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LUIGI TANSILLO
dalla Basilicata nel Mondo (1924 - 1927)

 

Scendevo verso Venosa, in una pascoliana sera di ottobre. Le siepi erano tutto uno scatto di voli e di trilli. La gloria del sole al tramonto invermigliava le sette cime del Vulture: sette, come i colli e come il segno di Roma. Una fila di falchi roteava sui monti, grandi come altari. Rinnovava per me il mito degli avvoltoi, romuleo. Sette, anch’essi. Il cielo avvampava, come un immane ostensorio: e, tra il fuoco e 1’oro e la porpora, si faceva chiaro e caldo come la carne dei bimbi, nutriti di latte materno e di sogno innocente, diveniva mistico, come quel cielo azzurrissimo, che i primitivi e Giotto aureolarono intorno al capo delle loro madonne. Canti gaudiosi salivano dalla terra, immensamente pingue. E acredini di mosti in fermento. Se Dionyso mi fosse apparso, sovra un masso di calcare, tutto nudo il bel corpo di efebo e coronato di pampini, come nei baccanali di Egira e nei ditirambi dei poeti ionici, nell’atto di spremere sul petto di una vergine, riversa ai suoi piedi, il succo di due grossi grappoli, uno biondo come l’oro, l’altro nero come la notte; e poi chinarsi a stringerla e a prenderla, lasciando, ad ogni bacio della bocca ghiotta, una nuova impronta di mosto sul corpo di lei; e se intorno all'accoppiamento io avessi veduto una ghirlanda di ninfe, curve a spandere ambrosia sui corpi degli amanti, agitando le lunghe capellature, fatte di uno strano impasto di nembo, di sole e di profumo, io avrei creduto vivere in plenitudine una divinissima ora di vita pagana e avrei salutato con l’alcaica di Orazio o col bel canto saffico di Giosuè Carducci il ritorno degli iddii italici.

Dionyso non mi apparve dal cratere dei Vulture, sulla grande conca vendemmiale. Ma, al posto del dio, fra il miracolo del sole morente, mi si rivela, sotto un aspetto nuovo, miracolo essa pure, tutta la gloria della umanissima poesia di Orazio. E, accanto al poeta dei secoli, che una critica melensa e ipocrita, tra pseudo-imperialistica e cristianeggiante, ha voluto sminuire a poeta civile di Roma imperiale, mentr'egli è essenzialmente il più grande cantore giocondo della vita, intesa come conquista dell’ardimento e della voluttà, trionfo della bellezza e della forza, dell’ amore e della purità, squilante di gioia e spumeggiante di ebrezza, pagana, pagana, pagana; mi apparve fuori dell’ombra, che, immeritamente, si è fatta intorno a lui, l'altro poeta nostro e della più alta giocondità e purità umana, la purità del peccato: Luigi Tansilio.

E se, davanti al Subasio e alla conca verde di Assisi, così verde che potrebbe tutto il mondo di quel solo verde esser vestito, io compresi perché ivi solamente potevano nascere lo sposo della Povertà e la sposa della Purità, Francesco e Chiara; la vendemmia del Vulture, pingue e festante come in Italia si ritrova soltanto nella Toscana gentile, sui colli orvietani, mi apprese come a Venosa soltanto potessero nascere Quinto Orazio Flacco e il suo minor fratello di spirito e di poesia: Luigi Tansillo.

Egli è del gran secolo di Leone X. Nasce all’alba, nei 1510. La penisola italiana è già divenuta il centro dell’arte e del pensiero del mondo. Caduto, con la bella testa bionda dell’ultimo degli Svevi, sulla piazza napoletana del Mercato, il sogno feudale e cavalleresco dei trovatori siciliani, era fiorito con la voluttuosa fantasia araba e con la severa gentilezza normanna nella bella corte palermitana di Federico 11° che fu corte d’Italia; il ciclo primitivo di Ciullo di Alcamo, di Folcacchiero da Siena, di Rinaldo d’Aquino, di Ruggerone da Palermo, di Ruggeri Pugliese, di Odo e Guido delle Colonne, di Iacopo da Lentino, di Nina Siciliana, insieme con i quali gli stessi re svevi componevano, in animose tenzoni, rime di amore, accompagnandosi al liuto bicorne, cedette rapidamente alla più raffinata e dolce poesia, già un poco malata di seicentismo — male, che la poesia italiana si portò dalla nascita, come osserva Francesco De Sanctis — dei rimatori di Firenze e di quelli della scuola bolognese. Ed ecco la fioritura magnifica, opulenta come una bracciata di messi, che va da Ciacco dell’Anguillara alla Compiuta Donzella Fiorentina, da Bondie Dietaiuti ad Alesso di Guido Donati, e culmina nel bolognese Guido Guinizelli, il padre spirituale della nostra letteratura. Dante lo chiama: il  padre, mio e degli altri miei miglior che mai rime d’ amore usar dolci e leggiadre.

