GEOLOGIA, FLORA
E VEGETAZIONE DEL MASSICCIO MONTUOSO DEL POLLINO
This contribution describes natural characteristics of the region
included in the boundaries of the National Park of M. Pollino. The
treatment includes the description of physiographic factors (geology and
geomorphology) related to plant distribution (flora and vegetation). The
great variability of natural environment and the reduced human action
determine the great richness of plant communities, often including rare
and typical species, worthy of conservation.
Il Massiccio del Pollino si impone come grande baluardo
calcareo-dolomitico che infrange lungo un fronte di circa 30 km la
continuità tra le dorsali dell'Appennino centrale ed i rilievi
calabresi. Le più importanti vicende della storia geologica del Pollino
possono essere così riassunte.
Circa 200 ml. di anni fa, la Pangea, l'unico continente, iniziava a
dividersi in vari blocchi e tra questi si andava formando un ampio mare
chiamato Tetide, sui cui fondali si accumulavano numerosi sedimenti
costituiti soprattutto da scheletri calcarei di organismi marini che
sarebbero andati a formare le rocce "sedimentarie" della catena
appenninica e quindi del Pollino. Tutto lo spessore dei sedimenti, nel
corso dei milioni di anni, si trasforma e dà origine alle rocce calcaree
e calcareo-dolomitiche che costituiranno l'impalcatura del Massiccio del
Pollino.
Nei fondali di Tetide, 130 ml. di anni fa, si formarono delle spaccature
da cui fuoriuscirono enormi quantità di lave subacquee le quali,
modificate nella struttura e composizione, diventarono rocce
ofiolitiche. Uno spettacolare esempio di tali rocce, è la Timpa di
Pietrasassa, alta più di 50 m. che si erge solitaria lungo la cresta che
divide la Val Sarmento dalla Valle del Rubbio. Le Serpentiniti, rocce
verdastre e lucide, sono un esempio di queste rocce e si trovano nella
zona di S. Severino Lucano.
In alcuni punti del Pollino, come ad esempio Timpa delle Murge al Piano
della Mandria presso il Casino della Forestale, le lave subacquee non si
sono metamorfosate mantenendo l'aspetto originario. Formazioni così sono
molto rare e sono dei meravigliosi esempi di "fossili" di lave a
cuscino.
Alla fine del periodo cretaceo (70 ml. di anni) i due blocchi continentali
africano ed europeo, dopo essersi allontanati, cominciarono a
riavvicinarsi ed a schiacciare i fondali di Tetide. Così enormi spessori
di roccia si sono incurvati ed accavallati ed iniziarono a formarsi le
catene montuose delle Alpi e degli Appennini. La continuazione di questi
movimenti dell'Africa verso l'Europa, circa 20 ml. di anni fa, diede
luogo alla formazione della catena appenninica e del Pollino.
Successivamente, (7 ml. d'anni fa), sempre sui fondali della Tetide si
depositarono sedimenti argillosi che costituiranno il flysch, un insieme
di argille, marne, arenarie, che si ritrovano soprattutto nella zona
orientale e settentrionale del Massiccio, ad esempio ai piedi di Serra
Dolcedorme. Cinquemilioni di anni fa, nel Pliocene superiore, l'intera
area del Massiccio subisce una distensione che provoca delle enormi
fratture nei grandi massi rocciosi; queste fratture dette Faglie, si
presentano come dei grandi tagli che hanno formato enormi blocchi che in
seguito si sono spostati uno rispetto all'altro.
Nel corso di circa 1 ml. di anni fa, alcuni di questi blocchi hanno
continuato a sprofondare ed hanno formato fosse e rilievi tettonici
delineando la forma vera e propria del Massiccio. Le fosse si sono
trasformate in vallate percorse da fiumi o in conche occupate da laghi.
La Valle del Mercure è, ad esempio, un'importante fossa tettonica ed un
tempo era occupata da un grande bacino lacustre. I rilievi invece, sono
diventati le dorsali montuose. Negli ultimi 2 ml. di anni si sono avute
cinque fasi glaciali che hanno causato notevoli cambiamenti
sull'ambiente a causa dei mutamenti climatici. Soprattutto durante
l'ultima glaciazione, la glaciazione Würm, grandi ghiacciai si erano
formati anche sugli Appennini. Numerose, e ben visibili sono le forme
glaciali sul Pollino lasciate dalla glaciazione wurmiana. Recenti studi
hanno evidenziato la presenza di circhi glaciali, depositi, valli di
escavazione ad U visibili su tutte le cime della catena che vanno dal M.
