LE
LOTTE PER IL LAVORO E LA MORTE DEL BRACCIANTE ROCCO GIRASOLE
The short interview
analyses the huge human experience of an emigrant, which reflects the
experience of a large member of italians.
Rascano, a comunist FROM venosast, feels homesick, missing his homeland
which he left and for which he fighted for a long time.
During one of the fights, he saw the killing of the farmhand Rocco
Girasole.
La letteratura del mondo dell'emigrazione è abbondante e ricca di opere
molto significative. Ma si tratta per lo più di contributi teorici.
Scarseggiano i libri che documentino la vita quotidiana di un immigrato,
i suoi problemi, le difficoltà, le tante umiliazioni, le speranze, le
delusioni, le nostalgie della terra d'origine. In altre parole, una
grande esperienza umana come quella vissuta e sofferta da centinaia di
migliaia di italiani se ha dato documenti altissimi di vita morale, non
si è mai convertita ad una testimonianza dell'esperienza quotidiana di
tanti anonimi militanti di base.
Rocco Rascano, un militante comunista originario di Venosa, nel suo libro
Un operaio, un attivista documenta l'esperienza di vita in un arco di
mezzo secolo che ha segnato il trapasso della vita da operaio edile in
Basilicata a quella di operaio e attivista politico nella Torino della
grande industria.
Ciò che ha spinto il pensionato Rascano a rievocare quasi tutta la sua
vita pubblica e privata è stato prima di tutto un profondo sentimento di
nostalgia per la propria terra, la Basilicata, quella terra che ha
dovuto lasciare, quella terra per la quale ha partecipato alle tante
lotte di occupazione delle terre del demanio.
In una di quelle lotte per il lavoro Rocco Rascano è stato testimone
dell'uccisione del bracciante Rocco Girasole.
Qui riportiamo una sua breve testimonianza
"Nel gennaio del 1956 a Venosa nevicò abbondantemente, il paese restò
isolato dal resto della Basilicata. Allo sciogliersi della neve molte
strade non lastricate erano dei veri e propri acquitrini impraticabili.
Il mattino del 13 gennaio molta gente si recò in corteo in via Roma per
lavorare e rendere la strada praticabile.
Poco dopo arrivò dal capoluogo e da altre città vicine un grosso
contingente di polizia che, senza dare spiegazioni, cominciò a togliere
gli attrezzi da lavoro dalle mani dei braccianti.
Alle rimostranze verbali di questi i celerini cominciarono a manganellare
senza capire ragione, ed ecco la scintilla che fece esplodere la
rivolta. Cominciano i lanci dei lacrimogeni, le cariche delle
camionette, i caroselli delle auto a sirena innestata, sparando
all'impazzata proprio con l'intento di falciare dei padri di famiglia
che non chiedevano altro che lavoro.
Quand'ecco la tragedia, uno dei braccianti venne ucciso da una raffica di
mitra.
I feriti furono 14, fra cui 10 bambini. Oltre 100 i contusi, più o meno
gravi, che non ricorsero alle cure mediche ed ospedaliere per non essere
arrestati. Azione che puntualmente avvenne, subito dopo la sparatoria.
Infatti furono arrestati in 34, fra questi alcuni non avevano preso parte
allo sciopero, erano solo colpevoli di essere comunisti.
Cumulativamente gli arrestati scontarono circa 31 anni di carcere
preventivo.
Tutti furono scarcerati nelle fasi processuali.
La notte fra il 13 e 14 gennaio, dopo aver circondato tutto il rione, i
poliziotti portarono via la salma di Rocco Girasole, negando alla madre
disperata anche quel piccolo conforto di vegliare il figlio nelle ultime
ore prima della tumulazione. Le autorità di polizia tentarono di negare
il permesso per i funerali adducendo la scusa di eventuali disordini che
potevano avvenire durante la cerimonia funebre.
Vent'anni dopo volli ricordare la memoria con una lettera all'Unità. In
quell'occasione ci fu una grande assemblea in cui si dette inizio alla
sottoscrizione per la costruzione della Casa del popolo".
Nelle parole di Rascano c'è la traccia del profondo sentimento di
nostalgia per la sua terra, quella terra che ha dovuto lasciare e per la
quale, qui a Torino, ha speso tutte le sue energie. Può stupire un
sentimento del genere in un uomo che, dopo l'irrequietezza giovanile e
la scuola del movimento contadino, ha condotto fino ad oggi un'esistenza
di lotta in una città che è stata sempre molto difficile per gli
immigrati.
La sua irrequietezza e la sua sincerità l'hanno portato ad un difficile
impatto con
la realtà torinese. Militante politico, organizzatore sindacale (nel suo
libro Rocco
ci parla della prima esperienza a Torino in un laboratorio di marmista del
popolare
Borgo San Paolo), dedica il proprio tempo ad occuparsi degli immigrati
lucani a Torino. Sensibile ai valori della solidarietà e della
fratellanza, consolidatisi proprio negli anni delle occupazioni delle
terre, riesce a costruire, quasi come un missionario, la Casa del popolo
di Venosa e a dar vita all'Associazione dei lucani nella nostra città.
Dice ancora Rocco: "La Basilicata è una piccola regione, la sua
popolazione è di poco superiore alla metà di quella torinese; i
lavoratori lucani sfiorano le 25 mila unità e sono divisi in
associazioni e circoli animati dagli scopi più disparati. Preoccupati
per questo stato di cose che rischiava di far perdere ogni traccia degli
antichi valori popolari e di far assorbire i modelli imposti dalla
società dei consumi, alcuni di noi, con la tenacia e il sacrificio
personale, demmo vita al
Centro Culturale Lucano.
Una delle prime manifestazioni che organizzammo fu la celebrazione del 40°
anniversario delle lotte per la terra, del famoso "decreto Ponte".
Successivamente abbiamo tenuto un convegno a Palazzo Civico su "Riforma
agraria e contributo del Mezzogiorno allo sviluppo del paese".
Testo di Felice Lafranceschina
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999
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