E, accanto e intorno a lui, Guittone di Arezzo, polito ragionatore in rime, senza fuoco né luce, Iacopone da Todi, giullare di Dio, Brunetto Latini, l'enciclopedico del secolo, Orlandino Orafo, con la sua poesia socialeggiante, Cino da Pistoia, che fa da filosofo del tempo e incarna in Arrigo di Lussemburgo la “forma del bene,,. Fin che, dal contemperamento delle due scuole, la bolognese, la dotta, e la fiorentina, la gentile, nasce, fra l’uno e 1’altro Guido, il miracolo dell’Alighieri a universalizzare, di colpo, la poesia e la lingua italiana, mentre Giovanni Boccaccio crea la prosa volgata in forma di arte, narrandovi la commedia umana, e Francesco Petrarca eleva la lirica nostra ai culmini delle aquile.

Il Quattrocento raffina ancora la musica e la purezza della forma: arricchisce la lingua, la rinfresca, la irrobustisce, tornisce il verso, modella la prosa, coltiva 1’umanesimo. Pico della Mirandola è la mente del secolo; e le parole nuove di esso sono le ballate virginali e le novelle fresche di Franco Sacchetti, i canti carnali e gaudiosi di Lorenzo de’ Medici, 1’Orfeo e le Stanze del Poliziano, 1’Orlando Innamorato di Matteo Boiardo. La divinità del secolo è la voluttà: 1’Iddio è Epicuro. “Edamus et bibamus, post morlem nulla Voluptas.

Sulla soglia del Cinquecento sta un asceta: Savanarola, il barbaro. Leone X è un pagano, i suoi cardinali vivono come 1’Aretino. Di cristiano, in Roma e nell’Italia, non rimangono più che i simboli, le effigi. San Pietro e la Sistina sorgono, olimpi pagani, a sc~illare, con 1’arte del Bernini, di Bramante, del Brunelleschi, di Michelangelo, di Raffaello, di Benvenuto Cellini, il grande inno del Rinascimento. Le chiavi papali non suggellano più che monumenti pagani. Leonardo da Vinci ha già detto la sua grande parola. “ La Scuola di Atene ,, di Raffaello apre il tempo nuovo. Alberti determina in cifra la statura dell’ uomo nuovo. Lodovico Ariosto chiude il ciclo dell’arte della poesia, e dà all’Italia la nuova letteratura: vuota e quasi schiva di motivi religiosi, patriottici, morali, ma colma di vita gaia e possente, sfrenata ed ardente, trionfo delle passioni. Nicolò Machiavelli, il possente antagonista latino, mediterraneo, dell’inflessibile monaco tedesco, sbarra per sempre, ineluttabilmente, la via d’Italia alla Riforma di Martin Lutero, opponendo pensiero e civiltà italica al pensiero e alla civiltà germanica. Vendicava la strage di Arminio nelle legioni di Varo. Così l’Italia del Cinquecento, che si era fatto morir fra le braccia, per insufficienza politica, il bel sogno unitario e cesareo di Cesare Borgia e non ancora si era iniziata alla coscienza degli uomini nuovi di Bacone, di cui fu bardo Giordano Bruno, donava, al mondo attonito, lo spettacolo prodigioso della sua arte inimitabile, della sua civiltà mirabilmente giovane e sovrana, affermandosi unico cervello del mondo, e guida dell’ universo alla conquista delle più alte idealità della vita umana, e dando al mondo la patria ideale prima ancora di comporre sé stessa in unità di Nazione. Immensa gloria, cui invano tentarono recare oltraggio e la Riforma germanica e la Controriforma di Ignazio da Loyola, involuzione, quest’ultima, di barbarie nello spirito umano, della quale, come notò Giosuè Carducci, nonostante le sottili difese dialettiche di quel simpaticissimo e duttilissimo artista della filosofia, che è Miguel de Unamuno, la patria spagnuola non può essere fiera.

Tutto lo spirito filosofico del tempo è nel poeta di Venosa.

Tutte le vie e le esperienze letterarie dei secoli, che lo precedettero, sboccano in lui.

