PARTE IV
Non ho ricordi
personali dei Sindaci, che amministrarono la città, prima e fino al
1922. Di uno, però, si è scritto e si è parlato, certamente, poco per i
suoi meriti civili e professionali: il dottor Michele Marino. Fu medico,
umanista, amministratore solerte e capace.
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Vico II° Santa Lucia |
Lo ricordo come
uomo di notevole fascino personale e di elevate capacità scientifiche e
tecniche.
Il nipote, il mio caro amico e collega, Angelo Bellezza, solo dietro mia
sollecitazione, e non per sbruffoneria, riservatezza e modestia (fin
troppa) hanno fatto parte del carattere di noi lucani, mi raccontava che
« don Michele » fu il migliore del suo corso di laurea e che per questa
sua bravura ebbe una borsa di studio per un soggiorno di tre anni in
Inghilterra per la specializzazione in Endocrinologia. Un evento
eccezionale non solo per la famiglia Marino ma per la città di Potenza e
che, forse, proprio perché troppo eccezionale, non ebbe compimento. «
don Michele » non andò in Inghilterra perché la famiglia non se la sentì
di mandare il figlio solo e tanto lontano e, allora, i riferimenti sono
al secolo scorso, l'Inghilterra era veramente molto lontana. Se ne
avvantaggiò il suo compagno di corso, Nicola Pende, che divenne, poi, il
padre della Endocrinologia Italiana.
Forse, non lo facciamo nemmeno per cattiveria ma è certo che noi con
molta facilità dimentichiamo i nostri e proprio quelli che onorarono la
città e la terra e Michele Marino, medico, amministratore, umanista amò,
onorò la sua città e la sua terra e non sarebbe stato uno sforzo di
generosità se gli avessimo dedicato una piazza o una via, magari, al
posto del solito Garibaldi o Vittorio Emanuele, che, fra l'altro,
puzzano di muffa.
Ricordo il podestà Giocoli, signore terriero, dall'amabile figura di
galantuomo; l'avvocato Giovanni Cristalli, uomo poco appariscente,
riservato ma che onorò la carica con onesta condotta e grande dignità.
Una figura notevole di amministratore capace non solo ma preoccupato
della vita della città e dei cittadini fu il podestà Rossi, avvocato.
Già, alle sei del mattino e in qualsiasi stagione, era in giro per i
mercati della città, con due guardie municipali, per rendersi conto
dell'igiene e della bontà di quanto era in vendita non solo ma per
calmierare e per controllare che i prezzi non fossero alterati.
A qualsiasi ora era per i vichi e le strade più remote della città per
controllare le loro condizioni e il loro stato di pulizia. Fisicamente
non era tanto apprezzabile, fra l'altro sembrava sempre distratto, ma,
sicuramente vedeva tutto e si rendeva conto di tutto, anche di coloro
che, al suo passaggio, andavano toccando chiavi, amuleti o altro,
attraverso le tasche dei pantaloni, perché lo ritenevano uno iettatore.
Uomo di indiscussa onestà e di grande rettitudine, di buona cultura e
intelligenza, moralmente sano, esercitò gli incarichi, politici o
amministrativi, a cui fu chiamato, con equità, giustizia, senza
mercanteggiamenti, con vero sacrificio personale.
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Il Podestà Avv. Alfonso Andretta |
Forse, non si è
parlato di lui o non si ricorda molto perché ebbe il torto di aver avuto
come collega-amministratore il « principe » dei Podestà, il Podestà dei
Podestà: l'avvocato Alfonso Andretta.
Andretta non era nato a Potenza, divenne cittadino potentino con diritto
e pieni meriti, fu « primo cittadino » quasi per naturale successione e
con pubblici consensi e favorevoli riconoscimenti.
Non so se avesse meriti fascisti particolari o agganci politici in alto
loco e non m'importa saperlo perché la statura dell'uomo e del
galantuomo, a mio sereno giudizio, non ammette « se » o « ma ».
Non ho orientato le mie ricerche in questo senso perché ho la serenità
degli onesti, l'obiettività dei coscienti, il coraggio di chi è nel
giusto, nel vero e nel serio, che mi consentono di poter affermare che
ad Alfonso Andretta la divisa « donava molto » ma della divisa non si
servì per vantaggi personali o familiari, per commettere vessazioni,
soprusi, ingiustizie. Indossò la « divisa » con eleganza, direi,
naturale, si prestava anche il suo fisico, senza ostentazione, con
disinvoltura così come indossò e onorò la toga.
Onorò tutta la sua vita: quella di prima e quella di dopo.
Non si lasciò sedurre dagli allettamenti e dalle pressioni dei vari
partiti del dopo guerra, dimostrando carattere, personalità, onestà,
serietà, coerenza, continuando ad essere uomo libero, democratico,
indipendente, come lo era stato negli anni del fascismo e nelle cariche,
a cui era stato chiamato.
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Il Sacrario dei Caduti Fascisti nella Casa del Fascio |
Nel gennaio del
1932 assunse la presidenza dell'Ospedale Civile S. Carlo. Nel libro «
L'Ospedale S. Carlo di Potenza nella storia di ieri e di oggi », Ed.
