SANZA (SA)
CENNI STORICI
L'abitato di Sanza, il cui vasto territorio è parte notevole della Comunità
Montana 'Vallo di Diano' e del Parco del Cilento e del Vallo di Diano per le
sue ricchezze florofaunistiche e storicoambientali, rappresenta la porta
d'ingresso del Cilento meridionale per chi vi giunga attraverso la S.S. 517
dopo aver lasciato l'Autostrada del Sole (A3) all'uscita di
Padula-Buonabitacolo.
Ancor prima della presenza lucana e romana, l'abitato arcaico rivestì
notevole importanza strategica e commerciale come passaggio obbligato lungo
l'antica carovaniera (la via del sale) che collegava la costa (Policastro)
col sud del Vallo di Diano.
Il popolo lucano dei Sontini, menzionati dal naturalista romano Plinio il
Vecchio, induce a credere che l'abitato in epoca lucana e romana si
chiamasse Sontia e che sorgesse in contrada Agno, dove nei decenni passati
sono venute alla luce rare ma significative testimonianze (vasellame lucano
e pietre tombali romane); d'altra parte l'antica carovaniera dovette mutarsi
in un rèulus (diramazione) della Via Annia che, costruita da Roma verso la
metà del II sec. a.c., da Capua attraverso il Vallo di Diano raggiungeva
Reggio Calabria.
Nel Medioevo l'abitato si chiamò Sansa e in contrada Sirippi prosperò una
comunità di monaci italogreci nella grancia di S. Maria de Siripi dipendente
dalla Badia di Grottaferrata di Rofrano; verosimilmente anche il culto della
Vergine della Neve o della Grotta sul Cervato cominciò col monachesimo basiliano.
In epoca sveva ed angioina Sansa contribuì alla difesa e al mantenimento
della fortezza di Policastro contro gli attacchi dei pirati saraceni e degli
Almugìeri, mercenari degli Aragonesi nella disastrosa Guerra del Vespro
(1282-1302), i quali più volte penetrarono nell'entroterra bussentino
saccheggiando e distruggendo gli abitati. Nella seconda metà del XIII sec.
fu possedimento di vari Signori; poi, per circa 200 anni, dei potenti
Sanseverino, dai quali nel 1498 passò ai conti Carafa di Policastro.
Nel Cinquecento si registrò una notevole ripresa demografica ed economica: i
fuochi (nuclei familiari) da circa 200 all'inizio del secolo passarono a 363
nel 1595 e ricchi possidenti portavano le mandrie a svernare nella piana di
Matera.
Nel Seicento la situazione dell'abitato peggiorò l'amministrazione si indebitò per 500 ducati in una lite giudiziaria col barone Marco Comite e
rasentò il collasso per l'ospitalità forzata alle truppe spagnole; la
popolazione patì stenti e morti per la peste del 1656; il barone Giovanni
Orefice fu decapitato (1640) a Napoli per aver ordito una congiura contro
gli spagnoli.
Nel Settecento la Terra di Sanza fu possedimento di Luigi Sanseverino,
principe di Bisignano. L'abitato si arricchì di case palazziate, portali,
cappelle gentilizie, addirittura di una nuova borgata extra moenia ( 'u
bureo = il Borgo); lo scalpellino padulese Andrea Carrara realizzò opere
notevoli in pietra di Padula e lo scultore locale Sabino Peluso (1723-1794)
eseguì varie statue per la Chiesa Madre e per le cappelle dell'abitato; dal
Catasto Onciario del 1753, che fortunatamente ancora si conserva
nell'archivio comunale, si apprende che gli abitanti erano 1698, che vi
erano dottori in utroque iure ( in diritto canonico e in diritto civile),
speziali di medicina, dottori fisici, notari, giudici a contratto, ben 27
sacerdoti, un patrimonio zootecnico di 604 bovini, 3145 tra ovini e caprini,
357 suini, 151 asini; nel 1761 furono aggiornati e riscritti gli antichi
Statuti, in pratica le norme che regolavano ogni aspetto della vita
cittadina.
Nel 1781 il principe di Bisignano vendette il feudo ai Picinni Leopardi di
Buonabitacolo, ultimi signori di Sanza. I democratizzatori del 1799 ebbero
proseliti anche a Sanza: figura di spicco fu Vincenzo Fusco (nato nel 1746),
che coi padulesi Ettore Netti e Francesco Notaroberto da lui chiamati fu
ucciso davanti al Convento dei Francescani da personaggi di fede borbonica e
sanfedista.Nel decennio francese l'abolizione della feudalità non portò alla
quotizzazione delle terre demaniali e contadini e braccianti, obbligati ogni
anno all'esodo stagionale in Puglia, tentarono più volte l'occupazione delle
terre, specie del Centaurino.