A Napoli, e nel piede d’Italia, con Giovanni Pontano, con Iacopo Sannazaro, con Vittoria Colonna e con altri poeti minori, Luigi Tansillo agitava nel pugno la fiaccola del Rinascimento. A Napoli era venuto fin dal 1520, appena decenne, per far da paggio in una famiglia di nobili. Poiché, come tutti i grandi artieri di tutte le epoche imperiali e del Rinascimento, egli nacque col destino di cortigiano. Era 1’epoca. Benvenuto Cellini, 1’orafo divino, il cesellatore attico del Perseo, diceva: “ Io servo a chi mi paga

Ma Luigi Tansillo non ebbe 1’anima molle del cortigiano. La soglia del suo spirito era inviolabile, e seppe mantenere immune la sua arte da ogni adulazione iperbolica ai signori, che lo protessero.

La sua giovinezza fu venturosa e tumultuosa. Era vicerè di Spagna in Napoli don Pedro da Toledo, cavalleresco e fastoso, che teneva torneamenti in reggia, e danze e banchetti, ai quali intervenivano le più belle dame di Napoli e del Reame, i più forti e leali cavalieri d’Italia. E scienziati e poeti accrescevano con dotte dissertazioni e belle tenzoni di rime il decoro di quelle adunate, sulle quali splendeva — regina ed arbitra — 1’astro di Vittoria Colonna, che Michelangelo amò.

Con don Pedro da Toledo e il figliuolo di lui, che lo elesse a suo storiografo, Luigi Tansillo prese parte alla crociata contro i Turchi, e andò ramingo, in azioni di guerra, per mare e per terra. Fu fedele a Spagna, ma in onestà e in dignità. E se la sua fedeltà a Toledo gli valse 1’ingiuria sanguinosa del popolazzo napoletano, in giornate di tumulto, la sua fiera anima di uomo dei tempi nuovi gl’inspirò la ferma epistola metrica a don Pedro da Toledo, nella quale esorta il Vicerè a levarsi arbitro della contesa tra Francia e Spagna, che insanguinava e funestava 1’Italia, e a proclamarsi liberatore. Nessun altro artiere, anche più grande di lui, aveva osate chiedere tanto a nessun signore d’Italia. E il sue gesto, mentre ancora lo spirito di Machiavelli non si era diffuso per la penisola, si ricollega direttamente all’appello di Dante ad Arrigo di Lussemburgo. Ciò vuol dire, che, in quell’assenza completa di sentimento nazionale, che è l’impronta più generale del secolo, che ha carattere di universalità, Luigi Tansillo non aveva 1’anima sorda ai richiami della stirpe e all’avvenire politico della Nazione Italiana.

Ben lo comprese Giordano Bruno, il poeta del Candelaio, il formatore dell’uomo nuovo italiano, che, forse, ancora bambino, conobbe il poeta venosino a Nola, ove questi aveva parenti, ed ove passò un periodo di degenza, per un calcio tiratogli da un cavallo ad una partita di caccia, durante la quale egli aveva cavalcato tra Vittoria Colonna e la figlia ardentissima del Vicerè di Spagna.

Il monaco di Nola, che ascendeva la vita, gloriosamente, come poi ascese il rogo papale — un altro rogo, anch’esso papale, avevano acceso gli Inglesi, più che in secolo prima,, per Giovanna D’Arco, e 1’uno e 1’altro rogo significavano la riscossa rabbiosa delle barbarie e dell’intolleranza religiosa contro lo spirito dei tempi nuovi e la coscienza nuova dell’ uomo — gli professò grande ammirazione, che sconfinò nella venerazione, e lo elesse a suo maestro di poesia.

In quest’amicizia di Giordano Bruno, Francesco De Sanctis trova la sola ragione per accennare fuggevolmente, nella sua “ Storia della letteratura italiana ,, a Luigi Tansillo, e riconoscergli — non concede, del resto, niente di più all’artefice de “ Il Candelaio ,, — “ molta fantasia e molto spirito, doti che in quel tempo bastavano alla fabbrica dei poeti e dei letterati.

Io non oso rivedere il giudizio del pontefice massimo della critica estetica italiana. Ma lo ha riveduto favorevolmente un critico, che non è da meno del De Sanctis, e, per di più, è il più gran poeta dell’Italia moderna, Giosuè Carducci.

Che la poesia di Luigi Tansillo sapesse toccare le vette più alte della passione eroica e cantare la universalità del sentimento, cercando 1’ideale, è dimostrato dal sonetto, che trascrivo, che per molto tempo fu attribuito a Giordano Bruno, e che il De Sanctis stesso definì “ sublime ,,.

