L’attuale Policoro si è dunque sviluppata in anni
recenti, a partire, cioè, dagli anni ‘50 con la riforma agraria e con
l’autonomia comunale, ottenuta nel 1959. Ma affonda le sue radici nella
Magna Grecia, preceduta sull’attuale territorio, anticamente conosciuto
come Siritide, prima da Siris e poi da Heraclea.
La Siritide era la zona compresa tra l'Agri e il
Sinni fino al promontorio di S. Maria di Anglona. Mare, pianura, collina
e tanta acqua per la presenza di fiumi e sorgenti, garantivano sviluppo
agli insediamenti umani, tant’è che prima della colonizzazione greca, la
zona era già abitata dalle popolazioni enotrie con numerosi centri, tra
cui il più importante fu Pandosia, ubicato nell’attuale territorio di S.
Maria di Anglona.
Arrivano i greci
I greci, in presenza di questo grande potenziale
economico, scelsero appunto l’area
costiera tra Agri e Sinni per la fondazione di Siris. Secondo Strabone
(I sec. a. C.), Siris fu fondata agli inizi dei VII secolo a. C. alla
foce del Sinni da un gruppo di esuli greci di stirpe ionica, provenienti
dalla Turchia, precisamente da Colofone. Ma la ricerca archeologica non
ha rinvenuto alcuna testimonianza di Siris nelle vicinanze del Sinni,
mentre tracce di un insediamento fortificato identificato con Siris,
sono state individuate sulla collina del castello di Policoro, al
disotto dell’abitato di Heraclea. Sempre nell’attuale abitato di
Policoro sono stati recentemente individuati alcuni piccoli nuclei di
strutture abitate riferibili al periodo di Siris.
Con la distruzione di Sibari nel 510 a. C. che si
era annessa l’area tra l’Agri e il Sinni con un intervento militare
contro Siris, il territorio della Siritide viene conteso da Thourioi
(città sorta da Sibari dopo la sua distruzione) e Taranto. Dopo alterne
vicende belliche, nel 434/433 a. C., Taranto, all’apice della sua
potenza , vi fonda Heraclea, secondo quanto riferiscono Strabone
e Diodoro. La nuova città, che deriva il suo nome da Ercole, il mitico
eroe delle dodici fatiche, eredita da Taranto le istituzioni politiche e
la lingua, divenendo un importante centro.
Heraclea, capitale della Magna Grecia
Nei suo primo periodo di vita, Heraclea occupò la
collina del Castello con un impianto urbano regolare. Verso gli inizi
del IV secolo a. C. si estese a sud nei pianoro sottostante, in parte
occupato attualmente dal tessuto urbano moderno, e fu difesa da un muro
di fortificazione e da un fossato, come testimoniano i reperti
archeologici. Un tratto delle sue mura è visibile davanti all’ingresso
dell’ufficio postale.
La città ebbe una florida economia, basata sui
prodotti naturali del suolo, in particolare cereali, olio, vino. Non
risulta che abbia avuto forti interessi sul mare.
Nel 374 a. C. Heraclea divenne capitale delle
altre città greche, ossia della Lega Italiota, al posto di Thourioi,
caduta in mano ai Lucani. In coincidenza con questo avvenimento, il più
importante nella storia della città, Heraclea visse il periodo di
maggior splendore politico.
Le monete eracleensi
Nel 338 a. C. Heraclea subì l’occupazione delle
popolazioni indigene dell’interno, i Lucani, ma venne liberata da
Alessandro il Molosso, re dell’Epiro, alleato delle città magno-greche.
intorno al 326 a. C., Heraclea, che fino ad allora aveva vissuto sotto
la protezione di Taranto, divenne città libera, si governò con leggi
proprie, diffuse le sue monete con l’effigie di Ercole con la dava e il
leone nemeo (una delle sue dodici fatiche), scelta come simbolo
dell’attuale città e riprodotta sullo stemma comunale.
Nel 280 a. C., Heraclea si trovò coinvolta nella
guerra tra Roma e Taranto. Sul suo territorio, e più precisamente presso
l’attuale Panevino, si svolse la famosa battaglia in cui Pirro sbaragliò
i romani con i suoi elefanti. La città ne rimase devastata: il suo
territorio, a poco a poco, finì per cadere in uno stato di abbandono,
nel quale prosperò l’abusivismo con l’occupazione illegale dei terreni,
appartenenti ai santuari di Atena e Dioniso.
Le Tavole di Heraclea
Con la pace ritrovata, si attuò un riordinamento
delle aree demaniali per restituire ai santuari le proprietà di un
tempo, attraverso un nuovo rilevamento catastale e con la definizione
dei contratti per regolarizzare la locazione delle terre sacre, affidate
a privati cittadini.
I testi, in lingua greca, furono trascritti su due
tavole di bronzo, dette appunto di Heraclea, rinvenute nel 1732 in
località Acinapura. Sono conservate nel Museo Archeologico di Napoli.
Un aspetto interessante di questi atti pubblici è
costituito dalla distinzione che essi fanno tra locazione di tipo
enfiteutico, cioè a lungo termine per i terreni di Dioniso e locazione a
scadenza quinquennale per le terre di Atena, ritenute più fertili.