Il brigantaggio trovò nei boschi e negli anfratti del Cervato e del
Centaurino l'ambiente ideale per le sue gesta: vi trovarono ricetto le bande
di Giuseppe Tardio di Piaggine, di Nicola Marino di Centola, di Domenico
Uzzo di Alfano, di Michele Notìo di Pollica, di Ciccotunno di Sanza. Nel
1861 furono arrestati 8 briganti e fu sterminata la banda di Francesco Cozzi
alias Ciccotunno.
La borghesia liberale, pur operante con la vendita carbonara I Veri Amici il
cui gran maestro era il farmacista Gianvincenzo De Stefano, non seppe nè
volle schierarsi completamente dalla parte dei contadini; addirittura essa
si ritrovò in parte, accanto agli urbani e ai gendarmi borbonici la mattina
del 2 luglio 1857, quando, non lontano dall'abitato, Carlo Pisacane e i suoi
rivoltosi , quelli almeno scampati all'eccidio di Padula del giorno prima,
sfiduciati, stanchi, privi di munizioni, furono facile bersaglio non della
folla inferocita bensì delle pallottole del sottocapourbano Sabino Laveglia
e della sua truppa. La prima metà del Novecento fu caratterizzata dalle
lotte amministrative tra amendoliani (seguaci di Giovani Amendola) e
cameristi (seguaci di Giovanni Camera), dall'adesione forzata al Fascio,
dalla nascita d'una grande coscienza politica in senso comunista e
antifascista attorno alla figura di Tommaso Ciorciari (1876-1966), il quale
all'indomani dell'8 settembre del 1943 dette vita, seppure per poco più di
un mese, ad un'esperienza amministrativa popolare di grande significato per
la rinascita d'un paese sempre rapinato e oppresso dalla classe padronale.
Prof. Felice Fusco
BENI ARTISTICI
Chiesa parrocchiale dell'Assunta
Denominata in antico chiesa di Santa Maria Maggiore risulta documentata per
la prima volta agli inizi del XIV secolo.
Purtroppo i lavori di rifacimento condotti durante il periodo fascista hanno
quasi radicalmente cancellato l'antica fabbrica, composta da tre navate.
Perduti i numerosi dipinti menzionati da un inventario del 1811, la chiesa
attualmente conserva un patrimonio costituito soprattutto da sculture
lapidee e lignee.
Di buona fattura è il portale principale in pietra di Padula, il materiale
comunemente utilizzato nelle più importanti strutture della zona. Il
notevole architrave decorato da un tralcio vitineo e da angeli fu eseguito
nel 1577 da Santolo Abbondanza, uno scultore ancora sconosciuto ma di sicure
origini sanzesi, come attesta una lapide che ne ricorda l'attività per la
chiesa di San Nicola a Lauria.
La scultura lignea di maggiore pregio è senza alcun dubbio lo splendido
Crocefisso collocato sull'altare maggiore, in origine nella cappella di
patronato della famigia Fusco, posta nella navata destra. L'opera, di
straordinaria fattura, è da considerare tra i manufatti in legno di maggior
importanza del territorio. Liberata da un fitto strato di ridipinture solo
qualche anno fa, è ancora sconosciuta agli studiosi. Il modellato tormentato
e l'esasperato realismo, esaltato dalla policromia, denotano una probabile
origine nordica del suo artefice. Il crocifisso sanzese trova confronti
specifici in zona solo con alcuni esemplari simili conservati in chiese
della vicina Lucania (Chiaromonte, Senise, Armento).
Di buon livello artistico è pure la Madonna della Neve, anch'essa
cinquecentesca. La spessa coltre di ridipinture e le applicazioni di
carattere devozionale (gli occhi in cristallo, il Bambino, quello antico fu
trafugato negli anni settanta del Novecento) non impediscono di apprezzarne
la qualità. La statua è da inserire in un cospicuo gruppo di sculture di
matrice napoletana, uscite dalla bottega di Giovanni Meriliano da Nola e di
Domenico Napolitano, conservate nelle chiese del Vallo di Diano (Padula,
Teggiano), del Cilento e della vicina Basilicata, connesse quasi sempre alla
committenza dei Sanseverino.