Pollino al M. della Mula.
I circhi glaciali sono presenti lungo l'arco montuoso che comprende Serra
Crispo, Serra delle Ciavole, Serra Dolcedorme, Serra del Prete. Queste
conche scavate ai lati delle cime montuose erano occupate dai ghiacciai
ed hanno forma semicircolare. I circhi più evidenti sono circa una
decina quasi tutti esposti a nord con un'altitudine che va dai 1.800 m.
ai 2.100 m. Il ghiacciaio con il suo movimento erode le rocce
disgregandole e le trasporta a valle. I detriti formati si accumulano e
formano delle colline di materiale incoerente dette morene. Questi
materiali morenici, sono piuttosto rari in questo settore
dell'Appennino, per cui rivestono un ruolo di primaria importanza. I
sedimenti morenici dei Piani di Pollino (la depressione che comprende il
Piano del Pollino, Piano Vacquaro, Piano di Toscano), oltre a definire
un paesaggio morfologico di notevole valore estetico, hanno un'enorme
importanza dal punto di vista scientifico.
La natura calcarea dei rilievi del gruppo montuoso del Pollino, a causa
dell'azione chimica delle acque e dell'azione morfogenetica dei
ghiacciai, ha portato alla formazione di numerose forme carsiche. Forme
come lapies, doline, depressioni endoreiche sono presenti in località la
Fagosa e si rinvengono anche grandi depressioni carsiche che sono
tipiche degli altipiani appenninici cioè i "piani" carsici, tra cui si
ricordano quelli di Campotenese (che ha ospitato un bacino lacustre),
Piano Ruggio, Piano Vacquarro e quello della Valle del Mercure. Numerose
sono le doline: sulle vette del M. Pollino e Serra di Mauro e quelle ai
fianchi di Cozzo Ferriero; e gli inghiottitoi: presenti a Valle Lupa,
Piano Ruggio, Piano Iannace, l'inghiottitoio dell'Abisso del Bifurto ad
esempio è la più profonda voragine meridionale. Inoltre, sempre l'azione
solvente delle acque di precipitazione ha favorito lo sviluppo di
numerose forme ipogee come ad esempio le grotte carsiche di M. Manfriana
e le belle grotte di Serra di Gufo.
ESPLORAZIONI BOTANICHE SUL POLLINO
A partire dagli inizi del secolo scorso, numerosi botanici hanno
erborizzato sul Massiccio del Pollino. Le prime esplorazioni botaniche
spettano ad insigni studiosi tra cui Tenore, Petagna, Terrano, che
visitarono le montagne del massiccio calabro-lucano nel 1826. Il viaggio
dei botanici napoletani portò alla raccolta di molte piante (conservate
nell'erbario dell'Orto Botanico di Napoli), alcune rare o molto rare o
in via di estinzione.
Nel 1875 il viaggio di Hurter, Porta e Rigo incrementò l'elenco della
flora del Massiccio con ben altre 108 specie. Alcuni anni dopo i
botanici Terracciano e Calvelli descrissero ben 1.846 entità floristiche
esclusivamente sul versante calabro.
A seguito di escursioni di A. Fiori, F. Cavara, L. Grande e di O. Gavioli
e C. Lacaita sul finire degli anni venti, ulteriori specie botaniche
vennero aggiunte all'elenco della flora del Pollino. Recenti contributi
floristici sono dovuti ai lavori sulla vegetazione dell'Appennino
meridionale da parte di Gentile (1969), di G. Bonin (1978) e G. Avena-F.
Bruno (1975). Negli ultimi anni tra gli studiosi che hanno analizzato la
flora del Parco vanno ricordati: S. Avolio (con i suoi studi sul Pino
loricato), G. Spampinato e G. Maiorca: "Flora del fiume Argentino", ed
infine, L. Berardo, che, insieme ad altri collaboratori dell'Orto
Botanico dell'Università di Calabria, sta conducendo numerosi studi
sulla flora del Parco.