Mario Armento, agosto 1957, l'autore, il prof. Vincenzo Marsico,
oculista emerito, continuatore di una certa tradizione umanistica dei
medici, scrive: « Fu quello un periodo veramente luminoso, le cui
risultanze ancora oggi fanno risentire la loro eco su gran parte delle
attività assistenziali. Uomo di larghissime vedute, amante ed
appassionato di qualsiasi nota di progresso, nel brevissimo periodo di
due anni e mezzo egli portò l'Ospedale ad una rapida ascesa mettendolo
in piena efficienza ed in condizioni di poter gareggiare, per
l'attrezzatura e per i nuovi criteri di organizzazione dei vari servizi,
con gli Istituti Ospedalieri più progrediti d'Italia ».
Prendiamo buona nota di queste cose, scriviamole, tramandiamole ai
nostri discendenti, a quelli che ci sono e che non sanno o che non
vogliono sapere, a quelli che hanno paura di sapere, che temono i morti.
La storia, quella vera, non è patrimonio di pochi, è fatta da tutti ed è
patrimonio di tutti, perciò, non va scritta e tramandata a pezzi, a
seconda di quello che piace al padrone in auge o agli umori sciocchi e
faziosi di chi scrive. Non bisogna dimenticare che anche nei periodi «
bui » vi furono esempi luminosi e cose luminose e che proprio i periodi
« bui » andrebbero riferiti ed illustrati con dovizia di particolari, ma
con serenità ed obiettività, perché dalla loro meditazione si ricavino
ammaestramenti.
E Marsico continua: « Mi sembra doveroso dar lode incondizionata a chi
dimostrò molto coraggio, accoppiatosi ad una preparazione amministrativa
non comune, ad affrontare problemi che apparivano insolubili in un
periodo particolarmente difficile per la nostra Regione priva
assolutamente di rappresentanti al Governo ».
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E tutto questo e
il resto, scritto da Marsico, si può benissimo attribuire anche ad
Andretta-Podestà. D'altronde era lo stesso Uomo con le stesse doti e
qualità, lo stesso entusiasmo, lo stesso senso di responsabilità e la
città visse veramente un periodo di fulgore e di luce diversa.
La visita alla città di Starace prima, di Mussolini dopo, ingigantirono
anche l'immagine di Andretta.
Uomo brillante nella professione e fuori, simpatico e cordiale con tutti
e, forse, furono proprio queste sue qualità, al di là della sua saggia e
fattiva opera, che contribuirono a sradicare, nella gente, quella certa
diffidenza e maldicenza, che si erano create nei confronti delle
Autorità e dei Gerarchi.
Fu onesto. Chissà se ricevette riconoscenza, sono sicuro che ci rimise
fisicamente ed anche economicamente, sia perché distrasse tempo alla
professione e sia perché obbligato a rappresentare la città sempre e
ovunque, per curarne gli interessi.
Eravamo nel 1936 e non erano trascorsi molti giorni dalla visita di
Mussolini. Un vigile urbano consegnò un avviso a mia madre, era
convocata per il giorno dopo, alle 11, nell'Ufficio del Podestà.
Mia madre non aveva mai conosciuto Autorità, non aveva mai avuto
rapporti con ambienti burocratici e tantomeno fascisti, di cui, forse,
non aveva stima e tantomeno fiducia e di cui non parlava mai con noi
figli, restia come era alle critiche ed ai pettegolezzi. Era così di
carattere ma la vita, triste e dolorosa, vedova con tanti figli e senza
beni di fortuna, l'aveva di più costretta a chiudersi e a badare alle
sue cose. L'invito del Podestà la rese piuttosto agitata anche perché
non sapeva come si sarebbe dovuta comportare per non fare brutte figure.
Ritornò con gli occhi lucidi, visibilmente commossa, e con il sorriso
sulle labbra perché « ho conosciuto un galantuomo », disse, lo ripetette
a chiunque le capitò perché tutti lo sapessero.
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« Sono stata
ricevuta, io povera donna, da una persona cordiale e gentile, che mi ha
offerto persino la sedia e mi ha detto: Signora, Mussolini, in occasione
della sua visita a Potenza, ha lasciato nelle mie mani questa somma
(mostrandomi la cifra) da distribuire alle famiglie numerose della
città. Noi abbiamo seguito questo criterio (e mi ha spiegato ampiamente)
e in base a questo criterio seguito vi sono toccate duecento lire, che
io ho il piacere di consegnarvi ».
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La pavimentazione di Via Pretoria. In fotografia il tratto nei
pressi della Chiesa della S.S. Trinità |
Qualcuno, forse,
oggi, sorriderebbe e per il gesto e per la somma, un qualcuno troppo
compreso e addentro ai tempi che corrono: tempi di ladri e di milioni e
miliardi. Certo, anche quelli erano « tempi » come tanti trascorsi e da
trascorrere ma sulla punta delle dita si contavano i disonesti, onesti
erano i più, e con duecento lire viveva per un mese una famiglia media e
senza pretese. Ancora nel 1941 lo stipendio mensile di un medico
assistente ospedaliero era di quattrocento lire.
Dalla considerazione del carattere allegro, vivace del Podestà, dalla
battuta pronta, ironica, mordace, fiorì anche una fantasiosa aneddotica,
che non modificò, certo, il giudizio sull'Uomo.
È un contributo da pagare alla notorietà e fino a quando esisteranno
invidia, cattiveria, meschinità.
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