Più consistente il numero di statue settecentesche. Fra queste segnaliamo
quelle realizzate dal sanzese Sabino Peluso: l'Immacolata, il Salvatore, il
San Francesco di Paola, la Maddalena e forse l'imponente San Pietro. Al XVIII secolo risalgono inoltre un notevole altare in pietra del Centaurino
dedicato alla Madonna del Rosario (1738) e i tre busti scolpiti dal padulese
Andrea Carrara raffiguranti i santi Pietro, Paolo e Giuseppe (1749),
provenienti dalla chiesa ad essi dedicata, ormai diroccata, in contrada
Salemme. Degno di menzione è anche il settecentesco busto ligneo di San
Sabino martire, protettore del paese, eseguito da Paolo Sannolo.
Di notevole pregio sono, infine, una croce processionale in argento di
fattura napoletana, datata 1734, e un calice dello stesso periodo di analoga
provenienza.
Cappella di Sant'Antonio
Sorge nell'omonimo borgo formatosi all'esterno della cinta muraria del paese
a partire dal primo Settecento. Ad un nucleo più antico dell'edificio,
corrispondente alla zona interna, fu aggiunta nella seconda metà del XVIII
secolo un'ampia aula. L'epoca dei lavori di ampliamento è tramandata dalla
data 1775, incisa sul portale in pietra di Padula. Vi si venera una
monumentale statua lignea di Sant'Antonio Abate, collocata nella nicchia
sull'altare, riconducibile a Sabino Peluso.
Torre campanaria di San Martino
La cosiddetta 'Torre medievale' è quanto rimane dell'antica chiesa
parrocchiale di San Martino. Forse sorta in un periodo compreso tra il XIV e
il XV secolo (il culto del San Martino di Tours fu diffuso in epoca angioina)
è stata adibita a partire dal tardo Ottocento, dopo il crollosacro, a torre
dell'orologio. La struttura dovrebbe essere anteriore al 1468, data segnata
su una delle due campane. Ha subito alcune manomissioni, in particolare sono
state murate le monofore a sesto acuto poste nei tre livelli e nella cella
campanaria cilindrica.
Cappella della Madonna della Neve
Fondata nel 1863 dalla famiglia Campolongo, la cappella è situata in piazza
Plebiscito, a poca distanza dalla chiesa parrocchiale. Di particolare
interesse è la statua lignea della Vergine col Bambino collocata nella
nicchia sopra l'altare, presumibilmente realizzata in ambito napoletano, su
commissione dei Campolongo, nella seconda metà dell'Ottocento. A questo
stesso periodo risale il notevole altare marmoreo. Sulla parete laterale
sinistra è collocata una tela settecentesca raffigurante Cristo deposto,
proveniente dalla sacrestia della chiesa madre. E' sede della locale
Arciconfraternita di Santa Maria della Neve.
Chiesa di San Francesco d'Assisi
Annessa ad un soppresso convento di Minori Osservanti dedicato a Santa Maria
della Neve, fondato nel 1618, sorse su una chiesa preesistente appartenuta
alla suddetta Arciconfraternita. L'edificio, restaurato ed ampliato negli
anni Cinquanta del Novecento, conserva un bel portale datato 1610. Degli
antichi arredi la chiesa custodisce soltanto un dipinto del XVIII secolo con
l'effigie del Servo di Dio Padre Angelo da Maiori, vissuto a lungo e morto
nel convento sanzese (1738), e una bella statua in legno di San Pasquale
Bailon realizzata da Sabino Peluso nel 1749. Notevole infine è il ciborio
lapideo, scolpito da Andrea Carrara, forse in origine inserito nel
principale altare della primitiva chiesa francescana.
Cappella di San Vito
La struttura ottocentesca si trova a poca distanza dal centro abitato. Va
segnalata in questa cappella la presenza di un considerevole altare in
pietra di Padula di forme tardo barocche, scolpito dal padulese Andrea
Carrara nel 1720, e la statua lignea del Santo titolare eseguita da Sabino
Peluso nel 1776, entrambi provenienti dalla piu' antica cappella di San
Vito, di cui non si conosce l'ubicazione.
Edilizia civile (tra vicoli, portali e cortili di 'case palaziate')
Arroccato sul colle da epoca non precisata il paese fu difeso per secoli da
un sistema di mura e forse da un fortilizio, molto probabilmente sorto sul
sito dell'attuale palazzo baronale.Se delle quattro porte (Portella, detta
anche di San Giuliano, San Nicola, Pungente e Girone) si conosce
l'ubicazione e rimane persino qualche elemento residuo, delle antiche mura
non v'e' piu' traccia. Quasi del tutto inalterata risulta l'urbanistica
medievale, caratterizzata dallo sviluppo spontaneo di una fitta rete di
viuzze confluenti in poche piazze, la principale delle quali e' l'antica
piazza di Santa Maria Maggiore, oggi del Plebiscito. Tre furono i periodi di
maggiore espansione per l'edilizia civile dell'abitato: il tardo
Cinquecento, la prima meta' del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento.