LA FLORA
Nel 1571 così scriveva Gabriele Barrio sull'origine del nome Pollino: "Si
eleva un alto monte, il Pollino, così detto da "poleo" perché sembra sia
ricco di ottime erbe utili in medicina".
Il Pollino è ricco non solo di erbe officinali, ma anche di numerose altre
entità floristiche. Attualmente non esiste un elenco floristico che
comprenda tutte le specie presenti nell'area del Parco. Alcuni autori
hanno dato il loro contributo solo per piccole aree all'interno del
Parco. Bonin nel 1968 ha censito sulla catena del Pollino in senso
stretto, un patrimonio floristico di 710 taxa. Considerando i limiti
ampi del Parco, facilmente si può ipotizzare che in esso vi siano
presenti oltre 1.500 taxa. Ad esempio, studi recenti di Maiorca e
Spampinato (1993), confermano per la sola valle dell'Argentino 846
taxa.
La ricchezza floristica del Pollino anche se non del tutto nota e
studiata, riveste una notevole importanza legata alla varietà degli
ambienti, i quali presentano specie le più diverse tra loro,
appartenenti alla maggior parte delle famiglie della flora italiana. Le
notevoli differenze altitudinali dei vari ambienti offrono habitat
diversi con una innumerevole varietà di specie vegetali. Si va ad
esempio dalle valli del Raganello 250 m. s.l.m., alla valle del Sinni
360 m s.l.m., fino ai 2.267 m. s.l.m del Dolcedorme, dai tipici ambienti
delle fiumare caratterizzati dalla intricata macchia mediterranea, fino
agli ambienti cacuminali con i tipici pascoli di altitudine ed i
brecciai del versante Nord del Pollino, da Gravina del Diavolo alla
Montea.
Sulla base dei dati a disposizione si può ricavare un esame approssimativo
dello spettro corologico della flora del Pollino (Bonin 1968) definito
dagli areali di distribuzione delle specie. Elevata è la presenza di
elementi europei (23,1%) da collegare forse alle condizioni climatiche
ed alle vicende storiche del Massiccio montuoso. Importanti dal punto di
vista fitosociologico gli elementi illirici (12,2%), i quali hanno la
loro maggiore distribuzione nella penisola Balanica. Va menzionata
l'importante presenza di elementi orientali, indicatori del collegamento
tra la nostra penisola ed il settore orientale del Bacino del
Mediterraneo.
Tra essi degni di essere citati sono: Genista sericea, Drypis spinosa,
Pinus leucodermis, Gentianella crispata, Paeonia peregrina, sia perchè
specie assai rare, sia perchè del tutto assenti al di fuori del Parco.
Ad esempio Pinus leucodermis è un importantissimo elemento balcanico
relitto, e testimonia una ben più grande distribuzione durante le
glaciazioni quaternarie. La distribuzione geografica si presenta
discontinua e frazionata in piccoli popolamenti che si possono
individuare in quattro gruppi naturali di vegetazione:
Alpi-Spina-Zaccara, Pollino, Palanuda-Pellegrino e Montea posti nel
piano montano dell'Appennino calcareo calabro-lucano (Avolio 1991).
Nel parco oltre ai relitti del quaternario, sono presenti anche specie
relitte del terziario, come ad esempio Taxus baccata, con individui
isolati nelle valli del settore occidentale del Parco. Altro relitto
terziario è Ephedra major, presente in poche stazioni del Parco in
ambienti rupicoli tra i 900 ed i 1.200 m., con un modesto numero di
individui sul Sellaro, Timpa di Cassano e Timpa di Porace.
Sul Pollino esiste un ridotto contingente di endemismi rispetto ad altri
gruppi montuosi dell'Appennino, solo una percentuale del 2,5 %, a causa
delle peculiarità geografiche ed ambientali, che comunque determinano
una notevole ricchezza di specie. Tra queste specie endemiche si
ricordano:
Endemiche esclusive del Pollino: Hanno una diffusione assai
limitata, come ad esempio Hieracium portanum presente solo all'interno
del Parco.
