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ASPETTI BOTANICI E FORESTALI DEL PINO LORICATO
( Pinus leucodermis Antoine)

 

Some questions about taxonomy, corology, ethnobotany and ecology of the palebark pine are examined. This Tertiary Age's paleoendemisme is present into the Pollino National Park boundary (Southern Italy) and, with the similar Pinus heldreichii Christ, in the Balkans mountains also. The palebark pine was very important in the local people's cultures and the wood was used for many handicrafts (timber, windows and doors frames, furnitures, musical instruments, oars, boats, etc.,). Pinus leucodermis lives into a wide altitude range from 500-600 m a.s.l. (Verbicaro and Orsomarso Mountains) to 2240 m a.s.l. (Serra del Dolcedorme). In different environmental conditions and in various phytocenosis palebark pine's populations are localized: in dry and rocky mountain grasslands (Seslerio nitidae-Brometum erecti), on the cliffs (Saxifrago-Achilletum lucanae) and in erosion slopes (Saturejo montanae Brometum erecti with Scabiosa crenata). At present Pinus leucodermis is in a good ecological state about the reproductive activity and the increase of population, but some urgent measures need against the anthropic pressure and the epidemic parasites.

Le prime notizie storico-scientifiche sui pini del Pollino risalgono alle esplorazioni botaniche del XIX sec.: Tenore nel 1827 raccolse campioni ai Piani di Pollino, Schow nel 1845 sul Dolcedorme, Biondi nel 1880 sul M.te Pollino e Terracciano nel 1890 in varie località del massiccio. Tuttavia tutti lo confusero con altri pini montani tra cui il pino mugo (Pinus mughus Jacq.), il pino silvestre, (Pinus sylvestris L.), il pino marittimo (Pinus pynaster Ait.), il pino laricio (Pinus laricio Poir) e il pino nero (Pinus nigra Arnold) con cui condivide in alcune stazioni gli stessi ambienti formando popolamenti misti (es: versante SW del Pollino, Montea, Valle del Argentino).
Nel 1863 il botanico tedesco Hermann Christ identifica una nuova specie di pino in alcuni campioni provenienti dai monti della Grecia settentrionale e la dedica al suo scopritore, il barone Thoedor Von Heldreich insigne studioso di flora balcanica, chiamandola Pinus heldreichi Christ. Nello stesso periodo la specie viene descritta da F. Antoine, che evidenziando il colore chiaro della corteccia, gli assegna il nome di Pinus leucodermis. Nel 1906 il botanico napoletano Biagio Longo determinò i campioni da lui raccolti sul Pollino, nell'Orsomarso e su Monte La Spina come Pinus Leucodermis Antoine ascrivendo la specie tra i pini italiani. Per primo assegnò a quest'albero il nome di "pino loricato" evidenziandone l'aspetto tipico di "lorica" che assume la corteccia nella pianta adulta fessurandosi nelle caratteristiche placche poligonali che ricordano nell'aspetto le corazze degli antichi romani.
Ancora non concorde risulta invece la collocazione tassonomica e nomenclaturale delle popolazioni balcaniche da quelle dell'Appennino meridionale. Per alcuni autori (Tutin et al., 1996; Gellini R., Grossoni P., 1996) Pinus heldreichii Christ è un'unica specie presente nei Balcani centro-occidentali e nell'Italia meridionale con due varietà tra loro vicarianti: var. heldreichii: entità balcanica che vive in ristrette zone montuose della Serbia, del Montenegro e nella Grecia settentrionale sul Monte Olimpo; var. leucodermis (Antoine) Markgraf ex Fitschen: entità anfiadriatica presente in Italia sull'Appennino calabro-lucano e nei Balcani centro-occidentali (Alpi Dinariche e Massiccio del Durmitor) dove forma estesi popolamenti; nuclei di limitata estensione sono inoltre segnalati in Albania sul Monte Jabllanices e in Grecia sul Monte Pindo e sull'Olimpo Tessalico. Nella Flora d'Italia (Pignatti S., 1982) Pinus leucodermis Antoine viene considerato come la specie italiana.
Alcuni caratteri morfologici macroscopici particolarmente evidenti permettono di distinguere le due entità: in Pinus. leucodermis la corteccia dei rami giovani si mantiene per molti anni liscia, lucente, di color cenere chiaro con areole squamiformi che ricordano la pelle di un serpente; gli strobili hanno squama con apofisi piramidale e mucrone uncinato. Nel Pinus heldreichii la corteccia dei rami giovani tende a scurirsi precocemente, già al secondo anno, e gli strobili si presentano con apofisi appiattita e mucrone molto breve. Conosciuto fino a non molto tempo fa solo ai naturalisti e alle popolazioni locali, il pino loricato è attualmente un elemento ad elevata valenza simbolica: la sua longevità, il portamento contorto e tormentato, ma nello stesso tempo possente, ben esprimono la forza e la tenacia di questi alberi che sfidano le condizioni ambientali più ostili, attaccati alle rocce delle rupi e delle creste, dove la montagna finisce e comincia il cielo.