Sono queste le fasi in cui si datano i portali delle molte ''case palaziate''.
Il centro storico di Sanza ne conserva un numero davvero eccezionale, a
testimonianza dell'agiatezza economica di alcune famiglie, quasi sempre
ricche proprietarie terriere. Il palazzo Baronale è stato ampiamente
manomesso soprattutto dopo la vendita da parte degli ultimi feudatari del
paese, i Picinni Leopardi di Buonabitacolo, alla famiglia Eboli. è stato
risparmiato il maestoso portale, databile all'avanzato XVI secolo, assai
simile per tipologia a quello del Castello di Casalbuono. Esemplato sullo
stesso modello è il portale di casa Barzelloni in via San Martino, un
complesso edilizio di notevole interesse che conserva ancora intatti la
corte con scalinata in pietra e consistenti tracce di decorazioni pittoriche
nell'abside, attualmente murata, della cappella gentilizia dedicata a San
Domenico Soriano. Verso la meta' del XVI secolo sorse la ''casa palaziata''
di via Santa Sofia, denominata ''casa ru Monaco''. L'edificio si distingue
per il severo portale, con doppio ordine di bugne a ''punta di diamante'', e
per il suggestivo cortile in cui si affacciano eleganti portalini, anch'essi
cinquecenteschi. Possiedono portali con bugnato a ''punta di diamante''
anche la casa dei Curcio in via San Martino e il palazzo appartenuto forse
ai de Benedictis, oggi di proprieta' della famiglia Barzelloni, nei pressi
di largo Guglielmo Marconi. Un ultimo significativo esempio di portale
cinquecentesco, di forme pero' decisamente più semplificate, è quello della
casa dei Cozzi in Via sotto San Giovanni, dov'e' pure un notevole cortile
con loggia colonnata e un'ampia scala in pietra. Piu' ricco il gruppo dei
portali settecenteschi. Fra questi segnaliamo quello di casa Pappafico
datato 1717, rispondente ad una tipologia assai diffusa nel Vallo di Diano e
in aree vicine, decorato da motivi vegetali e animali. A poca distanza, in
via Pienaro, il portale di casa Fusco propone un modello di maggiore
eleganza, dove l'unico elemento decorativo e' la chiave di volta, in cui
compare un uomo togato con parrucca e libro, evidente allusione alla
professione forense del proprietario.
Alla prima metà del Settecento si datano i due portali di casa Laveglia, tra
via Pienaro e via Unità Italiana. Quest'edificio, appartenuto in antico ai
Campolongo, preserva pressochè intatti lo splendido cortile con pavimento in
selciato, le scale in pietra e persino decorazioni pittoriche murali in
alcuni ambienti, ascrivibili al pittore buonabitacolese del primo Settecento
Francesco De Martino.
Tra i molti portali del XVIII secolo si distingue per qualità esecutiva
quello della casa appartenuta ai Graziani, in via San Giovanni, datato 1739.
Di notevole bellezza sono i fioroni che campeggiano sulle bugne, come pure i
due leoncini che sostengono i piedritti, ispirati a modelli di origine
medievale. E' probabile che l'opera sia stata scolpita nella bottega del
padulese Andrea Carrara.
Molti gli edifici ottocenteschi di un certo interesse. Tra questi si
distingue il palazzo dei Campolongo, realizzato nella prima metà
dell'Ottocento. L'edificio, progettato da un monaco di cui non si conosce il
nome, conserva un elegante e raro esempio per la zona di facciata ad
intonaco rosso scompartita da finte lesene. Al primo Ottocento è databile il
portale principale della complessa casa palaziata dei Bonomo, costituita da
più nuclei di diversa epoca, tra questi si distingue per imponenza ed austerità quello che si erge come un "maniero" sul largo Guglielmo Marconi.
Risale ai primi anni del XIX secolo anche il bel portale di casa De Stefano,
via Pienaro, decorato da volute laterali vegetali, una soluzione decorativa
di gusto tardo barocco. Ai De Stefano appartenne la farmacia del paese, in
via Unità Italiana, di cui rimane il raffinato portale datato 1808. Infine
va segnalato il palazzo dei Barzelloni a largo Guglielmo Marconi, un
edificio ottocentescoche riutilizza in parte strutture più antiche, forse
appartenute ai de Benedictis. Oltre al già citato portale cinquecentesco il
complesso ne conserva un altro del primo Ottocento assai simile a quello dei
De Stefano.
Prof. Stefano De Mieri
tratto da:
http://www.comune.sanza.sa.it