Dal 1300 al 1600, il feudo di Policoro, in piena
decadenza, diviene proprietà della famiglia Sanseverino, con passaggi
tra i vari discendenti. Un principe di quella famiglia, nel 1600, per
ottenere la guarigione di un figlio da una grave malattia, donò il feudo
ai Gesuiti, che lo tennero per lungo tempo, trasformando il castello in
monastero.
lI 21 novembre 1772 i Gesuiti furono espulsi dal
Regno delle due Sicilie dal re Ferdinando IV di Borbone. Tutti i loro
beni, compreso il feudo “disabitato” di Policoro, furono incamerati dal
Regio Fisco.
Il feudo di Policoro venne venduto all’asta ed
acquistato dalla nobildonna Maria Grimaldi, principessa di Gerace.
Alla fine di aprile del 1799, nei giorni 29 e 30,
nell’ex monastero di Policoro, trasformato di nuovo in castello,
soggiornò il cardinale Ruffo, ospite della principessa di Gerace, mentre
era in giro con la sua soldataglia per domare la rivolta contro
l’assolutismo borbonico; nel maggio del 1806 pernottò nel castello il re
Giuseppe Bonaparte durante il suo viaggio da Reggio Calabria a Napoli.
I Berlingieri proprietari del feudo di Policoro
Fino al 1810 il feudo di Policoro appartiene
ancora alla famiglia dei principi di Gerace. Nel gennaio del 1833 il re
Ferdinando il di Borbone fu ospite nel castello di Policoro del conte
Montesantangelo, un probabile erede dei principi di Gerace, succedutosi
nella proprietà del feudo, che risulterà di proprietà del conte Nicola
Serra tra il 1868 e il 1870.
Il 2 maggio 1893 il feudo di Policoro è acquistato
dal barone Luigi Berlingieri di Crotone con atto del notaio Ruo di
Napoli, al prezzo di lire 3.400.000. Il barone Berlingieri diviene
proprietario del feudo, di tutti gli animali esistenti nella tenuta,
dell’arredamento del castello, delle attrezzature dei locali e dei
magazzini, dell’industria di liquirizia funzionante in località
“Concio".
Il castello baronale
Il castello baronale nasce nell’anno 1000, come
casale fortificato, modificandosi ed ampliandosi nei secoli successivi.
L’edificio è posto su un’altura, da cui si domina la piana sottostante
fino alla marina.
Presenta attualmente, nelle sue linee generali, la struttura della
seconda metà del XVII secolo, quando la “casa” gesuitica fu trasformata
in residenza nobiliare. Il palazzo ha conservato, nel suo impianto,
l’originaria struttura monastica.
E’ attualmente a due piani, ma da una stampa del
XVIII secolo è raffigurato ad un piano, con campanile uscente dalla
linea dei tetti ed una torre quadra sovrastante l’intero edificio,
munita, agli angoli superiori, di quattro torrette.
Della torre quadra è rimasta attualmente sola la
parte inferiore che emerge dalla linea dei tetti del secondo piano,
aggiunta verso la fine del 1700 o l’inizio del 1800, quando il castello
ha assunto definitivamente l’attuale struttura.
Un grande portone sormontato dallo stemma della
famiglia Berlingieri immette in una vasta corte interna, rettangolare,
da cui si accede ai locali di servizio del piano terra ed alla scalinata
che conduce al piano superiore.
Il castello, memoria storica del paese
Sulla sinistra del castello vi è la settecentesca
cappella con annessa canonica.
Lungo il pendio i “casalini” che costituivano gli
alloggi unifamiliari dei dipendenti della grande azienda feudale.
Di recente il castello è stato dichiarato di
interesse particolarmente importante con decreto del Ministro per i beni
culturali ed ambientali.
Il castello “rappresenta un notevole documento
della storia del paese e un ottimo esempio di architettura locale.
Imponente e massiccio nella struttura, il prospetto laterale sinistro è
movimentato da ali avanzate rispetto al corpo centrale e collegato da
locali di servizio su cui poggiano le due arcate di un loggiatino. Un
portale settecentesco, profilato da lesene e volute finemente scolpite
in pietra con l’arma nobiliare in chiave, costituisce l’elemento
vivacizzante del fronte principale”.
Personaggi illustri ospitati nel castello
Oltre ai personaggi storici, già menzionati, il
castello ha ospitato, in tempi più recenti, altre personalità illustri,
tra i quali il principe Guglielmo Baden nel gennaio 1868, gli statisti
Emilio Visconti-Venosta e Silvio Spaventa nella primavera del 1876, il
filosofo Francesco Fiorentino nel marzo 1878, l’ammiraglio inglese
Seymur nella primavera del 1893 ed il 23 settembre 1902 Giuseppe
Zanardelli, il primo Presidente del Consiglio dei Ministri ad aver
visitato la Basilicata.