IL PINO LORICATO NELLA STORIA E NELLE TRADIZIONI DELLE POPOLAZIONI LOCALI
Tra le popolazioni dell'Appennino Calabro-Lucano sono ancora vivi riti e tradizioni legate ai culti arborei di origine precristiana. 
Insieme al cerro, al faggio, all'abete bianco e all'agrifoglio anche il pino loricato è uno degli alberi di questi riti. Nelle feste silvane che celebravano l'equinozio di primavera con il trionfo del sole sul freddo e sul buio dell'inverno, assorbite dalla religione cristiana e celebrate nelle festività di S. Giuseppe e della Pasqua, l'elemento rituale è il fuoco che brucia le torce costruite con tronchi di loricato ("i zigni"). Quest'usanza ancora è viva nel paese di Verbicaro anche se la fiaccolata non si effettua più in primavera, ma nel periodo estivo per consentire la partecipazione anche agli emigrati.
L'utilizzo da parte dell'uomo di questo albero è legato alle vicende storiche di queste terre. Province ricche di risorse boschive, il Brutio e la Lucania vennero collegate a Roma nel II° secolo a.C. tramite due importanti vie consolari i cui tracciati (in parte ancora utilizzati all'attuale rete viaria) in territori montani servivano per portare legname, principale fonte energetica dell'epoca, usato come combustibile e materiale da costruzione.
La via "Herculia" dalla Daunia attraversava la Lucania collegando "Venusia" con "Potentia" e "Grumentum" ed a "Nerulum" (odierna Rotonda), si innestava con l'altra consolare, la via "Popilia" che penetrava nel Brutio lungo il Vallo di Diano e a Campo Tenese svalicava il massiccio del Pollino scendendo verso la piana di Sibari. Soprattutto le conifere, abeti e pini, di cui abbondava questo settore dell'Appennino, erano particolarmente ricercate per il legname leggero e resinoso particolarmente adatto per costruire architravi e imbarcazioni.
In quest'epoca i monti della Basilicata e della Calabria subiscono i primi intensi disboscamenti proseguiti quasi ininterrottamente nel corso dei secoli successivi con diverse motivazioni e sotto le varie dominazioni che hanno segnato la storia del Mezzogiorno.
Le specie arboree più vulnerabili e meno veloci nella fase di accrescimento giovanile quali pini, abeti e querce si sono trovate gradualmente ed inesorabilmente in regressione soppiantate dai carpini (Ostrya carpinifolia, Carpinus orientalis) e dall'ontano napoletano (Alnus cordata) che oggi costituiscono la vegetazione forestale secondaria di estese superfici dell'Appennino Calabro-Lucano. È in questo periodo che il pino loricato si attesta nelle aree più inaccessibili dove con alterne fasi di espansione e regressione, lo ritroviamo fino ad oggi. 
Per le popolazioni dell'area del Parco del Pollino il legno del loricato era considerato di grande pregio: insieme con l'abete bianco forniva legname resistente e leggero usato per lavori di carpenteria e per mobilio leggero, cassapanche e bauli che avevano un buon mercato anche al di fuori di queste terre; resistente agli agenti atmosferici, all'umidità ed alla salsedine, grazie alla resistenza del tessuto legnoso ed all'elevata quantità di resina, era usato per costruire infissi per porte e finestre e già i greci e i romani ricercavano i tronchi tipicamente incurvati alla base dal peso della neve per costruire le carene delle imbarcazioni. Fino a qualche decennio fa era attiva nei pressi di Verbicaro una "fabbrica di remi" che fino agli anni venti venivano costruiti con il legname di pino; in seguito agli intensi disboscamenti operati in quel periodo nell'area, la disponibilità di loricati venne meno e la fabbrica utilizzò legname di faggio.
Anche per le casse armoniche di strumenti musicali locali quali liuti e mandolini era utilizzato il legno di loricato. 
Inoltre è ancora possibile osservare nei tronchi di vecchi pini le tracce dei tagli per la raccolta della resina che questo albero produce in quantità notevoli. Purtroppo dalla fine dell'Ottocento fino agli anni sessanta in tutta l'area del Parco del Pollino le foreste sono state interessate da disboscamenti intensi ed estesi che hanno notevolmente ridotto anche le popolazioni di loricati soprattutto nelle quote più basse e nelle stazioni meno impervie.
Ancora esiste memoria nelle persone anziane di stazioni di loricati in aree dove attualmente il pino é del tutto scomparso e spesso anche qualsiasi altra specie arborea ed arbustiva (es.: Serra Bonangelo, rilievo montuoso alla confluenza della valle del fiume Lao con il torrente Argentino e le pendici del M.te Trincello dove anziani astori della zona ricordano la presenza dei pini).