Endemiche esclusive dei rilievi calabro-lucani: Ad esempio Achillea
lucana (vive in ambienti rupestri nell'area del Parco e poche altre
località della Basilicata), mentre Achillea rupestre vive nel settore
collinare del Parco.
Endemiche dell'Appennino meridionale: Arum lucanum, Senecio
tenorei, Thalictrum calabricum, Campanula fragilis, Erysimum majellense,
Stipa austro-italica, il raro Ptilostemon niveus presente su ghiaioni e
pendii aridi e pietrosi, Ophrys fuciflora subsp. pollinensis.
Endemiche dell'Appennino centro-meridionale: Gentianella columnae,
Saxifraga porophylla, Ajuga tenorei, Acer lobelii.
Endemiche con areale incluso nell'intero Appennino: come ad esempio
Linaria purpurea var. montana.
Specie dei vari ambienti: La tardiva e limitata azione dell'uomo ha
determinato un modesto livello di alterazione antropica degli ambienti
naturali del Parco. Tuttavia, ovunque si possono leggere i segni di
tagli massicci eseguiti tra queste montagne, numerosi sono i resti di
strade di esbosco oltre alle teleferiche ed al tracciato dell'antica
ferrovia a scartamento ridotto della Decauville. Tali segni facilmente
si possono riscontrare nell'immaturità delle foreste, anche se frequenti
sono gruppi o singoli esemplari di alberi plurisecolari a testimonianza
dell'imponenza del bosco.
Il processo di antropizzazione è stato comunque limitato, ciò ha permesso
la conservazione di specie vegetali che, con la loro presenza,
caratterizzano determinate zone all'interno del Parco, anche dal punto
di vista estetico e cromatico. È il caso delle rosse corolle della
Peonia, presente al Piano di Marco e alle falde della Mula; Paeonia
peregrina secondo recentissime ricerche, è presente con rare popolazioni
solo all'interno del Parco.
Esistono anche popolamenti più ridotti di Paeonia mascula che talvolta si
presenta anche con individui isolati. Una stazione di questa Peonia è
stata segnalata sulle propaggini del Monte Carnara a 1.283 m.
d'altitudine.
Tra i terreni rocciosi della Mula privi di vegetazione arborea, fioriscono
Gentiana verna; Saxifraga marginata ed il raro Galium palaeoitalicum,
endemismo dell'Appennino che vive tra le fessure delle rupi e le pendici
ciottolose del Dolcedorme e Cozzo del Pellegrino. Le gialle
infiorescenze della Gentiana lutea insieme con Meum athamanticum
ricoprono i piani carsici di Piano Ruggio, Piani di Pollino e Novacco.
Il colore bianco del Narcissus poeticus a Piano Ruggio ricopre le
morene, mentre quello di Achillea millefolium domina nel Piano
Vincenzo.
Numerose sono le orchidee dalle forme e dai colori più svariati tra cui
quelle del genere Ophrys: la rara O. apifera e l'endemica O. lacaitae.
Non meno belle sono quelle del genere Orchis come ad esempio Orchis
purpurea presente nel versante lucano del Parco dove vive negli incolti
e nelle radure erbose.
Tra i pascoli e le praterie di altitudine spicca la fioritura
dell'orchidea Dactlylorhiza sambucina (insieme alla Viola aetnensis e
Pulmonaria angustifolia). Nelle zone della Petrosa e di Conca del Refino
vive una specie di graminacea caratteristica per i pennacchi piumosi: la
Stipa austroitalica, propria dell'Italia meridionale, tipica dei pascoli
aridi e pietrosi. Nelle gariche della zona collinare presso Frascineto è
stata segnalata di recente la presenza di s.sp. theresiaae. Una stazione
della rara Pulsatilla alpina è presente sulle pendici del Cozzo del
Pellegrino, costituendo l'unica stazione dell'Appennino meridionale.
Questa specie è quindi molto vulnerabile e meritevole di protezione.
Negli ambienti umidi delle gole e dei corsi d'acqua oltre ai Pioppi ed
agli Ontani, vegetano felci tra le quali Adiantum capillus-veneris, il
Polipodio (Polypodium vulgare) e la rara felce Pteris cretica presente
soprattutto nella gola dell'Argentino.
