza
ferrarese, prima di far pubblicare, stampati nel castello di Gesualdo,
il V e VI libro che insieme a tre raccolte di composizioni sacre,
esauriscono l'intero suo corpus compositivo. "Baci soavi e cari" è il
madrigale Guariniano che apre il I libro. Il testo pastorale, lo
spingerà ad abbandonarsi ad una melodicità ariosa, quasi da canzonetta,
rifuggendo così da artifici contrappuntistici. Fu proprio negli anni
ferraresi che Gesualdo si avvicinò sempre più al nuovo stile monodico,
alle soluzioni di musicisti quali il Peri e Monteverdi. Ma non rifuggì
mai dalla polifonia, dall'imitazione contrappuntistica alla quale
ricorrerà sopratutto là dove lo stimolo del testo è più concettuale che
emotivo. Nucleo di ispirazione del madrigale "Tirsi moria volea" è una
drammatica monodia che non è mai isolata e scoperta, ma si insinua
attraverso imitazioni in tutte e cinque le voci.
Nel III e IV libro Gesualdo si avvicina allo spirito di Jacques Wert per i
violenti contrasti tra arditezze armoniche estreme che esprimono
emozioni travolgenti e una condotta polifonica-diatonica che rappresenta
stati d'animo lieti e sereni. Inoltre, in alcuni madrigali del quarto
libro, costruiti sulla sono-rità delle voci femminili, si ispirerà al
"trio delle dame" che sono esaltate dai poeti per la bellezza oltre che
per la loro arte. In realtà ciò che differenzia i madrigali ferraresi
dai primi due libri è l'atteggiamento antiletterario.
Se precedemente aveva scelto testi del Guarini e del Tasso, suo amico, con
il quale condivise affinità elettive ferraresi, successivamente non avrà
grandi pretese letterarie. Ciò che conta non è la poeticità delle
immagini ma le note di dolore, di gioia, speranza che esse suggeriscono
e alternano. I testi scelti sono generalmente brevissimi e rappresentano
stati d'animo contrastanti. Cosicchè si succederanno sequenze di accordi
cromatici dai valori lunghi, tesi ad esprimere sentimenti di angoscia,
inquietudine, ad episodi di grande semplicità dal ritmo veloce ed
incalzante, costruiti su melodie diatoniche.
Un testo breve da maggiore libertà nel plasmare il discorso musicale.
Esasperatamente, il contenuto si esaurisce in brevi e intensi accenti.
La concezione del madrigale si basa sulla corrispondenza tra figure
musicali e immagini e concetti proposti dal testo. Il lavoro del
musicista quindi non si riduce semplicemente alla traduzione delle
parole in immagini sonore, ma consiste nell'elaborare le immagini sonore
in un discorso musicale che prende avvio dalle parole.
La genesi del madrigale va collegata inoltre al movimento letterario del
"petrarchismo". Ricercare la qualità espressiva dei versi significa
elaborare strutture musicali dettate dai contenuti più che dalle forme
della poesia. Il madrigale segna il trapasso dalla sobria linearità
polifonica-rinascimentale ad un pro-cesso di scavo frontale della linea
melodica. Alla fusione dei materiali fonetici verbali-musicali (livello
del significante) corrisponde un testo verbale che suscita riflessi
psicosomatici che si scolpiscono nel suono (forma dell'espressione,
ossia il "significato" musicale).
Avremo l'insorgere di ciò che De Natale definisce "prosopografia" ossia il
momentaneo descrittivismo sonoro del significato veicolato da una parola
del testo. Il madrigale dal punto di vista formale si definisce
DUR-CHKOMPONIERT cioè a forma aperta, dove la libertà metrica, non più
vincolata a strutture strofiche (come nella frottola) stimolerà il
musicista a trovare sempre nuove soluzioni musicali. I cosiddetti "Madrigalismi",
sono artifici tecnici che traducono in modo realistico il significato
musicale: registro vocale acuto o grave, per parole come "cielo" o
"terra"; note lunghe per rappresentare frasi poetiche che indicano
rallentamenti; episodi cromatici per tradurre sentimenti di dolore. Con
la musica "visiva" le note bianche indicano parole come "giorno",
"chiaro"; note nere, invece, "notte", "scuro". Da ciò si deduce che
questa musica fosse destinata agli esecuto-ri piuttosto che agli
ascoltatori.
Molti dipinti del XVI secolo, ce lo confermano.
Nelle ultime liriche del V e VI libro, Gesualdo interiorizzerà in modo
esasperante le contrapposizioni, le immagini astratte. La musica
esprimerà il significato delle parole per esaltar-ne la capacità
evocativa, per diventare "serva dell'orazione", come diceva Monteverdi
nell'illustrare la "seconda prattica". L'autonomia estetica ed artistica
di Gesualdo, sarà ancora più forte degli influssi ricevuti alla corte
estensa: influenze puramente spirituali - riteneva Malipiero. Nè lo si
può considerare un precursore della atonalità perchè le armonie lontane
dalla tonalità (o modo) di partenza sono alterazioni cromatiche e di
passaggio che non annullano la tonalità fondamentale.
Sicuramente rivelano una sensibilità armonica fuori del tempo.
Tuttavia, Monteverdi nella Dichiarazione del 1607, considera Gesualdo un
rappresentante della "seconda prattica" per l'uso che fa dell'armonia
nel raccontare ed esaltare i sentimenti le espressioni del testo, per
l'unità di parole e musica. Il suo atteggiamento espressionistico ci
chiarisce anche le sue scelte antiletterarie in quanto la musica come
sostiene il Pirrotta, "ha il compito di dire ciò che è indicibile a
parole, di esprimere coi rivolgimenti cromatici il torcersi dell'animo
nel dolore, con i salti melodici violenti la sfida del sarcasmo e della
ribellione, con travolgenti contrappunti il fervore della speranza o il
dilatarsi panico della personalità nella gioia".
Si è spesso interpretato l'arte di Gesualdo in termini autobiografici,
data la ricchezza della sua vicenda personale. Basta l'ascolto o
l'analisi di qualche suo madrigale a rivelarci un uomo dalle passioni
violente. La sua capacità di introspezione psicologica, la sua acutezza
nel descrivere i sentimenti, che se reali nell'arte non lo sono
necessariamente nella vita, fanno di Gesualdo un caso psicologico
particolare. E' il primo romantico.
Romantica e circondata da un alone di mistero è anche la sua fine.
Ritornato improvvisamente a Gesualdo nel feudo natio, pare che finisca i
suoi giorni nella follia. C'è chi racconta di fughe continue nei boschi
a cacciare, di punizioni corporali; c'è chi afferma che ritornato alla
sua prima natura malinconica si rifugiasse in una solitudine difesa con
ossessione.
Incerta è la data della sua morte, che è avvenuta intorno al 1615.
BIBLIOGRAFIA
J. BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, Sansoni Editori.
ANTONIO VACCARO, Gesualdo Principe di Venosa, Appia Editrice, Venosa.
MARCO DE NATALE, Analisi della struttura melodica Guerini e associati,
Milano.
NINO PIRROTTA, Scelte poetiche di musicisti, Marsilio editore, Venezia.
DIZIONARIO DELLA MUSICA E DEI MUSICISTI, Utet, Torino.
Testo di Nadia Masini
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1995
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