E per trovare un’ altra lirica italiana, che viva di respiro e di anima immensa, così, bisogna ricorrere col pensiero al racconto di Odisseo d’Itaca, in Dante Alighieri.

Se la rappresentazione universale della vita e del sentimento umano è 1’alimento e il crisma della poesia, Luigi Tansillo è dunque poeta, ed è grande poeta, poi ch’egli canta 1’universale, in materia di arte elettissima.

Il Cinquecento italiano sta fra due Arcadie poetiche. “ L’ Arcadia ,, di Iacopo Sannazaro, agli inizi, l'Aminta ,, di Torquato Tasso alla fine. Tutta la poesia del secolo arcadeggia Giovan Battista Guarini è il pastor musico della generazione poetica. Il Vergilianesimo è la grande parola messianica del tempo. L’ egloga sostituisce la ballata quattrocentesca. Esauriti i temi dell’ amore spirituale e carnale, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Lorenzo de’ Medici; debellata la cavalleria, sovrastruttura ideologica impossibile a reggersi nella terra classica del Comune, dall’ Ariosto prima, da Michele Cervantes dopo; mancando il mondo della leggenda eroica e della storia per la crerdone di un’epopea nazionale, onde il naufragio del tentativo del Trissino, il poeta piega alla natura e alla terra. Un mondo nuovo si apre alla poesia. La georgica trionfa.

Tra i georgici, è Luigi Tansillo. “ Il Podere ,, è un poema agricolo, nel senso vergiliano della parola. Didascalico nella sostanza, lirico nella ispirazione, in esso la comunione dell’ uomo e della terra, del cuore dell’ uomo e del cuore della terra, è espressa attraverso larghi fiotti di poesia pura ed umana, con una sensibilità così squisita e moderna, che non si ritrova tanto intensa in altri georgici di prima e di dopo, se non in Teocrito, nella divina georgica del Mantovano, nel Torquato Tasso dell’idillio campestre e del dramma pastorale, e, tra i contemporanei, nel Maurizio Maeterlinch de” La vie des abeilles ,, e de “ La vie des Iermites ,, i due poemi dell’ azzurro l’uno, del profondo 1’altro.

La forma metrica, la terza rima dantesca nello schema severissimo del capitolo, la lingua semplice e fresca si attagliano bellamente all’indole della materia agreste. Hanno odore di grassa terra smottata all’ alba da aratri profondi.

E maraviglia la competenza agricola che, in bellissima forma di poesia, vi dimostra un uomo, che larga parte della sua vita consumò ramingo, in avventure di mare e di terra, di guerra e di pace, e tra il fasto della corte spagnuola di Napoli, ch’ebbe fama di essere tra le più raffinate del Cinquecento, ove le dame danzavano in vaporosi costumi orientali di bisso, su voluttuose musiche languenti, e si beveva il vino di Malaga in coppe modellate da artefici del calco su mammelle di vergini.

Sinfonia umanissima, i cinque canti in sesta rima de “ Il Vendernmiatore,, sono la squilia del materialismo e della sete di gaudio del secolo liberatore. Vi è tutta 1’umanità nuda come la vita stessa. E un ritorno a Boccaccio, attraverso il Lasca e Lorenzo de’ Medici. Il poema contiene una riaffermazione della filosofia del secolo ed ha valore di negazione di fronte ai tentativi del romanesimo di mortificare novellamente lo spirito dell’ uomo, riaggiogandolo al carro della faida gesuitica.

Commedia umana, ma commedia universale. Come il “ Decameron ,, come  il “ Ninfale ,,,. come i Carnasciali ,,. Si ricollega al “ Trionfo di Bacco e Arianna ,, e preludia il ditirambo di Francesco Redi. Non oscenità per 1’oscenità, dunque. Ma sono i simboli della vita, che gli uomini nuovi levano contro i simboli della morte. E lo spirito del Rinascimento italiano, scettico e giocondo, liberato e liberatore, che si difende, ferendo, attaccando, al tempo stesso contro la Riforma e contro Roma, ma, sopra tutto, contro Ignazio da Loyola.

Le lacrime di San Pietro ,, mettono Luigi Tansillo tra i poeti religiosi del secolo, che, nella sua seconda metà, volse, pur in mezzo al paganesimo trionfale della vita e della cultura, per effetto della propaganda religiosa e per amore di novità artistica, a questa forma di. poesia.

Prima di Dante, stanno i Misteri e le Visioni. Ildebrando e frate Alberigo. Prima di Torquato Tasso, il dramma sacro e le processioni penitenziali. Lo spirito di Filippo Neri.