VEGETAZIONE
Il Massiccio è il simbolo di due regioni, il baluardo che divide la
Basilicata dalla Calabria, ma che contemporaneamente sintetizza
l'identità di due realtà meridionali strettamente connesse tra loro.
Il Pollino, formato da un articolato sistema di rilievi montani, sembra
quasi nascere dalle acque dello Ionio ed ergersi fino a diventare
confine naturale tra le due regioni. Dai due versanti il massiccio
appare diverso. Da quello calabro si presenta come un'enorme montagna
seghettata dalle nude e scoscese pareti che vanno ad aprirsi in ampie
pietraie; da quello lucano l'aspetto è più dolce, meno asciutto, le cime
più alte emergono dalle superbe foreste di faggio e cerro che ricoprono
i pendii, con facilità si raggiungono le praterie d'alta quota.
Queste ampie praterie sono racchiuse nel cuore del Massiccio (Piani di
Pollino, Piano Ruggio, Piano Jannace) ad altezze che variano dai 1.400
ai 1.800 m., un tempo meta dei pastori provenienti dalle due piane di
Sibari e Metaponto.
Due modi di essere di un unico ambiente, che è poi tipico della montagna
meridionale: tratti mediterranei si alternano ad altri alpini, come
conseguenza delle frequenti variazioni climatiche.
D'inverno il sistema montano è caratterizzato da innevamenti intensi, ma
instabili per il variare del clima dovuto alla vicinanza dei Mari
Tirreno e Ionio. E' proprio in questo, nel mutare continuo dei paesaggi,
nell'alternarsi e nel sovrapporsi di aspetti mediterranei ed alpini sta
la bellezza forse unica del Pollino. Infatti, se il quadro floristico è
senz'altro affascinante, non meno lo è quello vegetazionale che cercherò
di descrivere sinteticamente secondo il classico schema dei piani e
degli orizzonti altitudinali proposti dal Gavioli (1936) per il Pollino.
Fascia basale (dal livello del mare fino a raggiungere i 1.000 m).
Alle quote modeste del piano basale predomina la "macchia foresta", nella
quale lo strato vegetativo più appariscente è costituito da piante
xerofile e termofile con la tipica foresta a Leccio (Quercus ilex).
Anche se l'antropizzazione ha fortemente modificato la struttura di tale
formazione, nelle aree dei quadranti meridionali del Parco, su pendii e
rocce, vi sono ancora nuclei di leccete ben conservate ed ascrivibili al
Quercion ilicis, tra cui quelle delle Gole del Lao, dell'Argentino e
dell'Esaro. Spesso il Leccio è accompagnato da caducifoglie come
Roverella (Quercus pubescens), Acero minore (Acer monspessulanum),
Orniello (Fraxinus ornus), ecc.
Il sottobosco è costituito da suffrutici e arbusti sclerofilli e termofili
tra cui: Corbezzolo (Arbutus unedo) ed Erica (Erica arborea), la più
rara Erica multiflora (soprattutto nelle valli del Lao e dell'Argentino,
Viburno (Viburnum tinus), Lentisco (Pistacia lentiscus), Mirto (Myrtus
communis), Fillirea (Phillirea latifolia), Alaterno (Rhamnus alaternus),
Rosmarino (Rosmarinus officinalis), Pungitopo (Ruscus aculeatus), Alloro
(Laurus nobilis) ed altri.
Nel settore orientale del Parco, nelle Timpe di S. Lorenzo, Porace, ecc. è
frequente il Ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus) che, costituendo
una variante di tale macchia, si ritrova come individui isolati fino ai
900 m. grazie all'aumento termico riscontrabile lungo le pareti delle
timpe. Comunque, la macchia mediterranea originaria ora è presente in
varie forme di degrado come ad esempio le formazioni a Corbezzolo ed
Erica arborea tipiche dei suoli acidi dovuti alla pratica dell'incendio,
mentre sui suoli dove il passaggio del fuoco è frequente vi domina la
macchia a Cistus monspeliensis e C. salvifolius.
Il paesaggio costiero è caratterizzato dalla fascia più termofila della
macchia mediterranea ascrivibile all'alleanza dell'Oleoceratonion, con
una vegetazione discontinua a Lentisco (Pistacia lentiscus) e Oleastro
(Olea europaea var. oleaster).