DISTRIBUZIONE E NOTE GEOBOTANICHE
Una delle caratteristiche ambientali più rilevanti del territorio del Parco del Pollino è la conformazione geomorfologica che avvicina in un raggio di pochi chilometri territori costieri e montani (sul versante tirrenico si arriva dal mare a circa 2000m di quota in 10-15 km in linea d'aria), mettendo a contatto o compenetrando tra di loro ambienti molto diversi popolati da specie animali e vegetali provenienti da biocore di varia origine e storia. Tra queste montagne convivono infatti elementi di tipo artico-alpino, relitti dell'era glaciale, elementi medio-europei, mediterranei, balcanici oltre ad un consistente numero di endemismi e di specie sopravvissute alla flora del terziario (Corbetta F.et al., 1996; La Valva V.,1992).
Perfettamente inserito nel contesto fitogeografico di questo territorio, il pino loricato viene considerato "un paleoendemismo terziario con areale anfiadriatico", relitto delle foreste a conifere oromediterranee della penisola Balcanica e dell'Appennino meridionale. Ampiamente diffuso sui rilievi carbonatici nei periodi xerici del Pliocene (fine Terziario-Messiniano), ha subito un rapido declino nelle fasi glaciali del Quaternario che si manifestarono nell'Appennino meridionale con modificazioni climatiche in senso fresco e umido (Acquafredda P. et al., 1986). Il protrarsi nel tempo di condizioni ambientali oceaniche favorì l'affermazione delle latifoglie decidue, quali querce e faggio che competitive nella disseminazione e nell'accrescimento, invasero il territorio del loricato, relegandolo in altitudine o in stazioni xeriche, rocciose e di cresta.
In riferimento ai piani di vegetazione che si susseguono in altitudine nella serie appenninica, il pino loricato viene collocato nella vegetazione colchica con carattere azonale (Pignatti, 1996) caratterizzata da numerose specie relittuali del Terziario (es.: Ilex aquifolium, Hedera helix, Daphne laureola, Laurus nobilis, Taxus baccata, ecc.). Queste specie hanno trovato rifugio nella vegetazione post-glaciale e si rinvengono prevalentemente nella fascia di transizione tra i boschi di querce mesofile (vegetazione sannitica) e la faggeta (vegetazione subatlantica).
Attualmente l'areale di Pinus leucodermis gravita nel settore di influenza tirrenica dove prevalgono substrati carbonatici (calcari e dolomie del Mesozoico) ad elevata xericità edafica associati ad una morfologia rupestre diffusa ed accentuata che diminuisce oltre lo spartiacque jonico. La distribuzione si presenta frammentata in popolamenti più o meno estesi all'interno di un'ampia fascia bioclimatica compresa tra l'orizzonte sopra-mediterraneo e quello oromediterraneo, occupando potenzialmente uno spessore altitudinale di circa 1800 m. Il nucleo più esteso è quello del massiccio del Pollino che rappresenta oltre il 50% della superficie complessiva ricoperta dalla specie (Avolio, 1984). Il limite altitudinale inferiore è rappresentato da stazioni comprese tra i 500 ed i 600 m s.l.m. nei M.ti di Verbicaro ed Orsomarso (loc. "Golfo della Serra" e "Carpinosa") al contatto con la vegetazione mediterranea di macchia o lecceta. Il limite altitudinale superiore viene raggiunto sul massiccio del Pollino (Serra del Dolcedorme, 2240 m s.l.m.) dove risale oltre il limite della faggeta costituendo rade foreste sulle praterie d'altitudine e sulle creste. I popolamenti con estensione maggiore sono dislocati tra 1200 e 2000 m s.l.m. occupando una superficie complessiva di 3899 ha (Avolio, 1984). Molto meno ampia risulta la superficie dell'intervallo altimetrico inferiore (800-1200 m s.l.m) con 1604 ha, mentre sia l'orizzonte supramediterraneo (quote inferiori a 800 m s.l.m.) che quello montano superiore (quote superiori a 2000 m s.l.m.) sono occupate da popolamenti di limitata estensione.
Ad eccezione delle zone d'altitudine dove la diffusione del pino loricato in tempi storici non ha subito molti cambiamenti sia per la scarsa antropizzazione del territorio, sia per l'assenza di competizione con altre specie arboree, nelle altre fasce altimetriche si è verificata una progressiva riduzione dei popolamenti causata dallo sfruttamento delle risorse boschive. Nei M.ti di Verbicaro ed Orsomarso e nel gruppo di M.te La Caccia la scomparsa della maggior parte dei popolamenti al di sotto dei 1000m di quota si è verificata tra la fine XIX° sec. e la prima metà del '900. 
Mentre in molte zone i pini mostrano una decisa di riconquista del territorio dovuta alle misure di salvaguardia ed a una generale diminuzione della pressione antropica nelle aree montane, la minaccia di un attacco parassitario rende precaria la sopravvivenza dei loricati in molte stazioni. L'epidemia avviene ad opera di coleotteri scolitidi e provoca generalmente in breve tempo la morte dell'albero. Sono in corso indagini sui popolamenti di loricati della Montea, che insieme a quelli di M.te La Caccia sono stati i primi sui quali è stata segnalata l'infezione con moria di nuclei consistenti di alberi anche di grosse dimensioni (80 cm di diametro e 10-12 m di altezza). Purtroppo notizie di nuovi focolai scoperti in varie parti del territorio del Parco stanno evidenziando una situazione che minaccia di provocare ingenti ed irreversibili danni al patrimonio naturalistico del Parco del Pollino che rischia di essere depauperato proprio di uno degli elementi di maggior valenza biologica e paesaggistica. 