Luigi Tansillo, spirito universale, nutrito di cultura umanistica, dà il suo contributo al poema religioso. E lo darà più tardi Giovan Battista Marino, il cantore maginifico e sensualissimo di “ Adone ,, con La strage degl’ innocenti, facendo polifonia corale con il Murtola di “ Mondo Creato ,, e “ Le lacrime della Vergine ,, del Campeggi.

Ed eccoci al quarto dei suoi poemi maggiori. La nutrice ,,. L’ idea del poema è la fonte stessa della vita. L’ allattamento dei bimbi. La maternità nella sua funzione ed espressione più completa ed universale, comune alle donne e alle bestie. La poesia non poteva trovare un soggetto più degno di sé. E Luigi Tansillo ha il merito di averlo cantato con una delicatezza di tono mirabile ed mimitabile. La sua lirica qui è tersa e raggiante come la carne dei pargoli e come il latte materno.

Che cos’è per il bimbo il latte materno, invece che il latte di una estranea? La scienza moderna ha parlato. La poesia moderna non ha fatto e non poteva fare che riecheggiare Luigi Tansillo. La divina nutrice dei bimbi, perché vengano sani e conservino le caratteristiche fisiche e morali dei genitori, dev’essere la madre.

Oggi, la madre ricca genera soltanto. Ma non c’è più che la madre’ povera che abbia 1’orgoglio di allevare e di educare. Il bambino che poppa alla mammella materna un quadro divino. Il dolore, la gioia della madre s’illuminano della stessa luce del sogno dell’innocente, che ha generato. Ma il bambino che succhia alla mammella di una balia è un aspetto qualsiasi di animalità repugnante. La vita intristisce. O poeta del latte materno, io t’invoco a presente allo spirito delle madri, per il bene del mondo!

Inutile mi sembra, ora, cercare il limite raggiunto della sua arte. Nella immensa polifonia poetica del Cinquecento, Luigi Tansillo ha la sua voce chiara e inconfondibile. E la mantiene attraverso i tempi, perché la vita, ch’egli vestì di poesia, è verità umana, immanente, attuale.

Mi torna in mente, e non so resistere alla tentazione di riportarla, una pagina di Giuseppe j~elteil, in Jeanne d’ Arc,, che sembra una strofe. E l’inno del latte materno. E lo riporto, perché la sensibilità di questo modernissimo e raffinatissimo poeta francese non aggiunge un pollice, pur nella poderosa novità della forma, alla sensibilità universale di Luigi Tansillo. Ciò che prova che il nostro poeta e di tutti i tempi. E non muore. Eccolo.

O   Lait, Lait avec une grande L, grand Lait spherique et tétraforme, Lait de vache, Lait de chévre, Lait de femme, quintessence de la rotonditè et principe de la blancheur, Lait lapidaire et lapislazuli, aliment suprème et suprème speculation, consonnance de la caresse et de l’amour, molles syllabes de la vie, Lait, laitance, lactate, alleluia, joies de la langue et joies du palais, sourire gras, source des commencements, 6 lac de largesses, considérables trèsors, Lait qui répands tes delices jusque das la lame et jusque sur la laitue, long, larg et lakiste Lait. nombril de la matiére et coeur du corps, o formule essentielle, o somme physique, gioire et dityrambe a Toi,o Lait

Tutte le purità, mentre la vita se ne vuota e le getta come cose inutili, si rifugiano nella poesia!

Dalla fedeltà alla Corte di Spagna, Luigi Tansillo non ritrasse né onori, né ricchezze. Sposò una di Teano, in provincia di Caserta, Luisa Puzzo.

Alla morte di Pedro da Toledo, perdè il suo posto alla Corte. Stanco della vita, si adattò per dieci anni a fare 1’impiegato nelle Dogane. Nel 1568, si rese alla terra genitrice, lontano dalla sua Terra natale.

Anche il Rinascimento italiano agonizzava. L’inquisizione imperava. La barbarie riprendeva il mondo.

Torture e roghi per presunti immorali e presunti eretici erano all’ordine del giorno. Ma, a riaffrancare per sempre la coscienza e il pensiero dell’ uomo, salivano già agli orizzonti della vita il Calcolo di Galileo e il Metodo di Cartesio, preparando Giannone e Vico.

Lo spirito di Luigi Tansillo è presente nella sua Terra, ogni volta che matura al sole la vendemmia pingue del Vulture. E il canto del gaudio e dell’ amore umano s’identifica ancora, come la vita nel sole, nella poesia serena e gioconda de” Il Vendemmiatore.

 

FERDINANDO SANTORO


dalla Basilicata nel Mondo (1924 - 1927)

 

 

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