Gli alvei delle tipiche Fiumare della Calabria e Basilicata sono popolate
da boscaglie a tamerici (Tamarix gallica e T. africana), da oleandri
(Nerium oleander), Pistacia lentiscus e Vitex agnuscastus.
La parte medio-alta del piano basale è rappresentata da boschi di piante
eliofile. In questa fascia possiamo distinguere due formazioni: una in
cui predomina la Roverella (Quercus pubescens) inquadrabile nel Quercion
pubescenti-petraeae con un sottobosco di specie costituito da Erica
arborea, Teucrium siculum; e l'altra in cui predomina il Cerro (Quercus
cerris) ascrivibile al Quercion cerris. Il sottobosco è popolato da
specie tipiche di questi querceti tra cui Ruscus aculeatus, Vinca minor,
Digitalis micrantha, Lathyrus venetu.
Anche se i limiti altitudinali sono gli stessi, queste due formazioni si
distinguono per una diversa esigenza edafica. Le formazioni a Cerro si
distribuiscono su suoli più maturi e profondi, prediligendo stazioni
meno assolate e di esposizione.
Spesso sono associate ad altre caducifoglie a formare boschi misti, tra
cui Acer obtusatum, Fraxinus ornus, Alnus cordata, Ostrya carpinifolia,
Castanea sativa.
Fascia montana (tra i 1.000-1.900 m.).
L'elemento vegetazionale dominante del Pollino è il Faggio (Fagus
sylvatica), che alle quote tra i 1.000 ed i 1.900 m. forma le tipiche
faggete dell'Appennino meridionale, che, per le caratteristiche
floristiche vengono inquadrate nell'alleanza Geranio-Fagion. La foresta
di faggio è diffusa nella maggior parte delle zone del Massiccio e
comprende due aspetti fondamentali in base alla composizione floristica:
l'Aquifolio-Fagetum nella fascia inferiore tra i 1.000 e i 1.500 m. e
l'Asyneumati-Fagetum nella fascia superiore tra i 1.500 m. fino al
limite superiore della vegetazione forestale. L' Aquifolio-Fagetum è la
faggeta più termofila le cui specie caratteristiche sono: Ilex
aquifolium, Melica uniflora, Daphne laureola, Potentilla micrantha var.
breviscapa, Euphorbia amygdaloides, Allium triquetrum var. pendulinum.
In poche aree è possibile rinvenire la presenza di Taxus baccata accanto
al Faggio e all'Agrifoglio. Nello strato arboreo di tali foreste
troviamo specie come Sorbus aucuparia, Sorbus aria, Quercus cerris,
Castanea sativa, Acer pseudoplatanus e l'acero endemico dell'Appennino
meridionale Acer lobelii.
L'associazione della zona superiore dell'orizzonte del Faggio
l'Asyneumati-Fagetum è la più diffusa a causa delle elevate quote del
Massiccio; essa è caratterizzata dalla presenza di Asyneuma
trichocalycinum, Ranunculus brutius, Stellaria nemorium, Lonicera
alpigena, Daphne mezereum, Adoxa moschatelliana, mentre nello strato
arboreo compare il Maggiociondolo (Laburnum alpinum).
Alle quote più alte, nei versanti freddi del massiccio, il faggio si
alterna con l'Abete bianco (Abies alba) formando una delle più
interessanti associazioni miste di faggio ed Abete bianco dell'Appennino
meridionale, che differisce dalle altre dell'Appennino, di sicura
origine antropica, anche se sul Pollino non è da considerare assente
l'azione dell'uomo. Le "faggeto-abetine" sono ben rappresentate sul
versante nord del gruppo montuoso: Monte Sparviere, Piano Iannace, Bosco
Toscano. In questo piano di vegetazione si trovano anche formazioni
aperte di Pino loricato (Pinus leucodermis), come ad esempio su Monte La
Spina e Montea, Pollinello e Belvedere, dove riesce a vivere al di sopra
dei limiti vegetazionali del faggio.
Altra vegetazione tipica di questa fascia è quella delle pinete a Pino
nero (Pinus nigra) del versante sud del Pollino, Pollinello e Mula, che
sono in continuità con le formazioni a Pino loricato, e sono presenti a
quote al di sotto dei 1.700 m.; spesso tali pinete naturali sono state
sostituite da ampi rimboschimenti.