ECOLOGIA
Pinus leucodermis Antoine è una specie longeva a crescita piuttosto lenta. Il popolamento di Serra di Crispo é formato da una ventina di alberi la cui età media é valutata 222 anni (Avolio, 1997) ed è segnalata sempre sul massiccio del Pollino, la presenza di un esemplare di oltre 900 anni (Bavusi A.et al., 1992; Corbetta et al., 1997).
Il fusto si presenta diritto e maestoso, con rami corti e tozzi inseriti perpendicolarmente che portano una chioma rada con addensamenti irregolari. Quando l'apice vegetativo del fusto perde la funzionalità per incidenti dovuti all'ostilità dei fattori ambientali (fulmini, fuoco, attacchi parassitari), l'accrescimento vegetativo può passare all'apice dei rami e il portamento dell'albero diviene policormico. La specie è tipicamente mediterraneo-montana: anche nella germinazione dei semi si ha l'optimum intorno ai 20° C, ma temperature inferiori e germinazione precoce sono state messe in relazione con stazioni ad accentuata aridità estiva (Bernetti G., 1995). Le condizioni mesoclimatiche non sembrano influenzarne particolarmente la diffusione: le stazioni occupate dai loricati presentano in comune, oltre l'accentuata aridità edafica, una notevole umidità atmosferica sotto forma di correnti umide ascensionali o nebbie persistenti e una quantità di precipitazioni medie annue sempre maggiori di 900 mm di pioggia. Le esposizioni prevalenti ricadono nei quadranti occidentali e sud occidentali; più rare e quasi esclusivamente sulla Montea si rinvengono stazioni con esposizioni settentrionali e orientali.
Il pino loricato forma popolamenti radi con classi di copertura che anche nelle stazioni più favorevoli difficilmente superano il 40%. Non entra in competizione con altre specie arboree perchè occupa una nicchia ecologica molto ben definita: rupi, ghiaioni, versanti in frana vengono colonizzati e occupati solo da questa specie arborea che in tutto l'areale mostra un'attiva e vivace rinnovazione proprio in presenza di tali condizioni ambientali, soprattutto in quei territori dove la pressione antropica negli ultimi decenni è notevolmente diminuita. È il caso del popolamento di "Prestieri" situato a quota 600 m alle pendici sud-occidentali di Monte la Spina dove il pino loricato mostra il suo comportamento pioniero colonizzando un conoide detritico (Petillo, 1991). 
I loricati non si presentano mai organizzati in bosco, ma crescono isolati l'uno dall'altro, insediandosi di preferenza sulle creste, sugli affioramenti rupestri, nei cespuglieti e nelle praterie d'altitudine senza mai arrivare a sostituirsi o ad escludere le fitoocenosi caratteristiche di questi ambienti.
La maggior parte dei popolamenti si rinviene nelle praterie aride con copertura discontinua formate da bromo e sesleria (Seslerio nitidae-Brometum erecti Bruno 1968) diffuse nel territorio montano del Parco del Pollino di cui ricoprono estesi versanti ad elevata rocciosità affiorante fino a 1700-1800 m di quota. Originatesi del contatto avvenuto durante le glaciazioni del Quaternario tra la vegetazione erbacea mediterraneo-montana (Brometalia erecti) e le praterie boreali e nord-europee (Sesleretalia tenuifoliae) (Avena et al., 1974), queste fitocenosi ospitano contemporaneamente sia specie termoxerofile (es.: Bromus erectus, Carex macrolepis, Thymus pulegioides, Anthyllis vulneraria, Polygala major, Chamaecytisus subspinescens, Helianthemum apenninum, Teucrium montanum, ecc.,) che specie tipicamente d'altitudine (es.: Sesleria nitida, Sesleria tenuifolia, Carex kitaibeliana, Paronychia kapela, Armeria majellensis, Festuca bosniaca, Edraianthus graminifolius, Achillea mucronulata, ecc.,) e rappresentano uno degli aspetti di vegetazione più interessanti e particolari della vegetazione appenninica.
Sugli affioramenti rupestri il pino loricato si accompagna ad una rada vegetazione
casmofila di specie endemiche quali Achillea lucana, Saxifraga paniculata, Saxifraga ligulata (cfr. Saxifrago-Achilletum lucanae Corbetta et Pirone, 1981), mentre sui versanti instabili e detritici convive con le fitocenosi caratterizzate dai pulvini di Scabiosa crenata (cfr. Saturejo montanae Brometum erecti scabietosum crenatae Corbetta et Pirone, 1981). Nei pascoli di quota non è raro incontrare cespugli di ginepro prostrato (Juniperus emispherica, Juniperus communis) dai quali spuntano giovani individui di pino loricato. La presenza di ginepri, non appetiti dal bestiame, favorisce la rinnovazione dei pini offrendo rifugio alle plantule dal morso e dal calpestio degli animali nonché dagli agenti atmosferici.