Il Presidente Zanardelli, dopo aver attraversato
il fiume Agri su un carro trainato da bufali, tenne nel castello di
Policoro una riunione con le personalità del Lagonegrese per discutere
le necessità e i bisogni delle popolazioni della zona.
Il feudo Berlingieri
Intorno aI 1920, il feudo di Policoro, che nel
frattempo era passato in eredità dal nonno Luigi al barone Giulio
Berlingieri ed era condotto in fitto dalla società Padula e soci di
Moliterno (una società molto efficiente che investì nell’azienda
cospicui capitali e introdusse per la prima volta nella regione l’uso di
moderne macchine agricole), era un feudo di circa 6.000 ettari,
dislocato fra il Sinni e l'Agri, il mare ed i terreni della mensa
arcivescovile di Anglona e comprendeva 1.600 ettari di bosco, 2.100 di
seminativo, 450 di seminativo arborato, 380 di oliveto specializzato con
32.000 piante, 6 ettari di agrumeto, 1.040 di pascolo, 110 di stagno,
288 di incolti sterili e 26 ettari di tare.
All’epoca Policoro era già servito dalla ferrovia.
C’era poi una strada, denominata “il tratturo del Re”, percorribile solo
d’estate, che attraversava il litorale ionico. Nel 1928 il Consorzio di
Bonifica avvierà la costruzione della litoranea ionica S.S. 106 dal
Bradano al Sinni.
“Una terra così cattiva non l’ho vista...”
“La gente se ne va in America perché non può
campare. Se ne devono andare perché, coi terreni, non possono andare
avanti, I terreni qua non producono. Ho camminato diverso mondo, ma una
terra così cattiva non l’ho vista...”.
Così si esprimeva un contadino di Policoro, prima
che fosse debellata la malaria, interrogato dalla Commissione
Parlamentare d’inchiesta sul Meridione e la Sicilia.
Siamo tra il 1920 e il 1940. Pochi degli attuali
abitanti di Policoro hanno conosciuto quell’epoca in cui povertà,
analfabetismo e fatica si mescolavano al fatalismo e alla rassegnazione.
Unico segno di quei tempi un castello, qualche rudere e i casalini nella
parte bassa del castello.
Il barone Berlingieri, come abbiamo detto, aveva
affittato terreni e boschi ad una società di imprenditori, che
utilizzava alcune centinaia di salariati fissi, massari, mandriani e
braccianti vari, per mandare avanti un’azienda, dove prosperava la
liquirizia e che produceva in abbondanza grano, olio e formaggi di vario
tipo, tra cui molto rinomate le mozzarelle di bufala.
La società, che conduceva in fitto il feudo,
pagava al barone un canone annuo di 7.400 quintali di grano “asciutto,
da prelevarsi dal proprietario nel primo e migliore prodotto, metà duro
e metà tenero, da immagazzinarsi a cura dei conduttori, rivoltato per il
periodo di tempo fino a quando al proprietario farà comodo vendere,
restando a carico dei locatari il trasporto allo scalo ferroviario”.
Le battute di caccia...
Si trattava di una rendita cospicua, ma il barone,
possessore all’epoca di 22.000 ettari di terreno, con un reddito di 60
milioni di lire all’anno, considerava di scarso interesse.
Il barone infatti era condizionato dalla passione
per la caccia. Il suo interesse era tutto per il bosco e per la sua
fauna e in particolare per il cinghiale, l’animale prediletto per le
battute di caccia.
Ogni anno, il barone trascorreva in treno la notte
di S. Silvestro per iniziare il nuovo anno nel suo bosco di Policoro,
vicino ai suoi cinghiali, nell’attesa del 7 gennaio, giorno di inizio
della caccia. Personalità, autorità di ogni genere, alti funzionari,
sollecitavano da tutta Italia inviti alle battute di caccia.
Le battute di caccia si svolgevano dalle ore 11
alle ore 15, a giorni alterni, per consentire alla muta di 60 cani di
riposarsi. D’estate, i cani venivano inviati a “villeggiare” in Sila,
per non far loro soffrire il caldo.
... e la passione per i cavalli
Per il periodo che il barone restava a Policoro,
da gennaio a marzo, ogni giorno, gli affittuari dovevano inviare al
castello un “capretto pulito”, ricotta e rapa selvatica, la cui quantità
veniva stabilita di giorno in giorno, a seconda degli ospiti presenti al
castello.
All’inizio di aprile il barone ripartiva da
Policoro, non assistendo mai alla festa patronale della Madonna del
Ponte, che all’epoca si svolgeva nell’Ottava di Pasqua. Prima di
partire, però, consegnava sempre la sua offerta agli organizzatori della
festa.
Negli altri mesi dell’anno il barone viveva a
Milano, spostandosi di tanto in tanto negli ippodromi per assistere alla
gare, alle quali partecipavano i cavalli della sua scuderia.