Piano altomontano (oltre i 2.000 m.).
A queste quote le formazioni forestali diventano più rade ed aumenta la
presenza di Pino loricato che diventa l'unica specie arborea presente
spingendosi fino a 2.240 m. di altezza. Esso non forma i tipici
popolamenti forestali, ma si presenta in aggruppamenti radi inseriti in
un contesto vegetazionale di pascolo arido e colonizza ghiaioni in via
di consolidamento o substrati più o meno instabili. Sulle creste
rocciose lucane di Serra Crispo e Serra delle Ciavole (2.000-2.100 m.)
si trovano diversi esemplari isolati di Pino loricato plurisecolari di
enormi dimensioni, alcuni morti da anni, continuano a rimanere in piedi
sfidando qualsiasi avversità. Le zone più elevate, dove le temperature
rigide per molti mesi l'anno ed il forte vento impediscono lo sviluppo
delle faggete, sono caratterizzate da fitocenosi erbacee che formano le
cosiddette "praterie d'altitudine". Il continuo disboscamento effettuato
per favorire il pascolo ha abbassato notevolmente la quota di queste
praterie. Le praterie altomontane del Massiccio del Pollino hanno una
struttura discontinua; dall'aspetto a gradonatura e dal punto di vista
fitosociologico non sono facili da classificare in quanto vi sono
contingenti di specie che si compenetrano tra loro, quello con specie
tipiche dei Seslerietalia, tipici dei popolamenti altomontani, e quello
dei Brometalia con essenze più xerofile di tipo mediterraneo-montane.
Ciò avviene poiché le altitudini raggiunte dal Massiccio permettono
l'instaurarsi delle specie dei Seslerietalia e allo stesso tempo, le
condizioni climatiche più miti, favoriscono l'ascesa delle specie più
termofile appartenenti all'ordine dei Brometalia (con specie come Bromus
erectus, Hippocrepis comosa, Asperula cynanchica), presenti anche a
quote relativamente elevate (1.800-2.000 m.). Le zolle a Sesleria nitida
e S. apennina, comprendono una vegetazione ricca di specie endemiche o
localizzate quali Stachys tymphaea, Ptilostemon niveum, Alyssum
diffusum, Globularia meridionalis, Pedicularis elegans, Anthyllis
pulchella, Armeria nebrodensis, Carex kitaibeliana, Edraianthus
graminifolius, Cytisus spinescens ecc.
Sui Piani di Pollino, ben rappresentate sono le praterie mesofile tipiche
di suoli umidi e profondi in cui prevalgono i tipici elementi degli
Arrhena-theretalia (Meum athamanthicum, Festuca rubra, Anthoxanthum
odoratum, Achillea millefolium, Trifolium pratense). Molto spesso
Gentiana lutea e Asphodelus albus var. pollinensis si ritrovano
abbondantemente nelle radure insieme alle altre specie degli
Arrhenatheretalia.
Infine i brecciai (che sono ancora attivi), limitati al versante nord del
Pollino, sono colonizzati dal Festuceto a Festuca dimorpha. Altre specie
tipiche dei brecciai sono: Galium magellense, Ranunculus brevifolius,
Heracleum orsinii, Doronicum columnae, Thlaspi stylosum, Silene
multicauli, Geranium macrorrhizum, Leucanthemun laciniatum e L.
tridactylis, Vicia serinica, Crepis pygmaea, Isatis allionii, Viola
magellensis, Saxifraga italica, Achillea barrelieri. Oltre ai
popolamenti di Pino loricato, le zone a Sesleria sono da considerarsi
biotopi di notevole interesse naturalistico nell'area del Pollino così
come le specie colonizzatrici di ghiaioni e macereti tra cui Linaria
purpurea, Drypis spinosa, Laserpitium latifolium ecc.
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- GRUPPO DI LAVORO PER LA CONSERVAZIONE DELLA NATURA DELLA SOCIETË
BOTANICA.1979- Censimento dei biotopi di rilevante interesse
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- TROCCOLI L., PISARRA E., 1996, In cammino sul Pollino, Edizioni
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Testo di Alfredina Anna Gargaglione
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie", 2001
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