CONCLUSIONI
Il pino loricato albero emblematico di elevato valore bio-geografico e paesaggistico, simbolo del Parco Nazionali del Pollino è una specie che nell'"immaginario collettivo" di quanti sono sensibili alle infinite forme della natura assume i connotati del mito.
Le tante raffigurazioni di questi alberi definiti "giganti" o "patriarchi" che svettavo sulle creste, o emergono con contorni sfumati dalle nebbie degli altopiani, hanno contribuito a crearne un'immagine da cartolina per turisti in cerca di suggestioni. Se fino a non molti anni fa le descrizioni naturalistiche del massiccio del Pollino definivano il pino loricato "un vero e proprio fossile vivente, ridotto a poche migliaia di esemplari" (Farneti et al., 1977) fornendo l'impressione di trovarsi davanti ad una specie sull'orlo dell'estinzione, le attuali conoscenze permettono di considerarlo una specie endemica, localmente abbondante e con una attività e vitalità rigenerativa mediamente elevata, ma estremamente vulnerabile. 
Vittima e protagonista di alterne vicende climatiche e storiche è in questo periodo in fase di espansione, ma minacciato gravemente dall'antropizzazione diffusa del territorio e dall'infezione parassitaria degli scolitidi.
Tecnici e silvicultori hanno in varie occasioni sottolineato le interessanti potenzialità del pino loricato per i rimboschimenti in stazioni di alta quota, di crinale, su substrati calcarei aridi e rocciosi dove altre specie di pini montani (es.: Pinus nigra s.l., Pinus laricio) non danno risultati soddisfacenti. 
In realtà, questo albero è talmente legato ai monti dell'Appennino Calabro-Lucano da diventarne l'elemento simbolico che amplifica il valore paesaggistico, già molto elevato, del territorio del Parco del Pollino. Risulta pertanto difficile immaginare questi alberi in contesti paesaggistici diversi o lontani da quelli nei quali spontaneamente la specie è presente.
È invece auspicabile e necessario intervenire sulle popolazioni esistenti per non lasciar distruggere ciò che le epoche passate ci hanno consegnato operando con tecniche di restauro ambientale laddove i nuclei di loricato hanno subito danni per incendi o la specie si presenta in regressione per eccesso di pascolo e per gli attacchi parassitari dei coleotteri scolitidi. Le attività dell'Ente Parco preposto alla tutela e alla ottimale gestione delle enormi risorse ambientali di questo territorio sono in grado di mettere in atto gli strumenti tecnici e legislativi per garantire la conservazione di questo insostituibile patrimonio.
 


Bibliografia
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Testo di Simonetta Fascetti                      
 tratto da  "BASILICATA REGIONE Notizie", 2001

 

 

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