La riforma agraria nell’antichità
Le Tavole di Heraclea sono considerate un
documento importante per la conoscenza delle forme di organizzazione e
sfruttamento del territorio agricolo, per la storia linguistica,
costituzionale, sociale e per lo studio dei sistemi agricoli non
soltanto di Heraclea, ma di tutta la Magna Grecia.
Il retro delle Tavole è stato usato per la stesura
di una legge romana, la “Lex Julia Municipalis”.
Le Tavole bronzee di Heraclea sono unanimamente
considerate un esempio di riforma agraria, attuata nell’antichità sullo
stesso territorio in cui ventiquattro secoli dopo sarà attuata la
riforma agraria degli anni ‘50, che ha originato l’attuale sviluppo di
Policoro.
Nel corso della seconda guerra punica, Livio,
considerato uno dei più grandi “cronisti” dell’epoca, ci ha informato
che Annibale requisì grano ad Heraclea per il suo esercito.
La decadenza di Heraclea
Nella tarda età repubblicana, Heraclea fu
sconvolta da tumulti sociali (Cicerone, Pro Archia) ed anche nel 72 a.
C. è turbata dal passaggio di Spartaco. La popolazione abbandonò la
parte bassa della città, trovando rifugio nella parte alta.
In età imperiale, Heraclea è ormai in piena
decadenza e sopravvive come piccolo borgo fino al V secolo dopo Cristo.
In quel periodo, il mondo magno-greco andò soggetto ad una grave crisi
economica, da cui non fu risparmiata neppure Heraclea.
La città fu abbandonata e i pochi abitanti
sopravvissuti trovarono rifugio e si sistemarono nella parte alta della
collina, intorno ad un nucleo abitato che nel periodo medioevale sarà
denominato Polychorium.
Il Museo e i reperti fanno rivivere la Magna
Grecia
In coincidenza con l’autonomia comunale, una
missione archeologica dell’Università di Heidelberg, diretta dal prof.
Bernhard Neutsch, effettuò i primi sondaggi per portare alla luce
l’antica Heraclea. In molti anni di sondaggi e scavi, Neutsc fece
importanti scoperte per la conoscenza di Siris ed Heraclea. Per i molti
meriti acquisiti, all’archeologo tedesco fu conferita la cittadinanza
onoraria nel 1967.
I sondaggi si trasformarono in vere e proprie
campagne di scavo con l’istituzione della Soprintendenza Archeologica
della Basilicata, presieduta dal prof. Dinu Adamesteanu, archeologo di
fama internazionale. Ha inaugurato l’albo d’oro dei “cittadini
illustri”, istituito nel 1994 dal Consiglio Comunale. Alla sua opera
instancabile va ascritto il merito della realizzazione del Museo
Nazionale della Siritide, nel parco archeologico, inaugurato nel 1969.
Il Museo, con i suoi reperti, racconta la storia
delle città di Siris ed Heraclea, da cui Policoro trae le sue origini,
la fase vissuta dai greci e dai principali popoli Italici, Enotri e
Lucani, che abitarono nell’area comprendente i bacini fluviali dell’Agri
e del Sinni o, per rifarsi alla terminologia letteraria greca, nella
Siritide e nel suo retroterra. Documenta la storia economica, sociale e
culturale di quel periodo e i processi di acculturazione dei popoli
italici, a contatto con l’avanzata cultura greca.
Gli antenati, ovvero gli eracleoti e le
eracleote
Attraverso i reperti conservati nel Museo possiamo
conoscere la storia, il costume, l’arte, la cultura di un territorio che
ha ospitato tante civiltà. Ci fa conoscere in particolare i primi
abitatori di Heraclea - Policoro.
Gli eracleoti e le eracleote non erano molto
aitanti: gli uomini erano alti mediamente mt. 1,61 e le donne 1,59. I
primi trascorrevano molto tempo in palestra per curare il loro fisico,
mentre le donne davano libero sfogo alla loro vanità con unguenti,
belietti, monili e specchi.
Si consumavano molti farinacei e poca carne. Le
attività? Prevalente l’artigianato. In particolare si lavorava il
metallo, ma era molto diffusa anche l’arte pittorica, testimoniata dai
vasi a figure rosse del “pittore” di Heraclea - Policoro, Zeusi. Tutti
erano molto religiosi, praticanti e devoti agli dei.
Heraclea cede il posto a Policoro
I primi documenti che riportano il nome di
Policoro, che in greco significa territorio ampio, ed è perciò probabile
che stesse ad indicare la pianura dominata dalla collina su cui Policoro
sorgeva, risalgono agli inizi del XII secolo e riguardano Albereda,
sorella di Ugo di Chiaromonte e moglie di Riccardo Siniscalco,
denominata signora di Colobraro e Policoro. Alla sua morte Policoro
passò ai nipoti, i quali nel 1126 confermano i privilegi al Monastero
greco di S. Elia di Carbone. Dall’atto si desume che anche prima
dell’anno 1000 esisteva un casale, con chiesa ed un monastero basiliano,
con la indicazione “nella città di Policoro”.
Nel 1214 Policoro passò, per donazione, da
Raimondo il Guasto al Monastero del Sagittario, uno dei tre grossi
centri monastici, ubicati nell’area del Pollino.
Nel 1232 Federico II di Svevia sostò a Policoro
durante la spedizione contro le città ribelli della Sicilia.